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Autore: Ignis_eye    15/05/2015    3 recensioni
Non esiste solo un mondo, ce ne sono parecchi, o meglio, ce ne sono tanti raggruppati in uno solo, dove gli umani trascorrono tranquillamente la loro esistenza e dove le creature magiche vivono in armonia e talvolta si fanno la guerra.
Gli esseri magici svolgono le loro faccende quasi con normalità, tenendole nascoste agli uomini, ma... che cosa succederebbe se un terribile segreto venisse rubato e due razze si scontrassero?
Genere: Guerra, Romantico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Yuri, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Gaspare si trasformò a sua volta in bipes ringhiandole contro.
Se fossero stati solo in due avrebbe potuto ucciderla ma così non era; alla rabbia per essere stato scoperto si aggiunse quella per essere in ritardo con il suo piano e l’odio verso quei tre che l’avevano attaccato.
Non poteva batterli, ne era certo. Doveva far passare il tempo e sperare che i mannari andassero in suo soccorso non vedendolo arrivare.
«Arrenditi, Gaspare!» urlò Chan «Non hai via di scampo!».
In risposta il traditore ruggì contro di lui.
«Taci, cane cinese!».
Il maestro si sentì offeso ma non reagì: non dovevano spezzare il triangolo con cui lo circondavano.
«Come avete fatto a scoprirmi?» domandò adirato. Poi, rivolto ad Elsa: «Nel mondo onirico tu non avevi capito chi fossi!».
«Te la sei cercata, Gaspare» disse «Non avresti dovuto farti vedere nei miei sogni».
«Spiegati».
Non poteva credere di aver sbagliato qualcosa, non era possibile. Aveva preso tutte le precauzioni necessarie.
«Quando ero prigioniera dei mannari ho fatto un sogno: ero dispersa in una landa desolata fatta solo di vetro, o almeno io lo credevo tale. In realtà era diamante, come la pietra simbolo della tua famiglia».
Poi gli disse che aveva chiamato a casa sua dove c’era il quartier generale ma nessuno aveva risposto, così aveva chiesto a Damiano di andare a controllare e lui le aveva mandato un messaggio dicendo che l’abitazione era vuota e la macchina non c’era.
«Tu sei uno degli anziani e non combatti, hai solo ruoli strategici. Allora come mai non eri al quartier generale? Quella è stata la totale conferma dei miei sospetti».
Gaspare capì come avesse fatto a scoprire la sua identità ma non riusciva a comprendere come mai il diamante fosse apparso nei sogni della ragazzina: lui aveva sempre fatto attenzione a non mostrarsi o a non far apparire nel mondo onirico simboli che lo rappresentassero. E poi… lui non era entrato nei suoi sogni mentre era prigioniera.
«Non hai nulla da dire, Gaspare?».
«Solo che io non sono entrato nel tuo ultimo sogno e che non so come tu abbia fatto a vedere quella distesa di diamante».
«Non ha importanza» disse Elsa «ora sei qui e sei in mano nostra. Pagherai per quello che hai fatto!».
«Non ci scommettere!».
Con uno scatto fulmineo le balzò addosso atterrandola, ma prima che potesse morderle il collo lei gli tirò un pugno in un occhio.
Approfittando del secondo di vantaggio, gli morse il braccio destro fino a sentire sulla lingua il sapore del sangue, poi qualcuno glielo tirò via di dosso.
«Maledetto!» ringhiò Chan accanendosi contro di lui «Traditore!».
I due si rotolavano sulla stradina sassosa mordendosi a vicenda mentre Sefora, conscia di non essere utile, si era ritirata sul ramo di un albero aspettando che smettessero.
Elsa attese che Gaspare buttasse a terra Chan per balzargli sulla schiena e addentarlo dietro la testa e quando sentì la pelliccia tra i denti serrò le mascelle fino a farlo ululare di dolore.
«Staccati, maledetta!» guaiva tentando di afferrarla «Togliti di mezzo!».
Elsa era sorda ai suoi lamenti e affondò ancor di più i denti nel suo collo mentre Chan si rialzava in piedi, pronto ad attaccare ancora.
“Speriamo che tutti questi anni di allenamenti non siano stati inutili!” pensò la licantropa “E’ ora di mettere in pratica qualche trucco”.
Quando Gaspare tentò di afferrarla con le mani, lei lo anticipò e gli bloccò i polsi con una presa ferrea: grazie all’adrenalina aveva perso ogni sensazione di stanchezza e si sentiva forte come non mai.
Il maestro, approfittando dell’occasione, sferrò una serie di pugni micidiali che lo fecero cadere a terra.
Elsa mollò la presa dal collo grondante di sangue e con un ringhio intimidatorio dissuase il traditore dal rialzarsi.
«Ben fatto, Elsa».
«Grazie, maestro, ma prima di cantar vittoria voglio fare due domande a questo traditore».
«Io non dirò nul-».
«Silenzio!» ruggì fino a sentir male alla gola «Tu aprirai bocca solo per rispondere alle mie domande!».
Provava un insopportabile calore e sentiva pulsare le tempie, cose che non la rendevano certo più gentile.
«Che ruolo hai in tutto questo?! Rispondi!».
Gaspare non emise nemmeno un sussurro e fece infuriare ancor di più la ragazza-lupo che aveva già perso tutta la sua pazienza: gli afferrò una mano frantumandola tra i propri denti acuminati.
«Aaarg!» urlò disperato.
«Parla se non vuoi che ti divori pezzo dopo pezzo, cane rognoso!».
Sefora scese dall’albero e si avvicinò ma uno sguardo di Chan la dissuase dall’andar loro accanto: “Non ora” sembrava le dicesse “Non guardare”.
Sentì chiudersi la bocca dello stomaco: cosa stava per succedere? Perché il maestro cinese non voleva farla avvicinare? Eppure lei ne aveva viste di tutti i colori negli ultimi giorni…
Poi capì.
Elsa era stanca, affamata, arrabbiata.
Elsa era certamente una licantropa dotata di grandi capacità.
Elsa, però, non era matura.
Aveva sentito parlare dei giovani licantropi sottoposti a stress troppo alto, aveva letto in decine di libri quello che potevano fare: mancanza di autocontrollo, perdita della coscienza di sé, cannibalismo.
Chan ora non era più lì per catturare il traditore, era lì per proteggere Elsa da sé stessa.
Facendoci caso, la maga poteva percepire nell’aria una strana energia, densa e soffocante, che le faceva venire la pelle d’oca e che si espandeva sempre più.
Era Elsa.
Si sarebbe trasformata in un mostro, non in uno di quelli delle fiabe o delle leggende, bensì in un mostro vero e assetato di sangue.
Spaventata, si nascose dietro una pianta dal tronco largo e robusto e si portò una mano al cuore: davvero Elsa, la sua Elsa, stava per diventare così?
Sentì pizzicarle gli occhi ma non si arrese alle lacrime. Strinse i pugni e si voltò verso i licantropi: se la ragazza-lupo stava soffrendo così sarebbe stato troppo facile chiudere gli occhi e tapparsi le orecchie; se Elsa stava sopportando questa battaglia fuori e dentro sé stessa, Sefora avrebbe sopportato con lei.
Sentì i lamenti di dolore di Gaspare: stava cominciando il macabro spettacolo.
«Avanti, maledetto! Parla!».
«I-io non ti… dirò nulla…».
All’opposizione seguì un morso al gomito così forte da spezzarlo con un sonoro schiocco, ma la licantropa non si accontentò di romperlo, lo tenne in bocca come per masticarlo prolungando il dolore di Gaspare.
Chan restò spiazzato da tutto quel sadismo, non era da lei accanirsi così tanto, ma sapeva di non poterci fare nulla, ormai era chiaro: stava per perdere il controllo e in quei casi c’era poco da fare, se avesse tentato di fermarla l’avrebbe solo fatta diventare più violenta.
«Parla!» ruggì grondando sangue dalle fauci «Che ruolo hai in tutto ciò?!».
«Io… sono solo… un informatore…» sussurrò stringendo i  denti dal dolore «Io non so nulla del piano…».
«Bugiardo!» lo accusò «Dicci tutto quello che sai!».
«Io non so nulla, lo giuro!».
Accecata dalla rabbia gli staccò l’avambraccio con un solo morso scoprendo le ossa bianche sotto i muscoli; dal dolore, Gaspare si ritrasformò in umano senza volerlo.
«Adesso sai qualcosa di più, scommetto!».
«Io… io dovevo riferire le mosse dei licantropi al Gran Maestro» disse «Sono solo un informatore!».
«Schifoso bastardo! Spia! Ci hai traditi!».
Sentiva pulsare le vene del collo e ormai trovava insopportabile il calore che provava da un po’;  non aveva più controllo sul proprio tono di voce e sulla propria aggressività, sentiva che qualcosa non andava ma non poteva fermarsi.
«Ci hai venduti a quegli stronzi! Cosa ti hanno dato in cambio?!».
Gaspare non voleva rispondere, l’umiliazione sarebbe stata troppa, ma visto che le parole non bastavano, la licantropa lo colpì con una zampata in pieno viso scaraventandolo alcuni metri più in là.
Chan tentò di calmarla ma ottenne solo un’occhiata astiosa dalla sua allieva.
«Maestro, lasciami fare. Io devo sapere, ne ho tutto il diritto dopo quello che mi ha fatto».
«Elsa…».
«No. Questa volta si fa a modo mio» sussurrò con una voce che non sembrava nemmeno sua.
Quando fui a pochi passi dal traditore lo afferrò per la gola e lo sollevò da terra senza sforzo mentre lui gemeva tenendosi il braccio monco.
«Allora?!».
«Dopo… dopo che vi avrebbero dominati, io sarei diventato il vostro re… e avreste dovuto obbedirmi incondizionatamente».
«Ma in cambio saresti stato fedele ai mannari, vero verme schifoso?!» urlò scrollandolo con violenza «Però a te bastava giocare a fare il re, non è vero?!».
Senza accorgersene strinse la presa sul suo collo e Gaspare tentò di liberarsi, ma le sue dita non potevano nulla contro quelle lunghe e artigliate di Elsa.
«E dimmi, pezzo di merda, perché volevi ammazzarmi, perché nei miei sogni dicevi di volermi uccidere?!».
«E’ un ordine del Gran Maestro» sussurrò a fatica.
«Chi è? E’ un mannaro?».
Un ghigno sul viso di Gaspare la fece ricredere.
«No, è un vampiro. I mannari sono troppo stupidi per certe cose, sono tutto muscoli e niente cervello».
«Come i licantropi che stanno combattendo ora» si azzardò a rispondere «Se fossero intelligenti non andrebbero verso morte certa come stanno facendo ora!».
«Ripetilo, bastardo!» ringhiò offesa «A differenza tua, loro hanno il senso dell’onore e sono leali fino alla morte! Con i tuoi ordini li stai mandando in una trappola, li mandi a morire!».
Una macabra risatina uscì dalle labbra sporche di sangue di Gaspare.
«E allora?» chiese «Cosa saranno mai pochi licantropi per avere il totale controllo su tutti gli altri?».
«Cosa hai detto?!».
Quelle parole la spiazzarono completamente e anche se non poté vederlo, anche Chan rimase impietrito da quell’affermazione.
«Uno vale l’altro… non c’è differenza».
Con un involontario scatto di rabbia, gli sbatté la testa su un masso frantumandolo in centinaia di minuscoli pezzi.
«Elsa, fermati!» urlò Chan senza esito «Basta!».
La ragazza non sentiva le sue parole e picchiò la testa del traditore sul terreno con tanta violenza da farlo tremare.
Non riusciva a fermarsi, voleva schiacciargli la testa e ridurla in pezzettini minuscoli.
Chan, capendo la gravità della situazione, le balzò addosso e le morse il braccio per farle perdere la presa sul collo di Gaspare. Ci riuscì, ma la ragazza, fuori di sé, lo colpì in pieno viso con una forza straordinaria che non aveva mai dimostrato di avere e gli ruppe il muso schizzando sangue sull’erba.
Non contenta, lo afferrò per una zampa e lo lanciò in mezzo alla foresta a qualche decina di metri abbattendo un grosso pino.
Chan si rimise subito in piedi ma Elsa era già tornata all’attacco verso Gaspare che urlava disperato e piangeva dalla paura.
«Basta, ti prego!» implorò «Ti scongiuro, basta!».
Elsa però non sentiva, anzi, era disgustata da quel bastardo che strisciando come un verme tentava la fuga.
Gli afferrò una gamba e gliela strappò dal resto del corpo.
Ad ogni urlo attaccava ancora e ancora: prima un piede, poi gli occhi, poi la mano. Come una belva senz’anima sbrana la sua preda, lei dilaniava a poco a poco le carni della spia che aveva tradito il suo popolo.
Sentiva in bocca il sapore ferreo del sangue e le piaceva, udiva le suppliche e ne voleva sentire altre.
Le orecchie le fischiavano e nei timpani sentiva il battito cardiaco prevaricare su qualsiasi altro rumore. Poi, quando il calore divenne insopportabile e la testa le pulsava senza sosta, lo azzannò al collo e strinse fino a sentire le ossa della spina dorsale frantumarsi come legna secca e il sangue scenderle in gola e colarle fuori dalla bocca.
«Elsa, adesso basta!» ordinò Chan.
Doveva impedire che la sua rabbia incontrollabile la spingesse a far del male a lui o a Sefora. Doveva a tutti i costi farla rinsavire, aveva sbagliato a lasciarla fare senza metterle freni.
«Elsa, calmati!».
In risposta ricevette un ringhio così profondo che si spaventò. Non sembrava lei, si comportava quasi come… un mannaro.
Poteva sentir vibrare il suo mana attraverso la calda aria estiva e avvertiva quest’energia come estranea. Stava assistendo per la seconda volta in vita sua alla perdita di controllo di un giovane licantropo e non poteva permettere che finisse come la prima.
Gli ululati di Elsa attraversavano la foresta per chilometri e decine di uccelli si alzavano in volo illuminati solo dalla debole luce lunare.
La ragazza afferrò un tronco d’albero sradicando la pianta e picchiando con forza sul cadavere di Gaspare finché il legno non le si sfasciò in mano.
Arrabbiata oltre ogni limite affondò i denti nelle carni del corpo esanime e strappò lembi di pelle e muscoli raggiungendo gli organi interni, caldi e viscidi. Affondò il muso nel suo ventre e lo svuotò completamente sporcandosi di sangue.
Provava un forte mal di testa e ogni volta che infieriva su quel cadavere desiderava accanirsi ancor di più, sempre di più, fino a non lasciarne nemmeno un pezzo intatto.
Quanto avrebbe voluto che fosse ancora vivo! Lo avrebbe fatto soffrire come un cane, l’avrebbe fatto piangere!
Ringhiando  morse la colonna vertebrale e la spezzò strappandone via una parte con i denti.
«Elsa!» urlava Chan, ritornato umano «Smettila, ormai è morto!».
Lui ce la metteva tutta ma lei era inavvicinabile e totalmente sorda alle sue suppliche. Perché la sua giovane allieva non lo stava a sentire?
Nel buio della notte non poteva accorgersene ma se avesse potuto, nei suoi occhi non avrebbe visto nulla. Solo il vuoto, un vuoto che si nutriva di morte, vendetta e rabbia.
Non poteva sopportare che la ragazza che aveva visto crescere, che aveva aiutato, istruito, allenato e consigliato si stesse consumando in quell’essere dalla forza spropositata e dalla volontà appannata dalla furia.
Cosa poteva fare però? Ormai aveva perso la testa e nel giro di poco si sarebbe consumata fino alla morte. Perché non c’è futuro per un licantropo che non controlla il proprio mana: questo potenzia all’estremo il suo corpo in così poco tempo che l’effetto è quello di un fiammifero che si accende e si spegne dopo poco.
Era tutto perduto.
Le aveva insegnato a proteggersi dagli altri ma non contro sé stessa e adesso era troppo tardi per tornare indietro.
«Elsa, ti prego, calmati!» la implorò Sefora uscita dal suo nascondiglio.
La ragazza si bloccò di colpo e alzò la testa sporca di sangue dal cadavere di Gaspare, squadrandola con occhi sbarrati.
La maga si avvicinò di qualche passo ma un ringhio gutturale dell’altra la terrorizzò costringendola a fermarsi.
«M-mi riconosci?» sussurrò timidamente «Sono io…».
Azzardò un altro passo e la licantropa lasciò cadere a terra la carcassa martoriata che stava dilaniando.
«Sono Sefora» disse tentando di mantenere un tono di voce fermo e tranquillo «Siamo appena scappate dai mannari, grazie a te».
Qualcosa in quella frase la fece innervosire: tirò indietro le orecchie e mostrò le zanne. La cercatrice si morse la lingua, non avrebbe più dovuto nominare i mannari.
«Ora siamo salve, siamo al sicuro».
Chan era sbalordito: con poche parole era riuscita a domare quella belva e si stava pure avvicinando! Come mai aveva tanta influenza su Elsa?
Intanto, Sefora era arrivata a pochi passi dalla licantropa che, irrequieta, si era acquattata e digrignava i denti senza però attaccare.
Sembrava combattuta: una parte di lei le ordinava di uccidere, l’altra di ascoltare; era come una bomba sul punto di esplodere.
«Elsa» sussurrò,sentendosi piccolissima dinanzi a quell’essere alto più di due metri «Ti prego, torna come prima».
La licantropa rantolava trattenendo a fatica la sua rabbia, ma qualcosa stava già cambiando dentro di lei. Si abbassò appoggiandosi al terreno anche con gli arti anteriori ritrovandosi faccia a faccia con la maga.
«So che mi puoi capire, percepisco che il tuo mana sta cambiando…».
Alzò lentamente una mano ma il gesto in qualche modo spaventò l’altra e con uno scatto fulmineo la atterrò ringhiandole in viso.
Chan fece come per intervenire ma una serie di latrati nella sua direzione lo costrinsero a fermarsi.
«Elsa, ti prego» singhiozzò stesa a terra «Ti prego, torna in te».
La figura scura della ragazza-lupo le stava sopra e le bloccava ogni via di fuga bloccandole le braccia con le zampe. Poteva sentire il fiato caldo che le accarezzava il viso e l’odore del sangue era così forte da darle la nausea.
Gli occhi scuri la guardavano con odio e sembravano attraversarla da parte a parte come lame di ghiaccio.
Questa volta non poté controllare le lacrime che uscirono involontariamente; singhiozzò mentre il muso della licantropa si avvicinava al suo e quando fu certa che l’avrebbe uccisa, chiuse gli occhi.
Non successe nulla.
«Se… fo… ra» articolò «Se… fo… ra…».
Riaprì gli occhi.
«Elsa, tu… tu mi riconosci» sussurrò.
Si accorse che l’altra respirava a fatica, come dopo una lunga corsa.
«Che ti succe-».
«M-mi dispa…ce» rantolò «N-non volevo far..ti male…».
Si ritrasformò in umana: la pelliccia scomparve, gli artigli si ritirarono, il corpo ritornò alle sue normali dimensioni e il muso divenne viso.
Ora una ragazza debole e sfinita la sovrastava. Fece per dire qualcosa ma le si sdraiò sopra a peso morto.
«Mio dio, Elsa!».
Preoccupata, si liberò spostando il suo corpo e la distese accanto a sé prendendole il busto tra le braccia e sostenendole le testa.
«Elsa, parlami!» disse scuotendola «Apri gli occhi!».
Le sfiorò la fronte per spostarle un ciuffo di capelli e la trovò bollente dalla febbre. Respirava lentamente e con fatica. Anche gli occhi, prima pieni di vita, adesso sembravano coperti di un velo di sofferenza.
La luce lunare si rifletteva debolmente sulla sua pelle pallida facendola sembrare un’immobile statua di marmo.
«Sefora» sussurrò «Io non… volevo».
«Shhh, va tutto bene, va tutto bene» si sforzò di dire «Adesso chiamiamo aiuto e ti portiamo a casa».
La rassicurava ma ormai era inutile: sia lei sia Chan, distante alcuni metri e totalmente impietrito, sapevano che non c’era più nulla da fare; la sua energia si affievoliva sempre di più e si faceva via via più fredda.
«Tra poco starai meglio» singhiozzò «Ora andrà tutto bene».
Un groppo alla gola quasi le impediva di parlare e le lacrime le rigavano il viso gocciolandole lungo il mento senza sosta.
«No, io sto… morendo» le disse.
«Non dirlo neanche per scherzo! Tu ce la farai!».
«N-no… purtroppo no».
Fece un respiro profondo e le prese una mano pregando di avere abbastanza tempo per dire le sue ultime parole. Sentiva il proprio mana spegnersi come la tremolante fiammella di una candela.
«F-ferma i nostri… non lasciare che attacchino il castello o moriranno tutti».
Non aveva più tempo, lo sapeva.
Guardò quegli occhi verdi e benedisse la sua natura sovrumana che le permetteva di vedere il loro meraviglioso colore anche nella semi oscurità.
Non li avrebbe più rivisti, e nemmeno Sefora.
L’aveva appena trovata e subito doveva lasciarla, non era giusto. Cosa aveva fatto di male per meritarsi una fine così precoce?
«Sefora» soffiò senza più fiato «Tu sei… sei bellissima anche quando piangi».
«Elsa…».
«E… i tuoi occhi mi sono piaciuti dalla prima volta che li ho visti. Sefora, ti prego… sopravvivi a questa guerra, fallo… fallo per me. Io…».
Non fece in tempo a finire. Il suo cuore smise di battere.
  
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