Film > Howl's moving castle
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Autore: _sonder    16/05/2015    2 recensioni
Raccolta di scene quotidiane degli abitanti del Castello Errante.
| Prima classificata a Il contest delle 48 ore – Non vedo, non sento, non parlo, scrivo!” indetto sul forum di EFP da Shizue Asahi. |
Genere: Fluff, Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro personaggio, Calcifer, Howl, Markl, Sophie | Coppie: Howl/Sophie
Note: Missing Moments, Movieverse, Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Titolo: Nella Dimora delle Memorie
Personaggi e Pairing: Howl, Sophie, Calcifer, Lettie, Markl, Altri. Accenni alla  coppia Howl x Sophie.
Genere: Commedia, Malinconico, Slice of Life, Introspettivo, Fluff.
Rating: Verde.
Avvertimenti: Vari missing moments o momenti riconducibili al movieverse
Introduzione: Scene di vita o riflessioni dei personaggi. Raccolta di scene quotidiane degli abitanti del Castello Errante. ”Partecipante a Il contest delle 48 ore – Non vedo, non sento, non parlo, scrivo!” indetto sul forum di EFP da Shizue Asahi.
Note dell'Autore: L'indaco è un colore famoso per essere utilizzato fra persone di alta estrazione sociale, almeno nell'epoca vaga in cui si contestualizza il film. In verde segnalo quello che è un comportamento animale/umano: i nostri occhi riconoscono maggiormente quel colore come ascendente primitivo dovuto alla sopravvivenza. Nel verde possono nascondersi i predatori e la preda si salva, discernendo il colore di una pelliccia, ecc. I prompt utilizzati nel primo capitolo sono: scrivere una drabble per ogni colore dell'arcobaleno e utilizzare come narratore un oggetto inanimato. Il secondo capitolo utilizza come prompt la canzone Immortals. Il terzo è una breve flashfic fluff con protagonisti Markl e Sophie.


Verde
Le praterie erano onde di speranze vessate dagli schiaffi del vento. Sotto i suoi occhi fluivano secondo la corrente. La tinta dei germogli brillava un’ultima volta nell’incanto delle fiamme, fino ad assumere il colore della morte. Era il verde che Howl puntava; non il sangue dei caduti, non gli abbagli del fuoco e i loro inganni.
Vestito di piume, il mago sorvolava la brughiera selvaggia e sentiva l’eco sommessa del paesaggio, che soffriva al rombo delle bombe. E l’erba assopita, bagnata di rugiada, tratteneva il respiro e si scansava alla furia della brezza, fissando attonita il nuovo tramonto delle esplosioni.
I ciuffi si asserragliavano in un unico letto; seguivano i flutti e scorrevano con la chioma in avanti, a capo basso. Per Howl il volto della vegetazione era la coperta su cui giaceva la sua infanzia: i passi a piedi scalzi nel mezzo del prato, fra api e zolle umide, coi temporali che urlavano e si chetavano nel corso di un’ora.

Da adulto, il verde nascondeva le insidie della Strega delle Lande, le flotte di Ingary, armate di miseria e di magia distruttiva. Quale preda, Howl osava sfidare la frontiera e manteneva come bussola i pascoli e i tralci degli alberi. E in essi ritrovava il drappo blu dell’abito povero indossato da Sophie, la treccia argentea scossa dall’aria, la sua meraviglia per la beltà dei fiori e la paura di perderlo, stretta negli occhi dolci.
Howl sbatteva le ali, poi si calava in picchiata, lasciandosi dietro le scie di sangue e la pioggia delle granate. Gli aerei divenivano fuochi d’artificio e comete sulle vallate.
 
Occorreva penetrare il verde del fogliame e seguire il sentiero per il castello, risalire la lenta collina della sopravvivenza.

Rosso
Lettie piroettava al passo di una danza locale; i merletti grezzi della sottoveste le carezzavano le cosce. Attorno a lei le colleghe di lavoro si riunivano, incuriosite e civettuole, battendo le mani per accompagnare un canto popolare.
Sulle labbra sbocciava la rosa del peccato e i suoi pollini attiravano gli sguardi degli uomini, allungando i petali carnosi nel pettegolezzo.
Due piccoli orecchini rossi adornavano i lobi di Lettie, coordinati al rossetto. Dietro le pile di biscotti confezionati del magazzino, sbirciava pure un apprendista dai capelli chiari. Sorrise, notando il suo dono pendere da entrambe le orecchie della ragazza.

— Li hai indossati, — disse, quando si ritrovarono soli, come se si trattasse di un’affermazione neutra.
Lettie rimase in silenzio e lo scrutò, finché le punte degli stivaletti non le diedero la spinta per raggiungere il suo viso. Le labbra si curvarono verso l’alto e si donarono alla pelle ispida.
— Cosa fate? — domandò uno dei garzoni, — su, al lavoro!
La fanciulla svanì dietro l’angolo, la gonna sollevata per correre al bancone.
Il compagno ammutolì, le guance calde, mentre fuori la pioggia scioglieva i capelli sui passanti, solleticandoli.
Tornò con le mani leste a impastare le madeleine. Dentro le cucine più persone corsero con gli occhi alle sue gote; frattanto le dita davano la forma ai biscotti.
Soltanto la traccia delle labbra rosse era rimasta visibile. Del sapore di quel bacio, della bocca di lei punta dal rossetto, non avrebbe parlato ad alcuno.

Giallo
Sophie aveva posato le dita sul grano. Delicata, come una madre sul capo del figlio, saggiava le spighe nel loro tesoro di poco valore, che pure riluceva al bagliore del sole.
Trovò Howl più in là, assopito ai margini del campo. Giaceva con un mazzo di fiori freschi in mano, raccolti nella valle e abbelliti dall’uso della magia; un piccolo aiuto per crescere sani e forti, come lui amava ripetere.

Le ossa scricchiolarono quando Sophie provò a sedersi. Il dolore le ricordò la croce di portare con sé la vecchiaia. Diede ristoro al viso stanco del mago, posandolo sulle proprie gambe. Si arrischiò ad adagiare una mano sui capelli di Howl; condusse le ciocche dietro l’orecchio, per svelare le ciglia che reggevano i suoi sogni.
Furono la morbidezza e il calore dei raggi, diffusi a lievi baci sulla chioma bionda, a scottarle la pelle. Sophie ritrasse le dita di cartapesta, scoprendole rugose, inadatte ai lineamenti della gioventù. Il batticuore le illuminò ugualmente i tratti anziani del volto, nella chiara verità del giorno. Neanche le ombre potevano celarsi agli occhi del sole.
Raccolse il tepore sulle falangi e, non vista, vi bagnò le labbra, nella luminosità del suo amore. Arrossì e inclinò il capo. Howl era così infantile e docile nel sonno, avvolto da una cascata di ciuffi paglierini.
Intorno a loro era schiusa l’oasi dorata di un fiume giallo, che portava in dono il grano e offriva un giaciglio al principe addormentato. 

Violetto
Assieme sedete. Attendete la nuova alba, con lo sguardo oltre la scacchiera di vetro e di legno. In volo, oltre il letto di violette delle nubi e i riflessi di morte delle fiamme, vagano i vostri occhi.
La superficie soffice delle nuvole mostra una corolla violacea e sbuffi gentili, rotondi. I nembi sono carichi di timide speranze, dalla voce barcollante. Stendono il proprio fumo e sollevano il sole, riscoprendo la loro coltre di sfumature più calde.

E pregate per un altro giorno assieme, perché il prato fiorito dell’aurora lo riconduca verso la bottega e la casa di Market Chipping.

Le pennellate di violetto vi raccolgono al mio cospetto; per l’imbarazzo la condensa si diffonde fino alle imposte e si annida dove legno e vetro si congiungono in un abbraccio, per ripararvi dagli spifferi.
Siete una stramba famiglia, che schiamazza e chiude e apre i miei scuri con poca dolcezza. Eppure, con voi ho compreso le ragioni dell’attesa e la brama di notare le ali del volatile che tanto cercate. Punto gli spigoli là, dove la notte s’imbarazza a denudarsi nel chiarore del dì e m’illudo di raggiungere il corpo spoglio del mattino.

Blu
C’era la notte coi suoi demoni suicidi e le stelle che dipingevano sorrisi nel buio. Maliziosi, gli astri erano a caccia di altri salti sui fiumi, per aggrottare la fronte della foce.
Ti gettasti nel vuoto anche tu, Calcifer. Col brivido di conoscere un cielo rovesciato e i suoi inscrutabili fondali, che neanche la luce remota delle tue punte sapeva rischiarare. Le fiamme di cui eri vestito conobbero la paura della morte e lambirono la limitatezza del mondo. Ti aggrappasti al fanciullo e tingesti d’oltremare il suo cuore, ghermendolo con parole segrete.
Il patto fu così sancito e i lembi di velluto della sera ne divennero testimoni. Il tuo potere si nutrì della forza umana, apprese il peso dell’animo e si colorò del blu degli oceani, quando Sophie vi rovesciò una secchiata d’acqua. Con essa giunse il freddo, la lenta discesa al sonno e lo stremo della vita.
La tua luce esitò, come le stelle perdute nella distesa rigida del firmamento. Provasti timore alle esili fiammelle rimaste, più simili a un fuoco fatuo che alla bocca ingorda di legna, cui eri avvezzo. Lo sgomento soffiò sulle tue cime sbiadite, parlandoti dei pennacchi dell’inverno e dell’eternità delle notti cieche.

Arancione
Il lume della candela crea un cerchio d’arancio. Tondo come il frutto, guida Sophie all’interno del castello, verso il respiro pesante e spossato di Howl. La sottile fiammella svela porte che si inoltrano su sentieri biforcati e grotte sature di cianfrusaglie. Trasfigura la casa e ne scopre il volto deforme.
Dalle pareti traboccano malie, che assumono il colore del velo lucente. Tutto questo sa fare l’occhio di una candela: tinge di tramonto il cammino e rabbrividisce nella sua piccolezza a ciascun filo d’aria. Rischia di strozzarsi col cappio della brezza. S’incaponisce e raddrizza la testa, pur di mostrare la gola della caverna e l’ugola che risuona al suo interno.
Sophie avanza ed esplora le ombre e i passaggi. Il guizzo del cero rassomiglia alla lingua di Calcifer, ma la scorta nel silenzio e nell’orizzonte tenue del mistero. Le dona una luce calda e poco forte, che allunga l’oscurità e dà spazio ai sussurri, ai suoni gutturali di una creatura diversa dal mago vanesio del mattino.
Sophie tende la mano e avverte il tepore della lacrima di fuoco. Alza i segreti reconditi delle piume. Forse è tutto ciò che sa fare una candela: spingerla a dichiararsi e a riversare sul mostro i sentimenti più genuini, dal sapore dolciastro e maturo di un’albicocca.

Indaco
Nella cappelleria le dita sferruzzano e indossano ditali. I polpastrelli si inchinano di fronte alla punta di un ago. Sembra l’incontro amoroso che sognano tutte le sartine della bottega di Market Chipping; un uomo d’onore, che sia soldato o un nobile di bell’aspetto, un fattore onesto o l’artigiano esperto, a riconoscere la bellezza dei loro copricapi e a scoprire il viso di perla, virgineo, sotto la cuffia.
Sono donne in cerca di marito e di un futuro stabile. Civettano di stregoni e saggiano il pericolo di un’avventura con la piatta vita delle falde e delle fodere da cucire. Maneggiano i nastri d’indaco e li piegano a formare petali e fiori preziosi, resi ricchi da un punto luce o guarniti da paillettes.

Hanno volti bruni o sbiaditi dall’inedia. Eppure arrossiscono in fretta quando si parla di bei giovanotti. Si nascondono dietro i feltri e i velluti, mentre le mani si sporcano per la polvere d’indaco e per la tinta dei tessuti. Sognano d’indossare abiti costosi e i cappelli che loro stesse confezionano, come signore d’alto lignaggio. E il duro lavoro le ricolma di calli, di aspirazioni riposte in un cassetto, di odori asfissianti di colla e cotone. Pungono e si feriscono a loro volta, nel tessere e nel dare ragione alle maldicenze.

 

 

 
  
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