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Autore: Cleo    03/01/2009    1 recensioni
In tedesco, 'gegen' significa 'contro, ma ha lo stesso suono di 'gay gen', cioè 'gay per'. Il significato potrebbe quindi essere 'uomo contro uomo', oppure 'uomo gay per uomo'; su questo doppio senso si basa la fanfiction. - Sistemandosi gli occhiali sul naso, Luca sospirò di nuovo e sorrise al pensiero che tutte loro, invece, avrebbero dovuto invidiare lui.
Genere: Romantico, Triste, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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III. Ich bin die Ecke aller Räume [Sono l'angolo di tutte le stanze]

Luca strizzò forte gli occhi, sperando di poterli chiudere per sempre.
Il sorriso di Marco era troppo, troppo per il suo cuore già stanco e, quando egli espose il collo latteo e profumato al suo tocco, un tremore freddo gli prese le mani. Con la punta delle dita tracciò i contorni di una figura immaginaria sul suo petto, delicatamente, cercando in modo disperato di entrargli dentro, in profondità, attraverso quella pelle così bianca, morbida come le piume di colombe che raccoglieva per strada quando era un bambino. Amandolo, sentendo il suo respiro aumentare ed erompere in uno dei quei tanti gemiti che la sua mente, anche volendo, non avrebbe potuto scordare mai, venerandolo come il suo dio personale, un Adone d’ossa fragili e labbra sottili, Luca pianse. Pianse per quell’amore soffocato che gli serrava la gola, pianse per l’innocenza perduta, pianse per sé e per Marco e per le mille altre persone che li circondavano, pianse per quella stanza troppo piccola che nascondeva un segreto troppo grande e pianse per quel segreto, sì, quel dannato segreto corroborante e bollente come acido che consumava la sua anima ogni giorno di più, lasciandosi indietro solo resti d’odio neri e fumanti; pianse, e le sue lacrime si asciugarono sui capelli e sulla pelle dell’amante.

Quando Marta gli afferrò saldamente la mano, Marco sobbalzò; era raro che lo toccasse, quando non era necessario, ma quel giorno, in quel momento, gli afferrò la mano e avvolse le sue dita sul suo polso magro, come a voler lasciare le impronte. Il suo sguardo era duro, imponente, bramava, pretendeva quel rispetto che lei non aveva mai ottenuto dal padre e che, per questo, ricercava in tutti gli altri. Tutta quella durezza, pensò Marco, era quasi tossica, puzzava d’orgoglio e di lana bagnata.
“Tu pensi che io sia stupida? Dimmi, lo pensi?”
Quando Marco scosse la testa, lei rise amaramente. “Sai, è quasi due anni che sopporto tutto questo, che sacrifico la mia vita amorosa per salvare il tuo patetico culo, perché sei troppo vigliacco per mostrarti come veramente sei, ma credevo ti fidassi di me. Credevo che sapessi che con me ti puoi confidare, che puoi dirmi tutto! E invece, sai cosa, non è vero! Sono solo un’altra stupida che stai usando e basta, hai bisogno di me solo per coprirti, non sei…non mi vuoi bene. Io lo vedo, sai, come guardi quello con gli occhiali in III A, ed ero felice, perché pensavo che avresti finalmente trovato qualcuno da amare veramente, invece hai deciso di tenerlo nascosto, di tenerlo segreto ancora una volta. Non mi hai detto niente, ed io, io ero felice per te. Io volevo essere felice per te. Perché devi sempre rendere tutto così difficile? Perché non vuoi mai essere felice insieme a me?”
Invece di indurire lo sguardo e sibilare quelle parole orgogliosamente ferite che la sua mente gli suggeriva, Marco si avvicinò a lei e l’abbracciò forte, come non faceva da tanto, troppo tempo. L’abbracciò come due anni prima e le accarezzò i capelli, odorando il profumo del suo collo e lasciando che il seno premesse delicato contro il suo petto. La lasciò finalmente essere donna e non macchina, la lasciò essere l’amica che lei era sempre stata, la lasciò sciogliere e singhiozzare nelle sue braccia, la ruppe e la raccolse e le mormorò un “Grazie” che le stampò sulla guancia con uno schiocco.

La donna lo osservò fissare il vuoto, seduto su quella sedia da più di un’ora senza dare il minimo accenno di vita. Poteva chiaramente percepire che qualcosa non andava, era pur sempre sua madre, dopo tutto, ma non avrebbe mai saputo dire cosa, precisamente, lo sguardo di Marco era diventato troppo illeggibile anche per lei. Si avvicinò lentamente e gli carezzò la testa, con un gesto già ripetuto milioni di volte, e lui le sorrise, finalmente, ma gli angoli della bocca restarono sempre rivolti in giù, come se la tristezza si fosse impossessata anche dei suoi lineamenti.
Quando la abbracciò, la donna strabuzzò gli occhi e lo strinse forte, cullandolo come quando era neonato, mentre sentiva che quel ragazzo dagli occhi freddi era diventato di nuovo suo figlio.
“Io non sono quello che credi, mamma.”
“Ma io ti amo per ciò che sei.”
  
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