Capitolo 10
Quando
arrivai in palestra per la lezione, scoprii amaramente che oggi era il turno di
Dimitri. Finsi di non vederlo e quando entrai, andai da Mason che stava
parlando con Eddie.
“Ehi,
Rose. Tutto ok?”.
“Si,
ragazzi, voi?”.
Si
strinsero nelle spalle. “Tutto bene, parlavamo dell’occhio nero di Ryan. Lui dice
che ha preso un’anta in camera, ma a noi la cosa puzza.”
Eddie
annuiva. “Esatto, sappiamo bene cosa produce un pugno su un occhio, ed è molto
simile a quello che ha Aylesworth!”. Rise.
“Ma
davvero?” cercavo di essere interessata. Ripensavo alla reazione di Lissa
appena raccontato il fatto di ieri. Si era infuriata davvero, come non avevo
mai visto, quando le avevo riferito la cattiveria detta a Christian, ma ciò che
mi stupì, fu che mi rimproverò per avere alzato le mani su Ryan. Mi disse che
non sempre la violenza era la soluzione. Sempre troppo buona, ma ciò mi ricordò
Nikolai e di conseguenza lui, Dimitri. Alzai lo sguardo e lo trovai a fissarmi.
Imbarazzata mi voltai dall’altra parte, e vidi Ryan entrare in palestra.
Mason
mi colpì il fianco con una gomitata, dicendomi di prestare attenzione, per
confermagli la loro teoria.
Ryan
ci passò davanti e un lampo di rabbia gli passò negli occhi, quando il suo
sguardo incontrò il mio , poi proseguì come nulla fosse.
Mason
ed Eddie non se ne accorsero e ripreso il loro discorso sul fantomatico pugno,
dopo avermi chiesto conferma.
Christian
aveva ragione, dovevo guardarmi le spalle.
La
lezione iniziò quando arrivò Hanson. Quel giorno ci saremmo esercitati con il
paletto. Quello che ci diedero era finto, ma comunque molto simile
all’originale. Iniziarono l’allenamento con una serie di affondi e tattiche a
vuoto. Per me era tutto nuovo e faticai a mantenere il loro ritmo, poiché non
conoscevo i loro schemi di esercizi. La cosa mi irritò all’inverosimile. Sentirmi
così ignorante mi infuriava. I miei movimenti erano tutti insicuri e deboli.
Mancavano
15 minuti al termine delle lezioni e Hanson, un po’ più informa dell’ultima
volta che lo avevo visto, fece una cosa che mi aveva già portato a metterlo
nella mia lista nera, quando ancora insegnava alla St. Thomas.
“Bene,
ora uno alla volta da solo ripeterà l’esercizio. Chi vuole iniziare?”.
Solo
che alla St.Thomas era ripetere il concetto della sua spiegazione teorica a
voce.
Di
solito, se ero di buon umore, non mi tiravo mai indietro quando c’era qualcosa
di pratico da fare, ma sentirmi così impreparata era davvero frustante.
“Perché
non la Hathaway, che è tanto sapientina!”.
Non
ci volle tanto a capire che era stato Ryan a parlare. Alcuni risero alla sua
battuta, soprattutto quelli vicino a me, che mi avevano visto alquanto
impacciata tutta la lezione.
Stronzo.
“Perché
non lei, signor Aylesworth.”
Non
aveva parlato per tutta l’ora, e lo stava facendo ora, perché?
Dimitri,
con la sua voce possente aveva riportato la sala in silenzio, e Ryan con la
bocca tirata si portò al centro ed eseguì l’esercizio.
Quando
tornò al suo posto, mi guardò beffardo.
Guardai
attenta l’esercizio svolgersi più volte dai miei compagni, fino a quando fu
chiamato il mio nome.
Sudavo
per l’agitazione, ma avevo imparato l’esercizio ormai a forza di guardarlo
fare.
Lo
feci e per fortuna non andò così male, a parte un passaggio che saltai. Hanson
mi riprese subito, com’era solito fare all’epoca, e la cosa ovviamente mi
irritò, ma mi morsi la lingua fino a farla sanguinare, pur di non rispondergli
malamente.
Stavo
per uscire dalla palestra, quando notai che nell’angolo che svoltava c’era la
figura di Dimitri, appoggiata di schiena.
Non
volevo incontrarlo, non volevo parlarci, mi sentivo una codarda ed ero così
altamente incazzata da prima, che non avevo nessunissima voglia di affrontarlo
ora. Così l’unica cosa che mi rimase fu partire di corsa, facendomi passare per
una in ritardo. Gli sfrecciai davanti così veloce, che non seppi mai se il mio
piano era funzionato o semplicemente, se lui non era li per me e non mi avrebbe
fermato comunque.
In
mensa, dopo che io e Lissa prendemmo il pranzo, decidemmo di sederci con
Christian, che stava nel tavolo più isolato della mensa, da solo.
“Wow,
wow… che state facendo?” ci disse in panico, non appena giungemmo al suo
tavolo. Ci sedemmo come nulla fosse.
“Pranziamo”
dissi beffarda.
“Ok”
fece per alzarsi, allora gli tirai un calcio da sotto al tavolo.
“Ahi,
ma sei pazza?” mi disse guardandomi.
“Ehi,
come sai che non è stata Lissa?” la quale mi guardava curiosa, mentre Christian
mi guardava come per dire: stai
scherzando vero?.
“Siete
davvero testarde” disse oltraggiato. “Questa cosa non porterà altro che guai.”
Che
stress.
“Sei
davvero petulante, Ozera. Tanto, anche se stiamo ognuno per conto nostro in
mezzo ai casini ci finiamo lo stesso, io per lo meno di sicuro. Quindi, perché
non fare un fronte unito?”.
Mi
guardava ad occhi spalancati, ma non avrei saputo dirne il perché.
“Senti…”
iniziò a parlare, ma Lissa lo interruppe.
“Christian,
perché non possiamo essere amici?” traballò un po’ sulla parola amici.
Lui,
come sempre, si addolcì. Era quasi divertente la cosa.
“Non
mi lascerete in pace fino a quando non cedrò, vero?” disse sconfitto, poi
guardò verso di me. “Hathaway questo è colpa tua, porti la gente sulla cattiva
strada.”
Lissa
si alzò di colpo.
“Rose,
non ha colpe. Perché non capisci?”.
Lissa
aveva gli occhi lucidi, mi si strinse il cuore, poi prese e se ne andò.
“Lissa”
chiamai, ma non si fermò.
Guardai
Christian, che sembrava provare le mie stesse emozioni. Volevo correre da lei,
ma la questione doveva finire.
“Corri
da lei.” Gli dissi a bassa voce.
“Cosa?”
disse lui risentito. “E’ colpa tua tutto questo, lo sai.”
Lo
inchiodai con il mio sguardo.
“Non
sono io a parlare di nascosto con Lissa, e poi fingere che non esista un
secondo dopo.” Lo vidi subire il colpo.
“Ora,
se non vai da lei, ti prendo a pugni!”.
Lui
mi guardò sbeffeggiandomi.
“Com’è
che devi sempre arrivare alla violenza?”.
Pure
lui mi fa la morale? No, eh!
“Senti…”
inziai, ma mi bloccò.
“Non
darmi ordini Hathaway!” e se ne andò.
Sperai
davvero che andasse da lei.
Alzai
lo sguardo e vidi che tutti mi guardavano, che noia. Ormai mi era passata la
fame, per cui, mi alzai anche io e buttai tutto nei cestini.
Per
uscire passai davanti al tavolo dei reali, dove una plateale Camille Conta mi
indicava e rideva assieme a Jesse. Le mani mi tremavano e stavo per perdere il
controllo così mi lanciai fuori e corsi al mio paradiso zen.
Come
annusai e accarezzai le rose nere, una calma mi invase. Erano davvero una
benedizione, dovevo ringraziare la Karp per coltivarle. Mi ricordai le sue
parole su Lissa e provai una tensione che passò per il corpo come una scarica e
poi scomparì. Dovevo parlarne con Lissa, capire che legame c’era tra loro due.
Che
cavoli, neanche alla St. Thomas avevo tutti questi casini, possibile che fossi
davvero io ad essere così sbagliata? Forse mi impicciavo troppo o forse la
malasorte mi riportava sempre nel posto sbagliato al momento sbagliato. O forse
no.
“Chernaya
Roza”
Sobbalzai alla sua voce.
Ero seduta di fronte alle rose, con le
ginocchia al petto. Non volli girarmi e lui rimase li in piedi per un bel po’,
poi mi sorprese e si sedette vicino a me.
“Vuol dire rosa nera. Non avevo mai notato
questo cespuglio.” La sua voce era calda e tranquilla, quella che usava con me.
“Le ha coltivate Sonia Karp”.
Con la coda dell’occhio vidi che si era
sorpreso.
“Come lo sai?”.
“Ero seduta qui un giorno, e lei è
comparsa dal nulla, e me lo ha detto. È davvero strana, lo sai?”
Tutti i miei buoni propositi andarono in
frantumi e lo guardai. I suoi occhi erano così profondi che mi ci potevo perdere
dentro e annegarci felicemente.
“Non è strana.” Mi disse in rimprovero.
“E allora cos’è?” sembrava una domanda
semplice, ma la sua espressione di chi la sa lunga, mi fece capire che dovevo
davvero indagare su di lei con Lissa.
Ok, lo ammetto, la maggior parte delle
volte ero io ad impicciarmi delle cose.
“Vede il mondo in modo diverso da noi.
Rose, spostiamoci da qui, dobbiamo parlare.”
Perché dovevamo spostarci?
“Possiamo anche farlo qui.”
Lui sbuffò con una luce strana negli
occhi.
“La pausa pranzo sta finendo,
incamminiamoci verso l’accademia.”
Questa volta fu il mio turno di sbuffare,
non era molto convincente.
“Ok”. Mi alzai e lui fu presto al mio
fianco, ma quasi attento a non sfiorarmi.
Io non parlavo era lui che doveva farlo,
ma a quanto pare non iniziava e la calma apparente di prima iniziò a
trasformarsi in un miscuglio di emozioni soffocanti.
Non mancava molto al limitare del bosco,
così mi fermai di botto e lo affrontai un po’ acida.
“Allora?”
I suoi occhi erano un delirio di
emozioni.
“Mi stai evitando. Palesemente, oserei aggiungere”.
“Si”.
Gli dissi così sinceramente, che mi
lasciò interdetta e così lui.
Sembrava frustrato.
“Tu non capisci…”
Ora mi infuriai.
“Come faccio se tu non ti spieghi!”
Si irrigidì.
“Non posso farti da mentore!”.
Che nervoso.
“Perché?” urlai. Non potevo e non dovevo
comportarmi così, lo sapevo, ma ero stanca e poi con lui non riuscivo a non essere
dannatamente me stessa.
Sembrava incerto, lo vedevo combattere
una battaglia interiore, possibile che provasse quello che provavo io? Se fosse
stato così, avrebbe potuto spiegare i suoi comportamenti.
“Io non sono Nikolai” disse infine e mi
lasciò davvero scioccata. Tutto avrebbe potuto dirmi, ma mai avrei pensato una
cosa del genere.
“Mai pensato tu lo fossi!” dissi dopo un
tempo che parve infinito. Si, me lo ricordava, ma di certo non ho mai pensato a
lui come suo sostituto e forse sarebbe stato meglio.
L’aria autunnale si faceva ormai sempre
più fredda col passare del tempo, e in quel momento sembrava gelare qualsiasi
cosa. Qualsiasi emozione. I miei capelli mi circondarono il viso e lui, in
quell’istante, mi guardò come non aveva mai fatto, come se mi vedesse per la
prima volta.
“D’accordo” disse dopo un po’. Io dal
canto mio mi sorpresi. Non capivo cosa gli avesse fatto cambiare idea e non
capivo cosa centrasse Nikolai. Avevo il cuore che batteva forte e mille domande
da porre, ma avevo paura che avrebbe cambiato idea, così mi limitai a
sorridere. Di sicuro lui non provava quello che provavo io. Forse era così
tanto legato a Nikolai, che la sua morte lo aveva molto segnato e magari io che
lo avevo conosciuto potevo ricordarglielo di più. Poteva essere. Solo allora mi
accorsi che lui lo aveva chiamato Nikolai. Niente ‘guardiano Lazar’ o qualche
forma rispettosa. Forse stava arrivando a qualche suo limite, ma qualsiasi esso
fosse, non lo aveva oltrepassato. Lo guardai negli occhi e vidi il tumulto di
prima cessare. Sciolse la sua posa rigida, e mi regalò un sorriso fugace che
non mi aveva mai rivolto. Durò poco ma mi infiammò dentro.
L’atmosfera parve rasserenarsi.
“Inizieremo lunedì. prima e dopo le
lezioni. Te ne pentirai!” ghignò malefico.
Credeva di intimorirmi?
“Non mi spaventi, compagno!”
E così gli tirai un pugno sulla spalla,
che ovviamente, non lo colpì mai.
Imprecai e lui si fece serio
all’improvviso.
“Hai fatto tu quell’occhio al tuo
compagno?”
Guardai da un’altra parte avvampando.
“Non so di cosa stai parlando.”
Lui mi guardava severo.
“Ti ha fulminato con lo sguardo tutta la
lezione.”
Avrei voluto chiedere come potesse
esserne certo, ma non volevo supporre altro, mi sentivo così in confusione.
Perché ha accettato solo dopo che gli ho
detto che non pensavo che lui fosse Nikolai, perché questi sbalzi d’umore?
Riusciva a farmi esplodere la testa.
“Potrebbe essere successo qualcosa…”
“Rose…” iniziò lui, ma io lo bloccai
parlando a mia volta. “Si, lo so, la violenza non risolve nulla!” Non serviva che
ci si mettesse pure lui.
Lui mi trafisse con lo sguardo.
“Sul serio, Rose, devi controllarti. Non
puoi rischiare di macchiare il tuo curriculum con risse tra dhampir, oppure con
i moroi. Ti porterà danno quando uscirai di qui.”
Aveva ragione, lo sapevo, me lo ripeteva
spesso Nikolai.
“Non fanno altro che provocarmi, che
dovrei fare? Tu non hai idea…”.
Ero stanca, davvero, di dovermi sempre
ritrovare in mezzo alle cattiverie degli altri. Sapevo combattere, e questa era
la mia arma per difendermi da tutto.
“Dimentichi che sono stato un novizio
anche io.”
Lo guardai sorpresa. Cercai di
immaginarmi Dimitri all’accademia come studente, bello e impossibile, e
soprattutto, come mi ricordava spesso Nikolai, attaccabrighe. Ghignai.
“Hai menato tanto anche tu, ah?”
Mi fulminò con lo sguardo e io sorrisi.
Mi faceva sorridere il modo in cui si arrabbiava.
“Ok, dai.” Dissi con un tono davvero
troppo dolce per i miei gusti. Non credevo nemmeno di possederlo. “Come hai
fatto a cambiare? A diventare quello che sei ora. Tutti ti portano rispetto.”
Dissi seria l’ultima frase.
Mi guardò con uno sguardo vivo.
“Lo farai Rose, quando capirai chi è il
vero nemico contro cui combattere!”.
“Ma io lo so chi…” “No!”. Scosse lui la
testa.
“Saperlo è un conto, capirlo è un altro.
Lo devi capire qui.” E si indicò il cuore.
Io lo guardavo rapita e ammaliata.
Lui mi guardava immerso nei suoi
pensieri, che avrei voluto saper leggere.
“La pausa è finita, torna in classe”!
Quelle parole un po’ più rigide ruppero
quell’alone di confidenza che ci avvolgeva.
Torna in classe, voleva sottolineare quasi la differenza tra noi, a me almeno, parve capire questo. Non capivo quando avevo iniziato a guardarlo in maniera diversa, o forse l’avevo sempre visto così, fin dalla prima volta che il suo sguardo aveva incrociato il mio in quella cappella mezza distrutta. Ciò nonostante, il problema stava nel fatto che io non avrei dovuto provare quel batticuore che spesso avevo in sua presenza, ed era meglio se me lo facevo passare in fretta, prima di finire inghiottita in uno sconforto più grande di me.
Eccoci qua!
Mi ha divertito questo capitolo, e soprattutto questa mia Rose.
Che sia riuscito Christian a buttare giu i suoi muri e correre da Lissa?
E del nostro bel misterioso Dimitri, che cosa ne pensate?
hihhi io lo adoro <3
Alla prossima mie care lettrici.
Baci