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Autore: Luna95    20/05/2015    3 recensioni
[Cherik] [Soulmate AU]
Tornando a casa, Erik si chiese chi fosse il mutante che gli aveva impedito di uccidere quei due delinquenti - quell'uomo dagli occhi gentili e limpidi. Aveva riconosciuto la sua voce: era la stessa che aveva udito così tante volte nella sua mente. La stessa che l'aveva salvato tante volte.
Un dubbio fremeva e cresceva in lui: voleva conoscerlo? Per tanto tempo, si era convinto del contrario - era certo di non aver bisogno di un'anima gemella. Forse...
**
«Mi dispiace. So di non meritarti, ma…»
«Ti amo ancora»
«No…»
«Ti amo ancora, Erik. Andrò fin nella tomba amandoti»

**
«Hank, l'ho trovato. L'ho trovato!»
«Trovato cosa?»
Charles tirò su la manica della maglia per mostrare il tatuaggio, ed Hank sorrise, genuinamente felice.
«Chi è? Come l'hai incontrato?»
«Al negozio. E' una lunga storia» disse Charles, sorridendo «Ma credo… credo abbia una figlia, Hank. Secondo te vorrà essere trovato? Potrebbe avere una moglie»
«Suppongo ci sia un solo modo per scoprirlo, Charles: dovrai usare Cerebro»
Charles annuì - voleva trovarlo. Doveva trovarlo, anche solo per subire un rifiuto.
Lo aspettava da così tanto tempo…
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Altri, Charles Xavier/Professor X, Erik Lehnsherr/Magneto, Pietro Maximoff/Quicksilver
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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"Calma la tua mente."
"Lasciali andare!"
"Ti amo ancora…"

Erik si svegliò con una sgradevole sensazione di freddo, un ricordo ancora confuso: erano settimane che nella sua mente si delineava, ben chiara, la mancanza di qualcosa - qualcuno? - che aveva tuttavia i contorni sfumati e indefiniti di un sogno.
Sognava spesso quella voce nella sua mente; certe volte gli capitava di sentirla anche da sveglio, come una coscienza silente, e gli sembrava di impazzire.

Aveva sentito di questi sogni, una sorta di risonanza che alcune coppie di anime gemelle sentivano e che li collegava l'uno all'altro - in genere si presentavano nelle anime che non riuscivano a trovarsi, le anime sole.

Erik non si sentiva una "anima sola" - aveva tre figli di cui occuparsi, una nipote splendida, e un lavoro che amava e che gli dava soddisfazioni e preoccupazioni in giusta misura.
Non aveva bisogno della sua anima gemella.
Non aveva tempo di cercarla.

«Papà, stai bene? Ti ho sentito urlare»
La voce di suo figlio Pietro lo riscosse dal sonno.
Il ragazzo bussava vivacemente alla sua porta - un po' troppo vivacemente, data l'ora tutt'altro che tarda: erano appena le sei della mattina, secondo la sveglia che Erik teneva sul comodino. Fuori dalla finestra iniziava ad albeggiare.
Perché Pietro doveva avere un ritmo biologico così assurdo? Certe volte Erik si preoccupava per quanto poco dormisse il figlio - una manciata di ore per lui erano più che sufficienti. Si chiese se c'entrasse qualcosa la sua mutazione.

«Posso entrare?»

 Erik si strofinò il viso con le mani e spalancò la porta con un movimento pigro della mano, permettendo al figlio di entrare: Pietro era vestito e aveva in mano due tazze di caffè.
Erik sapeva già che se ne sarebbe pentito molto presto.
«Allora, vecchio, come ti senti? Mi hai fatto prendere un colpo»
«Va tutto bene, Pietro. Perché tu non stai dormendo, piuttosto?»
«In genere mi sveglio a quest'ora. Luna ha completamente sconvolto il nostro ritmo biologico, sai»

Erik annuì, ancora un poco confuso per il sonno - Luna era la figlia di Pietro e della sua anima gemella, Crystal, ed era la gioia e l'orgoglio di tutta la famiglia: la coppia aveva portato la bimba a trascorrere un po' di tempo con il nonno e le zie nella casa di famiglia. Erik non poteva esserne più grato.

«Spero di non aver svegliato anche tua moglie e la bambina»
«No, no, ho chiuso la porta mentre uscivo e le ho controllate prima che tu mi aprissi: dormono ancora» disse Pietro, e gli allungò una tazza di caffè facendogli l'occhiolino - Erik, come al solito, non sapeva come rispondere alle stranezze del figlio, ma accettò volentieri il caffè.

«Allora… hai avuto un incubo? Stanno diventando sempre più frequenti, mi preoccupano. Dovresti fare qualcosa»
«Sto bene, Pietro»
«Se così non fosse, non c'è niente di male nell'aver bisogno di un po' di aiuto, lo sai, vero?»

Erik sospirò; «Sì, ma io non ne ho bisogno. Come mai sei già vestito?»
«Lorna mi ha chiesto di passare in lavanderia a ritirare il suo cappotto rosso, dato che oggi starà via fino a sera. E dopo volevo passare a trovare Wanda: credo potrebbe farle bene un po' di compagnia»

Entrambi si scurirono in volto - gli occhi di Pietro erano bui come il cielo prima di una tempesta.

«Wanda… è peggiorata, vero?» la voce di suo figlio si fece sottile, fioca, e a Erik si strinse lo stomaco. Sapeva quanto Pietro fosse legato alla sorella gemella.
«Temo di sì, Pietro. La sua ricaduta mi ha molto preoccupato, e da quel momento in poi non ha fatto che peggiorare velocemente»
«Cosa posso fare?» ora Pietro sembrava quasi disperato, ansioso di aggiustare la situazione, aggiustare Wanda, fare qualcosa.
Suo figlio era sempre stato impaziente, pensò Erik con l'accenno di un sorriso intorno agli occhi. Anche da bambino lo era.
«Vorrei saperlo, figliolo. La situazione è molto delicata».

Wanda aveva perduto la sua anima gemella un anno e mezzo dopo averla incontrata - una tragedia simile aveva incrinato irrimediabilmente la psiche già fragile di sua figlia, che nello stesso periodo della morte del suo compagno aveva dovuto anche lottare contro i suoi poteri, ormai del tutto fuori controllo, e un corpo sterile.

Erik voleva aiutarla, voleva davvero poter fare qualcosa, qualunque cosa - condividere il suo dolore per sollevarla un po' da quel peso, o farle dimenticare tutto, anche a costo di perderla.
Non poteva sopportare di vedere sua figlia sommersa da un tale dolore.

Calma la tua mente, Erik.

La voce che cullò i suoi pensieri fino a un'apparenza di serenità non era la sua - talvolta emergeva dal profondo della sua coscienza, talvolta gli pareva quasi di sentirla. E aveva più effetto su di lui di quanto non volesse ammettere.

No, Erik decisamente non aveva tempo per cercare la sua anima gemella.

 

**

 

Charles passò le dita distrattamente sul tatuaggio che era ormai comparso da qualche tempo sul suo avambraccio, chiedendosi, come ogni mattina, dove fosse la sua anima gemella, cosa avesse sognato - e soprattutto, chi fosse. Avrebbe voluto incontrarla più di ogni altra cosa al mondo, avrebbe voluto sentirla, toccarne la mente.

Sospirò e srotolò la manica della camicia per coprire la breve frase tatuata - "Credevo di essere solo" - ma non riusciva a non pensarci: sapeva che sarebbero state le prime parole che la sua anima gemella gli avrebbe rivolto. Sperava di riuscire ad aiutarlo, in qualche modo.

«Charles, ti spiacerebbe venire un momento?»
Hank sembrava esasperato - chissà che cosa avevano combinato i ragazzini a cui stava cercando di insegnare Storia. Probabilmente Tempesta aveva fulminato di nuovo le tende. Strano, non aveva sentito l'allarme antincendio.
«Arrivo, Hank»

 

**

 

«Erik, buongiorno» cinguettò Crystal, mentre manipolava l'acqua nel bollitore affinché si scaldasse velocemente - avere una nuora che poteva controllare i quattro elementi era una comodità non indifferente.
«Buongiorno» replicò Erik con tono neutrale. Erano passati un paio d'anni dal matrimonio di Crystal e Pietro, ma ancora non era riuscito a farsi un'opinione della ragazza.
E le continue pressioni che la coppia gli faceva affinché anche lui trovasse la sua anima gemella di certo non alimentavano il suo entusiasmo nelle conversazioni con il figlio o la nuora - "Almeno hai il tatuaggio, no? Non sei come quei poverini destinati alla solitudine, dovresti cercarla, sai?" gli dicevano sempre, e lui ogni volta si mordeva la lingua per non rispondere che no, non gli serviva un'anima gemella, ne faceva volentieri a meno, che avrebbe fatto volentieri a meno anche del tatuaggio, che un partner fisso sarebbe stato un peso e voleva essere libero di innamorarsi di chi voleva - se poi voleva.

«No-no! No-no!» esclamò Luna dal suo seggiolino, sbattendo la tazza di plastica contro il tavolo e agitando le braccia con entusiasmo.
Erik si lasciò sfuggire un sorriso e le baciò la testa. Luna rise.
«Oh, Erik, posso chiederti un favore? Perdona il poco preavviso» disse Crystal, mentre trasferiva il servizio da tè su un vassoio d'acciaio.
Erik fece levitare il vassoio fino al tavolo e annuì con la tesa, facendole segno di continuare.
«Vedi, un mio caro amico - Johnny, lo conosci? - ha deciso di passare qualche giorno in città, e dato che non lo vedo da molto tempo, avrei piacere di andarlo a trovare… posso chiederti di tenere Luna, oggi? Se non hai altri impegni, sarebbe un grande aiuto. Pietro aveva intenzione di trascorrere la giornata con Wanda, e non vorrei essergli di disturbo»
«Ma certo, sai che per me è sempre un piacere badare a Luna» replicò semplicemente Erik «E avevo solo in programma qualche commissione in città, ma posso portare anche lei. Devo solo passare a comprare qualcosa per sistemare la veranda»

Crystal batté le mani, felice.
«Perfetto! Non so proprio come ringraziarti»
«Non farlo. Sai che adoro Luna»
La bambina si sentì chiamata in causa e li deliziò con un risolino leggero, tendendo le mani verso Erik.
Erik la prese in braccio senza sforzo, pulendole il viso dal budino alla vaniglia - da quando le permettevano di mangiare da sola, Luna tendeva a mandare il cibo ovunque tranne che in bocca.
«Be', passerai una giornata splendida con il nonno, tesoro!» disse Crystal, mentre si chinava sulla figlia per darle un ultimo bacio sulla guancia «Grazie ancora, Erik! Non esitare a chiamarmi se hai bisogno, okay?»
Erik annuì, impassibile, spostando Luna sul fianco destro - era decisamente troppo giovane per sentirsi chiamare "nonno". Non aveva neanche quarant'anni.

Mentre Crystal usciva, Luna si aggrappò alla maglietta di Erik, scoprendo il tatuaggio sulla sua clavicola - tre semplici parole che riuscivano sempre a toccare qualcosa nella sua coscienza, una sensazione sopita, un qualcosa per cui non aveva neanche un nome.
"Non sei solo".

No, aveva ha tempo di trovare la sua anima gemella.
Eppure questo non sembrava impedire alla sua anima gemella di amarlo già.

 

**

 

«Sai, Charles, credo proprio che dovremmo sostituire le vetrate con qualcosa di più… resistente?»
Charles sospirò - Hank non aveva tutti i torti. Avrebbe trovato un materiale più resistente - anche se credeva che nemmeno il vetro antiproiettile sarebbe riuscito a sopravvivere a lungo ai suoi studenti.
«Oggi girerò qualche negozio per vedere cosa posso trovare, Hank. Tu cerca di sistemarla come puoi».

 

**

 

Pietro si sentì invecchiare di dieci anni quando entrò nel cottage della sorella gemella - suo padre aveva costruito apposta per lei una casetta tra i boschi vicina alla loro seconda casa, così da tenere Wanda vicina senza obbligarla ad abitare con lui.
Era una casetta graziosa, fatta di legno levigato e circondata dal verde e dai fiori, ma all'interno pareva esservi passato un uragano: vestiti e coperte erano buttati casualmente sulle sedie e sui pavimenti, le stoviglie erano ancora nel mobile, intatte, come i fornelli e il frigorifero - senza Erik a spronarla, Wanda non sembrava trovare un motivo sufficiente per mangiare - mentre lei stava rannicchiata sul divano con indosso un pigiama leggero e una coperta ricamata, i capelli scompigliati e gli occhi rossi per il poco sonno.

«Wanda» la chiamò lui, posandole gentilmente entrambe le mani sulle sue guance.
Era peggiorata. Non sembrava neanche essere lì - forse era persa in una qualche fantasia, in qualche mondo virtuale, e lui non poteva riportarla indietro.
«Pietro» sospirò lei; il tono della sua voce pareva contento, ma gli occhi erano vacui e assenti.
«Wanda, qui dentro regna il caos più totale - perché non torni a vivere con noi? Erik ha mantenuto la tua stanza esattamente come l'avevi lasciata»

Wanda sorrise senza un briciolo di allegria.
«Ben venga il Caos» gli rispose, guardandolo dritto negli occhi «perché l'ordine non ha funzionato».

 

**

 

Si incontrarono per caso: ci fu uno scambio di sguardi, e un piccolo brivido attraversò la schiena di Charles quando la mente dello sconosciuto sfiorò la sua.
Poi la bambina bionda che teneva nel carrello - sua figlia? - cominciò a piagnucolare, e l'uomo le dedicò immediatamente la sua completa attenzione.

Charles cercò di scuotersi di dosso quella sensazione, ma era difficile - qualcosa negli occhi dell'uomo l'aveva colpito, ma non saprebbe dire che cosa. Eppure gli sembrava giusto, in qualche modo.

Ma aveva una figlia. Poteva essere…?

Non ebbe tempo di avvicinarlo e parlargli: l'uomo sparì dietro le scaffalature colme di articoli per il giardinaggio.

Si rassegnò - probabilmente non l'avrebbe più rivisto - e si avviò verso la sezione dedicata alle vetrate, chiedendo anche l'aiuto di un commesso, che assunse un'aria vagamente perplessa dopo aver sentito la sua richiesta; Charles fece capolino solo per un momento nella sua mente per accertarsi che, in effetti, il povero ragazzo non aveva idea di che cosa proporgli.
Sospirò e ringraziò il commesso ancora confuso: avrebbe fatto da sé.
Voltandosi, notò l'uomo di prima con la bambina che scrutava attentamente un catalogo di istruzioni per montare una veranda e intanto sceglieva un attrezzo e delle tavole di legno dagli scaffali.

Gli eventi che ne seguirono furono confusi e Charles non li avrebbe ricordati con molta precisione; non sapeva bene come fosse successo, ma nel grande negozio erano entrati due uomini armati, con volti coperti da maschere, che sparavano alla folla di clienti terrorizzati e minacciavano le cassiere con dei fucili.

Vide l'uomo riparare con il proprio corpo la bambina, che era scoppiata in un pianto disperato, mentre con un gesto della mano manipolava alcune sbarre d'acciaio affinché si stringessero attorno alle caviglie a alla gola degli uomini armati; privò i fucili di ogni utilità e attirò le pistole nascoste nelle loro giacche verso di lui, piegandone la canna così da renderle inutilizzabili.

Era un mutante, concluse Charles con attonito stupore. A quanto aveva capito, riusciva a manipolare i metalli e i campi magnetici.

I clienti, vista la piega presa dagli eventi, non avevano esitato a chiamare la polizia, ma l'uomo non intendeva mollare la presa sui due criminali - anzi, l'acciaio sembrava stringere sempre di più intorno alle loro gole, e i loro volti iniziavano già a diventare paonazzi per la mancanza d'aria.
Fu allora che Charles comprese che era necessario un suo intervento, e in fretta.

Intervenne con una prontezza che stupì anche lui: entrò con facilità nella mente dell'uomo - del mutante - e gli disse con voce ferma: "Lasciali andare!"
L'uomo sobbalzò e parve sorpreso - si girò, confuso, cercando di capire da dove provenisse la voce.
Ma era ancora turbato e arrabbiato, tremendamente arrabbiato - c'era così tanta rabbia in lui che Charles si stupì che ci fosse ancora spazio per qualcos'altro.

"Calma la tua mente"

Gli occhi dell'uomo si allargarono con stupore e meraviglia e paura, e una serie di emozioni sconnesse attraversarono il suo viso - ma i tentativi di Charles stavano avendo l'effetto sperato, perché la morsa d'acciaio intorno agli uomini parve allentarsi sensibilmente.

Charles riuscì a farsi strada tra la folla e ad afferrare l'uomo prima che cadesse - la marea di rabbia e odio  nella sua mente minacciavano di affogarlo, e Charles voleva solo dargli qualcosa a cui aggrapparsi, qualcosa con cui salvarsi.
«Credevo di essere solo» gli disse, mentre nella sua voce crescevano la meraviglia e il sollievo. Poteva significare un milione di cose, ma entrambi conoscevano già la risposta.
«Non sei solo» si sentì dire Charles, e pareva come catturato da un incantesimo.


Il tatuaggio! pensò, e sentì accavallarsi nel suo petto sorpresa, gioia, conforto - l'aveva trovato, finalmente l'aveva trovato quando si era ormai rassegnato alla solitudine.
Aveva trovato la sua anima gemella.

Dopo arrivò la polizia, e gli eventi sfumarono di nuovo in una massa informe: ricordava solo di aver lasciato andare l'uomo, che sembrava ancora intontito e un poco instabile sui piedi, e poi più nulla.

Nella confusione della sua testa, Charles non faceva che domandarsi come sarebbe stato conoscere davvero l'uomo - la sua anima gemella, e ancora non riusciva a crederci.
Chi era la bambina?
Molte persone ignoravano semplicemente il tatuaggio che li avrebbe portati alla loro anima gemella, l'amore della loro vita, e sceglievano altri compagni, avevano figli prima di incontrare coloro a cui erano destinati: era forse il suo caso?

Fu quasi sorpreso nello scoprire che non gli importava.
Voleva lui.
A qualunque costo.

 

**

 

«Ehi, papà, cosa è successo? Stai bene?»
Erik sospirò: sapeva che in genere tre chiamate perse da parte di sua figlia Lorna equivalevano a una Lorna quasi isterica. E a una squadra di ricerca composta esclusivamente da Pietro, che avrebbe setacciato ogni millimetro nel raggio di una decina di Stati per trovarlo.
«Sì, c'è stato un incidente al negozio. Io e Luna stiamo bene, non preoccuparti»
«Sicuro? Sembri strano»
«Davvero, va tutto bene, Lorna. Volevi dirmi qualcosa?»
«Pietro mi ha mandato un messaggio. Credo riguardi Wanda… potresti tornare a casa? Io sono bloccata qui ancora per due o tre ore minimo»
«Ma certo, sto entrando ora in macchina. Rassicura Pietro: sarò lì tra una ventina di minuti»
«Va bene. Spero non sia nulla di preoccupante»
Ma la preoccupazione era tangibile nelle parole di Lorna come in quelle di Erik, e non riuscivano davvero ad evitare di essere preoccupati per Wanda: il suo terapista li aveva messi in guardia da tempo sull'instabilità della ragazza.

Tornando a casa, Erik si chiese chi fosse il mutante che gli aveva impedito di uccidere quei due delinquenti - quell'uomo dagli occhi gentili e limpidi. Aveva riconosciuto la sua voce: era la stessa che aveva udito così tante volte nella sua mente. La stessa che l'aveva salvato tante volte.

Un dubbio fremeva e cresceva in lui: voleva conoscerlo?
No, non poteva, non poteva sottoporre una persona al casino che era diventata la sua vita.
Lorna era una ragazza allegra, come tutte le ragazze della sua età, ma da quando la sorella maggiore era caduta in un perenne stato di depressione che l'aveva quasi portata alla follia, s'era fatta più cupa, sempre preoccupata e ansiosa - Erik odiava vedere Lorna in quello stato.
Fu così felice quando Lorna incontrò Alex, il suo ragazzo, con cui aveva avuto e tuttora aveva una relazione duratura: nonostante non fosse la sua anima gemella, l'influenza rassicurante del ragazzo sembrava placare la sua ansia.

Non poteva costringere un'altra persona a rassicurare Pietro mentre la sua gemella piangeva, ad ascoltare Wanda biasimare la propria codardia perché non riusciva a togliersi la vita nonostante non valesse la pena vivere, nonostante fosse tutto grigio e spento e privo di significato - riusciva a malapena a sopportarlo lui, come poteva chiedere a qualcun altro di fare lo stesso?

Non poteva costringere un'altra persona a vegliare su Wanda, a curarla come un passerotto ferito nonostante le speranze per la sua guarigione fossero così poche - semplicemente non poteva.
Per Erik, costringere un'altra persona a sopportare tutto questo non poteva essere amore, anzi.
Sarebbe stato solo egoismo.

Calma la tua mente

Ma non poteva essere egoista, non mentre prendeva in braccio Luna e apriva la porta di casa per correre da sua figlia - la figlia per cui avrebbe sacrificato ogni cosa.
Pietro fu alla porta prima ancora che potesse girare completamente la maniglia, e gli aveva già tolto Luna dalle braccia mentre Erik stava ancora sfilando la chiave dalla serratura.

«Sono riuscito a convincerla, papà. Vieni, è in cucina» gli disse, fremendo per l'impazienza - un vizio di cui non era mai riuscito a liberarsi del tutto.
Erik si sentì alquanto sollevato - Wanda stava bene, Pietro non sembrava in allarme. Andava tutto bene.

«Ehi, Wanda, guarda chi c'è!» esclamò Pietro con spensieratezza un po' forzata, avvicinandosi alla gemella con la figlia in braccio; la bambina aggrottò le sopracciglia ma tese comunque le mani verso la zia, toccandole le guance e il collo, aspettandosi di essere presa in braccio.
Wanda si voltò verso il fratello e il suo viso s'illuminò quando vide Luna - ed eccolo, finalmente, pensò Erik, sollevato: lo spettro di un sorriso.
Wanda scostò velocemente i capelli castani dal viso e prese in braccio la nipote, distogliendo per un momento l'attenzione dalle lavagne appese sul muro della cucina - due lavagne che, ovviamente, Erik non aveva mai visto (ma il trovarsi in casa oggetti di origine sconosciuta non era davvero una novità con Wanda e Pietro, quindi non si sorprese più di tanto); erano bianche e sterili, simile a quelle appese nelle scuole, e  coperte di calcoli fitti e incomprensibili fatti con un pennarello nero.
La grafia era indubbiamente di Wanda - non che Erik fosse all'oscuro del talento di sua figlia per la matematica, ma si chiese lo scopo di tutti quei conti e quei diagrammi.
Probabilmente Wanda li usava per distrarsi.

«Ha funzionato» disse Wanda, contenta, guardando Erik negli occhi in un momento di bizzarra lucidità - non era una domanda. Erik si chiese che cosa avesse funzionato.
«Che cosa, Wanda?»
Wanda non rispose. Si sedette su una sedia e cominciò a giocare con Luna, lo sguardo perso in qualche ricordo di una realtà fasulla; Wanda voleva dei figli, nonostante il suo corpo non glielo consentisse, Erik lo sapeva.
Pietro iniziò a maneggiare con le posate sul tavolo - non riusciva a stare troppo fermo a lungo, doveva tenere le mani impegnate: per lui ogni secondo durava un'eternità.
Erik provò a non farsi distrarre troppo e a mantenere l'attenzione concentrata sulla figlia.

Ma non c'era molto che potesse fare - che lui e Pietro potessero rischiare - per alleviare il tormento di Wanda: lei si limitava a offrire giocattoli e piccoli sorrisi a Luna, mentre con un solo pensiero faceva dissolvere le due lavagne sul muro.

«Non preoccupatevi per me» disse ancora Wanda, ed Erik si chiese silenziosamente se sua figlia avesse sviluppato una qualche sorta di telepatia o se semplicemente fosse stanca di vedere le persone che amava rimpiangerla mentre ancora era in vita.
«Sono sempre le stesse cose, sapete»

Pietro gemette - nulla di ciò che diceva la sua gemella non aveva senso, e lui voleva solo aggiustare tutto.
«Che cosa vuol dire, Wanda?» le chiese, afflitto «Come posso aiutarti?»

Wanda scrollò le spalle e schioccò un bacio sulla testa di Luna, che fece un risolino contento e le afferrò i capelli.
«Il Caos sta per tornare di nuovo» replicò, enigmatica.
«Wanda…»
«Sarà come una tempesta, papà!» esclamò lei, con gli occhi colmi di meraviglia «Il Caos non è forse la più totale libertà?»
« Ma senza alcun significato, tesoro»
«Voi avete già trovato un significato.» e guardò di nuovo Erik con una scintilla di felicità negli occhi.
Ed Erik si chiese se Wanda sapesse.

 

**

 

«Hank, l'ho trovato. L'ho trovato
«Trovato cosa?»

Charles tirò su la manica della maglia per mostrare il tatuaggio, ed Hank sorrise, genuinamente felice.

«Chi è? Come l'hai incontrato?»
«Al negozio. E' una lunga storia» disse Charles, sorridendo «Ma credo… credo abbia una figlia, Hank. Secondo te vorrà essere trovato? Potrebbe avere una moglie»
«Suppongo ci sia un solo modo per scoprirlo, Charles: dovrai usare Cerebro»

Charles annuì - voleva trovarlo. Doveva trovarlo, anche solo per subire un rifiuto.
Lo aspettava da così tanto tempo…

 

**

 

«Credi pioverà?» l'uomo sembra pensoso mentre attorciglia il lenzuolo intorno alle dita, ed alterna occhiate preoccupate al cielo e al telefono.
«Non saprei. Ha importanza?» risponde Erik, ancora assonnato, districando le dita del compagno dalle lenzuola per intrecciarvi le sue.
«Wanda è sempre triste quando piove, e oggi volevo portarla a fare una passeggiata, prima di sentire la conferenza di Bruce. Credi verrà?»
«Se riesci a convincere anche Pietro, Wanda non potrà rifiutare»
L'uomo ride.
«Non ho speranze per Lorna, però»
«I gemelli bastano e avanzano, amico mio»

Erik si svegliò, colto di sorpresa dal suo stesso sogno; razionalmente, sapeva che le anime gemelle tendevano ad avere sogni complementari, o talvolta scorci della loro vita insieme, ma non voleva lasciare che la sua mente si adagiasse su un'illusione - non voleva diventare come Wanda. Quello che vedeva in lei lo terrorizzava.

Calma la tua mente

Non poteva permettersi di desiderare qualcosa, qualcuno di così bello - e non lo conosceva, non lo conosceva affatto, come poteva anche solo sperare che uno sconosciuto lo accettasse così com'era, senza vincoli e senza riserve?

No, non l'avrebbe accettato, decise Erik.
Quell'uomo non avrebbe mai potuto amarlo - non dopo averlo conosciuto, aver scoperto tutto ciò che aveva fatto…

Non sei solo, Erik

Forse c'era ancora speranza.

 

**

 

«Non ci credo» sussurrò Charles, uscendo da Cerebro «Non ci posso credere, Hank: era così vicino. A pochi minuti di macchina dall'Istituto. Per tutti questi anni…»
«Ora è la tua occasione, allora» sorrise Hank «Vuoi che ti accompagni?»
«No, posso guidare. Non vedo l'ora di incontrarlo di nuovo»

Hanks gli diede una pacca sulla spalla, resistendo alla tentazione di fargli una foto per mostrargli il suo sorriso ebete - era stato amore a prima vista, a quanto pare.

«Devo dirlo a Raven… devo chiamarla» disse poi Charles quasi fosse la cose più importante del mondo, spalancando gli occhi come se ne fosse ricordato in quel momento.
«Raven vorrà saperlo, è vero. Ti prenderà in giro fino alla fine dei tempi per averci messo così tanto»

Charles annuì, ma non importava. Non importava.

«Io vado, allora. Di' ai miei allievi che la lezione del pomeriggio sarà rimandata a domattina, ok?»
Hank rise «Smetti di perdere tempo e va', Charles! Io e Raven facciamo il tifo per te»

 

**

 

«Ho ucciso delle persone, è vero. Ho ucciso l'uomo che ha assassinato mia madre, ed ero solo un ragazzo»
«Lo so»
«Lo rifarei»
«Lo so»
«Ed è diventato più semplice, sai»
«Erik, quella parte della tua vita è finita. Non puoi ammazzare delle persone senza neanche offrire loro una possibilità!»
«Alcuni non meritano neanche una possibilità»
«Se non ti avessi fermato, quel giorno, nel negozio… avresti ucciso quei due uomini?»
«Sì»
«Non puoi, Erik. Non puoi più farlo - quel periodo della tua vita è passato, ormai. E non devi più rincorrere la tua folle vendetta. Non riesco neanche a pensarci - sei crudele, Erik. Crudele. Non puoi più fare questo ai ragazzi»
«Mi dispiace. So di non meritarti, ma…»
«Ti amo ancora»
«No…»
«Ti amo ancora, Erik. Andrò fin nella tomba amandoti»

**

 

Erik era in cucina con Luna e Wanda quando Charles bussò alla porta.
Non appena lo vide, rimase senza fiato - l'uomo dagli occhi azzurri e dalla voce gentile gli restituì invece uno sguardo di pura adorazione.

«Chi sei?»
«Mi chiamo Charles Xavier»

Rimasero a fissarsi per una manciata di secondi, meravigliati e disorientati al contempo - fu come se per entrambi tutta la gravità dell'universo si fosse spostata all'improvviso.

Intanto una vita intera parve scorrere sotto i loro occhi in un istante, con il fluire incalzante di un fiume in piena. Volevano entrambi quella vita.

Ed in quel momento entrambi sapevano che forse non avevano bisogno l'uno dell'altro, ma non importava: avrebbero imparato ad amarsi.

Avevano già iniziato.

________________

La mia meravigliosa parabatai merita una menzione speciale: è solo grazie a lei che questa one-shot è stata scritta, portata a termine pubblicata qui, quindi dedicarle queste poche pagine mi sembra davvero in minimo - come sempre, mia cara parabatai, questa storia è per te <3

Note finali

Salve a tutti <3 vi ringrazio per aver letto fin qui: vorrei precisare giusto due cose, perciò sarò breve.
"Ben venga il caos, perché l'ordine non ha funzionato", è un noto aforisma di Karl Krauss, e l'ho usata in riferimento ai poteri di Wanda, che lei stessa chiama "Magia del Caos" (e ovviamente, anche al suo turbamento emotivo).
Il prompt da me scelto era ovviamente "Soulmate AU", e in questo universo, s'individua la propria anima gemella con l'aiuto di un tatuaggio - esso rappresenta le prime parole che si udiranno dalla propria anima gemella (la telepatia di Charles non vale xD), e talvolta la connessione può emergere attraverso i sogni. Come dimostra il passato di Erik, è tuttavia possibile scegliere un partner diverso dalla propria anima gemella.
I personaggi di Erik e Charles da me utilizzati sono stati tratti dal film prequel "X-Men First Class", mentre Wanda, Pietro, Lorna, Crystal e Luna sono d'ispirazione dei vari fumetti a loro dedicati.
Quanto alla situazione di Wanda, ho voluto riallacciarmi alla follia e alla disperazione del suo personaggio in House of M e nei fumetti che lo precedono - soprattutto riguardo al non poter avere figli, che lei pure desidera. 
Il suo talento matetamatico, invece, è stato ispirato ai suoi poteri in Ultimate Avengers, dove per controllare la probabilità che qualcosa accadesse, doveva calcolarla matematicamente e poi manipolarla; questa oneshot è stata scritta molto prima dell'uscita di Avengers: Age of Ultron, pertanto i gemelli rappresentati nel film non hanno nulla a che fare con quelli che ho scelto di rappresentare in questa storia.

Vi ringrazio ancora per aver letto la mia one-shot! 

Love, 
Luna.

   
 
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