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Autore: WankyHastings    24/05/2015    7 recensioni
Meredith O'Brien è una studentessa comune un po' troppo nerd; è migliore amica della regina indiscussa del Liceo, Georgina Atwood. La sua vita sembra proseguire tranquilla per la sua strada verso il diploma, finché due occhi neri non metteranno in discussione i suoi gusti. Perché a quanto pare a Meredith piacciono le donne, a Meredith piace Juliette Wolls.
Come la prenderà sua maestà Georgina a questa rivelazione?
Una storia sulla scoperta di sé stessi mantenendo una buona dose di ironia.
Ispirata ad una storia vera.
Dal testo:
"Stamattina mi sentivo in vena di trovare tutto ciò che non andava nella mia vita, e cazzo, ne stavo trovando fin troppo. Forse avevo sbagliato tutto dall'inizio, forse stavo vivendo una vita che non mi piaceva, forse avevo fatto scelte impulsive che non sentivo mie, facevo la ragazza della porta accanto pur sentendomi un centauro tatuato. Prima o poi sarei implosa."
Genere: Angst, Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Yuri, Slash, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Scolastico
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Atwood Series : Finding True Love'
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Capitolo 14

Corsa contro il tempo

 

 

 

 

MEREDITH'S POV

 

 

 

Oggi sarebbe partita.

 

Lei si preparava e io ero rimasta a letto per un giorno intero, rifiutandomi di fare qualsiasi cosa e... pensavo, pensavo.

 

Pensavo a Georgina.

A noi.

Volevo correre da lei e fermarla.

 

Ma una forza sconosciuta mi teneva ferma su quel letto senza fare nulla.

Probabilmente Jo si stava vestendo in questo momento, oppure stava finendo di sistemare le ultime cose; ma io non stavo facendo niente per impedirglielo.

 

Stupida O'Brien.

 

Lo squillo, improvviso, del telefono mi distrasse dai miei pensieri; mi allungai per afferrarlo e risposi senza leggere chi fosse.

Tanto... non sarebbe mai stata Jo.

 

- Pronto? -

- Pronto un paio di, sacrosante, palle elfiche! -

- M...Mark? -

- No, Gandalf il Grigio, sì che sono io, stupida, deficiente, cazzona! -

 

Mi misi seduta sul materasso, continuando a sentire le innumerevoli parolacce e i fantasiosi epiteti che Mark stava sputando, senza prendere fiato.

- Mi vuoi dire cosa vuoi, Mark? -

- Cosa voglio? Hai pure il coraggio di chiedere COSA VOGLIO?! -

 

Mi irritava quando girava intorno alla questione senza parlare.

Mi irritava molto.

 

- Parla, Mark; o giuro sulle mie tette che ti chiudo il telefono in faccia! -

 

Sentii Mark sospirare pesantemente al telefono, pronunciando un mantra per rilassarsi; senza che io capissi effettivamente cosa stesse dicendo.

 

- Allora te lo dico lentamente e in parole che tu potrai facilmente comprendere: Sei.una.cogliona! -

- Questo l'avevo capito, ora puoi continuare il discorso? -

- Cosa ci fai a casa? -

 

E finalmente capii cosa voleva il mio amico.

Cosa avrei mai potuto dirgli?

 

Mi spiace, ma anche se ho scoperto di amarla ho troppa paura”

 

Mi avrebbe davvero preso a sberle!

 

- Mark...-

- No, non iniziare Mer! Ora tu ti alzi e vai a fermare quell'altra cretina che mi ritrovo come amica! -

- Non... non posso -

- Tu non vuoi, Meredith -

 

Deglutii aria.

Un amaro boccone.

Una consapevolezza che avevo evitato come la peste.

 

Paura.

 

- Ho paura, Mark. Ho, fottutamente, paura. -

- Ascoltami, Meredith. È normale avere paura, ma davvero vuoi permettere che questa paura ti porti Georgina, la nostra Jo, lontana chilometri di distanza senza muovere un muscolo? -

- Io... -

- La ami, Mer? -

 

Tum.

Il cuore mi si era bloccato in quel momento.

Cosa avrei dovuto rispondere?

Sì.

No.

 

Forse?

 

Da quando mi ero trasformata in questo?

Non riuscivo a parlare con i miei migliori amici, non riuscivo ad essere sincera.

 

Maledetta paura.

Esci le palle.

 

Ora.

 

- Sì, la... la amo -

- Allora vai a riprendertela, Tigre; o giuro che la prossima volta che vedrò la tua faccia sarà per colpirla con dei pomodori... di pietra -

 

E la chiamata finì così.

Aveva deliberatamente concluso la chiamata senza lasciarmi il tempo di rispondere, di negare, negoziare, chiedere un baratto o vendere la mia anima a Sauron.

 

Mi guardai intorno.

Guardai le pareti della mia stanza, quel colore che io e lei avevamo scelto; le foto che avevamo fatto da quando eravamo piccole.

Guardai la scrivania, dove Jo, aveva il vizio di lasciarmi sempre una frase incisa con la punta della sua biro.

Guardai il letto sfatto, dove avevo passato le ultime ventiquattro ore immobile, e ancora una volta lei mi tornò in mente.

 

Vidi Jo avvicinarsi ulteriormente al mio viso, strofinando il naso sulla mia guancia, mentre le sue labbra sfioravano leggermente le mie.

Le carezze continuavano, lente e studiate, la mia mano si era spostata sulla sua schiena dove stavo disegnando cerchi immaginari.

Volevo fermarmi, ma non ci riuscivo.

Eravamo vicine, tanto – troppo – vicine, le bocche socchiuse che continuavano a sfiorarsi, timorose di toccarsi completamente.

I nostri fiati cominciarono a diventare più pesanti e le mani più esigenti, eravamo ad un passo dall'oblio.

Lo stavo desiderando.

Intrecciammo le gambe, mentre io mi portavo sul corpo della mia amica, il contatto con il suo corpo mi stava.... estasiando.

Le sue labbra mi stavano eccitando.

Tutta quella situazione mi stava eccitando.

I sospiri scandivano i secondi che scorrevano, mentre continuavamo a guardarci e sfiorarci con le labbra.

 

Mi risvegliai da quel ricordo, separandomene con violenza.

Cosa stavo facendo?

 

Mi catapultai fuori dalla mia stanza, come se avessi un esercito di iene affamate alle calcagna; salutai frettolosamente mia madre ed uscii di casa.

 

Dovevo correre.

Dovevo volare.

 

Zeus, perché non hai Pegaso-munito anche me?

 

Aspettami, Jo.

 

Aspettami.

 

 

 

 

GEORGINA'S POV

 

 

Odiavo queste file.

Le odiavo immensamente.

Eppure avrei dovuto farla, visto e considerato che avevo aspettato fino all'ultimo momento per comprarmi il biglietto dell'autobus che mi avrebbe portato a Harvard.

 

E, onestamente, adesso che ero un po' più lucida non riuscivo ancora a capire cosa – esattamente – io stessi aspettando.

Forse, davvero il miracolo.

 

Sbuffai, un'altra volta, sconsolata; continuando imperterrita a sbattere il piede sul pavimento in maniera ritmica.

Questa fila doveva muoversi!

 

Dovevo ancora tornare a casa a prendere le valige, infilare le ultime cose nella sacca e poi, i miei, mi avrebbero accompagnato alla stazione dei bus.

 

Mancavano ancora sei ore alla mia partenza, sei lunghissime ore.

E avevo, ancora, quell'aspettativa, quella stupida aspettativa che mi faceva sperare.

 

Sciocca che ero.

 

Cercai di affacciarmi per vedere a che punto fosse la fila, ma non riuscivo a capire quale deficiente ci stesse mettendo così tanto per comprare un fottutissimo biglietto del cazzo.

Incrociai le braccia, davvero irritata; per fortuna che avevo deciso di venire la mattina presto o, forse, non sarei davvero più partita.

Soffiai sul ciuffo, per spostarlo dagli occhi, e mi rimisi al mio posto facendo una smorfia di impazienza, davvero malcelata.

 

- Oh, santo Salazar!-

 

Una risatina, sicuramente causata dalla mia flebile esclamazione, mi fece voltare; alle mie spalle vidi una ragazza che cercava di nascondere il sorriso dietro ad una mano.

 

Arrossii.

Che figura di mierda.

 

- Scusami, non volevo ridere, ma... - un altro scoppio di risa la fece fermare per qualche secondo - … scusami, ma sei stata davvero buffa -

 

Mi grattai la testa, davvero imbarazzata.

Le feci un sorriso, per poi rivoltarmi, evitando di fare una figura peggiore.

 

Che giornata!

 

Mossi un passo, seguendo la fila, quando mi sentii toccare sulla spalla; mi rivoltai sapendo che avrei incontrato la ragazza di prima.

 

- Mi dispiace davvero. -

 

Mi fermai a guardarla.

Era una bella ragazza; i capelli erano di un rosso scuro, lunghi, mossi; la pelle del viso era macchiata da piccole lentiggini e poi gli occhi.

I suoi occhi mi colpirono.

Erano di un nocciola profondo, così caldo, che per un momento mi sembrò di sudare.

 

Cazzo, Atwood! Parla, che minchia fai in silenzio?!

 

- Non ti preoccupare, in fin dei conti … sono stata davvero ridicola -

 

Ma cosa dico?

Io sono Georgina Atwood, e gli Atwood non sono mai ridicoli!

 

- Comunque, io sono Heather -

 

La guardai porgermi la mano, non molto curata, le unghie erano rovinate ed evidentemente si mordeva le pellicine.

Sorrisi intenerita, non capendone nemmeno il motivo.

 

- Piacere, mi chiamo Georgina -

 

 

 

MEREDITH'S POV

 

 

Arrivai a casa degli Atwood con i sintomi di un infarto precoce e di un possibile broncospasmo che mi avrebbe ucciso sulla soglia della loro abitazione.

Con un ultimo sforzo salii i gradini – che in quel momento mi sembravano la scalinata infinita di Rocky Balboa – che conducevano all'entrata e suonai il campanello, abbandonando il mio peso sulle braccia poste ai lati della porta.

 

Dovevo prendere aria.

 

Dovetti aspettare qualche secondo, prima che la porta si aprisse rivelando la madre di Georgina.

 

- Meredith, tesoro, ciao! -

- Buongiorno Isabel. C'è Georgina? -

- Oh, no è alla biglietteria, ma sarà qui a momenti. Vuoi entrare? -

- Sì, grazie. -

 

Almeno ero arrivata in tempo.

Dove sei Jo?

 

 

 

GEORGINA'S POV

 

 

- Non stai scherzando, vero? -

- Assolutamente no, anche io sono stata ammessa a Harvard! -

- Oh, beh... a quanto pare saremo colleghe -

 

Ci sorridemmo, mentre camminavamo per quel parchetto, mangiando i nostri gelati.

 

- E sentiamo signorina Ledger, in cosa è stata ammessa? -

- Oh, io voglio diventare una sceneggiatrice. Sono stata ammessa alla scuola di arti sceniche. Tu, invece? -

- Niente di che -

 

Vidi Heather sorridermi, per poi indicarmi la panchina, invitandomi a sedere con lei.

 

- Sai cosa penso di te, Georgina? -

- Cosa? -

- Penso che tu abbia paura del giudizio, che tu abbia paura di rimanere sola e che per quanto tu sia felice di essere stata ammessa, ovunque tu sia stata ammessa, c'è qualcosa che ti blocca -

 

La guardai un momento in quegli occhi, poi non riuscii a reggerne il peso e lo distolsi; un pesante sospiro uscì dalle mie labbra, mentre le lacrime si formavano agli angoli degli occhi.

 

- Sono stata ammessa alla facoltà di medicina. -

- Chiamalo nientediche! Ma...? -

- Ma, cosa? -

- C'è sempre un “ma” -

 

Sorrisi.

Quella ragazza era oltremodo perspicace, a modo suo.

 

- Ma significa lasciare una persona a me... cara -

- Ah! Capisco -

 

La guardai, cercando di leggere il suo volto, ma non riuscivo a decifrarlo. Si voltò verso la mia parte e sorrise, indicandomi il naso.

 

- Ti sei sporcata -

 

Ancora una volta mi ritrovai ad arrossire davanti a quella mezza sconosciuta.

 

- Sai, Georgina; l'amore è una cosa davvero subdola a volte. Dovrebbe essere la cosa che ti rende la persona più felice al mondo ma, ogni tanto, credo che dimentichi il suo ruolo e … fa male. - mi guardo intensamente, prima di ricominciare a parlare lentamente – So che siamo due estranee, ma forse è per questo che mi trovo più libera di parlarti. Forse ad Harvard, prese dai nostri impegni, non riusciremo nemmeno ad incontrarci; per questo ti dico che … per quanto tu sia innamorata di questa persona, se l'amore è vero, dura anche con la distanza, anche con il poco tempo. Se è amore, continua a vivere anche con i corpi lontani. -

 

Sospirai.

Forse avrei potuto parlare con lei.

Avrei evitato di dire che la persona di cui parlavo era una donna, ma... forse...

 

- Il problema è che sono solo io quella che ama -

 

La sentii ridere, lasciandomi sconcertata.

 

- Scusami, è che... siamo più simili di quel che credevo. -

 

La guardai perdersi, con lo sguardo, tra gli alberi; e io la imitai. Non volevo fare domande, ero sempre stata molto rispettosa dei tempi e della privacy degli altri.

Attesi.

Sapevo che si stava prendendo solo un momento dai suoi ricordi, prima di rispondermi.

 

- Allora prendi questa partenza come un dono. Se ti ama, la lontananza gli farà aprire gli occhi... -

- E se così non fosse? -

- Avrai la possibilità di rinascere e ricominciare -

 

 

MEREDITH'S POV

 

Guardai l'orologio, ancora una volta, nervosa e sfibrata da quella attesa.

Erano le dieci del mattino, la signora Atwood era uscita per fare l'ultima spesa per la partenza della figlia.

 

Che ansia.

 

Chissà dove si era cacciata.

Mi alzai dal suo letto, cominciando a girovagare.

Ogni cosa era un nostro ricordo.

Ogni dettaglio.

Profumo.

Colore.

Noi.

 

Presi la cornice che le avevo regalato al suo diciassettesimo compleanno, accarezzai il viso di noi due sorridenti, perdendomi nei ricordi; era da tanto che non sorridevo così.

All'improvviso sentii la porta aprirsi; il rumore mi scaraventò - come Leonida fece con il messaggero di Serse, nel pozzo – nella realtà.

 

Cominciai a sudare, a iperventilare, emettendo suoni che avrebbero fatto concorrenza a un'aspirapolvere.

 

Cazzo.

 

Sentii dei passi salire le scale e venire nella mia direzione, era Lei; e io non avevo nemmeno preparato un discorso.

Cosa si dice alla tua migliore amica che hai ferito e che vuole partire, lontana da te?

 

Cosa, PER TUTTI I FOLLETTI, COSA?

 

E, finalmente, la porta cominciò ad aprirsi – anche troppo lentamente per i miei nervi – e la vidi.

 

Georgina.

 

I suoi occhi si spalancarono, appena si accorse della mia presenza, la bocca si aprì – una muta domanda serpeggiava tra le sue labbra – e tra le mani vidi quel biglietto.

 

Il biglietto di Satana.

 

- Cos... cosa ci fai qui? -

- Non partire -

 

La guardai, mentre lenta, si avvicinava alla scrivania lasciando il biglietto.

Sembrava pensierosa, così triste, così poco brillante.

 

Ed era colpa mia.

 

- Non partire, Jo -

- Perché? -

- Perché non voglio perderti -

 

Stupida.

La vidi sorridere amara; carezzava con la punta delle dita il bordo della scrivania, evitando di guardarmi negli occhi.

 

Aveva ragione Mark, ero una cogliona.

 

- Non basta, Meredith. Non basta. - prese un profondo respiro; fece un passo verso di me e finalmente mi guardò negli occhi – Sono stanca. Okay? Stanca. Parto perché non posso più stare al tuo fianco senza sentire mille aghi trafiggermi il cuore. Sono stanca di soffrire, sono stanca di star male, sono stanca di negare quello che provo per te. -

 

Stavamo piangendo entrambe.

Come due stupide bambine ci guardavamo piangendo

 

- Ti prego, Jo -

 

Mi allungai per afferrarle le mani ma, lei, si allontanò; mettendo tra di noi quella distanza che mi pesava.

 

- Te lo domanderò un'ultima volta, Meredith; poi ti chiederò di lasciare la mia casa...-  strinsi gli occhi, dovevo farcela. Dovevo.

- Cosa ci fai qui? -

 

L'aria si bloccò nei polmoni.

Tutto si pietrificò.

Anche il mio cervello si spense.

Riuscivo solo a piangere e a guardarla.

 

Avanti.

Dillo.

Dillo.

Dillo.

 

TI AMO.

 

- Jo non... -

- Fuori. -

 

Mi voltò le spalle; aprii la porta e rimase lì, in attesa che io uscissi dalla sua stanza, dalla sua casa e dalla sua vita.

 

Era la mia ultima opportunità.

 

Mi avvicinai, guardandola, sperando che lei ricambiasse il mio sguardo, senza successo.

Arrivata sulla soglia mi fermai, presi un profondo respiro.

 

Potevo farcela.

 

- Ti amo... -

- Cosa? -

 

Avevo bisbigliato, ma sapevo che lei aveva capito, solo che non poteva crederci; dopo tutto quella che era successo non potevo biasimarla.

Mi misi di fronte a lei, le lacrime continuavano a scorrere ma questa volta sorridevo, le sorridevo.

 

- Ti amo, Jo. E sono stata una stupida ad aver avuto paura di questo; perché dio, ti amo. -

- Se è un modo... un modo per non farmi partire io... -

 

Non la feci finire.

Mi avventai sulle sue labbra, baciandola come se fosse davvero l'ultima volta che l'avrei vista; come se ogni cosa dipendesse da quelle labbra.

Succhiai la sua lingua, facendola sospirare e infilai una mano sotto la maglietta solo per poterle carezzare il fianco.

 

Ci staccammo per mancanza di ossigeno e finalmente Jo, mi abbraccio stretta.

 

Ero a casa.

 

- Ti prego, ridimmelo -

 

Le presi il volto tra le mani; scacciai con i pollici le lacrime che continuavano a scendere e poi le sorrisi.

 

Finalmente sorridevo, davvero.

 

- Nga yawne lu oer -

 

E finalmente sorrise anche lei, baciandomi, e stringendomi.

Il Na'vi, faceva ancora colpo.

 

- Sei stata una stupida! -

- Lo so, e mi dispiace Jo. -

 

Non riuscivamo a staccarci.

Ogni parola era accompagnata da un bacio lascivo.

 

- Non mi lasciare -

 

Non risposi.

La baciai più profondamente, più forte, spingendola verso il letto, dove ci stendemmo.

Mi sentivo così completa.

 

Così a casa.

 

Ora avrei dovuto lasciare Juliette.










Angolo


Salve, per favore niente lancio di verdure, so di star ritardando le pubblicazioni, ma davvero ho i tempi ristretti; tra l'università e il salvare il mondo, sono davvero incansinata.

Cazzate a parte... Vorrei ringraziare chiunque abbia ancora la pazienza di seguire questa storia che, ahimé, è quasi arrivata alla fine. (forse mancano due o un capitolo)

Niente, grazie ancora a tutti,
Buona domenica.
WankyHastings
   
 
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