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Autore: Ignis_eye    28/05/2015    4 recensioni
Non esiste solo un mondo, ce ne sono parecchi, o meglio, ce ne sono tanti raggruppati in uno solo, dove gli umani trascorrono tranquillamente la loro esistenza e dove le creature magiche vivono in armonia e talvolta si fanno la guerra.
Gli esseri magici svolgono le loro faccende quasi con normalità, tenendole nascoste agli uomini, ma... che cosa succederebbe se un terribile segreto venisse rubato e due razze si scontrassero?
Genere: Guerra, Romantico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Yuri, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Faceva freddo. O almeno era quello che credeva lei, perché non percepiva nulla sulla pelle. Qualcosa, però, le faceva sentire quel luogo come ostile, immobile come fosse congelato.
Non era brutto, tutto il contrario, ma dentro di lei una strana angoscia avviluppava le sue spire come un serpente in agguato pronto a mordere la preda.
“Il mondo dei morti me l’ero sempre immaginato in modo diverso” pensò “Decisamente più… affollato”.
Si trovava a fluttuare in un cielo sterminato senza nuvole né uccelli; la terra sotto di lei non esisteva e lo spazio nemmeno.
Non c’era il sole, ma una luce diffusa illuminava quel luogo etereo.
“C’è troppo silenzio”.
Per caso si guardò le gambe e si accorse che come il resto del corpo erano fatte di luce bianca. Le sue membra erano addirittura semi trasparenti ed era completamente nuda.
“Non che ci sia tanto da vedere… ormai la mia figura si distingue a malapena”.
Provò a spostarsi nell’immenso cielo senza gravità ma non riusciva a controllare la direzione, rotolava sul fianco per qualche metro e poi si fermava.
“Fantastico, dovrò stare qui per l’eternità e sono già stufa. Se potessi almeno sapere come sta Sefora…”.
Cosa stava facendo? Era andata ad avvertire gli altri?
“Mamma, papà, Damiano… non ho nemmeno potuto dir loro addio”.
Voleva piangere ma non ci riusciva, in quel mondo anormale non esistevano le lacrime; si sarebbe accontentata di un muro da riempire di pugni ma non c’era nemmeno quello.
“Cazzo, cazzo, cazzo! Cosa devo fare? Dove devo andare?”.
Si stava facendo prendere dal panico.
“Se almeno sapessi dove sono e cosa devo fare!”.
Improvvisamente venne attirata verso il basso da una forza potentissima alla quale non poté opporsi in alcun modo; veniva calamitata ad una velocità impressionante che le impediva addirittura di muoversi, un po’ come lanciarsi con il paracadute ma non poter muovere un dito.
“Cosa sta succedendo?!” pensò terrorizzata “Cosa diavolo sta succedendo?”.
Andava sempre più in basso, sempre più velocemente, verso un terreno che non esisteva. Poi, tutto d’un colpo, si bloccò come se fosse andata a sbattere contro un muro.
Prima che potesse capire cosa stava succedendo, dal nulla si materializzò una nube nerastra che si allargava a macchia d’olio nel cielo limpido; si espandeva e regrediva  senza sosta ma dopo ogni ritirata aumentava ancor di più il suo volume. Ad un certo punto, la nebbia prese a vorticare su sé stessa sempre più velocemente fino ad addensarsi con un aspetto umanoide sotto gli occhi stupefatti di Elsa.
Questo fumo nero la guardò e mosse qualche passo verso di lei che, immobilizzata da chissà quale forza, non poteva che assistere impotente all’avanzata di quell’essere dall’aspetto poco amichevole.
Camminava lentamente come se sotto i suoi piedi ci fosse una lastra di vetro, ma Elsa non vedeva nulla, solo il cielo infinito.
Provò a muovere gambe e braccia ma non ne era capace, non poteva nemmeno parlare, poteva solo guardare quel coso che man mano che si avvicinava prendeva una forma più definita.
Si fermò a pochi passi da lei e la fissò con un paio di occhi piccoli, neri e duri, lucidi come due biglie di vetro.
“Benvenuta”.
Elsa era terrorizzata: era nella sua testa! Non aveva mosso le labbra ma le parole risuonarono perfettamente nella sua testa come se le avesse dette!
“No, non sono dentro di te” disse rispondendo ai pensieri che lei aveva fatto “Si chiama telepatia, qui non esiste la parola”.
“Non è più rassicurante” replicò mentalmente.
“Non devi essere rassicurata”.
Lo guardò con diffidenza, studiandolo. Era un uomo, molto magro e stempiato; dalle rughe sul volto gli dava forse sessant’anni.
“Chi sei?”.
“Io sono il Gran Maestro”.
Un sorriso inquietante si allargò sul viso scarno e allungato mostrando dei canini neri.
“Allora i licantropi e i cercatori ti hanno già ucciso se sei qui”.
Si sentì sollevata, ma non durò a lungo.
“Ti sbagli, e tra poco sarò più vivo che mai”.
“Cosa vuoi dire? Parla”.
“Tu pensi che questo sia il regno dei morti, ma così non è”.
La sua voce era pacata, tranquilla, ma nascondeva un’ostilità della quale nemmeno Elsa si rendeva conto; parlava senza lasciar trasparire emozioni, quasi fosse un essere senz’anima, ma il suo ghigno cattivo incuteva timore.
“Dove siamo, allora? E perché non posso muovermi?”.
“Qui siamo a metà strada”.
“A metà tra cosa?” domandò sempre più confusa.
“Tra i vivi e i morti”.
Elsa venne improvvisamente stretta in una morsa invisibile che la teneva così saldamente da stritolarla: oltre a non potersi più muovere, ora sentiva che il proprio corpo, quella sagoma di energia bianca, veniva letteralmente schiacciato nel pugno di un gigante inesistente.
“Cosa… cosa m-mi succede?!” pensò “Parla, mostro!”.
“Sai, io sono qui da tantissimo tempo, così tanto che quasi ho perso il conto degli anni” prese a raccontare con tutta la calma del mondo “E adesso sto per andarmene”.
La guardò, immobile e impotente, e non poté fare a meno di sorridere scoprendo i canini aguzzi.
“Sei stata una degna avversaria, perciò ti spiegherò in breve perché stai per spegnerti completamente. Secoli fa, il mio spirito uscì dal mio corpo; mentre vagavo senza meta e senza limiti fisici, il mio corpo morì e io non potei più farvi ritorno. All’inizio ero spaesato, come te, ma poi scoprii che questo mondo era fatto su misura per quelli come me così come la terra è fatta per chi ha ancora un corpo”.
Prese una breve pausa per avvicinarsi ancora di qualche passo. Non stava più nella pelle e non riusciva proprio a restare in platea quando sul palco stava per compiersi il suo destino.
“Qui c’è tutto e niente, basta la volontà per esaudire i propri desideri. Tuttavia, non è un luogo felice e questo lo senti anche tu. E sì, è freddo. D’altra parte, come potrebbe essere altrimenti? Qui ogni anima è destinata a consumarsi nel nulla totale”.
“C-come mai… tu… non sei morto?” chiese cercando di resistere alla presa granitica “P-perché sei ancora q-qui?”.
“Perché i miei seguaci mi tengono in vita: sacrifici, preghiere e… doni molto utili”.
“Spiegati”.
Doveva sapere, voleva sapere. Ormai faticava a esprimere perfettamente i propri pensieri, quel mostro la stava uccidendo.
“Mi mandano delle vite. Umani, nani, satiri, elfi, licantropi…”.
“Maledetto!” esplose “Schifoso bastardo!”.
“Oh, la rabbia ti dona nuova energia” disse per nulla intimorito “Bene, meglio per me”.
“Va’ all’inferno!”.
“Ci sono già. Ma tra poco, grazie a te, potrò finalmente andarmene da qui”.
“C-come?”.
“Assorbirò la tua energia come ho fatto con le altre vite e poi… mi prenderò il tuo corpo!”.
“No! Non puoi farlo!”.
“Questo è da vedere”.
La morsa ferrea la strinse ancora di più.
Terrorizzata, non riusciva nemmeno a pensare a come liberarsi, nella sua mente vedeva solo sé stessa smembrasi in mille pezzi come un chicco d’uva schiacciato sotto i piedi distratti di un bambino.
Tutto divenne bianco, all’istante, e si sentì finalmente libera.
Aveva mollato la presa?
Lo vide e le parve arrabbiato.
Poi si rese conto del perché.
Il suo corpo, sempre che fosse davvero il suo, fluttuava nell’aria diviso in centinaia, se non migliaia, di sfere di luce bianca. Queste si muovevano liberamente nello spazio un po’ come il polline viene trascinato dal vento da fiore a fiore.
Eppure, le sentiva come se fossero tutte unite tra loro. Non come se formassero ancora un corpo ben definito, piuttosto percepiva dei legami di energia tra una sfera e le altre, fili invisibili che le tenevano unite seppur divise.
Così non vedeva più con gli occhi, ma con ognuna di queste biglie lucenti; non aveva né orecchie per sentire né naso per annusare, ognuna di esse racchiudeva in sé i cinque sensi.
“Mi hai… distrutta” pensò senza aver ancora capito cosa fosse successo “Mi hai disintegrata!”.
“Stai zitta, ragazzina!” urlò furioso.
Provò ad afferrare una delle sfere per assorbirne l’energia ma questa si spezzò in centinaia di altre minuscole palline grandi come capocchie di spillo.
Lui restò alquanto sorpreso ma invece di adirarsi ancora di più, accennò un sorriso.
“Avevo fatto bene ad ordinare ai miei seguaci di ucciderti”.
“Perché mi volevi morta?!”.
“Ma come, non lo vedi?” chiese visibilmente seccato “Non vedi cosa puoi fare? È proprio vero che i doni migliori vengono dati a chi non li può apprezzare”.
Quella frase la incuriosì e quegli occhi, neri e cattivi, la spaventarono. Non era esattamente una bella cosa poterli vedere da migliaia di angolazioni diverse.
“Cos’ho di tanto speciale?”.
“Sciocca ragazzina… ancora non hai capito? Tu puoi scindere il tuo spirito!”.
Elsa non comprendeva, era sempre più spaesata. Cosa andava farneticando quel pazzo?
“Da alcuni anni i miei seguaci mi hanno confermato l’esistenza di qualcuno in grado di proiettare il proprio spirito fuori dal corpo. All’inizio credevo che fosse qualcuno capace di usare coscientemente il dono ma poi scoprii che il fortunato, o meglio, la fortunata, era solo una bambina… una certa Elsa Desdemoni”.
Non udendo risposta, continuò il suo racconto.
“Per portare a termine il mio piano senza intoppi era necessario che tu morissi, perciò quando avevi sette anni ordinai un attacco da parte dei mannari per rapirti e ucciderti, ma i licantropi ti difesero bene… compresi i tuoi zii paterni”.
Le sfere di luce ebbero un fremito, smisero per un attimo di fluttuare liberamente e si bloccarono.
“I genitori di Damiano sono morti… per me?”.
“Sì”.
“Tu menti! Se nemmeno io sapevo di avere queste capacità non poteva saperlo nessun altro!”.
“E invece lo sapevano tutti. Per quale motivo credi che ti abbiano sempre proibito di lottare contro i mannari e i vampiri? Non è strano che la figlia di una Desdemoni, allenata dall’infanzia a combattere, non possa farlo?”.
“Non ti credo!”.
“Bugiarda”.
“Taci!” gli ordinò.
Lui, che percepiva quali sentimenti la tormentassero, non la ascoltò.
“I miei uomini fallirono nell’impresa, ma continuarono ad aggirarsi nei dintorni di Villanova per tenerti d’occhio. Non potevo rischiare sorprese quando finalmente i vampiri avrebbero messo le mani sul Necronomicon”.
“Cosa c’entra quello? I mannari lo vogliono solo per il loro elmo magico”.
Il vampiro nero ghignò spaventosamente.
“Sicura?”.
Se Elsa avesse avuto gli occhi, in quel momento li avrebbe spalancati.
“Necronomicon… Il libro delle leggi dei morti”.
“Esatto. L’elmo è solo la loro paga, la caramella che si dà ai bimbi bravi che hanno fatto il loro dovere. Peccato che loro in realtà non abbiano la minima idea del piano originale”.
Elsa a quel punto aveva capito tutto.
“Ti serviva qualcuno di stupido che facesse il lavoro al posto tuo e dei tuoi seguaci; quando hai trovato loro non ti sarà parso vero di poterli comprare così facilmente”.
Lo spirito nero rise di gusto.
“Fu un vero colpo di fortuna!”.
“E mentre loro si scannavano con i licantropi per uno stupido elmo, i vampiri hanno cercato la formula magica che ti avrebbe permesso di tornare in vita”.
“Già, ma ora non ce n’è più bisogno… mi basterà assorbire la tua energia. Per prenderti aspetterò che tu ti dissolva lentamente e quando sarai troppo debole, finalmente sarò libero. Sai, non avrei mai pensato che proprio tu saresti stata la mia salvezza”.
“Non ci contare!”.
“E perché mai? Tu non sai usare il dono! La tua famiglia ha sbagliato a non metterti a conoscenza di questo segreto!” esclamò trionfante.
Le piccole palle di luce cominciarono a vibrare producendo un ronzio assai fastidioso.
“Sta’ zitto!”.
“Ma tu guarda, la lupetta si sta innervosendo” commentò con tono di scherno “Speriamo non morda”.
“Smettila di sfottermi!”.
Non lo sopportava più, non riusciva davvero a farsi piacere quel ghigno arrogante e quegli occhi totalmente neri che sembravano attraversarla da parte a parte… avrebbe voluto cavarglieli con un uncino quegli occhi maledetti. Avrebbe voluto vederlo soffrire come se un ferro rovente gli si fosse conficcato nelle orbite.
“Aaarg!” si lamentò improvvisamente “I miei occhi!”.
Elsa perse per un attimo la concentrazione sui suoi pensieri e il vampiro subito smise di gemere dal dolore; un liquido scuro gli colava sul viso e gocciolava nel nulla sotto i suoi piedi sospesi a  mezz’aria.
“Cos’hai fatto?!” urlò fuori di sé “Cosa diavolo mi hai fatto?!”.
Elsa si accorse che lo sguardo spaesato di lui era rivolto verso il vuoto, non fissava nessuna delle sfere.
Era cieco.
“Cagna maledetta! Allora sai usare il dono!”.
Elsa non ci capiva niente. Lei non aveva fatto nulla, aveva solo desiderato di fargli male ed era successo.
“Quell’idiota di Gaspare avrebbe dovuto ammazzarti” sibilò respirando affannosamente per il dolore “E io avrei dovuto attaccarti appena ho avvertito la tua presenza in questo mondo”.
Il suo viso si trasformò in fumo denso e in pochi secondi ritornò come prima, senza alcun difetto. Gli occhi ci vedevano di nuovo e la guardavano con rancore.
La licantropa capì che non avendo limiti fisici poteva creare qualunque cosa solo con la forza di volontà: quando venne stritolata si immaginò un chicco d’uva che esplodeva e così era successo, dividendosi in migliaia di pezzi; poi aveva desiderato non solo di accecare il Gran Maestro ma di fargli addirittura provare dolore, e anche questo era accaduto.
Sentì nascere in lei la speranza di potercela davvero fare, e se lui poteva trasformare il proprio corpo, poteva farlo anche lei.
Si concentrò e immaginò che i fili eterei che collegavano ogni parte di sé si accorciassero sempre di più e che i globi di luce si unissero come fanno le gocce d’acqua quando sono vicine; ripensò al proprio corpo e ne modellò la forma come fosse di creta. Quando aprì gli occhi, era tornata come prima, tutta d’un pezzo.
Sì, poteva batterlo.
Lo avrebbe ucciso e sarebbe tornata indietro.
Avrebbe distrutto il Gran Maestro e sarebbe tornata dalla sua famiglia, da Chan e soprattutto da Sefora.
La voglia di rivedere le persone che amava le diede la spinta di cui aveva bisogno per contrattaccare e vincere contro quel mostro che adesso la guardava con sgomento.
“Pensavi di poter vincere facilmente, vero? Credevi che io mi arrendessi? Non dovevi cantar vittoria così presto!”.
Lui digrignò i denti e arretrò ma ormai era tutto inutile: lui non aveva abbastanza energia mentre Elsa ne aveva troppa; lui si stava estinguendo e la sua energia non era altro che vapore scuro e sporco, lei invece brillava di una luce pura e calda.
“Troppe vite sono state sacrificate per te, mostro! La mia non si aggiungerà all’elenco! Vendicherò tutti quelli di cui ti sei nutrito!”.
“Cosa pensi di fare? Sei troppo inesperta, perderesti!” bleffò.
In risposta lei pensò al suo braccio come ad un palloncino e lo gonfiò a tal punto da farlo esplodere.
Finalmente aveva l’occasione di combattere senza che qualcuno la fermasse, senza che le venissero imposti dei limiti; per la prima volta, poteva decidere da sé.
Lui provò a ricreare l’arto amputato ma la ferita si cicatrizzò e non riuscì più a far nulla. Riprovò ancora ma il controllo mentale di Elsa era così saldo che non poteva contrastarlo.
“Anche se mi uccidi non salverai la tua famiglia!”.
Il moncherino cominciò a bruciare e a consumarsi come un ceppi di legno.
“Ora stanno combattendo contro i mannari e tu non tornerai in tempo per fermare il loro massacro!” disse tentando di distrarla.
“Allora sarà meglio che mi sbrighi” rispose lei senza raccogliere la provocazione.
Le gambe del vampiro si torsero all’indietro con un sonoro schiocco di ossa rotte, ossa che lei aveva immaginato apposta per l’occasione, strappandogli un grido di dolore.
“Questo è per tutti i licantropi morti per salvarmi!”.
La pelle del braccio rimasto si scuoiò da sola fino alla spalla, poi i muscoli fecero la stessa cosa staccandosi dall’osso.
“Questo è per la mia famiglia!”.
Si sentì ribollire di rabbia, ne era accecata; voleva fargli privare il dolore più intenso di  tutta la sua vita da parassita.
Centinaia di aghi si materializzarono e gli si conficcarono nel torace da parte  a parte procurandogli attacchi di convulsioni e urla.
“Basta! Basta!” implorò.
“Quante persone hai ucciso? Quante persone hai fatto soffrire? Perché dovrei avere pietà di te?”.
“I licantropi sono comunque spacciati, con la mia morte non ci guadagni nulla!”.
“Niente di più sbagliato” sibilò “Non immagini da quanto tempo io desideri di eliminare il responsabile di tutto questo… e il momento è giunto!”.
Fece un respiro profondo e liberò la mente per l’ultimo attacco.
Affiorarono ricordi di lei e di Sefora: il primo incontro, le passeggiate, gli allenamenti, il rapimento, la prigione, il primo bacio, le ferite…
Per colpa sua, Sefora aveva dovuto soffrire oltre ogni limite: aveva dovuto prendere le botte, subire incantesimi, sopportare la fame e la sete, la solitudine, lo sconforto.
Lo odiava. Qualunque fosse il suo vero nome e la sua vera identità.
Doveva farlo sparire per sempre, non poteva rimanere nemmeno un brandello del suo spirito malvagio.
Non le pareva neanche vero che il suo nemico, colui che l’aveva fatta patire così tanto, adesso implorasse pietà e non provasse nemmeno a reagire. Quel bastardo era così avvezzo a farsi servire che aveva perso la tempra originaria, sempre che ne avesse avuta una.
“Questo è per Sefora… e per me!”
Il vampiro venne scosso dalle convulsioni e dal suo ventre si espanse una luce abbagliante che ardeva le sue membra come fosse stato un foglio di carta.
“Aaaah! Maledettaaa!”.
Una fiamma divampò dal suo corpo bruciandolo tra grida atroci e sibili disumani:
“Che tu sia dannata!”.
Le sue carni nere emanavano un puzzo terribile e in pochi secondi di urla terrificanti, scomparvero senza lasciare nemmeno un mucchietto di cenere.
Sembrava tutto calmo. Elsa si rese conto che la sensazione di angoscia che aveva provato dal primo istante era scomparsa nel nulla.
Credeva che tutto fosse finito, ma qualcosa prese improvvisamente il controllo del suo corpo e la trascinò lontano, come un uragano trasporta un foglio di giornale in un vortice turbolento.
La sua figura venne distorta e si trasformò in un fulmine di luce purissima che si schiantò contro il suolo con un violentissimo impatto e un fragore assordante.
Ci fu un secondo di totale silenzio e immobilità, poi sentì una fitta al petto che la lasciò senza fiato, come una scossa.
Il suo cuore riprese a battere.





















Angolo dell'autrice:
Davvero pensavate che l'avrei lasciata morire? ;)
  
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