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Autore: FlyingBird_3    31/05/2015    3 recensioni
Berlino, 1938
La capitale tedesca è in fermento, viva più che mai grazie alle abili mani dei gerarchi nazisti; tra le sue strade però, le persone comuni svolgono la vita di tutti i giorni.
Tra queste vi è Gerda, una giovane ragazza berlinese amante della moda e della libertà; la sua routine quotidiana è scandita dal lavoro, da feste e chiacchiere con le amiche.
Tutto sembra perfetto finché un giorno, improvvisamente, fa la sua ricomparsa un’importante figura nella vita di Gerda: Andreas.
Andreas Lehmann è un ragazzo tutto d'un pezzo, reso una proiezione di sé stesso grazie ai tempi della dittatura; all’apparenza è freddo, distaccato dai rapporti umani, dedito solo al lavoro. Ma dietro la sua corazza, nasconde un passato di sofferenze e dolore che solo l’amore più sincero può guarire.
I due, amici dall'infanzia, si rincontreranno così dopo molti anni, scoprendo che non c'è via di fuga al loro destino.
Genere: Angst, Guerra, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Guerre mondiali, Novecento/Dittature
Capitoli:
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Prima parte

Il disco di Robert Schumann gracchiava debolmente nel vecchio grammofono di Madame; sedevo assieme a Beth sulle scale che portavano al primo piano del negozio, guardando le pesanti gocce di pioggia che si infrangevano sulle vetrine.
Pioveva dalla mattina, e non aveva mai smesso per tutto il giorno; erano solo le cinque del pomeriggio e sembrava già notte fonda. Nessun cliente aveva fatto capolino nel pomeriggio, ed io e Beth non sapevamo più cosa inventarci per passare il tempo; rimanemmo così sedute in disparte, parlando di tutto quello che ci passava per la mente. Proprio in quel momento la mia collega stava raccontando di come procedeva la vita coniugale, e di come era cambiata la sua quotidianità dopo il matrimonio.
< < Lui vorrebbe che io lasciassi questo lavoro… per ora ho deviato la domanda, ma temo che si farà più insistente. Soprattutto se rimarrò incinta > >
La osservai e, tra me e me, mi chiesi com’era possibile cambiare così velocemente: un attimo prima sembrava una ragazzina appena maggiorenne, un attimo dopo era diventata una donna sposata e grava di problemi coniugali.
< < Non penso che vorrai fare per sempre questo lavoro Beth. È giusto che tu rimanga a casa ad occuparti di tuo marito e dei tuoi figli, se li avrete > >
Lei mi guardò con uno sguardo che trovai innocente, come se non sapesse cosa la aspettasse.
< < Hai ragione. Però mi sembra che stia accadendo tutto così in fretta… sai, all’inizio mi sentivo parecchio a disagio stare da sola a casa con lui. Poi non so cosa sia successo… quasi mi piace preparargli la colazione, aspettare che venga a letto. Non è come sembra Gerda. Credo che abbia un lato nascosto che mi sta piacevolmente impressionando > >
< < Ho notato che sei più rilassata in questi giorni > >
Lei fece mezzo sorriso, abbassando gli occhi.
< < Già. Dovrò solo farci l’abitudine. Vado a prendere un caffè, che dici? > >
Veloce come l’aveva pronunciato, Beth si era già messa il cappotto e i guanti, pronta per uscire a prendere da bere.
La osservai dalle scale mentre chiudeva dietro di sé la porta del negozio, e si mischiava alla macchia scura dei passanti e dell’oscurità.
C’era un vago senso di malinconia in me quel giorno, quella malinconia che accompagna i giorni di festa passati in solitudine; avevo litigato con Lilian, ed ero venuta a scoprire delle “discutibili” abitudini di Andreas.
Possibile che non me ne andasse bene una ultimamente?
Beth tornò poco dopo con due tazzine fumanti di caffè.
< < Non sai che ressa al bar. Sembra che tutta la popolazione di Berlino abbia deciso di ripararsi lì dentro > >
Passò un’ora ancora prima di decidere di chiudere in anticipo il negozio.
< < Ma sei sicura Gerda? E se all’improvviso avessi bisogno di me… > >
Roteai gli occhi al cielo, sospirando.
< < Non è entrato nessuno per l’intero giorno, vedrai che per mezz’ora non cambierà la situazione. Va a casa, hai sicuramente più da fare lì che qui. Non lo dirò a Madame > >
Beth mi abbracciò forte prima di andarsene, lasciando un improvviso vuoto nel negozio.
Tornai a sedermi sulle scale, mentre il disco ricominciava a riempire con le sue sottili note l’ambiente attorno a me.
Sfogliai il quotidiano di quel giorno, saltando appositamente tutte le notizie importanti ed arrivando a quelle più futili ma interessanti. Dopo una decina di minuti in cui ero immersa nella lettura dell’avventurosa vita di una nuova star del cinema, sentii il campanello della porta tintinnare.
Sbirciai dal corrimano delle scale, e quando vidi la sagoma del cappello militare il mio stomaco fece un balzo; senza pensarci su mi lisciai la gonna e ravvivai i capelli, scendendo i pochi gradini.
Nel momento in cui i nostri sguardi si incrociarono, il suo viso si aprì in un piccolo sorriso, uno di quelli che sembrava riservare il capitano ai suoi cadetti.
< < Andreas! Cosa ci fai qua? > > dissi, un po’ sorpresa.
< < Ciao Gerda > > disse, togliendosi il cappello e appoggiando il cappotto vicino alla porta d’entrata.
Quando si girò rimasi di stucco: quel giorno indossava una divisa nera, totalmente diversa da quelle che gli avevo visto fino a quel momento. Doveva essere una divisa da cerimonia, elegantissima e rifinita in maniera ottima. Indossava addirittura un paio di guanti bianchi.
< < Disturbo? > >
Feci segno di no con la testa, osservando come i suoi occhi sembrassero più chiari con la pioggia. Perché continuavo a perdermi dietro al suo fascino?
< < Volevo invitarti a teatro stasera. C’è la prima di un’opera e… ecco… > >
Lo vidi frugarsi nella tasche, come se stesse cercando qualcosa. Poi si fermò e rise, come se fosse imbarazzato.
< < Beh non me ne intendo molto di queste cose, perdonami, ma dovrebbe essere scritto sul giornale. A fine serata ci sarà anche un rinfresco, una specie di banchetto per gli invitati. Hai voglia di accompagnarmi? > >
Il mio cuore fece un doppio salto nel sentire quelle parole, tant’è che per qualche secondo rimasi in silenzio.
< < Forse te l’ho detto un po’ in ritardo, mi spiace, l’ho saputo anch’io all’ultimo… > >
< < È per questo che sei così elegante stasera? > > dissi, interrompendolo.
< < Si, dovevo indossare la divisa per i grandi incontri. Allora, potrai farmi compagnia stasera? > >
Abbassai lo sguardo, sorridendo: certo che avrei voluto, ma non ero vestita in maniera appropriata per una prima a teatro!
< < Sarebbe fantastico. Però dovrai aspettare un attimo, non posso venire così… > >
< < Puoi scegliere un vestito qui, no? > >
Già, quello che stavo pensando. L’avevo già fatto una volta, ma in questa occasione era diverso: c’era il rischio che la pioggia rovinasse il vestito, e quegli abiti non erano certo alla mia portata economica. D’altronde però l’alternativa sarebbe stata perdermi l’occasione di un’eccezionale prima a teatro, al suo fianco, al fianco di un bellissimo e importante soldato. Meglio che nelle più fervide fantasie, no?
Sapevo esattamente che vestito avrei preso: lo sognavo da mesi, da quando era entrato in quel negozio. Un semplice abito nero, a sirena, con un poco di strascico al dietro. Lo so che rischiavo, ma non potevo non provarci.
Tolsi il rossetto, e frugai tra i trucchi che avevo in borsetta; dopo una rapida sistemata mi osservai, e rimasi piacevolmente colpita dall’effetto semplice ed elegante.
Presi una delle pellicce bianche dagli armadi (se Madame lo sarebbe venuto a scoprire mi avrebbe uccisa per davvero) e fui pronta.
Quando uscii dal retro, una piccola parte di me si aspettava che Andreas dicesse qualcosa sul mio aspetto, invece vidi solo i suoi occhi squadrarmi, e nessun commento.
E fu così per tutta la serata.
In macchina chiacchierammo un po’, ma una volta scesi era come se fosse da un’altra parte; tutto era perfetto, luci, colori, persone, ma era come se io non ci fossi fisicamente.
Una volta dentro il magnifico teatro, Andreas si fermò a parlare con alcune persone, molte volte dimenticandosi di presentarmi; altre volte sembrava scordarsi completamente della mia esistenza.
Per noi erano stati prenotati due posti in galleria, quasi davanti al palcoscenico; mi sedetti, salutando cortesemente i nostri vicini, una coppia di anziani signori.
Dopo poco il brusio si spense, e le luci si abbassarono; cercai di concentrarmi sullo spettacolo, dimenticandomi del flop della serata.
Verso metà, mentre gli attori annunciavano una pausa, dissi ad Andreas che sarei andata a chiamare a casa, per rassicurare i miei genitori che avrei fatto tardi.
Lui fece un cenno, continuando a guardare insistentemente in un punto tra la platea.
Sospirai, sperando che la serata finisse presto.
Scesi le scale, tenendo il vestito tra le dita; cosa stavo facendo? Perché non me ne tornavo a casa e basta?
Aspettai a qualche metro di distanza dal telefono che un uomo che occupava in quel momento, arrovellandomi sui buoni motivi per cui non riuscivo a prendere le mie cose ed andarmene.
< < Signorina! Come ha trovato la prima parte dello spettacolo? > >
Mi girai sorpresa, notando l’uomo anziano che occupava il posto in galleria vicino al nostro. Sembrava un signore distinto, pieno di orgoglio e fierezza nello sguardo. Era strano da spiegare, ma si riuscivano a carpire molte sensazioni sul suo conto da un solo guizzo dei suoi brillanti occhi verdi.
< < Molto avvincente finora. Lei come l’ha trovato? > >
< < Estremamente coinvolgente. Hanno scelto degli interpreti eccezionali, non c’è di che dire > >
Annuii, un po’ in imbarazzo non sapendo nemmeno chi fosse quell’uomo.
< < Deve usare il telefono? > > chiesi, notando che qualcuno aveva già preso il mio posto.
< < No signorina > >
Lo vidi prendere una sigaretta dal taschino della elegante divisa nera, molto simile a quella di Andreas, ma piena zeppa di medaglie e nastri colorati. Immaginai fosse una specie di soldato in pensione, o qualcosa di simile.
< < Vuole favorire? > >
Mi porse una sigaretta, ed io la accettai volentieri.
< < Credo che nessuno ci abbia presentato: io sono l’ammiraglio Wilhelm Meyer > >
Mi porse la mano, ed io gliela strinsi delicatamente: all’improvviso mi sentii stupida per ignorare sempre le notizie importanti sui giornali o dalla radio. Doveva forse dirmi qualcosa quel nome?
< < Gerda Pfeiffer, signore. Sono… veramente lieta di fare la sua conoscenza > >
L’uomo non smetteva di fissarmi, ed in questo mi ricordò molto i modi di fare di Andreas.
< < Il telefono si è liberato > > disse, fermando con un gesto della mano un altro uomo che stava per soffiarmi il posto.
Lo ringraziai con un cenno del capo, pensando tra me e me che non esistevano più gli uomini di una volta.
Dall’altra parte della cornetta trovai sorprendentemente papà; non fu molto contento della notizia, ma dovette accettarla lo stesso.
Quando riagganciai, trovai l’ammiraglio che mi aspettava vicino alle scale; quando mi vide mi porse il braccio, invitandomi a salire con lui.
< < Non ho potuto notare che ha accompagnato il soldato Lehmann. Quel ragazzo è davvero sbadato qualche volta, non ci ha neanche presentato > >
< < Già > > risposi semplicemente.
< < È la prima volta che lo vedo accompagnato ad una donna. Devo dedurre che dev’essere una persona importante per lui se ha deciso di portarla con sé ad un evento del genere > >
Ci fermammo davanti alle entrate dei nostri posti, in attesa di una mia risposta.
< < Si… possiamo dire così. Le auguro una buona visione > >
Entrai nella stanzetta, salutando con più quanta cortesia possibile l’ammiraglio; quando aprii la porta trovai i posti vuoti. Rimasero così per quasi la metà del secondo tempo.
Per quanto mi sforzassi di cercarlo nel buio della sala, non riuscivo a scorgere il suo profilo in nessun luogo; poi all’improvviso, nel mezzo di un acuto strabiliante, la porta si aprì, mostrando la sua figura che si avvicinava.
< < Perdonami per il ritardo > > disse, sottovoce.
Sospirai a fondo, tamburellando nervosamente le dita sulle gambe incrociate; poi mi piegai leggermente verso di lui e gli dissi quello che pensavo.
< < Credevo saremo rimasti insieme stasera, non pensavo che sarei dovuta rimanere da sola in mezzo a un gruppo di milionari sconosciuti > >
< < Devo intrattenere rapporti di lavoro Gerda, non posso stare sempre con te > >
< < Lavoro, lavoro, sempre lavoro… io immaginavo… > >
Mi bloccai perché un cameriere entrò per portarci da bere; quando richiuse la porta continuai il mio discorso.
< < Pensavo tu fossi interessato a me in un’altra maniera. Non mi piace questo tira e molla Andreas > >
Lui mi ascoltò in silenzio, poi prese una mia mano tra le sue, stringendola forte.
< < Ti assicuro che non sto giocando. Lo so che è difficile per te, ma è difficile anche per me. Tutto quello che ti chiedo è di portare pazienza… riuscirò a trovare del tempo per stare assieme, te lo prometto > >
Le sue parole mi confortarono, mentre lo spettacolo ormai sembrava solo un rumore di sottofondo.
Sembrava sincero, ed io gli volevo credere, solamente che le parole di Lilian tornarono a bussare nella mia mente. Presi il coraggio a due mani, e glielo dissi.
< < C’è una cosa che ti devo dire… > >
Mi schiarii la voce prima di continuare.
< < Sono venuta a sapere che frequenti il Salone Kitty. Prima che pensi che io ti stia seguendo, me l’ha detto una mia amica. Che frequenta quel tuo amico Stephan. Io non voglio giudicarti, ma vorrei sapere se è vero > >
Andreas si girò verso di me, guardandomi con un’espressione che mi mise paura.
< < Stephan ha detto che frequento il Salone Kitty? > >
Mi morsi la lingua per la mia impulsività, avrei dovuto farmi semplicemente i fatti miei; in fin dei conti non ero né la sua fidanzata né sua moglie.
< < Si… > >
< < Hai chiesto informazioni su di me a lui? > >
Spalancai gli occhi.
< < No, no!… io non c’ero quando lui l’ha detto > >
< < E allora com’è andata? > >
< < Lui e lei hanno… passato la notte assieme. Lei deve avergli chiesto qualcosa su di te, e lui le ha detto quello. Niente di più > >
Vidi la linea della sua mascella delinearsi a tratti, segno che probabilmente era nervoso.
< < Se vuoi sapere qualcosa su di me, basta che me lo chiedi. E per la cronaca si, è vero che ci sono andato al Kitty. Ma devi credermi se ti dico che è stato solo per lavoro. Ora per favore non voglio più parlare di questo argomento > >
Chiuse la conversazione con un tono talmente risoluto, che non ebbi il coraggio di chiedergli altro. Possibile che tutta la sua vita girasse sempre e solo intorno al suo lavoro?
  
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