Fratello Alessandro non
riusciva a capire quale fosse il motivo di tanta ostilità nei suoi
confronti da
parte di quel frate straniero.
Se non fosse stato per la sua
padronanza di se e i suoi modi gentili, seppur qualche volta in
contraddizione
con i suoi nudi e crudi pensieri, avrebbe già mandato Dio sa dove quel
frate da
strapazzo, burbero e per niente alla mano. Tuttavia, una profonda
curiosità e
un alone troppo spesso di mistero lo spingevano ad avvicinarsi sempre
più a
quella figura incappucciata che adesso giaceva immobile nel banchetto,
dal
quale proveniva solo il rumore di un respiro irregolare.
Il bel frate moro si avvicinò
cautamente, sapendo che l’umore di fratello Adriano poteva cambiare da
un
momento all’altro. Si aspettava infatti di vederlo alzarsi e tentare di
scappare come sempre.
E quando il frate si accinse
a fare quello che lui si aspettava, non si fece cogliere impreparato.
Si mise
davanti alla porta, bloccando l’uscita.
Adriano, poteva sentirlo, tremava
leggermente, e quando parlò, la sua voce non uscì tagliente e dura come
sempre,
ma più debole. Quasi come se fosse… indifesa. Violata.
-Lasciatemi passare- disse il frate
straniero, cercando di aprirsi
un varco senza però mai sfiorare il suo compagno.
Alessandro, che si era
intestardito a cavargli dalla bocca il motivo di tanto astio, cedette
all’impulsività e fece una cosa che rimase di stucco soprattutto se
stesso, per
primo. Chiuse la porta della cappella, sbarrandola con l’asse di legno,
che
sollevò come se fosse una piuma.
-Adesso sarai costretto ad ascoltarmi Adriano-
cominciò avendo già
la vittoria nel cuore. Era assolutamente intenzionato ad approfittare
di quel
momento di debolezza del frate, deciso a saziare la sua curiosità a
qualunque
costo.
Bea si sentiva malissimo. Aveva
appena scoperto che il motivo per cui erano state costrette a fare una
vita da
fuggiasche era ritornato. Più forte e spietato di prima.
Pur cercando di calmarsi, non
riusciva a smettere di tremare violentemente, anche se all’apparenza
poteva
sembrare che fosse solo un leggero tremito.
E, come se non bastasse, i
tentativi di interrogatorio da parte del frate moro davanti a lei non
erano
finiti. Solo guardandolo, Bea aveva capito che questa volta era davvero
intenzionato a scoprire tutto, a partire dal motivo per cui lei e sua
cognata
erano li e finire al motivo per cui erano tanto asociali, come dicevano
loro. E
lei, in questo momento, si sentiva vulnerabile e terribilmente esposta,
e aveva
paura che qualsiasi parola o gesto avrebbe potuto tradirla.
Invano aveva cercato di
aprirsi un varco ed andarsene, senza affrontare quel frate con cui lei
era
sempre stata fredda e diretta, ma non ci era riuscita.
Lui l’aveva in trappola.
Arresasi ormai alla
situazione, si schiarì la gola e cercò di parlare con voce calma e
limpida, senza
successo. Risultava ancora scossa dallo shock di poco prima.
-Per oggi farò un eccezione solo perché non
sono in vena di polemiche
fratello Alessandro. Spero che arriviate al punto senza dilungarvi molto-gli
disse con lo sguardo incollato al suo mento.
Quello, turbato evidentemente
dalla sua inaspettata disponibilità, si passò una mano tra i capelli
arruffati,
diffondendo nell’aria un forte odore, un odore muschiato. Poi parlò.
-Perché stai tremando?-fu la prima domanda
che pose.
Bea si paralizzò. Si
aspettava tutto, fuorchè che lui notasse il suo stato d’animo.
Deglutì silenziosamente, scegliendo
con cura le parole per formulare una risposta che potesse toglierlo di
torno alla
svelta.
-Mi sento accaldato, dovrò avere la febbre.
Gradirei andare a riposare
per non aggravarmi di più- rispose lei con voce più ferma. -Se voi vi
decideste a lasciarmi passare, ovviamente-
finì con una nota di sarcasmo.
Fece per girargli intorno ma
il frate la bloccò con una presa forte e salda. Bea si morse la lingua,
cercando
di non pensare ai lividi che sarebbero comparsi sulla sua pelle
delicata, bianca
più della neve.
-Lascia che ti aiuti. Riesco a capire quando
qualcuno ha la febbre-disse
avvicinandola a se.
Con molta calma, il frate
cominciò a spostare il cappuccio, scoprendo la fronte della ragazza.
Poi, poggiò delicatamente le
sue labbra carnose sulla fronte di lei.
Bea aveva lo sguardo
incollato al pavimento, incapace di muoversi e anche di respirare.
Aveva paura
di svenire da un momento all’altro per l’accumularsi di emozioni
contrastanti, pregando
che i suoi riccioli ribelli rimanessero al loro posto, senza muoversi
nemmeno
di un millimetro.
Quando Luca afferrò il
cappuccio con l’intenzione di scoprirle il viso, a Ines si fermò il
cuore. Si
malediceva con tutta se stessa per essere stata così stupida a non
essere
andata via subito quando ancora poteva, rimpiangendo quella parte di
lei che
l’aveva obbligata a rimanere.
Un senso di terrore la pervase,
al pensiero di quello che aspettava non solo a lei, ma anche a sua
cognata, la
forte e coraggiosa Bea che si era presa cura di lei e che si era sempre
raccomandata la discrezione e l’attenzione fin dal loro arrivo nel
monastero.
E lei, invece, cosa aveva
fatto?
Aveva rovinato tutto.
E aveva tradito la sua
fiducia, dimostrandosi una bambina vittima delle passioni umane.
Bea, pensò, perdonami...
Un rumore sordo le fece
aprire gli occhi. Luca si era allontanato, guardando un punto fisso sul
pavimento con occhi sbarrati. Ines seguì il suo sguardo, curiosa ma
anche
sollevata che la tragedia che aveva temuto non fosse accaduta.
Sul pavimento, leggiadro e aggraziato
come il più bello degli animali, giaceva un gatto. Era nero come la
notte e con
un espressione particolare. Ma non fu questo che le fece raggelare il
sangue. Gli
occhi dell’animale erano rossi come il sangue.
-Il male è tra noi…- disse
Luca, in un sussurro quasi inudibile.
Ines trasalì e si girò verso
di lui. -Cosa… cosa hai detto?- gli
chiese alzando un po’ la voce.
Lui la guardò, non accorgendosi
che il cappuccio era stato messo a posto. I suoi occhi, verdi come
foglie di
quercia, erano spalancati, le pupille dilatate.
-Il male è in agguato… ci osserva…- finì lui,
indicando la bestia
nera ai suoi piedi.
Ines ebbe giusto il tempo di
vederlo farsi il segno della croce, che il frate biondo sparì, seguito
dal
gatto che si perse nell’ombra.
Alessandro si stava beando
totalmente del calore che il corpo di quel frate straniero emanava. La
fronte, liscia
e senza nessun segno, scottava tantissimo e sicuramente Adriano aveva
la
febbre. Tuttavia non riusciva a staccarsi, pensando che quella era la
prima
volta che loro due non litigavano, e questo lo rincuorava. Allora non
era cosi
burbero come voleva dare a vedere. E ne era felice.
Dopo tutti gli sforzi che lui
e Luca avevano fatto per avvicinare quei due, finalmente erano stati
ripagati. In
quel momento, desiderava dimostrare a Samuel che si era sempre
sbagliato sul
loro conto.
Non riusciva però a capire come
mai Adriano si tenesse lontano con le mani poggiate sul suo torace,
quasi
avesse vergogna. Non che avesse torto.
Se qualcuno li avesse visti
in quegli atteggiamenti, avrebbe sicuramente frainteso.
E
allora perché a lui non importava?
Mentre pensava che
probabilmente stava diventando pazzo, la voce del frate straniero lo
ridestò, distogliendolo
dai suoi pensieri.
-Adesso potreste lasciarmi se non vi dispiace?-
disse,
allontanandosi appena lui allentò la presa. Sembrava imbarazzato ma non
arrabbiato.
-Dovresti andare a riposare. Credo che tu
abbia la febbre alta e…- ma
non riuscì a finire la frase. Luca apparve correndo e lo guardava con
occhi
sbarrati.
-Alessandro… vieni.. subito…- disse al frate
di fronte a lui e, prendendolo
per il saio, lo trascinò dietro di se, con una foga tale che quasi lo
fece
cadere a terra.
Quando i due sparirono dietro
l’angolo, Bea fu sopraffatta dal terrore.
-Ines!- urlò, correndo verso la loro cella.
-Luca, si può sapere che hai?- ansimò
Alessandro, seduto sul suo
letto, in cella.
Guardava senza capire il
frate biondo dagli occhi verdi, ancora spalancati, quasi volessero
fuoriuscire
dalla orbite. Sembrava paralizzato e sotto shock.
Il frate moro si alzò e lo
strattonò, facendosi guardare . -Allora?-
gli chiese di nuovo, impaziente.
Facendo un respiro profondo, Luca
si decise a parlare. -Succederà qualcosa
di terribile, come l’ultima volta- disse tutto d’un fiato.
Alessandro non capì e si
chiese se per caso il sole avesse dato alla testa al suo coinquilino.
Ma quello
sembrava essere convinto al cento per cento delle sue parole.
-Luca, spiegati meglio per favore, perché non
ci sto capendo un bel
niente-continuò lui, esasperato. La verità era che gli dava fastidio
che il
suo amico lo avesse interrotto con fratello Adriano.
Mettendosi le mani nei
capelli come a volerli strappare, Luca lo guardò con il terrore negli
occhi. E
fu proprio quando Alessandro fece per andarsene che la disse. Una
parola che
risvegliò in lui la tragedia di pochi anni prima, l’asilo che erano
stati
costretti a chiedere per non essere impiccati.
Gatto.
Sassari,Sardegna,15 luglio
1455.
Quell’estate non era mai stata
cosi afosa e
soleggiata. I giovani loro compagni si davano alla bella vita, come
qualsiasi
uomo che si rispettasse: un buon banchetto, belle donne, ricchezza.
Alessandro Castro e Luca
Serrano non avevano niente da
invidiare agli altri giovani. Il primo, capelli neri e occhi profondi
più della
notte, era il discendente di una delle più potenti famiglie siciliane
e, come
lo zio, possedeva un’indole forte e schietta, un innato coraggio e un
utile
autocontrollo; il secondo, invece, era l’opposto del primo, biondo con
gli
occhi verde scuro, dal carattere riservato.
Entrambi si erano conosciuti
ad un torneo a cui
parteciparono i più abili cavalieri della provincia.
Quando Alessandro aveva vinto,
Luca, senza rancore, si
era congratulato.
Dopo aver pranzato insieme e
dopo che il signorino
Serrano fu ospite per due mesi dei Castro, i due ragazzi si
consideravano l’un
l’altro come due fratelli.
In occasione di quella
particolare stagione, i due
decisero di riservare le loro attenzioni alla Sardegna, la patria del
sole e
delle belle donne.
Le prime settimane erano
trascorse nel migliore dei
modi e Alessandro, il più espansivo dei due, aveva conosciuto la
bellissima
figlia del conte Delussu, uomo burbero e gelosissimo.
I due giovani si vedevano in
segreto ogni settimana, approfittando
che il conte avesse ogni giorno un impegno diverso.
Luca, dal canto suo, passava
le giornate all’aria
aperta, allenando il suo giovane corpo al combattimento nel giardino
della
famiglia Delussu mentre i due ragazzi coltivavano il loro amore. Fu
allora che
Luca lo vide: un gatto nero come la notte, occhi rossi come il fuoco.
Lui lo guardò, pensando a
quanto fosse bizzarra quella
bestia, e riprese ad allenarsi senza pensarci più di tanto. Ma fu
quello il suo
errore.
Il 15 luglio doveva tenersi
un’importante battuta di
caccia, guidata dal conte in persona, e la figlia, Erika, non aspettava
momento
migliore.
Mandò la sua serva da
Alessandro e gli diede
appuntamento nelle sue stanze, quella mattina.
Entrambi fremevano di aversi
come sempre ma un’amara
sorpresa li attendeva dietro l’angolo. La stessa serva, che sapeva da
settimane
degli incontri segreti dei due giovani, li aveva traditi.
Alessandro, ancora ignaro,
aveva raccontato all’amico
di quanto fosse innamorato e di quanto desiderasse sposare quella
giovane di
ricca famiglia, bellissima e dolce.
Ma non sapeva che la sua era
solo una facciata.
La ragazza infatti, messa alle
strette dal padre che
aveva scoperto che lei non era più vergine, era stata obbligata a
puntare il
dito contro qualcuno. E quel qualcuno era proprio il nobile discendente
dei
Castro.
Aveva confessato al padre di
essere stata vittima del
nobile Alessandro Castro, che il bel giovane l’aveva sedotta contro la
sua
volontà e la serva, senza vergogna della vile menzogna appena detta,
appoggiò
la versione della sua padrona, sperando, in quel modo, di rimediare
all’errore
commesso poco prima. Anche il giovane Luca Serrano era a conoscenza
della
storia ma aveva minacciato di ucciderle se mai ne avessero fatto parola.
Il conte, infuriato, andò da
solo a cercare i giovani
che, saputa la storia, in un attacco d’ira ma, più che altro, di
disperazione,
avendo paura che ciò potesse gravare sulla loro reputazione e sui loro
regni, lo
uccisero.
Spaventati dalle possibili
conseguenze e per paura di
essere impiccati per aver ucciso il più ricco e famoso signorotto della
provincia, partirono nella notte facendo un voto: si sarebbero
rinchiusi in
monastero, lasciandosi alle spalle tutta questa storia, sperando di
dimenticarla.
Ma Luca non dimenticò mai il
gatto, neanche dopo
averlo detto al giovane Castro.
Quegli occhi di
fuoco rimasero impressi nella sua
mente.
NOTE DELL'AUTRICE
Salve a tutti!
Mi scuso enormemente per il ritardo ma i vari impegni con il lavoro e l'università mi portano via il tempo e mi rovinano la vita sociale.
Spero che qualcuno di voi mi lasci un commento col proprio parere, mi farebbe piacere!
A presto
LeLe_Sun
ps: questa è la mia pagina facebook, per chi volesse passare ¤Simply your dreamer LeLe_Sun¤