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Autore: alaskainblack    06/06/2015    2 recensioni
[Vecchia Versione]
Claire vive la vita come le viene proposta, senza lamentarsi ma limitandosi a imporre la sua personalità da tredicenne acuta e brillante senza aspettarsi troppo dagli altri.
La sua vita è monotona, non succede mai nulla di particolare se non è lei a farlo accadere, fino a quando non incontra James, un ragazzo conosciuto una sera piovosa al parco, con lui Claire imparerà a divertirsi senza stravolgere la sua personalità e amare senza sentirsi banale.
Dal Capitolo 1:
- Vuoi un accendino? – mi chiese improvvisamente un ragazzo dai capelli neri impiastrati dalla pioggia.
- Io, non fumo – dissi con un sorriso e questo mi guardò per un attimo stranito, poi il volto gli si illuminò.
- Cos’è? Una metafora? – chiese.
- Non sono Augustus Waters – replicai io facendo spuntare un sorriso sul volto del ragazzo.
Dal Capitolo 27:
- Non sempre l'amore che riceviamo è quello che vorremmo, ma questo non significa che sia amore - sospirai io.
- E questo cosa dovrebbe significare? - chiese Stefan con un faccia tra lo sconvolto e l'inorridito.
Storsi le labbra - Era solo un modo gentile per friendzonarti - strinsi le spalle, ora mi guardava a bocca aperta.
AVVISO: Continui riferimenti a Harry Potter
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Annoying Parents
 
- Per favore Claire, cerca di essere gentile con i tuoi cugini – mi disse mio padre mentre il taxi sfrecciava nelle vie di quella città priva di personalità.
- Non ti prometto nulla – lo avvisai io, tanto, che lui lo volesse o meno, prima o poi sarei comunque diventata la solita Claire asociale, sociopatica e che ti sbatte le cose in faccia senza un minimo di contegno, e a me andava bene così, era meglio che la gente non si facesse troppe aspettative su di me, adoravo il mio carattere, perché cambiarlo per dei babbani?
Lui sbuffò – Adesso che abbiamo cambiato città puoi rifarti una vita, ti possono vedere da un punto di vista diverso le persone – mi incoraggiava a cambiare ed essere più normale, e il messaggio subliminale che si nascondeva tra le sue parole era che dovevo cercare di non sembrare anormale davanti a tutta la sua famiglia perfetta.
- Ma io non voglio cambiare – gli dissi, forse il concetto non lo aveva ancora afferrato.
Dopo la mia frase si scoraggiò e rimase in silenzio per il resto del tragitto.
Boston era calda e luminosa, sebbene fosse notte, e per questo motivo appena scesa dall’aereo avevo già iniziato a detestarla, e, sebbene mio padre mi avesse detto più volte di togliermi la felpa io mi ero rifiutata, solo perché c’erano 30° non significava che dovevo abbandonare i miei adorati abiti pesanti.
Guardai Joanne seduta accanto a me, che a sua volta si guardava intorno schifata quanto me, era anche visibilmente stanca, di sicuro odiava i viaggi o forse solo per il caldo di quella giornata.
Quando il taxi si fermò dopo varie miglia ci ritrovammo davanti ad una casa di medie dimensioni e anche piuttosto brutta.
Era su tre piani, l’erba del minuscolo giardino era secca, i cespugli erano privi di qualsiasi tipologia di fiore, il colore azzurro dei mattoni si stava scolorendo.
La casa era in perfetto stile americano, senza alcun tipo di decorazione, o cura, lineare e semplice, ovvero molto noiosa.
Mio padre la guardò sorridente, io no.
Lui si avvicinò verso l’entrata e senza esitare iniziò a scampanellare allegramente, dopo pochi secondi una donna anziana dai capelli rosso acceso, mia nonna.
Non fece in tempo ad abbracciare mia madre che mi sovrastò abbracciandomi, poi si mise a dire le solite cose – Ma come ti sei fatta grande! –
Ovviamente ero cresciuta, l’ultima volta che mi aveva vista avevo otto anni, ma la lasciai fare e mi limitai a salutarla, a lei sembrò bastare.
- Forza entrate! – sospirò eccitata – Abbiamo aspettato solo voi per la cena – il che era strano poiché erano le undici, e tutti sanno che la cena si fa al massimo alle sette di sera, ma gli americani erano tutti sballati.
Varcai la soglia della casa con aria sospettosa, superai lo zerbino e mi chiusi la porta alle spalle, sembrava che avessero messo dell’aria condizionata, primo lato positivo, il freddo mi ricordava Londra.
Prima di arrivare in salotto attraversammo qualche corridoio monotono, alla fine del breve tour mia nonna mi portò nel salotto dove una massa informe di parenti dall’aspetto poco sano stavano mangiando allegramente il cibo spazzatura adagiato sul tavolo.
Dopo aver ascoltato i complimenti di ogni singolo parente, compresi i miei adorabili cugini, potei sedermi a tavola dove decisi che avrei mangiato solo ed esclusivamente l’insalata, non avevo intenzioni di farmi contaminare da hamburger, volevo rimanere inglese nell’anima almeno.
Ovviamente quei nuovi parenti non mi conoscevano e non immaginavano quanto odiassi le domande quando non ero io a voler parlare, ovvero praticamente mai.
- Com’è stato il viaggio? – mi chiese una donna dai capelli platinati che non avevo mai visto prima.
Feci spallucce, per fortuna mio padre si mise subito a raccontare dettaglio per dettaglio, così io potevo stare in silenzio.
Appena finita la cena, con la scusa di essere stanca, e dopo essermi fatta mostrare la camera, che era una semplice cameretta dai colori sul verde in stile classico, mi gettai sulla scrivania per scrivere a James: aspettavo da tutto il giorno quel momento.
 
Caro James,
Odio iniziare le lettere con Caro ma non importa.
Allora, qui fa schifo, non riesco a credere di aver accettato di vivere in simili condizioni di vita.
Tra qualche mese credo che mi costringeranno a mangiare in uno di quei posti che servono unicamente cibo spazzatura.
Qui hanno tutti i capelli tinti, e si vestono in modo kitch, per non parlare del terribile accento americano.
A questo posto servirebbe un po’ di Harry Potter.
Spero tu stia meglio di me, anzi ne sono sicura, non so quanto sopravvivrò, speriamo che la mia lettera per Hogwarts quest’anno arrivi presto, non ci resisto qui.
So che non abbiamo nulla di cui parlare per ora, però tu ti prego dimmi un po’ cosa succede a Londra.
Comunque Joanne sta bene, forse anche meglio di me.
Rispondimi in fretta, mi annoio.
 
Claire Granger
 
- A chi stai scrivendo? – mi chiese mia cugina, io non le risposi, non mi ricordavo nemmeno come si chiamasse.
Lei incrociò le braccia un po’ offesa, non sperava certo di conquistare la mia confidenza così in fretta.
- Spero la camera ti piaccia – mi disse con un sorriso, e mi chiesi perchè fosse gentile con me se io ero stata così distaccata, strana razza quella americana – Se vuoi domani usciamo e ti faccio vedere il quartiere o conoscere qualcuno –
Risposi con una scrollata di spalle, in realtà non mi andava per nulla.
- Comunque Buonanotte – mi disse sistemandosi i capelli biondi in una coda alta.
- Buonanotte – le dissi, dopodiché mi infilai nel letto e chiusi gli occhi fingendo di essere ancora a casa mia, ma era inutile, faceva troppo caldo, maledetta Boston.


 
 
ANGOLO AUTRICE:
Bene, spero qualcuno dei miei vecchi lettori ancora si ricordi dell'esistenza di questa storia, se si vi prego di recensire perchè mi sento sola hahah
A chi la stesse leggendo quest'estate ho in programma di arrivare a metà se non oltre.
Poi nulla, questa volta aggiorno più presto, alla prossima.


Gisele 
 
  
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