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Autore: Manto    06/06/2015    5 recensioni
"Lui si chinò verso di me, e io indietreggiai.
Le sue mani erano ancora sporche del sangue di mio padre.
Con quelle mani, mi prese il volto, me lo alzò.
Lo fissai, il gigante che chiamavano Aiace, cercando di apparire coraggiosa.
Vidi i suoi occhi cangianti, ne rimasi rapita.
La mia sete di vendetta, i miei impulsi suicidi si sfaldarono, sotto la forza di qualcosa che ancora non potevo capire."
Frigia, al tempo della grande Guerra di Troia.
Da una parte la giovane Tecmessa, principessa di un regno ridotto in cenere, prigioniera di un terribile nemico venuto dal Grande Mare; dall'altra, Aiace Telamonio, campione dell'esercito greco con la sofferenza nel nome, dall'aspetto di un gigante e dal coraggio di un leone.
Un solo sguardo, e una forza più grande della guerra stessa giocherà con i loro destini, portandoli all'immortalità.
Ispirato alla bellissima tragedia "Aiace" di Sofocle, il personale omaggio a una delle coppie più belle, e purtroppo poco conosciute, della mitologia greca.
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lime, Missing Moments | Avvertimenti: Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Immortali'
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V - Nelle Braccia del Fuoco




In Guerra non ci sono vinti, né vincitori; l'unica a vincere è Lei.
Per noi due è stato diverso: noi siamo stati vinti dal più dolce e crudele dei re.



Fuggirono spaventati i maestosi cavalli di mio padre, travolgendo e uccidendo chiunque incontrassero sulla loro corsa. Otreo ne fermò uno, montò sul suo dorso.
Mi tese la mano, ma io mi ritrassi. “No”, dissi, spingendo avanti Tealissa.
Vidi gli occhi del mio amato ingrandirsi, farsi ancora più neri. “No...”
“Sì, amore mio. Non c'è tempo da perdere.”
“Non andrò senza di te!”
“Lo farai! Se mi ami, lo farai!”
Otreo chiuse la bocca. Le lacrime riempirono i suoi occhi, e il mio cuore si spezzò una seconda volta.
Mi voltai quindi verso Tealissa, ma lei indietreggiò scuotendo il capo, in lacrime. “Non puoi fare questo.”
Le presi il volto tra le mani. “Devi scappare. Qui c'è solo dolore per te... ucciderebbero il tuo bambino”, mormorai, accarezzandole il ventre. “Tu non devi sopportare niente di tutto ciò.”
La ragazza crollò al suolo, in singhiozzi. Makros le comparve al fianco, la sollevò. Li guardai con dolcezza, cercando di non voltarmi verso Otreo e non fissare i suoi amati occhi.
Il giovane mi guardò, chinò il capo. “Io resterò con te, principessa. Mi hai salvato la vita una volta; ora tocca a me.”
Tealissa si aggrappò con violenza alle braccia del suo promesso. “No! Ti prego, no!”
Urla, nitriti, e la polvere che si alzava ricoprendo ogni cosa. Il nostro tempo stava per finire: di noi, nessuno sapeva che cosa ne sarebbe stato.
Makros strinse Tealissa a sé, le baciò la fronte. “Perdonami.”
Otreo chinò il capo, prese la ragazza per la vita, la pose davanti a sé sul cavallo. Ci scambiammo un ultimo sguardo carico di rimpianto, promesse e sogni, io e il mio impossibile amore; quindi lui lanciò l'animale al galoppo, per lasciare al più presto quella terra non più nostra.
Makros mi mise la mano sulla spalla. “Ora tocca a noi.”
Gliela strinsi. “Sì. Ora tocca a noi.”
Corremmo nel palazzo. I servi mi fecero passare, ed una volta entrata Makros chiuse la gigantesca porta alle mie spalle.

Nella sala del trono ascoltavo le urla dei vittoriosi e quelle dei morenti, il tonfo dei corpi che cadevano a terra.
Ma io... io non avrei atteso invano. Io, Tecmessa, unica figlia del re di Frigia, non ero più una principessa: ero una regina. E da tale sarei morta.
L'armatura che avevo indossato giaceva ai miei piedi; il pugnale di mio padre era tra le mie mani. Tremando me lo portai al cuore, e cercai di farmi coraggio.
Improvviso, terribile, un rombo, e il portale fu divelto.
Scattai in piedi e il pugnale mi scivolò dalle dita, cadde a terra con un tintinnio. Vidi il fuoco che cominciava a divorare il palazzo, e udii un nome riempire la sala e l'aria: “Aiace Telamonio! Aiace Telamonio!”
In mezzo a tutti, immobile, una gigantesca figura nera.
Brividi di terrore percorsero il mio corpo, ma non riuscivo a chiudere gli occhi, spostare lo sguardo da quel guerriero enorme celato dalle tenebre.
Poi lui avanzò, con calma; e come quando le nuvole si sfaldano nel cielo notturno e lasciano trasparire l'argentea Luna, lui apparve.
Era talmente grande che i bracieri più alti gli arrivavano solamente al petto; la pelle era bianca come se fosse fatta di neve, i suoi capelli erano morbidi riccioli di un rosso scurissimo e i suoi occhi recavano la luce del valore. In contrasto con la purezza dei suoi lineamenti, la sua armatura era imbrattata di sangue, come le sue grandi mani.
E a quel punto vidi qualcosa che mi raggelò: al suo polso stava un largo bracciale d'oro, con inciso un simbolo circolare. Era quello che aveva circondato, per anni, il polso del re Teleuta.
Mi trovavo davanti all'assassino di mio padre.

Ricorderò sempre cosa provai quando lui posò lo sguardo su di me. I suoi occhi si illuminarono, e la spada gli scivolò di mano, cadde quasi senza fare rumore.
Si inginocchiò davanti a me, e per un tempo interminabile non lo sentii respirare.
Restammo a guardarci per un tempo lunghissimo: poi lui si alzò e si chinò verso di me, e io indietreggiai.
Le sue mani erano ancora sporche del sangue di mio padre.
Con quelle mani mi prese il volto, me lo alzò. Lo fissai, il gigante che chiamavano Aiace, cercando di apparire coraggiosa.
Vidi i suoi occhi cangianti, ne rimasi rapita. La mia sete di vendetta, i miei impulsi suicidi si sfaldarono sotto la forza di qualcosa che ancora non potevo capire.
Mi prese tra le braccia, mi sollevò. Affondò il viso nei miei capelli e chiuse gli occhi.
Qualcosa, nel mio animo, si mosse. Era ancora troppo presto, per capire.
Si girò, passò sopra il portale, mi portò fuori dal palazzo. I soldati ammutolirono quando lui apparve sulla soglia; poi le loro voci esplosero in un'ovazione. “Aiace Telamonio! Aiace Telamonio!”, urlavano.
Io chiusi gli occhi e nascosi il volto contro la sua spalla, per non vedere. Lui mi baciò sulla fronte e mi disse quelle parole, che non udii mai da nessun altro. “Io ho conquistato il tuo regno; ma tu hai conquistato il mio cuore. E io non posso, né voglio, riprendermelo.
Tu sarai la mia regina.”
Questo fu ciò che mi diedero gli Dèi.
Sangue.
Lacrime.
Urla.
E infine, prima che le tenebre mi potessero prendere e cancellare, la luce dei tuoi occhi.

   
 
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