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Autore: solomonty    07/06/2015    2 recensioni
Una formula matematica per salvare il mondo.
Tre amici, l'università e un giuramento.
Oliver Queen farà la sua parte.
E che c’entra quel barbuto biondo col cane?
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Felicity Smoak, Oliver Queen
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
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Save the methematician, save the world



Mr. Queen, I suppose


Seduti al tavolo, i ragazzi stavano litigando su quanti punti avesse ottenuto Eric a Scarabeo.
Marty e Oliver avevano declinato l’invito a giocare con loro dopo aver sentito quali parole avrebbero usato. Quei termini così astrusi e complicati non avrebbero lasciato scampo al loro vocabolario “normale”.
Ollie raggiunse Martin in cucina.
“Mentre ero fuori con Eric ho avuto la sensazione che per strada ci fossero troppe macchine scure” disse a bassa voce.
“Se l’NSA avesse trovato Matt saremmo già stati arrestati tutti… conosco la procedura” lo tranquillizzò il detective “è un affare troppo grosso: non perderebbero neanche un minuto.”
“Bisognerebbe far sparire ogni traccia di Matt” continuò Oliver preoccupato “così che più nessuno possa cercarlo."
“È impossibile cassare qualcuno come lui, non al suo livello… il MIT, gli ex compagni, le sue pubblicazioni, il mandato del Governo per le formule” Marty scosse la testa “troppo, troppo complicato… comunque, il nostro piano di fuga è ben congeniato… andrà tutto bene.”
Oliver non riuscì a nascondere la sua preoccupazione nonostante le rassicurazioni del detective del LAPD e in quel momento prese la decisione di occuparsene da solo, a modo suo.

“Signori, domani abbiamo tanto da fare… direi che è ora di andare a riposare” disse Marty prendendo le sue cose dal mobile. Si scambiò un’occhiata con Eric che fece altrettanto.
“Che fai, te ne vai?” chiese Felicity e il tecnico annuì.
“È inutile stare tutti qui” spiegò, poi guardò gli altri “credo che alle sette e trenta andrà bene, che dite?” propose e gli altri, uno alla volta, approvarono.
Prima di uscire Marty si avvicinò a Matt.
“Lo so che sei la nostra star, ma… non ti lamentare e dormi sul divano, intesi?” gli sussurrò sottovoce con tono complice.
Matt lo guardò un po’ perplesso poi, dopo che Marty gli aveva fatto cenno con la testa, girò lo sguardo su Oliver e Felicity e si illuminò come folgorato.
“Ah, ok… sì sì” disse emozionato come se condividessero il più segreto dei segreti.
Marty alzò un sopracciglio, un po’ perplesso e si allontanò da lui scuotendo la testa.
“Secchioni” bofonchiò un po’ sfiduciato.
Eric, Martin e Monty lasciarono l’appartamento di Santa Monica dopo aver salutato.
 
Camminarono per almeno un chilometro e poi salirono su un taxi.
Eric era piuttosto provato e stanco.
“Coraggio, Beale, è quasi finita” lo incoraggiò il collega.
Il ragazzo si passò la mano a stropicciarsi la nuca; “voglio Matthew al sicuro, voglio che possa rifarsi una vita… che possa avere e fare tutto quello che vuole” disse con un filo di voce.
“Così sarà; voi tre ve lo meritate… sta tranquillo, entro settantadue ore, quello che avete sempre sperato si avvererà.” Le parole del detective erano ferme, serie ed Eric, guardandolo, si convinse. Marty Deeks era quello che sparava battute, felici o meno, e a non conoscerlo potevi pensare che fosse un superficiale ma Eric lo conosceva, il suo collega, lo conosceva abbastanza da sapere che avrebbe fatto di tutto per aiutarli.
“Felicity ha conquistato anche te, non è così?” gli chiese e l'altro rise allegro.
“Mi avete conquistato tutti e tre, geniaccio, e ho una gran voglia di andare dalla tua amichetta genietta Nay-Nay e dirle quanto sei fico” si complimentò.
L'appuntamento era per l’indomani alle sette e Martin aspettò di vedere il giovane entrare nel proprio appartamento prima di ripartire.
Così gli portiamo la colazione, a quei tre, gli aveva detto e Eric, contento e stanco l’aveva salutato con un cenno della mano.

Marty si piazzò con la Chevy, recuperata vicino alla spiaggia, fuori casa di Max Gentry ad aspettare.
Aveva notato che Oliver e Felicity si erano passati un piccolo oggetto e lui, guidato dal proprio istinto e dall’esperienza, aveva subodorato qualcosa.
Quando mai ti sbagli? si chiese guardando Oliver salire sull’auto che aveva noleggiato.
Lo seguì a debita distanza e non si stupì più di tanto quando lo vide parcheggiare in prossimità del vicolo adiacente all’ingresso principale degli uffici governativi dell’NSA, sezione L.A.
“Che diavolo combini, ragazzo?” grugnì a voce alta, preoccupato.
Si preoccupò maggiormente (e si stupì) quando, arrivato al vicolo, si accorse che Oliver non c’era già più.
Cavolo, se sei svelto! Commentò tra sé, spingendo l’unica porta in ferro che c’era in quel vicolo: Oliver l’aveva lasciata accostata.
Scese e salì vari gradini, girò a destra poi a sinistra, in un percorso obbligato: quella doveva essere una delle uscite di sicurezza dell’edificio governativo.
Con curiosità crescente, aveva notato che Ollie aveva “schermato” le varie telecamere lungo il passaggio. Il rilevatore, che Eric gli aveva dato mesi addietro, gli confermò che tutte le telecamere dell’edificio erano in loop, così che chiunque si fosse mosso al suo interno sarebbe risultato invisibile.
Sceso in un locale spazioso, una via di mezzo tra uno scantinato e un garage, notò un borsone a terra.
Monty lo annusò e mosse la coda contento; Martin gli passò una mano sulla testa e gli fece segno di stare zitto.
La cosa si faceva interessante: cosa era andato a fare lì, Oliver?

Arrow distese le labbra in un sorriso: chissà perché, gli era venuto in mente che Felicity avrebbe apprezzato quanto la sua tutina verde stesse bene con il crema e l’arancione degli uffici dell’NSA.
Svelto scaricò tutto quello che riguardava Matt sulla pennetta che Felicity gli aveva preparato: con la storia che parte dei documenti della Sicurezza Nazionale erano in intranet, non era semplice avere accesso ai file secretati.
Finito il download, sul desktop si aprì una finestra: scarica Arrow? Sì, No.
“Ma certo, signori… così imparate a dar fastidio alla mia ragazza!” sibilò Ollie e cliccò sul “sì”.
Aveva chiesto a Felicity di preparare un programmino che facesse impazzire quelli dell’NSA, ogni volta che avessero aperto i file di Matt, mandandoli in giro random per il net.
Questa storia lo aveva preso parecchio, soprattutto perché si era sentito come inadeguato: aveva sempre fatto tutto quello che poteva, per la giustizia, eppure non aveva fatto nulla per Felicity e non poteva sopportarlo.
Tirò via la pen drive e si avviò verso le scale.
Sapeva che quello che stava per fare avrebbe allertato l’ufficio ma non gli importò. Scoccò una freccia sul sigillo che campeggiava sulla parete all’uscita dagli ascensori del quarto piano, quello informatico.
Ci avrebbero messo ore a capire il perché la sua freccia si trovasse lì e loro cinque sarebbero stati ormai al sicuro.
Scese le scale di servizio facendo all’inverso il percorso di poco prima.
Arrivato allo scantinato, restò sorpreso perché il borsone non era dove lo aveva lasciato. Si fermò per un attimo e perplesso si guardò intorno: non lo vedeva da nessuna parte. Dov’era finito il borsone con i vestiti? Chi l’aveva preso? Eppure era certo che nessuno l’avesse seguito.
“E adesso?” domandò all’aria.
Dalle scale che aveva accanto vide volare il suo borsone che gli atterrò vicino ai piedi.
“Cercavi questo?” chiese Martin Deeks scendendo i gradini e rendendosi visibile.
Monty lo superò e felice andò incontro ad Arrow saltandogli addosso per fargli le feste.
Con una mano in tasca e l’altra a indicarlo, Marty sorrise. “Il signor Queen, suppongo” mormorò.
Oliver buttò fuori l’aria un po’ contrariato. Non più di tanto, tutto sommato: l’entusiasmo di Monty metteva il buonumore!
Con click quasi impercettibili l’arco si ripiegò su se stesso e Arrow tirò giù il cappuccio; i due uomini si guardarono restando in silenzio.
Oliver non avrebbe potuto dire che gli scocciasse di essere stato smascherato; quei due gli piacevano anche se preferiva il cane al detective: Monty era molto affettuoso con lui mentre Martin era (un po’) troppo affettuoso con Felicity!

“Pensavo di essere stato attento” disse Oliver stirando un po’ le labbra.
“Sicuramente lo sei stato… ma ho un po’ di esperienza” lo tranquillizzò il detective facendo segno con le dita a misurare quel “po’”.
“Perché mi hai seguito, è successo qualcosa?”
“No, ma sono un detective… è più forte di me” quasi si scusò.
“Il tuo fiuto sarebbe molto utile a Starling… ah, Star… City!” disse Ollie con una punta di nervoso.
“Non ti piace come Ray Palmer ha ribattezzato la tua città?”
“Non molto.”
“Non ti piace Ray Palmer, molto…”
Oliver fece un gesto come a lasciar stare. Non gli andava giù, Ray Palmer: corteggiava Felicity e lui, nella posizione in cui si era messo con lei, non poteva accampare nessun diritto.
“Non importa, è solo un nome” disse.
Martin Deeks lo guardò, storcendo un po’ il collo. Stentava a credere ai propri occhi: lui amava i supereroi, tantissimo ed era incredibile trovarsene uno di fronte.
“È la tua città, sei il suo eroe… dovresti darglielo tu il nome” disse con enfasi, poi alzò le spalle “so delle tue imprese” e la sua voce era piena d’ammirazione.
Arrow accennò un sorriso e scosse un po’ la testa; “non sono un eroe” modulò a voce bassa.
“Sì che lo sei… fai cose incredibili e sei uno dei buoni!” Marty gli parlò sopra, eccitato.
“Quella è la parte facile… fare la cosa giusta, combattere il male… belle cose, aiutano” soffiò che sembrava parlare a se stesso. Si tirò via la mascherina e la rigirò tra le dita.
“Dove finisce Oliver Queen e comincia Arrow, con tutti gli annessi e connessi? È questa la domanda che vale la tua vita, non è così?”gli chiese il detective muovendo la testa verso di lui; “tu chi sei: Arrow o Oliver?” lo pungolò ancora.
L’arciere alzò le sopracciglia e annuì; “e tu chi sei? Martin Deeks o Max Gentry?” gli ribaltò la domanda lasciandogli intendere che se la stava godendo un mondo a metterlo in difficoltà.
Marty arricciò le labbra, incuriosito; “che ne sai?”
“Non sono un detective ma so aprire un cassetto e leggere l’intestatario di una bolletta” disse “e non so perché, ma dentro quella casa ti ci muovi come fosse tua… e certamente è casa di Monty” continuò e indicò il cane.
“Che scemo, dovevo mettere via quella bolletta e me ne sono dimenticato e comunque… Monty, la colpa è tua!” e anche lui indicò il proprio cane che li guardava e scodinzolava contento.
L’uomo con i ciuffi guardò quello con i capelli corti e nonostante stesse sorridendo, i suoi occhi tradivano una certa inquietudine.
“Io sono entrambi… farei volentieri a meno di Max ma è parte di me, è il mio buio, è l’orribile certezza di quello che sono capace di fare… sono costretto a portarlo con me e a fare finta che sia una copertura ben riuscita da interpretare quando serve” gli confidò come non aveva mai fatto con nessuno.
“Allora sai anche la mia risposta” disse Ollie guardandolo con gli stessi occhi tristi.
“Oh, no, no… non so cosa ti sia successo ma non sei cattivo, non sei un imbroglione… sei il protettore della tua gente e della tua città e stai rinunciando alla tua vita personale per adempiere ad un compito così alto… in confronto a te, mi sento quasi meno di niente!” Il tono accorato, Marty lo guardava come trasognato: proprio come un bambino guarda il proprio eroe.
Oliver non riuscì a trattenersi dal ridere; il detective non era poi così male, in fondo…
“Felicity sa chi sei? Ma certo che lo sa, che domanda stupida!” Ancora tirò giù una parola dietro l’altra.
“Lavora con me” Arrow rispose compiaciuto, “mi aiuta moltissimo.”
“E basta?”
“Cosa vuoi dire?”
“«Lavora con me, mi aiuta moltissimo»… davvero? Lavora con te e ti aiuta moltissimo… e poi?"
“Non c’è altro” tentò di troncare quel discorso, che secondo i propri gusti, era già durato fin troppo.
“Sono un po’ più bravino di così” il detective fece nuovamente il segno con le dita, per niente intenzionato a concludere quella chiacchierata.
Perché parlarne con te? si chiese Arrow; forse perché sono in una città che non è la mia, sono qui con te e non ti conosco ma che come me hai lasciato tutto per correre a dare una mano a chi aveva bisogno di te e che come me hai scheletri scomodi da nascondere; si rispose.
Abbozzò un sorriso e come non gli capitava mai, si lasciò andare.
“Hai visto com’è… non si fa lasciare indietro e fa in modo che nessuno resti indietro… sempre pronta a lottare, nonostante il pericolo… so quanta paura ha per me, per il lavoro che faccio e non vorrei che lei provasse disagio, apprensione… il mio modo di vivere la mette costantemente in pericolo e mi odio per questo” gli uscì tutto di getto, senza la minima ritrosia.
“Sprechi tempo e fatica, Arrow” gli spiegò Martin “è innamorata e il suo amore per te, che ti piaccia o no, ti rende forte e libero, amico mio… vuoi un mondo perfetto e lo vuoi per lei, ti ispira nella ricerca del bene e di tutto quello che può rendere la vita un posto giusto… anche tu sei innamorato di lei, lo sai, vero?” chiese piegando un po' la testa.
“Lo so, ma se le succedesse qualcosa impazzirei… uno come me non può permettersi una storia d’amore” gli rispose Oliver, infastidito dalle proprie parole.
Marty agitò una mano in aria; “ah, ah! Basta con questa storia del lavoro, dell’amore impossibile, del sono tutto d’un pezzo, tutto lavoro e niente sentimento… non se ne può più con ’sta cantilena. Bisogna viverlo l’amore, sempre, tutto il giorno, pienamente, per tutti i giorni della sua durata!” Guardò Arrow sgranando gli occhi blu ma lo vide molto poco convinto; “oh, andiamo, cosa vuoi di più, Oliver? È bella, intelligente, devota, appassionata e dolce… è donna e femmina… e anche un po’ pervertita… sì sì, è perfetta; se la lasci, fammelo sapere” terminò quel fiume di parole, annuendo.
“Marty?”
“Sì?”
“La tua ragazza ti sta antipatica?”
“Un po’.”
“E mi parli d’amore?”
“Non sono proprio innamorato.”
“Allora cosa vai blaterando?”
“Ti invidio… vorrei anch'io un amore come il tuo, nella mia vita.”
“Perché, il tuo com'è?”
“Ho una storia troppo complicata, per i miei gusti… sì, no, non riesco a lasciarmi andare, mi posso fidare?, facciamo solo come dico io, scordati di avere dei figli, devi capirmi, devi accettarmi, chissà, boh, forse, ma anche no…” Scosse la testa sconsolato; “non sono filosofico ma sanguigno e pervertito… voglio gioia, entusiasmo, sesso, febbre… voglio una donna spregiudicata che faccia pazzie per me!” Il detective si infervorò.
“Tu e Felicity vi assomigliate, ecco perché siete andati subito d'accordo… sembra vi conosciate da una vita” ammise l’arciere.
“È perché siamo un po' romantici e un po' erotomani… è una miscela esplosiva” tentò di spiegargli ma Ollie lo guardò con occhi indagatori. Il detective gesticolò ancora; “no, no… non fare quella faccia; l'amore e il sesso, hai presente? Non tirarla per le lunghe! Il sesso, per piacere, eh? Non ci piace aspettare troppo, non facciamo la calzetta… mi sono spiegato?” chiese facendo una smorfia buffa.
“Siete faticosi ed esigenti” si lagnò Oliver ridendo.
“Certo, ma diamo anche tanto, in cambio… serve solo coraggio e tu, lo conosci molto bene il coraggio, non puoi negarlo.” Marty si appoggiò al corrimano “dimmi che almeno ci proverai, che tenterai di far felice quell’incredibile ragazza dalle labbra fantastiche e che non le negherai tutti i sogni che ha… dimmi che lo farai o mi costringerai a venirti a cercare” intimò, quasi che la sua richiesta fosse un fatto personale.
Aveva ragione quello sconosciuto e Oliver lo sapeva bene.
Per un solo istante gli venne in mente come potesse essere la sua vita senza la certezza dell’amore di Felicity e sentì accapponare la pelle. Il suo cervello e il suo corpo rifiutarono anche il solo pensiero e il suo cuore, per quel che sentiva nel petto, doveva aver perso un paio di battiti.
Aveva ragione da vendere, il detective scapigliato!
“Spero tu riesca ad avere l’amore che cerchi” gli disse e l’altro lo guardò.
“Lo spero anche io” si rincuorò da sé col suo atteggiamento giocondo e buffo.
Arrow rise allegro e allungò una mano verso il poliziotto. “Grazie per la chiacchierata” disse mostrando i denti.
“Quando vuoi, amico” rispose Marty stringendogli la mano; poi alzò le spalle, quasi in soggezione, “oh, non ci posso credere…”
“Cosa?”
“Ho il mio supereroe personale” squittì contento.
“Basta così” troncò Oliver fingendosi serio.
“Abbracciamoci.”
“No!”
“Poco, poco.”
“Ho detto, no… e non ti avvicinare.”
“Dai, ci siamo confidati… un abbraccio piccolo piccolo” si lagnò ancora.
Oliver cercò di mantenersi serio e guardò il cane.
“Monty, la colpa è tua!” l'indicò mentre gli veniva da ridere.
Marty approfittò del momento di distrazione per stringerlo tra le braccia. “Ah, preso!”
“Oh!”

Felicity mosse una mano verso il mobile e guardò l’ora sul proprio cellulare. Erano le 5 e, invece di essere contrariata perché era sveglia, sorrise felice.
Si girò nuovamente, ma stavolta dalla parte interna del letto e tirò il lenzuolo a coprirsi la schiena.
Allungò una mano ad accarezzare la spalla di Oliver.
Un gesto tanto semplice, che avrebbe voluto fare da sempre, eppure così agognato e sperato… e, finalmente, compiuto.
Lui si mosse leggermente e respirò col naso; con la propria, cercò la mano di lei e gliela strinse forte. Felicity gli si appoggiò alla schiena e prima che potesse accomodarsi, Ollie si girò abbracciandola, quasi sparendo tra le sue braccia, continuando a dormire.
Era successo! Amore, sesso, chi lo sa, non ci avevano capito niente. Lui era tornato dall’incursione all’NSA e le aveva raccontato quello che era successo con Marty.
Quando Matt si era addormentato sul divano (aveva fatto finta) era diventato palese che avrebbero dovuto occupare l’unico letto della casa se avessero voluto riposare.
Oliver non era sembrato né perplesso né infastidito; continuarono a parlare e insieme se ne erano andati di là, cercando di non alzare la voce.
Poi, una parola ne aveva tirata un’altra, una confidenza si era aggiunta a un’altra e piano piano non era stato più imbarazzante, stare su quel letto così vicini, illuminati solo dall’abat-jour.
“Quello scapigliato dice che devo proteggere i tuoi sogni” aveva detto lui, guardandola.
“Dice bene… se fossi in te, l’ascolterei” aveva risposto lei, annuendo con la testa, cercando di essere seria anche se un sorriso le si disegnava sul viso.
Come non era mai successo, Oliver aveva alzato una mano e gliela aveva appoggiata sulla guancia in una carezza calda e dolce.
“Mi dispiace se non te la sei sentita di confidarti con me… non avrei mai voluto deluderti” si era scusato.
Speculare lei fece altrettanto e le batté forte il cuore quando lui non si scostò dalla sua carezza.
“Non mi hai delusa; non volevo darti un’altra preoccupazione… per questo non ti ho detto niente” spiegò sorridendo.
“Pensi che siamo un po’ contorti, noi due? Tu ti preoccupi per me se mi preoccupo per te ed io mi preoccupo per te perché ti preoccupi per me” disse e subito dopo rise di sé, contento per quel momento di confidenze, per tutte quelle parole uguali ripetute come in uno scioglilingua.
“Penso che ci vogliamo molto bene… anche se Arrow non ne è proprio contento” lo aveva punzecchiato.
“Sono preoccupato, appunto, ma non ne sono dispiaciuto.”
“Che ci importa… tanto non sei Arrow, adesso” aveva detto con entusiasmo e chissà come si era ritrovata sdraiata e lui, appoggiato su un gomito, le stava praticamente sopra.

Chi avesse baciato chi era impossibile dirlo: un unico attimo, perfetto e irripetibile, dove tutto si era fermato in totale armonia e dal quale era scaturita una specie di lotta dove non c’erano più pensieri attenti o timori.
Il desiderio li aveva portati in un posto senza regole e la voglia di darsi era stata tanta, quanta quella di prendersi. Generosi ed egoisti si erano dati e presi tutto, l’un l’altra, senza remore, con avidità.
La voglia di stare insieme era stata così forte, impellente, che erano sembrati come smaniosi di mangiarsi, di abbracciarsi e stringersi fino a quasi farsi male.
Si erano scambiati parole dolci e forti come il sesso chiedeva, si erano divertiti ridendo e si erano posseduti con passione, con complicità e allegria, liberi, senza pudore. Le mani a esplorarsi tutti, in ogni dove e le bocche a darsi piacere conoscendosi l’un l’altra tra sudore, umori e saliva.
Era stato intenso e molto bello e dopo avevano ancora voglia di stare insieme. Si erano guardati, trovandosi bellissimi; toccati, quasi a volersi rendere conto che fosse davvero, tutto vero; baciati come se fosse stata la prima e l’ultima volta nello stesso istante.
Era proprio successo e stupiti e al tempo stesso consapevoli si erano calmati e ascoltati respirare.

Oliver si era addormentato sfinito, con la pace sulla faccia, mentre Felicity era rimasta sveglia a godersi quello che era accaduto: era felice, frastornata, innamorata.
Nel momento più difficile della sua vita era arrivato il più grande incoraggiamento che potesse sperare: l’uomo che amava la ricambiava e, finalmente, era diventato suo.







 
Capitolo con Oliver Queen in primo piano!
Pubblico con enorme ritardo perché ho cambiato casa e, forse, un po’ la mia vita. Non ho internet (spero, solo al momento) e quindi ho dovuto aspettare.
Martedì scorso ho visto “Arrow” e, essendo una Olicity, sono stata contenta, anche se la loro “prima volta” l’ho vissuta in maniera diversa, su queste pagine.
Mi è piaciuto molto far chiacchierare i due uomini: sono quei casi strani della vita che ti fanno fare e dire cose strane…
Martin definisce Max cattivo e imbroglione: lo è davvero. Max se ne frega di chiunque, la gente ha paura di lui, si porta a letto le mogli degli amici e circuisce le persone per proprio tornaconto. Martin Deeks si vergogna molto per quello che è capace di fare!
Non è un mistero quanto sia contraria alla storia d'amore che hanno appioppato a Martin Deeks. Per andare incontro alle FanDensi, gli sceneggiatori hanno dovuto piegare e reimpostare (cioè rovinare) il mio personaggio preferito. Mai, mai, mai nella vita si sarebbe innamorato della sua collega. Portata a letto, sì... innamorato, no. Ma tant'è...
Alla prox.
Monty

Disclaimer: Eric Beale, Felicity Smoak, Oliver Ollie Queen, Martin Marty Deeks, Max Gentry, Monty, Ray Palmer, Starling City, Star City, Arrow, Nay-Nay, la Chevy e Scarabeo non li ho inventati io.

  
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