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Autore: scriverepervivere    11/06/2015    3 recensioni
Per quanto Laura stia cercando di scappare dalla sua “Città di Carta” si rende conto che essa la trascina sempre in un vortice.
Non può sostituire Londra, no, ma può ancora immaginare di essere lì. Il traffico si ferma e riparte, quella ormai è casa sua.
Ma lei ha bisogno di spostarsi da sola.
E con i rumori della vita di città che riecheggiano nella sua testa, lei è pronta ad affrontare tutti i dolori, i problemi, i misteri, gli amori.
O almeno crede.
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«Tutte le cose sono più brutte viste da vicino»
«Non proprio tutte»
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«Dimmi, Ross Lynch, dimmi solo una cosa. Perché stai ancora con lei?»
Lui mi fissa. Ed io mi giro.
Silenzio. Solo le macchine fanno eco.
«Perché non voglio restare solo proprio ora!» mi urla.
Mi giro, lo affronto un’ultima volta. Lui è lontano. Ho percorso un tratto di strada.
Allora urlo: «Idiota! Non eri solo»
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«Baciami»
E lui lo fa.
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Come ho potuto solo minimamente pensare, che la mia Città di Carta fosse un luogo?
Genere: Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Sorpresa, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Attenzione: non è una nuova storia, assolutamente. Ho soltanto cambiato nome da 'FANGIRL' a 'THE CITY' non per il contenuto che ho deciso di cambiare, ma per il fatto che ho avuto qualche idea per questa storia che includesse, comunque, lo scambio di città da Londra (the city) a L.A. nella storia capirete meglio, man mano i capitoli andranno avanti. Per la trama, è la stessa cosa, a parte il fatto che quella prima non mi convinceva, e quindi l'avrei cambiata comunque. Spero che questi cambiamenti vi vadano bene, se non, ditemi nelle recensioni.
Ora vi lascio al capitolo, che sono una rottura di palle madornale XD
Buona lettura xx
If the city never sleeps, then that makes two.
 


«Ehm, e … ahm …»
«Shepherd’s Pie, please» sorrido alla cuoca, per poi passare il piatto a Ross. Lui non mi guarda, si limita a prendere la pietanza e a metterla sul suo vassoio. E’ imbarazzato.
«Credevo fossi un portento in inglese» sorrido, continuando a guardarmi intorno. Sebbene stessi parlando con lui, ancora devo analizzare bene il posto in cui mi trovo, essendo nuova.
La mensa non era tanto grande, insomma, il giusto. Poi, partendo dal fatto che la scuola è divisa in tre aree, va bene così.
I muri sono bianco latte, anzi, erano bianco latte. Ormai sono stati rovinati dal tempo. A colmare la sala ci sono dei tavoli rotondi, con delle sedie rosse messe ben sotto esso.
Al lato, la cosa più importante, il bancone per il cibo. Come se fosse un self-service. Solo che non ci sono tante cose da scegliere, e non puoi prenderle tu. Devi stare al menù.
«Oh, no. Ahm … non posso ricordarmi tutto. Non mi era proprio venuto in mente quel nome»
«Non fa niente. Si vede che non ti serve pratica, ma comunque … c’era la targhetta con il nome affianco» porto una mano sulla bocca, per nascondere la lieve risatina che stava per venire.
Lui mi sorride.
 
«Holaa!» Ellie ci saluta e si siede al tavolo. Ha i capelli un po’ arruffati, gli occhi stanchi di chi non ha dormito stanotte, ma un sorriso grazioso le contorna il viso.
«Oggi sei spagnola?» Chelsea è seduta vicino a me, mi guarda, e poi sorride.
«Esattamente!» ride e impugna la sua forchetta. «Allora, Laura, com’è stato il tuo primo giorno?»
«Ahm … si, niente male» sorrido. «E’ andato bene»
«Siamo felici per te!» mi dice Gabriel sfiorandomi la mano appoggiata sul tavolo, come per darmi supporto.
L’unico che non mi parlava molto – ma con tutti eh – era Will. Molto silenzioso, ma molto attento. Mi è capitato in questi due giorni di vedere Gabriel prenderlo in disparte e parlargli, come ora. Sta provando a prendergli la mano. Niente da fare.
«Ho dimenticato il pane …» rompe il ghiaccio Ross, che si alza e si dirige verso il bancone per chiedere il pane. Spero si ricordi come si dice.
«Dio, hai finito di fissarlo?» si lamenta, in una leggera risatina, Chelsea. All’inizio penso che stia parlando con me, quindi giro la testa dalla sua parte, poi mi rendo conto che sta parlando con Ellie.
«Come?» chiede lei, distratta.
«Sembra che stai cavando dei buchi nella testa di Ross! Non gli doneranno»
Di rimando, lei arrossisce. Poi si rivolge a me. «Non dirgli niente, ti prego»
«Il tuo segreto è al sicuro» faccio finta di chiudermi la bocca con una chiave, che poi getto via.
 
Lo stesso pomeriggio, mi ritrovo sul letto a leggere un libro, quando bussano alla porta.
Aspetto qualche minuto prima di alzarmi, e, quando mi ritrovo davanti alla porta solo lì mi rendo conto di indossare un paio di pantaloni della tuta grigio topo e un maglione troppo largo per essere mio. – visto che mi piaceva essere comoda in stanza, lo avevo preso da mio padre –
Ma ormai non potevo cambiarmi. Aprii la porta, e davanti mi ritrovai una sorridente Ellie che si fece largo nella stanza, per poi sedersi sul letto.
«Sssi?» ero ancora in piedi davanti alla finestra che fissavo la ragazza, aspettando che proferisse qualche parola.
«Ti va di venire nella stanza di Ross?»
A qual punto, abbassai lo sguardo verso il pavimento, e ci pensai.
Perché sarei dovuta andarci? Ovvio, da sola se lo potevano pure scordare, ma … anche il fatto di entrare in stanza di un ragazzo italiano, dopo che lo conosci da uno massimo due giorni, mi sembrava molto frettoloso.
«Laura, non pensare subito male!» si fece una piccola risata, per poi alzarsi e venire davanti a me. «Ci saremo tutti, è per parlare un po’, e magari conoscerci meglio»
A quel punto non potei dire di no. «Si che vengo»
«Allora è meglio che ti cambi» sorrise. «Bé … lo credo anch’io sai?»
 
Allora uscii dalla stanza, dopo essermi più o meno aggiustata. Percorremmo tutto il corridoio fino ad arrivare all’ascensore.
Dentro io e Ellie non spiccichiamo parola, allora mi dico di rompere un po’ il ghiaccio, ma sono una persona di questo genere. Allora è lei a farlo.
Sembrava mi stesse leggendo nella mente.
«Ho parlato con Ross, poco tempo fa. Mi ha detto che gli stai simpatica»
«Oh, questa sì che è una bella notizia, ne sono contenta» sorrisi.
«Ho sempre pensato che per lui io sia sempre stata solo un’amica» abbassò lo sguardo.
«E lui non la pensa come te?»
«No, purtroppo sta con Madison, è una ragazza che va in un’altra scuola. Faceva parte del nostro gruppo, ma sai, quelle che sono perfette dopo un po’ devono seguire la propria strada»
«Vi ha lasciati?»
«No, non direi questo. Non per voler suo, insomma. Hai presente quelle persone che devono seguire gli ordini dei genitori perché troppo ricchi? Quei genitori che, magari, non ti hanno mai dato tante attenzioni, ma che aspettano lo stesso tanto dai propri figli, e che avranno porto nelle loro aziende? Ecco, lei è così. Ma, invece di opporsi, è diventata una delle persone più antipatiche e modeste che ci siano» schiacciò il bottone del piano numero due, e l’ascensore partì.
«Ma non mi pare che Ross sia così, cosa hanno in comune?»
«Ross e Madison? Oh, nulla. Bé … sono quelle relazioni che magari vedi nei film, no? Ross ha una famiglia ricca, il papà non c’è mai stato per lui, solo per affari. Ma sai, si hanno anche amiche delle famiglie della stessa stazza, e la famiglia di Madison era ed è una di quelle. La relazione tra i due era già corrisposta da quando avevano quattordici anni»
Nonostante volessi ridere per quella situazione assurda, potevo capire perfettamente di cosa stesse parlando Ellie. E potevo anche sentire la sua puntina di rassegnazione di quelle parole.
«E lui non ha mai pensato di …»
«Lasciarla? No. Non lo vuole ammettere, più che altro. Le vuole un gran bene, e la conosce perfettamente, ma allo stesso tempo non sa nulla di lei. Se lo farebbe, gli dispiacerebbe troppo, si conoscono da tanto, e una relazione di tanti anni non si butta così, queste sono le sue parole»
«Ma l’amore non deve essere corrisposto, è diverso dal voler bene. L’amore è bello perché è anche misterioso, e non c’è bisogno di sapere tutto dell’altra persona per saper dire che sono perfette per stare insieme»
«Lo so, Laura, ma questo discorso non lo devi fare a me» fece una sorrisetto di comprensione, mentre le porta si aprirono.

Camminammo per altri due minuti circa, alla ricerca della camera, che trovammo.
Bastarono due colpi per rivedere la faccia sorridente di Ross accoglierci dentro.
«Credevo non volessi venire, Laura. Allora Chelsea mi deve cinque dollari» disse il biondino, riferendosi alla ragazza seduta su un puff.
«Diamine Ross, stavo scherzando!»
«Ah no no, piccola Chelsea, hai scommesso e ora paghi» allungò la mano verso la ragazza, con il palmo rivolto verso l’alto, ad aspettare il suo compenso, che gli fu dato.
«Avete scommesso su di me?» domandai, sedendomi sulla sedia da scrivania verde.
«Chelsea e Ross amano scommettere» controbatte Will, con una leggera risatina.
«Sì, ma tanto poi vinco io!» dice Ross con fare di sfida.
«No, non è affatto vero!» dice seria Chelsea, prendendo una manciata di noccioline dalla scodella davanti a lei.
«Senti chi parla!» Ross le punta un dito contro «Per non parlare di …Josh?»
«Josh!» ripete Gabriel, e lui e Ellie scoppiano a ridere.
«Chi è Josh?» chiedo, curiosa.
Allora tutti cessano di ridere. «Una guida turistica che ci ha portati in gita per LA l’anno scorso» spiega Ross «Uno sfigato pelle e ossa, ma Chelsea ci piantò in asso nella Galleria, per saltargli addosso …» riprese a ridere.
«Avevamo fatto una scommessa, io ero sicuro che prima della fine della gita gli sarebbe saltata addosso, ma lei ha detto che avrebbe potuto resistere, e poi si è visto infatti!» continua a raccontare.
Allora prese Gabriel a parlare: «Hanno pomiciato, tipo, tutto il pomeriggio. Un’esibizione in pubblico senza vergogna!»
«Ha fatto aspettare due ore all’intera scuola sul pullman, perché si era dimenticata a che ora dovevamo partire» incalza Ross.
«NON erano due ore» ribatté Chelsea.
«Massì. Un’ora e mezza, un’ora e tre quarti, insomma, poco importa»
«Chiudi la bocca, lingua Italiana!» disse Chelsea.
«Uh?» il biondino si girò verso di lei.
«E’ come ti chiamavamo dopo lo spettacolo mozzafiato che tu e Madison avete dato alla fiera della primavera dell’anno scorso»
Ross cerca di rispondere, ma sta ridendo troppo.
Io stavo vangando con la mia mente. Pensavo al discorso dei baci, e del fatto che io ancora non ne avevo dato uno.
Cosa avrebbe pensato Dave di ciò? Quando sarei tornata a Londra per le vacanza di Pasqua e avrebbe cercato di baciarmi?
Lui non si aspetterebbe mai una cosa del genere, eppure, dopo tante di quelle figuracce fatte, non poteva essere una novità per me, ma per lui sì.
Mi feci forza.
«Laur, tutto bene?» mi chiede Ellie.
Allora tutti mi stavano guardando.
Non piangere. Non piangere. Non piangere. «Si, ahm … sono solo stanca, vorrei tornare in camera, se non vi dispiace» mi sforzai a sorridere.
«Ti accompagno io» mi dice Ross, alzandosi dal letto.
«Ahm … okay» dico.

I ragazzi escono tutti dalla stanza e si salutano, la stessa cosa facciamo io e Ross prima di scomparire nell’ascensore.
«Allora si chiama Madison» butto lì la prima cosa che mi era venuta in mente.
«Mh? Ah sì … i ragazzi non la vogliono più vedere, visto che non viene più qui»
«Come vi siete conosciuti?» chiesi.
«Quando mi sono trasferito a Londra, all’età di tredici anni, lei era una delle ragioni. Bè non proprio lei, ma la sua famiglia. Mio padre viveva e vive tutt’ora d’affari, non gli è mai importato di cosa io facessi, quando un giorno, in una cena è successo. Avevamo quindici anni. Ma io l’avevo già vista e le avevo anche “parlato” prima. Da quella sera, non ci siamo più separati»
«Ah, capisco»
«Non è molto interessante come storia, anzi non lo è per niente. Raccontata in questo modo sembra sia stato un fidanzamento forzato, e in un certo senso lo è stato per davvero. Anche se mio padre non mi ha spinto, ma io non volevo deluderlo, volevo farmi notare, ecco»
«Ti sei messo con lei solo per tuo padre?»
«Devo ammettere che all’inizio era così, ma poi mi è piaciuta davvero»
Le porta dell’ascensore si aprirono, e noi uscimmo incamminandoci verso la mia stanza.
«E tu? Che mi racconti di Londra?» mi chiese.
«Che mi manca, tutto qui»
Arrivammo alla porta, che aprii con un leggero scatto, lui entrò piano, come se ci fosse qualcuno che stesse dormendo, e poi si girò verso di me.
«Ti mancano le persone, o ti manca Londra di per sé?»
«Bé … di per sé, ma anche le persone»
Il biondo annuì senza alcuna risposta, poi prese il libro appoggiato sul letto.
«Città di carta» sorrise. «Esiste davvero una città di carta?»
«Sì, insomma, è più emozionante da lontano vedere una città» tolsi la tenda che oscurava la vista di LA.
«Non vedi i segni del tempo che hanno logorato la città fino a farla vecchia. La vedi come qualcuno l’aveva immaginata»
«Tutte le cose sono più brutte viste da vicino» aggiunsi.
«Non proprio tutte» sussurrò il biondo accanto a me, che osservava LA e le sue luci.
«Ecco il brutto: da qui non vedi la ruggine, lo smog, la vernice vecchia, ma puoi capire che posto è. Ecco, Londra è la mia città di carta. Nemmeno di plastica, perché è più consistente. Di carta: macchine di carta, strade di carta, persone di carta, che bruciano il futuro pur di scaldarsi. Cose sottili e fragili come carta»
Il ragazzo sorrise.
«Ciao, Ross»
«Ciao, Laura» si avviò verso la porta, un ultimo sguardo verso di me, ma non glielo restituii.

 


Da: Laura Marano
A: Meredith Sure
Oggetto: Un altro giorno qui.

Ciao, Mer. Purtroppo non ho niente di entusiasmante da raccontarti. Oggi ho iniziato le lezioni, non sono niente male. Siamo stati in camera di Ross, l’italiano, e abbiamo parlato. Cioè, loro hanno parlato, io ascoltavo.
Ora sono a letto, e non smetto di pensare a Londra. Ross mi ha accompagnata in stanza prima, è stato strano parlargli. Ellie mi ha detto che Madison (la misteriosa ragazza del biondo) è una montata snob con l’amore predisposto di Ross, dimmi se c’è più schifo di ciò.
E nulla, mi annoio, voi che fate?
Laur.
 
Da: Meredith Sure
A: Laura Marano
Oggetto: Anche Londra sente la tua mancanza.

Ciao tesoro,
purtroppo nemmeno io ho grandi news. Che dirti, stiamo tutti impegnati a studiare, non ho potuto parlare con Dave, o scovare qualche scoop da raccontarti.
Comunque, mi sembra che da te non vada molto bene, ma, in ogni caso, sono felice che ti sia trovata degli amici! Non ho nulla da commentare sulla storia del dell’italiano-fighissimo, perché sono con te.
Noi tutti sentiamo la tua mancanza, anche il banco affianco al mio grida il tuo nome, il corso di chitarra e la tua solita sedia rossa. Le tue battutine durante il corso di francese.
Anche Londra la sente.
Mer.

 

Dopo aver letto la mail, decisi di spegnere il computer.
Con la mia tazza di caffè americano – c’era più acqua che caffè – uscii al balcone per una boccata d’aria. Mi appoggiai alla ringhiera, e fissai la città.
Allora, vedo LA trasformarsi nella mia città, nella mia Londra.

La città non dorme mai, sento la gente camminare per le strade a tarda ora.
Le sirene risuonano attraverso il davanzale del balcone, non riesco a chiudere occhio.
Questa città è viva. Non controllo quello in cui sono coinvolta.
Questa è adesso casa mia.
Le voci risuonano attraverso le pareti.  Con i rumori della vita di città che riecheggiano nella mia testa.
Il traffico si ferma e riparte. Questa ormai è casa mia.
E se la città non dorme mai, allora siamo in due.
 

 



scriverepervivere:

Ciao a tutti e a tutte! Guardate un po' chi si rivede?
Finalmente ce l'ho fatta a scrivere un capitolo in pace!
Siamo al quarto capitolo, vi sta piacendo questa storia?
Io spero di si, dai! Vi chiedo solo di recensire e dirmi cosa ne pensate, sarei molto felice se lo faceste.
Detto questo, io vi mando un bacione, vi auguro un buon inizio estate (per chi non fa gli esami, ovvio)
Auguro un in bocca al lupo a chi invece la prossima settimana inizia gli scritti, e fatelo crepare 'sto lupo!
E ovviamente alla prossima!
Vi abbraccio,
Meri xx


 
 
 
 
 
 
 
 
 
   
 
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