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Autore: Red Wind    12/06/2015    3 recensioni
Nell'Antico Egitto le divinità erano parte integrante della vita quotidiana: a loro si offriva tutto ciò che serve alle persone comuni. Ma gli dei non sono persone comuni, così come i protagonisti di questa storia.
Una ragazza insicura che ancora deve scoprire le sue potenzialità.
Un dio generato dall'odio e dal desiderio di vendetta apposta per uccidere.
Una rivoltosa dal passato travagliato.
Un ragazzo in grado di leggere nel cuore delle persone.
Amicizia, dolore, amore, paura, guerra e magia.
“Secondo la leggenda, l'Egitto era governato in origine da Osiride e da Iside, sua sorella e sposa. Il fratello Seth, geloso dei due, uccise Osiride, fece a pezzi il cadavere e ne occultò le membra in luoghi diversi. Iside, trasformatasi in nibbio, raccolse e ricompose le membra del marito e gli reinfuse la vita. Osiride divenne Signore dell'oltretomba ed ebbe un figlio: Horo, il dio dalla testa di falco. Quest'ultimo, dopo aver combattuto a lungo contro Seth, riuscì a sconfiggerlo e a diventare re dell'Egitto.”
Genere: Avventura, Romantico, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Aegyptus'
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Del Dio dell'Oltretomba e dei Sethish

Iside prese lo specchio e iniziò a mettersi il kohl. Lui era ancora seduto sul suo trono, come sempre. Ormai suo marito non era più lui. Tutti la veneravano, non solo per i suoi poteri, ma anche perché aveva ridato la vita a Osiride. Figurarsi! Certo, anche lei all'inizio si era illusa che tutto fosse finito, ma ben presto si era accorta che nessuno poteva ridare la vita a un morto, forse solo Ra. Suo marito ora era scientificamente vivo: il suo cuore batteva, respirava, mangiava se forzato, ma non parlava e sembrava non ragionare, non camminava, anzi non si muoveva affatto. Quello non era l'uomo che aveva sposato. Per i primi tempi dopo che l'aveva riportato in vita sembrava quello di una volta, ma nel girò di qualche mese era diventato apatico, di lui era restato solo il corpo e la mente era morta. Horus era nato con un padre che sembrava un vegetale ed era tutta colpa sua. Ormai era certa che sarebbe stato meglio non fare nulla e lasciarlo morire: per Horus sarebbe stato meglio non averlo mai conosciuto e, ne era certa, anche Osiride non amava la sua condizione. Così suo figlio era cresciuto sempre turbato, un bambino difficile dicevano. Lei era sempre occupata: doveva occuparsi anche delle faccende del marito, che ormai che dio dell'Oltretomba soltanto per convenzione e non era mai riuscita a capire quel bambino. Lui non le diceva mai niente, non esprimeva mai i suoi pensieri, i suoi sentimenti. Le voleva bene, questo sì, ma a lei non bastava e le sembrava di non conoscerlo neanche. Se ne stava sempre da solo, a rimuginare su chissà cosa. Adesso voleva combattere contro Seth, di nuovo. La prima volta gli era andata bene, ma non era valsa a uccidere il dio del Male una volta per tutte, e se questa volta fosse andata diversamente? Se avesse perso suo figlio? Cosa avrebbe fatto? L'avrebbe riportato in vita come aveva fatto con suo marito? Iside sorrise amaramente.


Nakht sentì qualcuno che lo chiamava; quando riaprì gli occhi vide Jamila.
"Svegliati, dobbiamo partire!" gli disse la ragazza.
Nakht si stropicciò gli occhi sbadigliando.
"Ma quanto abbiamo dormito? Io sono stanchissimo!"
"Non più di cinque ore" rispose Jamila.
Nakht gemette, mentre si alzava.
"Con Sinuhe si viaggia così. Non preoccuparti, ci farai l'abitudine"
"Ma quella ragazza non si stanca mai?"
Jamila alzò le spalle.
"Oppure è brava a non farlo notare..."
I due raggiunsero Sinuhe, che si stava allenando come ogni mattina, salirono sui loro dromedari e insieme ripresero il cammino.
Era passato qualche giorno da quando Toth gli aveva sottoposti alla prova. Avevano continuato il viaggio, ma si erano anche allenati ogni giorno, nella Stanza. Nakht aveva chiesto a Sinuhe se aveva un'arma che lui potesse usare, perché egli finora si era limitato a schivare, ma non era una grande tattica di combattimento. La ragazza gli aveva consegnato l'unica arma che aveva oltre alla sua adorata spada: un pugnale che teneva di riserva. Sinuhe gli aveva mostrato brevemente come usarlo e lui si era dimostrato abbastanza portato, anche perché il suo vero vantaggio era quello di leggere nel pensiero e quindi prevedere ogni mossa dell'avversario. Questo non era, però, possibile con Sinuhe, infatti Nakht non si allenava mai contro di lei. Jamila, invece, si allenava con tutti e stava migliorando molto.
Camminarono tutta la notte e all'alba i tre giunsero in vista di una grande città. Sinuhe fermò il suo dromedario e ammirò lo spettacolo della città inondata dalla luce rosa dell'alba.
"Menfi... finalmente!" disse sorridendo.
Il vento le scompigliava i capelli, le tenebre della notte e la luce del sole nascente disegnavano giochi di chiaro scuro sul suo viso, enfatizzando il suo sorriso enigmatico. Nakht rimase a guardarla incantato: così bella e così terribile! Jamila gli aveva raccontato il motivo del viaggio di Sinuhe. Tutti quegli anni dedicati alla vendetta, per uccidere un uomo. Come poteva una ragazza così intelligente e, in fondo, buona desiderare di uccidere? Quali demoni si nascondevano dietro i suoi occhi neri e impenetrabili? Nakht era più che mai deciso a scoprirlo.
I tre ripartirono subito, ma notarono subito qualcosa di strano davanti a loro: tra le luci del tramonto, poco davanti a loro, l'aria sembrava piegarsi in sinuose curve, ripiegandosi su se stessa. L'attimo dopo in quel punto si materializzarono un uomo di mezza età e una donna anch'essa non più giovanissima, ma affascinante e vestita con ricercatezza: i Sethish. Sinuhe scese immediatamente dal dromedario su cui si trovava insieme a Jamila, mentre quest'ultima restava lì senza sapere cosa fare.
"Scappa!" le disse Sinuhe.
"Ma io..."
"Ho detto di scappare!"
"Guarda che anch'io so combattere!"
Sinuhe spazientita sguainò la spada e colpì il dromedario su cui si trovava Jamila e questo partì al galoppo senza che la ragazza potesse fare nulla per fermarlo. Sinuhe si voltò verso i nemici.
"Seguila!" ordinò l'uomo di mezza età alla sua complice.
"Certo!" rispose la donna "A dopo, Hesyru"
La donna saltò in avanti e prima di toccare terra si mutò in un ghepardo, poi corse all'inseguimento di Jamila. Nakht e Sinuhe rimasero basiti.
Hesyru sorrise, adorava vedere la paura dipinta sui volti dei nemici.
"Bello vero? La vostra amica se la vedrà con lei, ma fossi in voi mi preoccuperei più per me stesso" disse iniziando a lanciare le sue sfere nere.
Sinuhe iniziò a combattere: schivava e tentava di colpirlo con la spada. L'uomo si muoveva con agilità, per Sinuhe era impossibile avvicinarsi abbastanza e a malapena riusciva a schivare gli attacchi del nemico. Nakht all'inizio non sapeva bene che cosa fare, ma poi estrasse il pugnale e, senza farsi notare, aggirò Hesyru portandosi alle sue spalle. Sinuhe stava perdendo colpi ed era sempre più in difficoltà, mentre Hesyru era in piena forma e sembrava quasi divertirsi. Nakht si preparò a pugnalare il nemico alle spalle, stava pensando dove ferirlo per metterlo fuori combattimento senza ucciderlo, ma all'improvviso Hesyru sguainò una spada e disarmò Sinuhe facendo volare l'arma della ragazza lontano; poi riuscì a colpirla di striscio al petto. Nakht, allora, si vide costretto ad intervenire in fretta e colpì il nemico al braccio. Hesyru, con il pugnale ancora conficcato nel braccio, si voltò verso di scatto verso il ragazzo, gli occhi fiammeggianti. Sembrava che non si fosse fatto nulla e che non patisse il dolore, ma era più che arrabbiato. Creò un'enorme sfera nera e la lanciò contro Nakht. Il ragazzo schivò, ma venne comunque colpito alla mano sinistra. Urlò e i suoi occhi sembrarono perdersi in un abisso di dolore folle. Sinuhe vide parte della mano di Nakht divenire sempre più rugosa ed infine trasformarsi in polvere, lasciando soltanto le ossa. Lo stesso Nakht vide la trasformazione della sua mano: ora due delle sue dita non avevano più la carne e la pelle, ma soltanto le ossa, come uno scheletro. Inoltre nel confine tra il punto in cui ancora c'era la carne e quello senza c'era un taglio netto e Nakht prese a sanguinare copiosamente. Sinuhe recuperò immediatamente la sua spada e, mentre ancora Hesyru gioiva della ferita inflitta al nemico, ella lo colpì all'altro braccio. Questa volta Hesyru sembrò risentire della ferita e grugnì per il dolore.
"Vi siete salvati ancora una volta, ma quando troveremo anche gli altri Sethish non avrete più speranza!"
Non sembrava tanto dispiaciuto quanto Sinuhe si sarebbe aspettata e, nonostante le profonde ferite, sorrideva ancora, maligno; poi in un attimo svanì nel nulla.
Sinuhe corse immediatamente da Nakht. Ancora non si fidava di quel ragazzo, ma ora che lo vedeva in difficoltà, forse perché era un alleato indispensabile in quella guerra, forse perché qualche giorno prima le aveva salvato la vita, non poteva fare a meno di patire con lui e di conseguenza fare il possibile per aiutarlo. Ancora una volta si era esposto per aiutarla e ne aveva pagato le conseguenze e in fondo non aveva alcun motivo di risentimento verso Nakht, ad eccezione del suo innato scetticismo. Ora il ragazzo era in ginocchio e si guardava inorridito la mano sinistra. Sinuhe si avvicinò e lo aiutò ad alzarsi, ma egli non si mosse di un centimetro, la ragazza allora si chinò per guardarlo in faccia e si accorse che stava piangendo.
"Cosa c'è? Dai alzati!"
"N-non ce la faccio"
"Oh Dio! Non è il momento di avere un crollo emotivo!"
"Ma guarda la mia mano, ci sono solo più le ossa!"
"Si, me ne sono accorta..."
"Ma come puoi dire così? È la mia mano, è una parte di me, È ME!"
"Quante storie, basterà amputare un paio di dita..."
"Stai scherzando?"
Vista la faccia impassibile di Sinuhe, Nakht sprofondò in un angoscia ancora più profonda. La ragazza capì che la situazione era grave. Prese un profondo respiro, portò il suo volto ad un soffio da quello di Nakht e lo obbligò a guardarla negli occhi.
"Adesso ascoltami bene. Capisco che non sia piacevole essere feriti o perdere delle dita, ma ormai non ci puoi più fare niente. Adesso puoi solo scegliere se restare qui a piangerti addosso aspettando di morire dissanguato oppure venire con me e rimetterci solo un paio di dita"
Nakht annuì. Sinuhe si alzò.
"E poi smettila di piangere, i veri uomini non piangono"
Nakht si passò un braccio sul volto e un attimo dopo non c'erano più tracce del momento di debolezza che aveva appena avuto. Sinuhe strappo un pezzo dal proprio vestito e lo legò intorno al braccio di Nakht, come fosse un laccio emostatico, per evitare che perdesse troppo sangue; poi bendò la ferita molto velocemente, più per non farla vedere che per curarla. I due salirono sull'unico dromedario rimasto. Sinuhe pensò a Jamila: se la sarebbe cavata? Si fidava di lei, ma era comunque preoccupata. Decise di andare verso Menfi: era la città più vicina oltre che il loro obbiettivo. Aveva intenzione di andare nella base dei rivoltosi perché lì sarebbero stati al sicuro e avrebbe potuto curare Nakht. Spinse il dromedario alla massima velocità, lei era seduta davanti e guidava, mentre Nakht era dietro e si aggrappava alla sua vita con l'unica mano sana che gli restava.
"Tu dici tanto, ma vorrei vederti nella mia situazione" disse Nakht, quasi scherzando.
Sinuhe capì che doveva soffrire molto.
"Non credere che io non si mai stata ferita..." rispose Sinuhe e iniziò a raccontare di tutte le sue ferite.
Man mano che procedevano Sinuhe sentiva la presa di Nakht sul suo fianco diventare sempre più debole e temeva che perdesse i sensi. Quando esaurì tutte le ferite che le avevano inferto iniziò ad inventare epiche battaglie dai finali surreali. Nakht rideva a quelle bufale raccontate così seriamente e cercava di resistere. Quando finalmente giunsero a Menfi, Sinuhe si sforzò di ricordare dove si trovasse la base dei rivoltosi in quella caotica città, ma ci mise comunque più del dovuto. Appena arrivata, senza il minimo saluto, sbraitò di aiutarla e prepararle una camera con due letti e degli attrezzi da pronto soccorso. I rivoltosi ubbidirono, vista la gravità della situazione, anche perché conoscevano Sinuhe e l'importanza della sua missione. La ragazza continuò a dare ordini quasi urlati e insultò chiunque le capitasse davanti mentre aiutava Nakht a scendere dal dromedario e a raggiungere la stanza che gli era stata preparata.
"Sinuhe" la chiamò Nakht che aveva perso molto sangue e appariva debolissimo.
La rivoltosa si girò e lo guardò negli occhi verdi per un secondo e, senza che lui dicesse niente, si rese conto che stava esagerando, in quel modo non avrebbe risolto niente. La tensione si faceva sentire anche su di lei e si stava facendo prendere dal panico. Prese un profondo respiro e continuò a camminare sforzandosi di stare più tranquilla. Entrò nella stanza che gli era stata preparata e ordinò a tutti di lasciarla sola e non entrare per nessun motivo. Adagiò Nakht su uno dei due letti, tolse l'inutile benda che aveva in precedenza messo sulla ferita e la pulì. Nakht era semi cosciente e gemeva quando Sinuhe era troppo poco delicata. Quando la ragazza ebbe finito si vedevano bene le ossa delle due dita colpite. Avrebbero dovuto chiamare un medico per amputarle, ma come avrebbe spiegato una ferita così particolare? Nessuna arma poteva fare una cosa del genere. Non c'era altra scelta: avrebbe dovuto farlo lei. Vide il seghetto insieme a tutti gli altri attrezzi e si sentì mancare. Tra tutte le cose che gli si poteva chiedere quella era una delle peggiori: se si trattava di combattere, ragionare o fare molte altre cose sapeva di poterci riuscire, ma la medicina non le era mai piaciuta. Non è che le facesse impressione, ma non sopportava di vedere gli altri soffrire. Non riusciva, nonostante in genere avesse molto sangue freddo, a mantenere la calma e a rimanere indifferente di fronte al dolore; inoltre non se la sentiva di decidere quanto una persona potesse soffrire e quando, invece, necessitava di un sedativo per alleviare il dolore. Era stata ferita molte volte e sapeva che ci sono momenti in cui senti di non farcela, in cui senti il dolore sopraffarti. Adesso, invece, doveva causare lei stessa il dolore e ogni errore poteva rivelarsi fatale. Nakht gemette, riportandola alla realtà. Era meglio sbrigarsi. Doveva somministrargli il narcotico per farlo addormentare, ma non aveva idea della dose. Uscì dalla stanza e si trovò davanti molti dei suoi compagni, curiosi e preoccupati. Tra loro c'era anche il medico.
"Quanta sostanza devo somministrargli affinché si addormenti del tutto?" chiese Sinuhe con il farmaco in mano.
Ostentava la sicurezza che non aveva.
"Per cosa..."
"Non ha importanza! Si limiti a rispondere alla mia domanda" insistette decisa.
Il medico si arrese e le indico la quantità giusta. Sinuhe rientrò nella stanza dove giaceva Nakht e gli diede subito il sonnifero. Prese il seghetto e lo disinfetto con una fiamma. Quando avvicinò la lama alle dita si Nakht cominciò a tremare e a sudare freddo. Si allontanò un attimo e prese un profondo respiro, poi cominciò il lavoro. Dal punto di vista tecnico non era un lavoro molto difficile, ma a Sinuhe costava parecchia fatica. Nakht si svegliò nonostante il sonnifero e cominciò a lamentarsi, sempre più forte fino a urlare. Sinuhe si sforzava di ignorarlo, ma la cosa la faceva impazzire. Quando ebbe finito si alzò in piedi, ma ebbe un lieve mancamento e dovette appoggiarsi alla parete. Appena si fu ripresa uscì dalla stanza e chiamò il medico, tutti la guardarono in modo strano, ma lei non si rese conto di nulla finché il medico non le chiese se stava bene. A quel punto si rese conto con orrore di avere ancora tutte le mani insanguinate e di stare ancora tremando. Annuì poco convinta.
"Si preoccupi di lui" disse, indicando Nakht. Il medico si avvicinò al ragazzo e bendò con cura tutte le sue ferite, mentre Sinuhe si sedeva poco distante a osservare.
"È sicura di stare bene? Non è ferita?" chiese il medico quando ebbe finito.
Sinuhe disse di stare bene e lo pregò di andarsene. La ragazza si sciacquò le mani e si sedette di fianco a Nakht. Egli la sentì avvicinarsi e aprì gli occhi, vedendola molto provata.
"È successo qualcosa?" chiese con voce rotta.
"Ho dovuto amputarti le due dita"
Nakht deglutì.
"Be', lo avevo sospettato" disse, sforzandosi di sorridere.
Anche Sinuhe si lasciò sfuggire un sorriso.
Nakht faticava a restare sveglio: il sonnifero e la grande perdita di sangue si facevano sentire. Stava già per sprofondare nell'oblio quando all'improvviso prese la mano di Sinuhe e disse: "Non te ne andare, ti prego...".
Sinuhe sentì un brivido salirle lungo la schiena e annuì, stringendogli a sua volta la mano. Restò a lungo seduta, ma quando la tensione svanì arrivò la stanchezza. Il suo letto era dall'altra parte della stanza e non ci poteva andare perché Nakht le teneva ancora la mano, così si stese lì per terra, al suo fianco. L'ultimo pensiero prima di addormentarsi fu per Jamila.

 

 
Il cantuccio dell'Autrice
Eccomi ^^
Tra poco inizierò a revisionare la storia, ma non preoccupatevi perché probabilmente non ci saranno cambi di trama tali da necessitare una rilettura, nel caso vi avvertirò :)
Alla prossima!
Red Wind
   
 
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