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Autore: Margo_Holden    14/06/2015    1 recensioni
Sheena è una pacifista, che nel giorno della scelta, deciderà di stare con gli intrepidi.
Quello che non sa, è che non ci sarà solo la lotta per rimanere nel suo nuovo mondo, ma la lotta più grande dovrà vincerla contro se stessa e i suoi sentimenti.
Dal Capitolo 17.
"Quando giunsi lì, mi sedetti sul muretto con i piedi a penzoloni. Chiusi gli occhi e allargai le braccia. E sognai di essere una bellissima aquila, che volava e spiegava le sue ali senza paura o timore, che padroneggiava alta su nel cielo, limpido e senza nubi. Andava dritta per la propria strada e non si guardava mai indietro, sapeva cacciare e badare a se stessa, mentre muoveva le ali su e giù senza badare agli altri uccelli che la guardavano intimoriti. Aprii gli occhi di scatto quando capii che avevo disegnato il profilo di Eric."
Genere: Drammatico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Eric, Four/Quattro (Tobias), Nuovo personaggio, Tris
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 14.







Ci sono persone che nella vita ti lasciano un segno indelebile, un segno che nemmeno la peggiore eruzione di un vulcano può cancellare. Quelle sono le persone che reputi i tuoi amici per la pelle, anzi no, che reputi fratelli non sanguigni.
L’amico fratello è la persona che entra in punta di piedi nella tua vita ed è con lui, proprio con lui, che non hai bisogno di spendere parole perché ci pensano gli occhi a farlo. Ed è un amore strano quasi indelebile ma che si fa sentire.
E poi ci sono quegli amori fatti di passione e cattiveria, di sangue marcio e labbra screpolate, di abrasioni causate dal freddo, di ossa rotte e cuori pulsanti, di respiri tristi e inafferrabili. 
Questi sono gli amori impossibili, che come la ginestra, nascono nei posti più impensabili.
Cosa c’è di bello in loro?
Il bello sta che essi sono tenuti nascosti, che nascono dagli sguardi più o meno sensibili, tra persone diverse e muoiono incatenati nel cuore. In essi non c’è differenza tra quello che è bello o brutto, perché sarà sempre bello agli occhi dell’amato.
Quello è il vero amore. E la violenza con cui esso si spinge dentro di tè è così radicale, così dolorosa che non puoi sottrarti ad esso ed a quel punto, non ti resta che accettare.
Era quello per me Eric.
E ci ero arrivata solo adesso, mentre lo guardavo con quella sua mascella pulita e contratta e con quegli arti minacciosi, ma che sapevano trasportarti in paradiso se solo lo volevano, solo sfiorandoti.
Guardarlo faceva ogni volta muovere qualcosa nel mio intestino. Era qualcosa di incredibile che non avevo mai provato prima d’ora. Ma faceva anche un male assurdo.
Lui era così lui. Perfetto nelle sue imperfezioni, scontroso e sfuggente.
Ad un tratto nella mensa fece il suo ingresso Taylor la rossa con tutte le sue curve pronunciate a posto, con quei capelli tinti e quegli occhi da predatrice che si posavano su di lui.
Ed io, mentre la guardavo fare il polipo con lui, mi si spezzavano le ossa in piccoli pezzi mentre la mia pelle bruciava di una cocente e violenta gelosia.
Mentre il suo sguardo vagava su Eric, ad un tratto però , quegli stessi occhi si posarono nei miei.
Non era di certo uno sguardo amichevole, ma uno di quei sguardi che volevano dirti che lei aveva vinto, mentre io, beh io perso.
“Guarda con chi è Eric adesso, ragazzina”.
Era questo quello che trasmettevano.
Sapevo che avevo perso quella battaglia nel momento in cui Eric era entrato dalla tatuatrice.
Mi aveva regalato un ultimo bacio e poi, come tutti fanno nella mia vita, se ne era andato.
Una lacrime rigò il mio viso ma l’asciugai prima che toccasse la maglietta. Odiavo farmi vedere debole.
-È bello non è vero?-
La persona che aveva appena pronunciato quelle parole aveva lunghi capelli color del grano, due occhi verdi come lo smeraldo,  una maglia nera troppo larga per il suo fisico magro ma troppo corta per essere indossata come vestito perché il signore gli aveva donato delle gambe davvero lunghe.
Caroline.
La ragazza per i quali gli uomini avrebbero venduto le proprie madri per stare anche un minuto da soli con lei.
-Chi?- risposi a Caroline facendo finta di niente.
-Non fare la finta tonta con me ragazzina. Odio che mi prende in giro.- mi rispose con poca grazia.
-Si, lo è.- risposi fredda mentre la fila si muoveva. Diedi quella risposta più per finire la conversazione che stava prendendo una piega al quanto strana.
E faceva anche tremendamente male.
-C’è una persona che vorrebbe vederti.- mi disse all’orecchio come se fosse uno dei segreti più belli da custodire.
-Chi?.- risposi un po’ pensierosa mentre la mia mente vagava da un volto all’altro.
-Sei una cosa di Eric, quindi tecnicamente spetta a lui autorizzare la cosa.-
-Io non so un oggetto. Non appartengo a nessuno se non a me stessa.- gli dissi contraendo la mascella.
-Certamente. Io intendevo per quanto riguarda la tua iniziazione.- ridacchiò.
Rossa. Ecco come diventai. Un pomodoro maturo. E la cosa si accelerò quando mi ritrovai gli occhi di tutti i presenti puntati su di noi.
-Eric!- urlò lei.
Eric venne poi verso di noi.
Il mio cuore accelerò di mille batti e le mani cominciarono a sudare.
-Che c’è biondina?- il tono della sua voce era molto scocciata, come se lo avessimo disturbato nel momento più bello. Un moto di disgusto salì dallo stomaco fino ad arrivare alla bocca.
E faceva male, molto male.
La verità mi si piantò in faccio: si divertiva parecchio con quella troia e che questa ne era la prova.
Oppure faceva così solo per il gusto di ferirmi.
-La ragazza qui, ha delle visite. Devi autorizzare il tutto.- e mentre lo diceva poggiò le sue fredde e lunghe mani sulle mie spalle.
E finalmente ebbe il coraggio di guardarmi.
-Okay…- disse questo e poi fece un cenno del capo così che io potessi seguirlo. Cosa che feci.
Il viaggio dalla mensa al suo ufficio fu davvero la cosa più imbarazzante mai provata prima.
Lui non disse una parola e non mi guardò nemmeno per caso.
Io non dissi una parola ma lo fissavo con la coda dell’occhio.
Penso che se ne accorse ma non disse comunque una parola.


Arrivati nel suo ufficio, aprì la porta e senza spendere -anche questa volta una singola sillaba – entrammo.
Mi si mozzò il fiato in gola quando vidi che ad attendermi c’era  Johanna.
Ma la cosa che più mi preoccupava erano i suoi occhi che cercavano di nascondere, con un sorriso, una strana tristezza quasi pena. Ecco si pena. I suoi occhi nascondevano la pena.
Cosa stava succedendo?
-Sheena se oggi sono qui è perché devo parlarti di una questione urgente che ti riguarda appieno.- e poi parlò. Le sue parole uscirono dalla sua bocca come dei sospiri strozzati mentre io, che cominciava a venire su quel magone, non riuscii più a parlare ma a fare solo gesti. Feci si con la testa e lei riprese a parlare.
-Tuo padre Sheena, non sta bene. Non voleva dirtelo ma tuo fratello ha tanto insistito e quindi ho pensato bene di venirtelo a dire, in fondo è un tuo diritto. Adesso è in ospedale ma non so se puoi vederlo.-
Mio padre.
Mio padre non sta bene.
Ed ecco che davanti agli occhi mi si materializzo lo scenario della paura di questa mattina dove nel soggiorno ad attendermi non c’era mia madre ma mio padre.
Odoro di dopobarba, la vecchia poltrona rossa, il giornale, le frittelle con lo sciroppo di mele, le litigate, le lacrime, il dolore, il lago, i sorrisi, i capelli brizzolati, il caffè e il suo odore, mio fratello, io, mia madre, lui e il silenzio. Tanto silenzio a colmare il frastuono delle mie grida silenziose. A coprire i ricordi passati.
Qualcuno continuò a parlare forse era Eric o forse era ancora Johanna.  A me non importava. Nemmeno li sentivo più. Tutto ciò che avevo di mio padre erano ricordi. Quello mi restava. Anche se sarei andata in ospedale a vederlo, sarebbe rimasto dentro di me quel ricordo di lui morente, che era troppo attaccato a quella vita che gli aveva riservato solo grandi delusioni e dolori e felicità. Questo rimaneva di mio padre.
Cosa siamo se non terra che ritorna nel manto materno.
Però anche se non era ancora veramente morto, sapevo che se mio fratello aveva voluto che lo sapessi era solo per preparami.
Come ci si può preparare a queste cose? Queste cose accadono e basta e tu devi necessariamente abbracciarle e non lasciare che esse ti divorino. Prendere consapevolezza che una persona non ci sarà più fisicamente è diverso dal far rivivere la sua memoria nei ricordi di una vita. Il passato va dimenticato per lasciare spazio al futuro. Quelli che dicono così non sanno cosa vuol dire avere una persona che ami morta nel tuo orrendo passato. Perché in quel caso cerchi di vivere nel passato e nel futuro senza veramente vivere.
Era veramente tanto che io non vivevo, solo con Eric ero riuscita a vedere uno scorcio di luce del futuro, ma poi erano ripiombate le tenebre ed era tornato il passato.
Nel frattempo mi ero accovacciata a terra con le mani premute negli orecchi.
Volevo il silenzio, ma i pensieri erano troppo numerosi e le lacrime troppo salate.
Odiavo farmi vedere debole davanti agli altri.
La mia mente era un turbine di pensieri e ricordo dai quali non sapevo scindere verità o falsità.
La mia mente non ci credeva che mio padre stesse per morire.
Non voleva lasciarlo andare.
Qualcuno mi prese e mi fece sedere su un divano. Poi mi abbracciarono e mi baciarono la testa. Qualcuno aveva aperto la porta e aveva lasciato la stanza. Qualcun altro era entrato ma aveva visto la situazione ed aveva deciso di uscire di nuovo.
Quel qualcuno che mi stringeva dolcemente altri non era che Eric.
Con i suoi capelli color dell’ambra, portati indietro e tenuti da una montagna di gelatina, tipica acconciatura degli Eruditi e di chi era andato avanti anche se un pezzetto di lui era rimasto indietro.
La forza che ostentava in questo istante sembrava averlo abbandonata. I suoi occhi cristallini mi dicevano che era pronto a darmi amore se solo io lo avessi voluto.
Certo che lo voglio. Voglio ogni singola parte di te. Voglio poter essere come te. Ma non lo sono ed in questo momento l’unica cosa che voglio è riavere indietro mio padre. E voglio vendere la mia anima  al diavolo per poterlo vedere sorridente almeno per un ultima volta. No non deve essere l’ultima. Cazzo no! E io come vivo senza il mio dolce ed adorato papà. Come faccio a riviverlo nei ricordi. Come si fa a rivivere una persona nei ricordi. Fermati e spiegamelo, insegnamelo. E poi forse potrò lasciarti andare. Mio adorato padre.
Questo avrei voluto dire ma l’unica cosa che feci fu lasciargli un piccolo bacio sulla punta delle labbra e stringermi di più al suo corpo caldo e protettivo. Speravo che avesse compreso la mia risposta silenziosa.
-Dammi amore.-
Sputai fuori dopo interminabili minuti dove il silenzio veniva interrotto dai miei singhiozzi strozzati.
Quelle due parole che uscirono solo in quel momento ma che avrei tanto voluto vomitare fuori tempo prima. Non era il momento e pure per me lo era. Non avevo mai avuto bisogno di una persona come in questo maledetto momento.
-Cosa?- fu la sua parola. L’unica cosa che sapeva dire era un “cosa”. Non si sbilanciava mai, non provava proprio mai il brivido di buttarsi su qual cosa anche se era pericolosa.  Ma i suoi occhi dicevano il contrario della sua bocca. I suoi occhi mi indugiavano a fare il primo passo.
-Ho detto che devi darmi amore. In questo momento. Oggi perché domani può essere già troppo tardi. Eric io ti amo come non ho mai amato nessuno nella mia vita. Anzi io non ho proprio amato nessuno. Ma tu sei tu. E perciò ti dico amami, così che io possa ripagarti con la stessa moneta.- eccole le parole che a fiumi salivano su ed uscivano dalla mia bocca.
-Non posso. Non possiamo e lo sai anche tu.-
-Io so solo che sei stato la mia cura e che se solo lo volessi io potrei essere la tua.-
Lui sospirò.
-E se anche accettassi non è una cosa lecita, andremmo contro le regole.-
-Fammi capire un capofazione non può sposarsi? Se non mi vuoi dillo e b…- non terminai la frase che le sue labbra avide si abbatterono contro di me con una tale forza che fui costretta a sorreggermi alla sua schiena.
Ad un certo punto si staccò da me, si alzò e mi tese la mano.
Non sapevo cosa volesse fare però la totale e inspiegabile fiducia che avevo nei suoi confronti mi spinse ad alzarmi da quel divano e seguirlo.
Quando afferrai la sua calda e grande mano lui mi sorrise e sussurrò un flebile andiamo.
Ci ritrovammo a correre inseguendo il treno, a saltare su di esso e a scalare la grande ruota panoramica.
Arrivammo più in alto della volta precedente dove la vista era ancora più bella.
Potevo vedere quell’immensa città diventare piccola sotto i miei piedi, con le case bianche e semplici degli Abneganti, quelle super tecnologiche degli Eruditi con le relative macchine, il palazzone rosso degli Intrepidi, l’immensa prateria dei Pacifici e uno scorcio del mondo fuori delle mura.
Chi sa cosa c’era lì.
Penso che ognuno di noi almeno una volta nella vita se lo sia sempre chiesto ma non ottenendo risposta.
-È bellissima la vista da qui.- ruppi quel silenzio che era diventato ormai insostenibile.
-Già.- mi rispose poco convinto.
-Non ho mai ripudiato la mia famiglia.- quando pronunciò quelle parole girai di scatto la testa e lo guardai con occhi sgranati.
Si stava aprendo a me e di conseguenza avrei dovuto fare lo stesso anche io, ma io ero pronta come lo era lui?
Decisi di non pensarci e di continuare a far finta di niente.
-Sono stati loro a farlo con me.- continuò senza però guardarmi.
-E perché?- chiesi come una piccola bambina ingenua.
Finalmente però mi guardò ma il tutto durò solo un istante perché riportò lo sguardo verso la città.
-Perché non hanno mai accettato la mia vera natura. Sai prima di essere un Intrepido ero un Erudito.-
E si fermò.
Stavo per chiedergli cosa gli fosse accaduto di così grave che lo aveva portato a cambiare quattro anni fa idea, ma non potei farlo.
I suoi occhi così dannatamente profondi e blu brillavano di una luce che non gli apparteneva e chiedevano silenzio. Ed io lo accontentai subito.
-Un giorno, non oggi, mi racconterai di te, di tua madre e di tuo padre, adesso però scendiamo, voglio dire addio a mio padre.- non lo guardai mai, guardai però quell’immenso palazzo bianco dove mio padre ci stava lasciando una parte di lui. Quella parte che mi sarei ripresa.
Il vento mi scompigliava i capelli, mi asciugava gli occhi e mi seccava le labbra.
Il vento che portava via le parole sussurrate, le grida di gioia ma anche quelle di dolore.
Il vento che conserva i segreti più intimi degli amanti.
Il vento che alleggerisce i cuori intrisi di benzina e sangue.
Quando arrivammo davanti all’ospedale dentro di me si riaccese quel focolaio di tristezza, e così quando entrammo fu Eric che chiese della stanza di mio padre.
La sua stanza si trovava al terzo piano, ci dissero che la visita sarebbe dovuta durare cinque minuti ma essendo mio padre un malato terminale potevo restarci anche dieci minuti.
Cancro terminale ai polmoni.
Era lì da ben tre giorni e io non ne sapevo niente.
Fu però quando entrai in quella stanza e quando vidi che mio fratello era vicino alla finestra mentre piangeva, capii che non avrebbe superato la notte e che si stava spegnendo lentamente, allora il mio corpo si fece in mille piccoli pezzi.
Gli andai vicino e quando mi riconobbe la smorfia di dolore sul suo viso divenne un dolce e flebile sorriso.
-Papà…- riuscii solo a dire prima di scoppiare a piangere.
-Ciao Sheena come stai?- non ce la feci più e mi buttai singhiozzando su di lui, tra le sue braccia proprio come quando ero bambina e avevo paura.
-Non andartene ho bisogno di te.-
-Si che ce la fai.-
-No, invece. Tu sei il mio papà ed io ho un disperato bisogno di te.- urlai come una bambina viziata.
-Si che ce la fai. Sei più forte di quanto pensi e l’esser venuta fin qua ne è stata la dimostrazione. Tu però promettimi che ti prenderai cura di tuo fratello. Che vi prenderete cura l’uno dell’altro, anche se avete scelto di vivere due vite diverse. Lui ha bisogno di qualcuno e dato che tu hai già qualcuno pronto a difenderti lui no, ha solo te.- disse riferendosi a Eric che nel frattempo era rimasto sulla porta e poi mi girai verso Travis che silenziosamente continuava a piangere e rifugiarsi in se stesso.
-Te lo prometto.- dissi tirando su con il naso.
Rimasi un po’ con lui a parlare dei vecchi tempi, questo ed altro per ricordarlo con il sorriso.
Poi però venne il momento di tornare  a casa ma prima di lasciare la stanza mio padre aggiunse qualcos’altro.
-Sheena prima che tu te ne vada, volevo dirti che sono sempre stato fiero di te, e che lo sarò anche da la su, qualsiasi decisione tu prenda, ricordati che avrei sempre il mio appoggio. Un'altra cosa, forse quella più importante. Nella nostra vita che in qualche modo si è intrecciata, abbiamo conosciuto cosa vuol dire la parola dolore, ma quello Sheena è uno dei tanti ostacoli che la vita di mette di fronte per affrontarli, è un test che abbiamo risolto con disinvoltura dire, ma ci sono test che cercano di cambiarti ed è per questo che ti dico che non devi cambiare per nessuno e per nessun motivo al mondo.- detto questo il suo respiro di venne ancora più flebile e quindi decisi che era ora di lasciar riposare mio padre, tanto sarei ritornata domani. Gli dissi che gli volevo bene e che glie ne avrei sempre voluto, salutai mio fratello e insieme ad Eric ritornai a casa, dagli intrepidi.
   
 
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