Errore
di calcolo.
Lo
specchio rimandava un’immagine del
tutto inverosimile; gli avrebbe addirittura fatto accusare –
e finalmente – quel
buon vecchio whiskey d’annata di cui le sue scorte non
potevano fare a meno, se
solo i suoi occhi insonnoliti l’avessero inquadrata pochi
istanti prima.
La testa
bionda accanto alla sua si scosse
in un moto di diniego, presumibilmente a rimarcare quanto un mugugno
impastato aveva
mancato di esprimere; poi scomparve dallo specchio, lasciando
intravedere le
raffinate piastrelle di ceramica importate direttamente
dall’Italia che decoravano
il muro del suo bagno. Il rumore degli sciacqui coprì per un
momento quello
dell’acqua corrente.
L’orario
disumano contribuiva a scavare
d’irritazione l’espressione già stanca e
lo sguardo lanciatogli dai suoi stessi
occhi, che lo inchiodavano trucemente dall’altra parte dello
specchio – le
gioie del frequentare un soldato del dopoguerra ancora in
attività: sveglia
all’alba, un’abbondante omelette per colazione e
jogging per risvegliare
muscoli che, di certo, avrebbero agguantato al volo l’idea di
trascorrere gran
parte del finesettimana a oziare nel tepore confortante delle coperte. «Central Park al mattino è il
posto perfetto
per sgranchirsi le gambe, Tony» un dannato cazzo,
Rogers, avrebbe dovuto
rispondergli mesi e mesi fa, la prima volta che si era svegliato con le
gambe
attorcigliate fra le coperte più pruriginose del materasso
più duro su cui
avesse mai avuto la sventura di dormire. Il lato positivo era che,
almeno per
quella volta, avrebbe evitato i chilometri di corsa e affanno che
separavano
Brooklyn da Manhattan. Convenne fra sé e sé di
invitarlo più spesso a trascorrere
le notti libere a casa sua, assodata
l’impossibilità di demolire i consueti
piani della mattina dopo. Intaccare la disciplinata routine di Captain
America.
Sarebbe stato più semplice creare un’armatura
capace di compiere il giro del
mondo in meno di dodici ore.
Dal suo
lato del doppio lavabo afferrò
lo spazzolino elettrico su cui spremette con veemenza del dentifricio
che, in
parte, finì a sporcare il rubinetto aperto.
«Tony,
l’acqua scorre» lo rimproverò Steve.
Era ritornato
nel riflesso, accanto a lui,
e gli occhi gli lampeggiavano di disapprovazione mentre si passava
l’asciugamano sulla bocca.
«Tranquillo,
nonno, la grande
depressione è finita da un pezzo.»
Steve
rispose con un mero sbuffo che omaggiava
la sua pazienza nei confronti delle continue punzecchiature. Non era
facile
abituarsi a ignorarlo, Tony ne era cosciente; era circondato da poche,
preziose
persone leali per un motivo preciso. Vivere di vizi sin
dall’adolescenza poteva
indebolire il carattere, ma il vecchio Howard aveva lavorato su quel
fronte
impartendo dure lezioni di morale che avevano visto protagonisti il
biasimo e
la conseguente freddezza nei confronti del suo unico figlio ed erede.
Il
distacco provoca errori. Tony tuttavia non si sentiva mai nel torto
quando
ricorreva a commenti sprezzanti per ripararsi dalla riprovazione che
persino
chi lo conosceva poco e male non esitava a sbattergli in faccia.
Steve
sembrava aver maturato una
distinta indulgenza verso quasi tutto quello che, accidentalmente o
meno, gli era
sfuggito di bocca, in quei mesi di passeggiate, inviti a cena e notti
insonni
che spesso erano terminate in sospiri tremuli e sazi, con i raggi
dell’alba a
tentare di penetrare le imposte socchiuse delle alte e caratteristiche
finestre
del quartiere di Brooklyn in cui Rogers viveva. Che fosse una cosa
voluta? Sicuramente.
Tony
staccò lo sguardo dal riflesso di
Steve e lo puntò sul proprio. Lo spazzolino gli ciondolava
mollemente da un
lato della bocca e le profonde riflessioni mattutine non mitigavano le
rughe del
suo sguardo crucciato. Poteva essere un’attività
divertente, indugiare con le fantasticherie
sui particolari sentimenti che smuovevano di continuo il cuore umano,
leggere le
delicate sfumature che mutavano il valore di un’emozione e lo
stato di una
relazione fra due individui. Questo tuttavia fino a quando non
scattava, puntuale,
il campanello d’allarme che lo scuoteva e lo avvisava di
quanto pericolosamente
avesse lasciato crescere il livello di intimità. Bastava un
istante di
distrazione per capitombolare e Tony non voleva illudersi. Eppure,
l’intenzionalità
della condiscendenza di Steve lo aveva sorpreso e riscaldato dentro;
non poteva
vederla come una minaccia, non da parte sua.
Avvertì
la pressione di due dita sul
solco pensieroso che gli increspava la fronte e sussultò per
la sorpresa. Dovette
sbattere più volte le palpebre prima di accorgersi che il
polso di Steve gli
stava coprendo parte della visuale che lo specchio rinviava.
«Continua
a fare il muso sin dalla
mattina e nemmeno le tue preziose creme per il viso potranno aiutarti
nella
lotta contro il tempo» ghignò Steve,
massaggiandogli la fronte.
«Spassoso,
Steven. Vuoi che rida? Ci tieni
così tanto a sentire la mia risata sarcastica? Tanto credo
sareste soltanto tu
e qualche sfortunato uccello a poterla ascoltare a quest’ora
infame.»
«Cielo,
che senso. Ho appena sentito la
pelle afflosciarsi proprio qui.»
«Non
tutti abbiamo avuto la fortuna di
finire congelati e conservare la pelle liscia come il culo di un
bambino per
decenni.»
«Tutta
invidia, Stark.» Steve avvicinò
il viso al suo e gli baciò il punto arrossato su cui le sue
dita avevano
insistito. Gli circondò il collo in un abbraccio morbido e
lo guardò negli
occhi dallo specchio, sorridendo, una tempia appoggiata contro lo
scompiglio castano
che erano i capelli di Tony al mattino.
Un moto di
agitazione improvviso gli attorcigliò
lo stomaco e Tony si sentì costretto ad abbassare lo sguardo
per un momento,
prima di risalire lentamente, quasi valutando in numeri la distanza fra
le
braccia di Steve, strette attorno a lui, e il suo pettorale destro, poi
il
centro del torace, e infine il punto in cui approssimativamente batteva
il suo
cuore. Stavolta colse il movimento della mano che scioglieva
l’intreccio delle
braccia e che, cauta, scendeva nella direzione in cui si erano
soffermati i
suoi occhi poco prima. Tony deglutì un groppo fastidioso
mentre il palmo caldo
di Steve si sistemava
sul suo petto per confortare
il battito trepidante che segnalava un ennesimo, imprevisto progresso
del loro livello
d’intimità. Per quanto tempo aveva distolto lo
sguardo? Quanto aveva lasciato maturare
un sentimento che gli era sembrato solo uno dei tanti capricci da
soddisfare? Il
robusto torace premuto contro la sua schiena dolcemente
cominciò a suggerirgli un
ritmo quieto e rassicurante di ampi sospiri da seguire; gli ricordava
il pigro assopirsi
dei loro respiri dopo aver fatto l’amore.
Steve non
parlava, si limitava a
osservare il riflesso di Tony struggersi silenziosamente. Le ombre
delle
emozioni che si manifestavano fra i solchi delle rughe indicavano lo
sconquasso
interiore e la paura, il terrore di accettare ciò che non
era altro che una svista,
scongiurata da sempre. Era la variabile accidentalmente non calcolata,
la x trascurata
che aveva scombinato un’equazione lunga una vita. La dolcezza
della contraddizione
matematica lo scrutava attraverso occhi azzurri scuriti dalla penombra
del suo
bagno. Steve apparteneva a un’epoca che aveva già
da tempo consumato i suoi
anni e terminato il suo corso. Se non era, quella, una coincidenza
decisamente
buffa. Una linea temporale distorta – recisa e poi ricucita
all’orlo di una
totalmente diversa – e l’imprevedibilità
causata da un mero errore di calcolo,
ed ecco il risultato.
L’abbozzo
di un sorriso sulla bocca di
Tony venne accolto da una fila perlacea di denti che gli rispondeva
dall’altra
parte dello specchio, poco più in alto del suo naso. Cinse
con le dita il polso
poggiato contro la sua clavicola e strinse, forte, reggendosi a quella
parvenza
di stabilità che l’illogicità gli stava
buffamente offrendo.
---
L’ho finita alle
4. L’ho riletta con un
filo di bava che mi penzolava dalla bocca e rischiava di finire sulla
tastiera,
e ho pure gli occhi secchi per il sonno. Ma l’ho finita. E
sono anni che ho il
blocco e la paura di riprendere a scrivere. Liv/pata/darkrin
mi sta riportando con la manina sulla vecchia via e mi ha whatsappato
dei prompt,
uno dei quali, molto poetico, “lavarsi i denti”, ha
ispirato le pippe mentali di
Stark che ho appena terminato; magari una buona dose di bottarelle da
parte di
Steve gli risolvono definitivamente l’impiccio.