“So far away from where you are
These miles have torn us worlds apart
And I miss you, yeah, I miss you”
Lifehouse, From Where You Are Lyrics
La coscienza
andava e veniva.
Acqua,
freddo, buio. Dolore. Qualcuno che gridava il suo nome. Il suo corpo si
muoveva, sbatteva, girava. Una nuova dimensione, dolorosa e sconosciuta, dove
lo spazio si dissolveva in un turbinare liquido, lo avvolgeva e lo stringeva,
lo ruotava e lo sballottava, sospendendolo appena un attimo tra i flutti per
poi strattonarlo a forza via.
Acqua e desiderio
d’aria; affanno, smarrimento, tosse. Niente, e poi nuovamente coscienza. Momenti
lunghissimi di lotta per un respiro, tra neri vuoti. Una mano, sotto la sua
mascella, gli tirava la testa su, ma l’acqua turbinava in gola. Tossiva, ed
altra acqua entrava nella trachea, non poteva respirare. Giù, di nuovo con la
testa giù, sotto la superficie. Nuovamente buio.
Poi, ancora
la voce, a ritirarlo fuori.
“…passò momenti interminabili nell'oscurità,
bagnato dagli spruzzi dell'acqua agitata…”
“Leo! Le…
cof… Malediz… cof… LEO!”
Qualcuno era
lì con lui, nell’acqua. Tra gli spruzzi, nel buio, una voce gridava nei suoi
fori auricolari. Qualcuno lì vicino, che era avvolto a lui, lo stringeva e lo
spingeva a galla. Una presenza amica, che tentava di aiutarlo.
“Leo… cof
cof LEO! SVEGLIATI, LEO! Non ce la facc… cof…”
Leonardo si
aggrappò alla coscienza con tutte le sue forze, lottando per non farsi trascinare
ancora una volta nel nulla.
“Cof… Karai… Kar… cof cof… KARAI!”
La chiamo,
gridò il suo nome sopra il turbinio dell’acqua, come un’invocazione disperata;
si strinse a lei, nel panico, l’afferrò, ché non scivolasse via, ché non la
perdesse tra i flutti; lei, la sua ancora, la sua salvezza.
Lì, in quell’inferno
di acqua, Karai era con lui. La sua Karai.
Leonardo comprese
che erano sul fondo della sala, nella vasca turbinante. L’acqua schiumosa li palleggiava
in giro come giocattoli. Capì che Karai stava lottando per trascinarlo verso
una direzione, ma essendo più piccola di lui, e dovendo lottare contro la
corrente che turbinava, non ce la stava facendo. La sentiva, incuneata con la
testa sotto il proprio braccio, che stringeva forte con una mano, cercando
inutilmente di remeggiare con l’altra. La tartaruga mutante iniziò a muoversi
pure lui, prese a nuotare con il braccio libero, con la gamba, mosse anche
l’inutile moncherino, incurante del dolore che si irradiava.
Ansimando,
lottando per ogni boccata d’aria che riusciva mandare giù, alla fine si rese conto
che la corrente iniziare a decrescere. Karai lo tirò con minor resistenza. Allontanati
dal centro dell’enorme vasca, si avvicinavano ai bordi, dove l’acqua era più
tranquilla. Il buio era quasi totale, là sotto. Solo in alto, parecchi piedi
più sopra, si poteva vedere la pallida luce dell’aurora che da una grata
filtrava dalla superficie.
“Karai…” Il
mutante sentiva di aver dato tutto quello che poteva, e la coscienza iniziava a
scivolare nuovamente via da lui come sabbia tra le dita di una mano.
“Leo! Leo,
resta come me, adesso usciremo di qui, Leo!”
Leonardo
sfiorò il bordo della vasca, viscido di alghe. Le forze lo stavano
abbandonando; si aggrappò con entrambe le braccia al corpo esile e caldo della
ragazza. Era appena abbastanza sveglio
per capire che non sarebbe stato facile venirne fuori. Da quanto ricordava, da
quello che aveva sempre potuto vedere dall’alto, la vasca non aveva punti da
dove poter uscire, non essendo altro, in realtà, che il fondo di un alto pozzo
in cemento. Tutt’intorno, nessun appiglio; su di loro, solo i tubi, troppo in
alto per arrivarci. Lui non aveva con sé il suo T-phone; Karai non ne aveva mai
avuto uno. Avrebbero dovuto aspettare che qualcuno venisse a cercarli; sarebbe
passato un po’, prima di essere rintracciati. Erano soltanto lui e Karai.
Karai.
Questa Karai
che lottava, parlava e gridava. Così vicina alla Karai che aveva sempre amato,
e non la bambolina fragile che aveva girovagato per la tana nelle ultime
settimane come uno spettro senz’anima.
Si strinse a
lei, poggiò la testa nell’incavo del suo collo; lei lo avvinghiò a sua volta, con
le gambe intorno al suo carapace. Leonardo chiuse occhi. Sotto la pelle
morbida, sentiva il respiro ansimante della ragazza.
Karai si era
gettata nell’acqua per salvarlo. Per lui.
Aveva messo la sua vita in pericolo, per
lui.
Quest’ultimo
pensiero, dolce e amaro allo stesso tempo, lo accompagnò all’oblio.
“…Per il soldatino di piombo ci fu di nuovo
l'oscurità…
…
Le visioni
erano strane, deformi, fluttuanti. I suoni e le immagini che gli arrivavano a
sprazzi, quando emergeva a volte dall’oscurità, davano l’impressione di
qualcosa di noto, ma definire cosa era sempre appena al di fuori della sua
portata. Un solo pensiero, una sola sensazione, riuscì a imprimersi nella sua
coscienza. Aveva la forma curva di un fratello, l’odore noto di alcol, ed il
tocco di una mano sul suo braccio. Questo pensiero era “sono a casa, sono salvo”. Non capiva ancora quale fratello fosse
chino su di lui; ma andava bene così: era al sicuro.
Sbatté gli
occhi, accecati dalle luci del laboratorio di Donatello, che pure erano tenute
basse.
“Ben
svegliato, bell’addormentato.”
Girò la
testa di lato, verso la voce. La testa pesava quanto una montagna. Sbatté
ancora le palpebre, mise a fuoco. La forma accanto a lui si distinse. Accennò
un sorriso, poi deglutì e mormorò piano.
“Raph…”
Il fratello
mascherato in rosso gli fece un cenno, sorridendo con la sua solita aria
ironica; il suo sollievo si leggeva negli occhi.
“La prossima
volta che vuoi andare a fare un tuffo, dimmelo. Magari scegliamo un posto un
po’ più accessibile per la risalita, che dici?”
Leonardo
riportò il volto verso l’alto, e sbuffò; ma la battuta del fratello aveva
funzionato, ed un altro sorriso gli increspò la bocca.
“Come… – iniziò,
quando un improvviso pensiero gli fece spalancare gli occhi – Karai!”
Cercò di
alzarsi a sedere, ricevendo in cambio una fitta alla coscia ed un forte senso
di nausea. Raffaello lo riportò giù, mettendogli le mani sulle spalle.
“Ehi ehi!
Calma! Karai sta bene, sta dormendo. Anzi, sta benissimo, direi.” Diede un
altro mezzo sorriso, ed annui. “Sembra più normale, sai, tutta la cosa ‘stramba’…”
Iniziò a girasi un dito intorno alla tempia, ma il gesto si spense davanti allo
sguardo di ghiaccio di Leonardo, e Raffaello abbassò la mano, storcendo il viso
imbarazzato.
“Insomma –
aggiunse – sta meglio. Donnie ha parlato di qualcosa come ‘effetti dello shock’…
Quando vi abbiamo ripescato eravate mezzi assiderati; ma lei ci ha aiutato a
tirarvi su e ci ha raccontato come sei caduto. Ah, ed era incazzata nera con
te.”
Leonardo
sbatté gli occhi, e Raffaello continuò.
“E lo è
anche Donnie, perche ti sei incasinato la ferita, – prese a contare sulle dita
– Sensei, perché sei uscito dalla tana di notte nelle tue condizioni, e
naturalmente io, perché sei un idiota.”
Alzò un po’
la voce ed arricciò una mano a pugno, poi la aprì, sospirò, e poggiò la mano
sul piastrone del fratello.
“Ci abbiamo
messo ore per trovarvi, là sotto. Sei un idiota – ripeté, questa volta con aria
triste. – Non dovevi andartene in giro da solo con… nelle…”
“Nelle mie
condizioni?” Leonardo tornò a guardarlo, sorridendo triste.
“Sì, nelle
tue condizioni.”
Gli occhi
verdi, duri ma nello stesso tempo pieni d’affetto, non ammettevano repliche.
Sbatté piano la mano sul piastrone del fratello, poi si allontanò di un passo.
“Vado a dire
agli altri che ti sei svegliato.”
Ma quando
Raffaello tornò in laboratorio con i suoi fratelli ed il loro sensei, il
mutante in blu si era riaddormentato.
…
“Posso
entrare?”
Leonardo tolse
il braccio dal viso ed aprì gli occhi; era sdraiato sul letto in camera sua.
Per tutta la giornata era stato obbligato a non uscire dalla sua stanza. Così
come per le due giornate precedenti.
Tutto qui.
La punizione era stata ridicola. Donatello aveva spiegato a lui ed a Sensei che
la causa dello “strano comportamento” di Leonardo era dovuta all’inevitabile
stato di depressione a cui lo aveva portato la grave menomazione. Era un fatto
normale, aveva asserito il viola. E poi addizionava l’azione dei farmaci, e lo stato
febbrile che il blu stava attraversando.
Tutto
normale, insomma. Leonardo non si era comportato da folle, scappando da casa e
quasi rimanendo ucciso nelle fogne, perché era stata una sua, stupida,
decisione, ma perché era rotto, malato.
La conclusione a cui era arrivata la sua famiglia lo aveva ferito ancora più
profondamente. Aveva capito che Splinter alla fine gli aveva inflitto questa
ridicola punizione quasi per farlo contento.
Effettivamente,
non gli dispiaceva neanche, restare da solo. Non sopportava la compagnia dei
suoi fratelli in questi giorni, e voleva un po’ di tempo solo per sé, per
riflettere. Adesso, che la febbre era passata e che Donatello aveva ridotto i
farmaci per il dolore, era più lucido. La gamba faceva un male cane, il moncone
doleva ad ogni piccolo movimento, ed era tornato a volte il dolore fantasma,
come se qualcuno gli trafiggesse con la punta di un coltello la caviglia che
non c’era più. Ma riusciva a ragionare con più coerenza, i pensieri stavano
tornando ad incasellarsi uno dietro l’altro con l’ordine che li aveva sempre
contraddistinti. Aveva individuato questo nuovo nemico da sconfiggere, gli
aveva dato un nome, depressione, ed
il suo spirito guerriero lottava per non farsi sopraffare.
Non era
facile. Quando il nemico è in te, quando sei tu, non è semplice distinguere la
differenza tra i due fronti; il campo nemico si avvicina e si fonde con la tua
trincea, ed ogni colpo inferto è un colpo ricevuto.
Eppure,
qualcosa stava tornando a posto. Aveva letto un po’, aveva perfino meditato,
sul serio. Ed era riuscito a non pensare a lei, a non pensare a lei con lui, per alcune ore. Era quasi riuscito a
convincersi di essersi sbagliato, di aver travisato, e che in fondo non gliene
importasse più di tanto.
Quasi
riuscito.
“Entra.”
Adesso, dopo
tre giorni, lei aveva bussato alla sua porta, e stava entrando in camera sua. E
tutti i suoi propositi avevano preso fuoco, si erano accartocciati,
carbonizzati e ridotti in cenere.
Karai accostò
la porta alle sue spalle, lasciando però socchiusa una fessura. Indossava una
tuta nera, piuttosto aderente, ed una cintura grigia in vita. Leonardo non
l’aveva mai vista così. Da quando l’avevano portata a casa, aveva sempre
indossato i pochi indumenti che le aveva procurato in fretta April, per lo più dal
guardaroba suo e di Casey, che si riducevano a qualche t-shirt e qualche paio
di pantaloncini sportivi. Adesso invece indossava questa divisa che sembrava
fatta su misura, una vera tenuta da kunoichi; i capelli erano ben pettinati,
lisci e neri, senza la tintura bionda sulla nuca.
Sugli viso,
il consueto kajal corvino a delineare gli occhi, ma nient’altro.
La sua
bellezza fece male a Leonardo come un pugno.
Rimase
ferma, davanti alla porta chiusa; un braccio lungo il corpo, l’altro a
strofinarlo piano, su e giù. Leonardo non l’invitò a sedersi, lei non si mosse.
Un’espressione
fredda e decisa le riluceva negli occhi. Dopo quello che sembrava un secolo,
parlò.
“Io me ne
vado.”
Leonardo si
mise a sedere sul letto e la guardò, impietrito; incapace di articolare suono,
di respirare, quasi di comprendere ciò che aveva appena sentito. Lei distolse
lo sguardo. Il silenzio nella stanza si fece greve e vischioso. Il mutante sul
letto percepì distintamente accelerare i propri battiti cardiaci; aprì la
bocca, sbatté gli occhi blu, attoniti .
La ragazza
si voltò, posò una mano sulla maniglia.
Il mutante si
scosse, per fermarla. Afferrò una stampella, rapido, e si alzò.
“Karai…”
La mano della
ragazza si bloccò sull’impugnatura di metallo.
La tartaruga
mutante fece un passo verso di lei; la ragazza si irrigidì, la mano strinse la
maniglia fino a sbiancare le nocche, poi la rilasciò, piano e lei tornò a girarsi
verso di lui, un sospiro lieve le ondeggiò le spalle; gli occhi scuri
indugiarono un attimo in basso e poi si alzarono.
Fragile, vi
era ancora in lei qualcosa di fragile, in quegli occhi morbidi ed impauriti
imprigionati in un viso di ghiaccio, troppo duro per una ragazza che non aveva
neanche diciott’anni. Una vecchiaia di secoli, cristallizzata in un’esistenza
breve ed intensa, vecchie crepe di un quadro ad olio del ritratto di una
bambina infelice, di una donna dall’infanzia rubata, di un’assassina vittima lei
stessa.
La stampella
batté sul pavimento, il piede fece un altro passo avanti. La mano verde si sollevò,
esitò appena, nell’aria densa e pesante tra i due, e poi raggiunse ed afferrò
il braccio della ragazza, forte e delicato sotto il tessuto nero.
“Non andartene…”
La ragazza
giapponese diede un sorriso triste.
“…la ballerina gli mandò un sorriso così dolce da
cui capì che anche lei lo amava…”
La mano
mollò il braccio, e titubante si avvicinò al viso di lei, lo sfiorò piano, con
la delicatezza con cui si accarezzerebbero le ali diafane di una farfalla; lei
chiuse le palpebre, inclinando appena il volto verso la mano.
Leonardo si
avvicinò ancora, portandosi avanti a poggiare la propria fronte su quella di
lei. Karai aprì lentamente gli occhi, li fissò nei due oceani azzurri davanti a
lei, vibranti di pensieri, passionali e postulanti, dolorosamente consapevoli,
giovani vecchi anch’essi come i suoi; alzò a sua volta una mano a carezzare il bordo
del piastrone del ragazzo mutante, fermandosi con il dito sottile sulle piccole
pieghe, dure ma setose; quindi salì a sfiorare il collo, la pelle verde di lui,
spessa eppur morbida, fresca e tesa al suo tocco, e salì ancora al bordo della
mascella, allo zigomo, tracciandone i lineamenti ancora acerbi, né adulti né
bambini, né umani né animali.
La mano
arrivò infine alla nuca del mutante, e la ragazza lo tirò delicatamente a sé.
Poi lo
baciò.
Per un
lunghissimo secondo, Leonardo faticò a capire che questo stesse davvero
avvenendo. Sentì le labbra morbide schiudersi contro la sua bocca, un brivido
correre da quel contatto di pelle contro pelle fino a tutto il suo viso, poi a
tutto il suo corpo. Schiuse a sua volta la bocca, accogliendo la lingua di lei,
delizia morbida. Tutti i suoi sensi si dedicarono a quel momento, sprangando il
mondo intorno a sé come se non esistesse. Un attimo appena, per trovare la
posizione, la bocca di lei così piccola contro la sua, così calda, e poi si
lasciò invadere, completamente, dal fuoco. La strinse a sé, con un braccio, con
la mano ad afferrarla, dietro la schiena, artigliando sul sottile tessuto; i
seni di lei premevano contro il suo piastrone. Lei afferrò a sua volta il
mutante dal guscio, cercando con le mani, spasmodiche, su e giù, fino ad abbrancarlo
sul lato inferiore; mosse la testa, prese un respiro, cambiò posizione,
piegando la bocca di lato, mordicchiandogli piano un attimo il bordo, e poi
ripremette le labbra con forza, con passione. Leonardo sentì rimescolarsi il
sangue, al tocco di quei piccoli denti, e bevve, avido, il respiro di lei,
buono, che gli entrava in bocca, ed era caldo come il primo sole che giunge a
sfiorare la terra dopo il freddo della notte, caldo come la fiamma che lo stava
consumando.
“…Il soldatino si sciolse rapidamente per il calore…”
…
L’ultimo
Dragone Purpureo si accasciò contro il cassonetto dell’immondizia e cadde a
terra piano, riverso sulla lordura del vicolo.
“E tanti
saluti a Morfeo.” Michelangelo ripose i nunchaku nella cintura e voltò le
spalle al nemico ormai innocuo. Intorno a lui, riversi nel vicolo, una decina
di corpi storditi e feriti, svenuti o in lamenti. Sul camion, ancora in moto,
le casse con la partita di armi destinate al mercato nero. Accanto al camion, c’erano
i suoi tre fratelli, già riuniti, che il mutante in arancione raggiunse subito.
Donatello parlava indicando il veicolo.
“… portarlo
ad una decina d’isolati da qui, vicino alla stazione della polizia, e fare la
solita chiamata anonima.”
“D’accordo.”
Raffaello iniziò a salire sulla cabina, impartendo gli ordini. “Leo e Mikey
potete tornare alla tana. Io e Donnie porteremo il camion fuori da qui.”
Prima di
chiudere lo sportello, lanciò il solito sguardo di richiesta di conferma a
Leonardo. Il mutante in blu rispose a sua volta col solito minuscolo cenno.
“Andiamo,
Mikey.”
Il blu si
issò con un balzo sulla scala antincendio, ed iniziò a salire; il fratello lo
seguì.
Le due figure
balzavano rapide e silenziose nella notte. Michelangelo adesso un po’ più
avanti, attento a non distanziare troppo il fratello; Leonardo dietro di lui,
agile sul suo arto meccanico.
Nel cielo,
all’orizzonte, la striscia di luce dell’aurora iniziava a salire lungo la
skyline scura dei grattacieli. Atterrato sul bordo di un tetto, il mutante in
blu si fermò a guardare il chiarore che cominciava a tingersi di una calda
tonalità purpurea. Le nuvole scure, strisce di pece nera contro il blu indaco
del cielo, rilucevano in basso di un bagliore dorato.
Michelangelo,
fermato a sua volta quando aveva visto bloccarsi il fratello, si avvicinò a lui
a passi lenti; Leonardo gli rivolse una rapida occhiata, e tornò a fissare
lontano. Il mutante in arancione seguì lo sguardo del fratello verso
l’orizzonte.
Leonardo
ebbe un brivido, quando un soffio di vento gli accarezzò la pelle. Gli occhi
blu si persero nello spettacolo fiammeggiante del cielo.
Il fuoco
chiamò il fuoco, il pensiero tornò a quell’unico bacio d’addio, quasi un anno
prima.
Si sforò il
bordo della bocca con la lingua.
…
“Io… –
mormorò piano la ragazza, staccandosi dal bacio – Non è come pensi. Non volevo
stare sola, avevo paura. Solo questo…”
Lui la fissò
negli occhi. Il corpo ancora in fiamme, brividi lungo i lombi. Eppur doveva
chiedere, subito.
“Michelangelo…”
La ragazza
si allontanò di un passo. Girò la testa di lato, poi si voltò tutta, verso la
parete della stanza di Leonardo, dove riposavano come guerrieri dormenti le due
katana sul loro supporto. Si portò una mano al petto, si strofinò piano la
clavicola, pensierosa, poi rispose, in un sussurro.
“È mio fratello. Leonardo, voi siete i miei
fratelli…”
Leonardo
chiuse gli occhi, ispirò piano. Il gelo del pensiero noto sfrigolò a contatto
col fuoco del suo corpo. Poi, di scatto, si avvicinò nuovamente a lei, una mano
sulla stampella, con l’altra la prese dalla spalla e la costrinse a guardarlo.
In un secondo, Leonardo aveva deciso.
“Non mi importa.”
Lei piegò la
testa, un po’ sorpresa, quasi a studiarlo. Per un attimo, i suoi occhi
s’illuminarono di speranza, e la si poteva quasi vedere immaginare una vita
possibile, felice, diversa. Ma veloce com’era arrivata, la luce si spense.
“Devo
andarmene. Ho parlato con Splinter,
pensa che così sia meglio per tutti… Torno in Giappone.”
Leonardo
allargò gli occhi, nel dolore. Adesso, iniziò a pregare.
“Allora
vengo con te.”
Una lacrima
brillò nelle iridi della ragazza.
“No.”
…
“Andiamo
Leo, tra poco sarà giorno.”
Il mutante
in blu si voltò verso il fratello. Michelangelo gli sorrise, del suo solito
sorriso caldo e sincero, che arrivava agli occhi azzurri, limpidi, i quali
sembravano conoscere sempre un po’ di più di quanto le parole e l’atteggiamento
lasciassero intendere. Da mesi, ormai, le cose erano tornate quelle di un
tempo. Se le prime settimane dopo la partenza di Karai vi era stato tra i due
fratelli qualcosa che nessuno aveva mai espresso chiaramente, una sorte di
tensione che aveva portato Mikey a sfuggire, confuso, dagli sguardi strani che
soleva rivolgergli il fratello, tutto questo ormai non era che un lontano
ricordo. Leonardo era tornato ad allenarsi con dedizione e disciplina;
Michelangelo, dopo un inusuale periodo d’apatia, aveva ripreso a mettere a dura
prova la pazienza della sua famiglia con la sua esuberanza e ad allietare i
loro animi con la sua allegria.
Neppure una
parola, mai, tra i due fratelli sull’argomento. Se Michelangelo, che era sì
ingenuo ma dotato di un’empatia eccezionale, aveva intuito che la disavventura
di Leonardo e l’allontanamento di Karai avessero in un certo senso a che fare
anche con sé stesso, non l’aveva mai espresso chiaramente. Perché quello che
non è raccontato, non è mai successo.
Riguardo a
Leonardo, questi a volte ancora si chiedeva se le fiamme non gli avessero
bruciato inesorabilmente un pezzo del suo cuore. Il dolore, era rimasto, per
mesi, a consumarsi piano. Ed alla fine, aveva esaurito qualcosa dentro di lui,
e si era spento. Restava solo cenere, sul fondo del camino.
Le code blu
della sua maschera garrirono ad una folata. Leonardo sorrise a sua volta al
fratello minore, gli mise una mano sulla spalla.
“Andiamo”
disse con un cenno.
Il mutante
in arancione prese a muoversi, e balzò sul tetto vicino. Leonardo lanciò
l’ultimo sguardo al cielo e poi lo seguì.
Il vento si era
alzato, da oriente. Soffiò sui mille riflessi del sole nascente nei vetri
sporchi della città. Un refolo, tiepido, rimescolò le ceneri.
N/A Ecco finita anche questa mia piccola storia
strana. Grazie ancora a Cartoonkeeper
per le sfida gustosa e per le recensioni troooooppo buone. Ti lovvo XD :P
Alla fine, c’era o no il Mikey/Karai? A voi l’interpretazione. L’immagine della
tensione tra i due fratelli mi è piaciuta tanto che forse dal plot bunny
nascerà un sequel. Voglio scrivere (nuovamente) di Leo e Mikey che fanno a
botte! XD L’idea dell’arancione alle prese con i palpiti del cuore è poi
succosissima *si sfrega le mani, ghignante* Aspetto anche di vedere le nuove
puntate della serie 2k12 per eventuali spunti Mikey/Renet. Quanta roba,
ragazzi, quanta roba…
Grazie anche alle gentilissime Hamatoshappire
(trooooppo buona anche tu! :*), e HellenBach:
questa volta non ho messo nessun momento padre-figlio, che entrambe amiamo
tanto, perché nella mia prossima ff, scritta a metà, su questo ci vado giù
pesante: faccio morire Mikey nel primo capitolo, e poi sviluppo le drammatiche dinamiche familiari che seguiranno. Come al solito, tutto molto allegro!
XD
Grazie a
tutti per essere qui! Un abbraccio!
P.S. Per chi
non se ne fosse accorto: è estate!!! È finita la scuola! Saltelli di gioia dai ragazzi e da noi strani prof ^_^