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Autore: _Lyss_    23/06/2015    6 recensioni
Immaginate Ariel, Aladdin, Peter Pan, Mulan e tutti gli altri. Fatto? Bene! Adesso rinchiudeteli tutti in un liceo e fateli diventare adolescenti qualsiasi, credete che questa volta riusciranno a vivere una vita "normale"? Certo non ci saranno i cattivi, ma a complicare le cose ci penseranno i primi amori, le crisi adolescenziali e, perchè no, anche i brufoli! Salvare il mondo, in confronto, sarà stato una passeggiata e chissà se riusciranno tutti ad avere il loro lieto fine anche nel mondo reale. Beh... non vi resta che scoprirlo!
Genere: Commedia, Generale, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: AU, Cross-over, What if? | Avvertimenti: nessuno
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10. Coppie (im)probabili in un giorno di pioggia
 
Non smetteva di muoversi, era in preda all'ansia. Batteva il tacco a terra, giocherellava con la penna, torturava i capelli, ma non riusciva a fermarsi, come avrebbe potuto? Qualcosa era andato storto.
 Il professore aveva consegnato i compiti di storia a tutte le coppie, tutte tranne alla sua e non era certo un buon segno.
"Magari è tanto bella che vuole congratularsi in privato" aveva azzardato Giselle sottolineando, poi, che Belle e Adam erano stati affiancati per un motivo: erano i migliori.
Ma la brunetta non riusciva a tranquillizzarsi, cercò con lo sguardo il suo compagno in cerca di sostegno, ma il signorino se ne stava allegramente sbattendo, piuttosto scarabocchiava annoiato e fissava i goccioloni di pioggia che scivolavano sui vetri delle finestre.
La lezione finì e Belle sentì che la fine era arrivata. Prese le sue cose e si avvicinò alla cattedra in cerca di spiegazioni, sperando sotto, sotto che Giselle avesse ragione, o che semplicemente il prof li avesse saltati per distrazione. Illusa!
"Hai fatto bene ad avvicinarti, cara. Roses, vieni qua anche tu - Adam fu bloccato ad un passo dall'uscita - devo parlarvi" il tono era troppo grave e ogni speranza nel cuore della ragazza appassì.
"Sono spiacevolmente sorpreso dal vostro lavoro, non si vede la minima collaborazione, anzi, si distinguono nettamente le parti trattate dall'uno piuttosto che dall'altra. Avete lavorato separatamente, contraddicendo le mie indicazioni e creando un brutto compito" il silenzio si face assoluto, nessuno osava aggiungere altro dopo quelle parole deluse e Belle sentiva gli occhi farsi lucidi, non era abituata a certi commenti negativi.
"Professore io... " iniziò per scusarsi, ma Adam la interruppe con poco garbo: "Ho riletto il lavoro e non concordo con lei professore, è ben fatto. Abbiamo effettivamente agito in momenti diversi, ma solo per creare un prodotto migliore. Non funzioniamo bene come coppia, una forzata convivenza avrebbe compromesso tutto"
La ragazza aspettò che Cuor Di Leone sbattesse fuori quello screanzato, ma attese vanamente, al contrario si rivolse a lei: "Quello che dice il signor Roses è vero?" non potè che annuire.
"Ma sono certa che, se avessimo una seconda occasione, potremmo agire meglio, insieme" commentò e fu colpita da un'occhiataccia di Adam, il professore invece sembrava compiaciuto.
"Bene, vi concederò la grazia, mi dispiacerebbe lasciarvi un brutto voto, avete una settimana per rimediare. Potete andare"
Belle ringraziò e salutò con un sorriso, Adam non fu altrettanto delicato, non era contento e non mancò di sottolinearlo una volta usciti dall'aula.
"Sei un'idiota?! Lo stavo convincendo sulla nostra bontà d'azione!" la aggredì.
"Non siamo qui per trattare con i professori" commentò la ragazza indignata.
"Certo, meglio leccargli il culo!"
"Non ti permettere!"
"Perché non è vero? Sai anche tu che quel compito è buono, ma adesso dobbiamo rifarlo ... Insieme" caricò quanto più disgusto sull'ultima parola e probabilmente intervenne tutto il paradiso per impedire a Belle di mollargli un ceffone.
"Peggio. Per. Te." concluse lapidaria e si allontanò da quell'essere come si fugge da un cassonetto dell'immondizia.
Arrivata al suo armadietto intravide un'altra sgradevole figura maschile puntare dritto verso di lei, non era proprio giornata!
"Non ho tempo Gaston" provò a liquidare in fretta il nuovo arrivato alto, pompato e impuzzolito dalle sigarette.
"Com'è che non hai mai tempo per me, dolcezza? Le altre fanno la fila"
"Vai dalle altre allora" commentò secca.
"Ma io sono pazzo solo per te" insistette Gaston con un sorriso lascivo ed ebbe l'ardire di cingerle le spalle. Ribrezzo.
"Non è il momento" sbottò Belle scocciata e si divincolò immediatamente dalla stretta, temeva di vomitare.
Per evitare altre scocciature si chiuse nel bagno delle ragazze per evitare altre scocciature, accompagnata dal delicatissimo commento di Gaston: "Quando ti finisce il ciclo, chiamami amore!"
Tutti a lei dovevano capitare sti gran signori?
 
Andare in piscina la rilassava da sempre, non gareggiava più da anni, ma rimaneva un'ottima valvola di sfogo. Quando si tuffava, tutti i pensieri rimanevano a bordo vasca e più nuotava più sembravano lontani. Preferiva effettivamente il mare, la libertà veniva amplificata, ma sapeva accontentassi e, mai come in quel periodo, quella distrazione le era vitale.
Dopo la giornata al mare, le cose con Jim si erano fatte... strane, si, strane. La sera messaggiavano a lungo, accolti dalla sintonia che si era subito mostrata tra di loro, ma quando non c'era uno schermo a dividerli tutto diventava più complicato. Erano entrambi imbarazzati, non riuscivano ad essere spontanei per paura di far intendere qualcosa di troppo  e non sapevano come gestire il "rapporto fisico". Ad esempio, come si dovevano salutare? Un semplice cenno era troppo freddo, ma un bacio o un abbraccio confondevano le cose. In fondo non sapevano nemmeno che rapporto fosse il loro, erano più di amici? Probabilmente. Erano altro? No.
Gli amici poi non aiutavano, se ne stavano li a fissarli in attesa di qualcosa, rendendo la situazione ancora più imbarazzante.
Era finita così, che Ariel iniziasse ad evitare Jim, controllando sempre prima di svoltare l'angolo ed evitando anche i messaggi serali. Questa situazione non le piaceva, Jim le mancava e si sentiva una codarda, ma che fare?
Dopo la nuotata liberatoria si avviò verso le docce, la piscina era vuota e per abitudine si mise a canticchiare note a caso, ma che presero una forma decisa durante lo shampoo, rimbombando per i grandi locali deserti.
 
Eric entrò in piscina e con grande soddisfazione si rese conto di essere solo, non era un nuotatore e gli stavano antipatici i palloni gonfiati, ma doveva allenarsi per quando andava sulla barca ... Si sa, se si è circondati dal mare è meglio sapere come dare qualche bracciata. Qualcosa però colpì la sua attenzione. Su una panca vicino alla vasca c'era un cellulare, presumibilmente di una ragazza considerata la cover nera con un teschio fucsia fluo.
In giro non si vedeva nessuno, ma gli era parso di sentire qualcosa vicino agli spogliatoi. Avvicinatosi alla porta delle ragazze rimase incantato e si dimenticò di tutto, una voce angelica l'aveva catturato con una dolce melodia senza parole. Rimase lì piantato come un cretino e non si rese conto che la voce si faceva più forte, venne quindi colto alla sprovvista quando la porta si aprì e Ariel inciampò su di lui.
La botta a terra gli chiarii le idee, in particolare quelle che urlavano: "RAGAZZA SVESTITA SOPRA DI TE!", il telo doccia mezzo scivolato nella caduta copriva infatti ben poco del corpo di Ariel.
Eric serrò gli occhi per delicatezza e per evitare spiacevoli conseguenze, anche perché nemmeno lui era molto coperto con il suo costumino aderente.
"Non ho visto niente!" giurò con gli occhi ancora chiusi mentre la ragazza si alzava in tutta fretta.
"Che ci facevi dietro la porta?" chiese Ariel ormai del colore dei suoi capelli.
"Ho trovato un cellulare ..." il giovane indicò il povero apparecchio ruzzolato al suolo con loro, si premurò di raccoglierlo e di porgerlo all'altra.
"Grazie - si strinse ancora di più nell'asciugamano che improvvisamente sembrava troppo piccola - addio" si volatilizzò nello spogliatoio, esempio seguito da Eric che corse nella zona maschile. Quando uscì di nuovo, Ariel era scomparsa.
 
Nel parcheggio della scuola, Meg cercava da secoli di far ripartire la moto, ma l’unica cosa che era cambiata era stato un puntualissimo acquazzone molto della serie: come potrebbe andare peggio?
 Si stava pentendo amaramente del momento in cui aveva deciso di entrare in contatto col mondo dei centauri … le due ruote non facevano per lei.
Smontò e tirò esasperata un calcio alla ruota ormai infangata.
“Ahi!” 2-0 per la moto.
“Ha bisogno di aiuto signorina?”
“No!”
Ripose di botto senza nemmeno guardare il suo interlocutore, era uno spirito indipendente lei.
“Ma … mi sembra in difficoltà”
Si voltò frustando l’aria con una coda di cavallo zuppa e vide per la prima volta chi tanto gentilmente (e fastidiosamente) voleva darle una mano. Beh … mica male. Davanti a lei in tutto il suo splendore una specie di dio olimpico le sorrideva in maniera gentile da sotto un ombrello arancione.
“Si. Sono una donzella. Sono in difficoltà. Me la cavo da sola. Buona giornata”
Evidentemente un paio di pettorali perfetti e un viso degno di Apollo nulla potevano contro la caparbietà della ragazza. Strano come ragiona la gente, vero?
“Mi permetta di insistere”
Senza accettare ulteriori opposizioni, il ragazzo si avvicinò alla moto, posò l’ombrello e, in quattro e quattr’otto, la capricciosa vettura tornò dal mondo dei morti con un potente rombo.
“Oh, grazie”
“Di nulla, ho una moto molto simile e so che certe volte possono fare i capricci”
Qualsiasi altro ragazzo avrebbe pronunciato questa frase cercando di essere il più macho possibile, sforzandosi proprio di emettere testosterone, soprattutto avendo davanti una ragazza come Meg, la cui maglietta era diventata pericolosamente aderente a causa dell’acqua. Invece lui sprizzava bontà d’animo e innocenza da tutti i pori. Curioso.
“Gentile, bravo con i motori ... ti hanno anche dato un nome insieme a tutti quegli ondeggianti  pettorali?”
“Io … em … si … sono…”
“Sei sempre così eloquente?”
“Hercule, io mi chiamo Hercules” L’aveva evidentemente imbarazzato e la situazione stava diventando più divertente ogni minuto che passava, peccato non avesse tanto tempo da perdere, necessitava di un phon.
“Hercules, io preferisco Megafusto”
Nuova ondata di rossore, Megara non potè evitare di sorridere maliziosamente. Quel tipo era adorabile.
“Beh, grazie di tutto Herc … è stato un vero spasso” concluse ammiccante, ma con un velo di dispiacere, si stava proprio godendo il momento.
“Aspetta! Potrei darti un passaggio” esclamò Herc improvvisamente.
 “Me la caverò, sono grande e forte, so allacciarmi le scarpe e tutto il resto”
“Beh, ci becchiamo in giro per la scuola. A presto … em … non ricordo il tuo nome”
“Megara. Per gli amici Meg” sorrise suadente “Ciao, ciao Megafusto”
Con grande stile salì sulla moto e partì, lasciando dietro di se un Hercules sognante.
 
Si convinse che la sfiga la stava perseguitando, tanti disastri non potevano certo accadere casualmente! Quella mattina, Pocahontas, aveva forato la gomma della bici che aveva dovuto trascinare fino a scuola, si era versata il cappuccino sulla maglia bianca e ovviamente aveva dimenticato le chiavi dell'armadietto dello spogliatoio dove avrebbe potuto rimediare un cambio. Nervosa, aveva risposto male a John (Rolfe ... meglio precisare) scatenando una discussione insulsa, aveva quasi distrutto un dinamometro nel laboratorio di fisica e, adesso, era rimasta fuori casa dato che le sue chiavi erano dentro, insieme a quelle dello spogliatoio, senza contare il diluvio universale che aveva deciso di piombare sulla città.
Sbuffò frustrata e si rannicchiò il più possibile sotto la piccola tettoia che sporgeva dal terrazzino. Il tentativo fu piuttosto inutile, in verità, e in breve si ritrovò i jeans zuppi fino alla coscia e i capelli sembravano dotati di una volontà propria, una volontà piuttosto bastarda e vendicativa per essere precisi. Cercò mentalmente qualche via per entrare dentro, ma era ben consapevole che non c'era modo d'entrare, suo padre era molto scrupoloso per certe cose e aveva montato delle finestre anti-intrusione; con la pioggia, poi, era impensabile anche solo pensare di correre da Jane, che stava a qualche centinaio di metri di distanza , però, magari, sarebbe passata a prenderla!
Entusiasta dell'idea recuperò il cellulare dalla borsa ... E ovviamente era scarico. Cazzo! Grazie universo, davvero! Non farò più la raccolta differenziata!
Le sue invettive mentali furono interrotte da un clacson. John Smith le sorrideva dall'auto.
"WWF! Che fai fuori casa? Ti prenderai una polmonite!" le urlò per farsi sentire sopra lo scroscio dell'acqua e Pocahontas fece segno di non avere le chiavi.
"Vieni da me!" suggerì lui, poi tirò dritto ed entrò nella sua proprietà.
La ragazza non sarebbe voluta arrivare a tanto, Smith e tutto quello che lo riguardava era zona proibita, ma era un caso disperato! Sentiva già i brividi nelle braccia. Si arrese alle necessità e corse verso la casa vicina, dove venne subito accolta da un piacevole terpore e da uno sguardo preoccupato di John.
"Vai subito ad asciugarti, ti prendo qualcosa da mettere ... Il phon è nel mobiletto del bagno" non ebbe bisogno di aggiungere altro per ottenere infinita gratitudine.
"Grazie, ti devo un favore abnorme" ringraziò Pocahontas tornando asciutta e ricascai data data dal bagno.
"Mi spiace che il pigiama ti stia tanto grande, ma non ho altro" disse John indicando l'abbigliamento improvvisato, gli abiti della ragazza erano stesi alla bell'e meglio sullo scalda salviette del bagno.
"Oh, questo va benissimo, anzi è molto comodo!" lo rassicurò, ed effettivamente era davvero molto comodo e caldo e profuma di buono, di lui suggerì un angolino della sua testa velocemente zittito.
"Ho ordinato delle pizze per cena, ti ho preso un hawaiana senza pancetta, non sia mai che tu ingerisca i resti di un altro essere vivente non vegetale" sorrise, splendidamente.
"Non dovevi disturbarti! Avrei potuto cenare a casa!"
"Io ho fame, inoltre so benissimo che tuo padre torna tardi ... Non mi andava di mangiarti davanti"
"Allora grazie, per esserti ricordato della pancetta"
Si guardarono negli occhi e sembrò quasi che il tempo corresse al contrario, riportandoli a troppi anni prima. Pocahontas distolse lo sguardo.
Parlarono tranquillamente e la combo pizza-birra rese l'aria più rilassata.
"Devo scusarmi per il comportamento da cafone dell'altro giorno, spero che tu e il tuo ragazzo non abbiate litigato ... È che ... Ero geloso" confessò dopo l'ultima fetta di margherita. La ragazza rimase in silenzio, non le sembrava il caso di confessare le paure di John Rolfe, ma stranamente non si sentiva nemmeno di accusare Smith per il suo comportamento sconveniente e anche se non l'avrebbe mai ammesso, in un certo senso ne era lusingata e capiva le azioni del bel biondo. Fece un sorriso carico di significato e lui la capì, seppe di essere stato perdonato.
"Da quanto state insieme?" chiese innocentemente, pura curiosità.
"Due anni e mezzo, ci siamo conosciuti ad una festa dove eravamo stati entrambi trascinati ... Nemmeno a lui piace la confusione - sorrise involontariamente - abbiamo iniziato a parlare, ci siamo incontrati qualche giorno dopo, mi ha invitato a cena molto galantemente, e il resto è storia" raccontò brevemente Pocahontas, avrebbe potuto abbondare con i dettagli impressi a fuoco nella sua mente, come il buon profumo dei fiori bianchi che aveva ricevuto dopo l'appuntamento, ma parlare di certe cose con quel John le sembrava sbagliato, innaturale. Lui aveva studiato attento le sue espressioni, la guardava fisso con i suoi occhi azzurri e cercava di cogliere ogni dettaglio, smorfia ed emozione.
"A me le feste piacciono" sospirò infine, non un vacillamento aveva riscontrato in Pocahontas, che amasse davvero quel fantoccio?
"Oh lo so, ti odiavo per questo. Era uno stress!"
"Ma ci hai messo un anno per dimenticarti di me" sottolineò John serio, sempre più attento. E questa volta venne soddisfatto dalle stesse parole della ragazza.
"Non ti ho mai dimenticato, John, lo sai" ammise Pocahontas con strana tranquillità "Ma dovevo reagire, non pensavo che saresti tornato"
"Però eccomi qua"
"Troppo tardi"
"Si può sempre rimediare"
"No"
"Poci"
"Io amo lui, non ti ho dimenticato, ma non sono rimasta a piangerti. In due anni e mezzo ho costruito tanto, senza di te. Non distruggermelo"
Si zittirono, rimasero ognuno avvolto dalle proprie emozioni, si evitarono. Il temporale era cessato e si sentì chiaramente il rumore di una macchina, era tornato il signor Matoka. Continuando a non dir niente, Pocahontas prese le sue cose e si avviò verso la porta.
"Grazie per la cena e l'aiuto" con queste parole fredde andò via, Smith non alzò nemmeno lo sguardo.
Ma non era finita, lo sapevano entrambi.
 
"Un tè caldo è quello che ci vuole con questo tempaccio" sorrise dolcemente Jane, posando le due tazzine bianche sul tavolino, accomodandosi poi sulla poltrona di fronte a Tarzan. Il ragazzo aveva appena finito la lezione col professor Porter e non aveva potuto fare a meno che accettare di buon grado una chiacchierata con la bella figlia del prof, diventata ormai la vera ragione delle lezioni di cui evidentemente non necessitava più, era riuscito finalmente a rimettersi in pari col programma.
"Come va a casa?" chiese gentilmente Jane.
"Bene, molto, i ragazzi che abbiamo portato con noi dall'ultimo viaggio, si stanno ambientando e sono davvero felici. Ovviamente è merito di mia madre, è davvero fantastica"
La domanda non era stata casuale, Tarzan e sua madre Kala, gestivano una casa famiglia  che accoglieva bambini e ragazzi africani, provenienti dalla sede base dell'associazione "Hakunamatata" alla quale i due dedicavano molto tempo, erano infatti i numerosi viaggi in  Africa ad aver rallentato lo studio di Tarzan.
"Quando pensi di tornare là?"
"Ormai in estate, c'è un nuovo direttore che sostituisce Kerchak, un certo Simba. Si occupava di una sede nella zona della savana, ma l'ha lasciata in mano a sua figlia e suo genero. Sono persone in gamba, non saremo costretti a fare salti mortali"
"Ma tu non vedi l'ora di tornare" indovinò Jane, cosa non difficile dato l'evidente attaccamento di Tarzan a quel luogo, attaccamento giustificato dalla sua storia.
Tarzan non era di origini africane, non era uno dei ragazzi salvati, ma la sua vita non era stata meno travagliata; era figlio di due volontari inglesi, morti durante una missione quando lui era piccolissimo, anni dopo gli raccontarono che erano stati attaccati da un leopardo. Fu preso da Kala che lo crebbe come un figlio, lui stesso la giudica la sua vera madre, più difficile fu il rapporto con il marito della donna, Kerchak, che vedeva nel bambino solo un cattivo sostituto del figlio che la coppia aveva perso tempo prima. Era stato così un sollievo il trasferimento nella nuova casa dove Kerchak, rimasto in Africa, non avrebbe potuto più vessarlo, ma quando morì, Tarzan, scoprì un forte dolore ... Alla fine era stato la cosa più simile ad un padre che avesse avuto.
"Portami con te!" continuò Jane "Sarebbe un'occasione fantastica per studiare la fauna e la flora, inoltre potrei essere molto d'aiuto" lo guardava con gli occhi del cuore, aveva finalmente dato voce al suo desiderio più grande.
"Non è una passeggiata, Jane, si tratta sempre di tre mesi in un paese disastrato e io ... mi sentirei responsabile" non voleva certo dirle di no, ma la situazione non era semplice.
"Ma so cavarmela! Ti prego!"
"Vedremo, c'è tempo" mediò il ragazzo, se la discussione fosse andata avanti, si sarebbe ritrovato il giorno dopo su un aereo, come avrebbe potuto resisterle?
"Beh, non è un no" accettò soddisfatta Jane. Si alzò per posare le tazzine ormai vuote, s'era fatto anche un po' tardi e non voleva sequestrare Tarzan. Sparecchiò in fretta e accompagnò il ragazzo alla porta. Commise però, il grande errore di incrociare il suo sguardo ed arrivò in fretta quella strana sensazione confusa, che solo quegli occhi turchesi erano capaci di scatenare. Senza il benché minimo controllo del suo corpo, si ritrovò a fare un piccolo balzo per eliminare la distanza tra il loro corpi, che diventarono una cosa sola grazie ad un bacio improvvisato. In maniera quasi comica, ci rimasero entrambi di sasso, la stessa Jane non aveva ben chiaro cosa fosse successo, ma, troppo imbarazzata per fare altro, ridacchiò nervosa e chiuse la porta in faccia al povero Tarzan, che riuscì a muoversi soltanto una manciata di minuti dopo.
Sono un'idiota pensò sconsolata la ragazza, correndo a rintanarsi nella sua stanza per la vergogna.
Sono un idiota sospirò il ragazzo nel tragitto verso casa, perché non aveva fatto niente? Non aveva reagito? Praticamente voleva baciare Jane da sempre!
Però è stato fantastico gongolarono entrambi  
 

A.A.
Hola! Eccomi di nuovo qui, puntuale come un orologio rotto! 
Capitolo freddolino per contrastare u'caudu che ha invaso la Sicilia (mi scioglierò!) e tutto concentrato su coppie canon, alcune si incontrano, altre si scontrano, altre ancora si maciano <3 tanto ammore <3
Spero vi sia piaciuto e spero che vi vada di lasciarmi la vostra opinione ^^ io vi mando un gigantesco abbraccio ... state diventando tanti! Non so come ringraziarvi se non continuando a scrivere, vorrei potervi conoscere tutti.
Vi ringrazio ancora, vi ringrazio tutti ... recensori, lettori, seguitori (?), preferitori (?????) e vi lascio con una notizia: 
Non so se la prossima settimana aggiornerò, perchè sarò a Disneyland Paris! Beh, spero quantomeno di trovare ispirazione xD
ciaoooo
 
 
 
  
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