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Autore: lilac    13/01/2009    2 recensioni
Central Maze City, una metropoli come tante dove la corruzione e le ambizioni dei potenti sembrano dettare legge. Le uniche strade per sopravvivere sono l’indifferenza, il cinismo e il disprezzo per i propri simili. Ma, probabilmente, nemmeno queste cose bastano più. L’unica persona in tutta la città che sembra non avere a cuore niente e nessuno si troverà invischiata, suo malgrado, nelle mire del più malvagio e potente criminale istituzionalizzato del paese e, soprattutto, in un disegno ben più grande di lui, che pare coinvolgere l’intera umanità. Tra personaggi misteriosi e misteriosi poteri, scoprirà ben presto qual è il suo destino. Eppure, lui ne è convinto... I supereroi non esistono.
Piccolo Avvertimento: questa storia contiene alcune scene di violenza e linguaggio a tratti colorito.
Genere: Drammatico, Azione, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO CINQUE:
Rancore.


Black Sand Island, da qualche parte nell’oceano.
31 Dicembre, 3:47 p.m.
Località sconosciuta.

“Se non rallenta un momento, non riuscirò a verificare un bel niente, Signor Shark!” protestò visibilmente spazientito Jack Fellon, impegnato a non perdere terreno e a non lasciarsi sfuggire dalle mani la strumentazione collegata al braccio dell’uomo.
“Le ho detto che funziona tutto perfettamente, Fellon.” sbottò nervoso Shark, accelerando il passo. “Abbiamo cose più importanti a cui pensare al momento. La pianti di seccarmi!”
Fellon staccò i collegamenti appena in tempo per non farsi trascinare di peso e cadere, e richiuse il portatile sospirando rassegnato. Si fermò un istante a riprendere fiato, prima di seguire l’altro, dietro una delle porte metalliche del lungo corridoio illuminato al neon.
Quando aveva saputo dell’esistenza di quel laboratorio, ne era rimasto notevolmente sorpreso, quasi indispettito, in un secondo momento. Era come se Shark non si fosse mai fidato del suo lavoro e di quello della sua equipe. Ripensandoci, tuttavia, e dopo aver trascorso gli ultimi giorni a constatare di persona come Shark delegasse ai suoi sottoposti il minimo indispensabile, aveva concluso che non avrebbe potuto aspettarsi altro da uno come lui. Non si era fatto alcuno scrupolo nemmeno quando si era trattato di braccare Russell come un animale. Nemmeno quando aveva notato gli effetti devastanti che quel mostro aveva provocato, a dispetto dei loro piani. Il motto di Shark sarebbe stato di certo ‘se vuoi che una cosa sia fatta bene, fattela da solo’! Poco importava se quel qualcosa era supervisionare il progetto di un microprocessore o stanare con tecniche di guerriglia una specie di cyborg super equipaggiato e ossessionato dalla sua morte.
Il fatto che esistesse un secondo laboratorio, assolutamente inaccessibile, la cui realtà era nota solo alle quaranta persone che vi lavoravano nel più assoluto riserbo; il fatto che Shark non si fidasse di Russell e stesse portando avanti gran parte dei progetti in altra sede, da tempo, erano tutte cose che avrebbe potuto facilmente immaginare, dopo averlo conosciuto così da vicino. Era nella sua natura diffidente, a suo modo prudente; non si sarebbe mai lasciato sfuggire neppure il minimo dettaglio. Era così che era riuscito ad arrivare tanto in alto e Fellon cominciava seriamente ad ammirare quell’uomo in modo incondizionato.
Tuttavia, Oliver Shark aveva anche un altro potere; chiunque avesse a che fare con lui non faceva anche altro che chiedersi come diavolo riuscisse a ricadere sempre in piedi, qualunque cosa gli accadesse.
Nonostante Fearless fosse stato consegnato alle autorità, infatti, non solo il lavoro non era andato del tutto perduto grazie alla sua lungimiranza, ma potevano disporre al contempo di un nascondiglio più che sicuro, fintanto che le acque non si fossero calmate. D’altra parte, i federali si sarebbero guardati bene dal rivelare la natura del progetto ai media. Avrebbero insabbiato la questione come avevano fatto altre volte e a loro occorreva soltanto un posto dove nascondersi e, soprattutto, continuare a lavorare. Non poteva smettere di pensarci, in realtà, ma in quel momento, dopo quello che aveva visto appena qualche giorno prima, c’era decisamente qualcosa su cui lavorare. Qualcosa che faceva sembrare Fearless addirittura sorpassato. I federali, poco ma sicuro, erano proprio l’ultimo dei suoi pensieri!
Fellon non riusciva a smettere di guardarsi intorno come fosse un ragazzino in un negozio di giocattoli. Non aveva fatto altro da quando era lì. E ormai si era assolutamente convinto, in una sorta di sfrenata esaltazione, che Oliver Shark possedeva davvero delle risorse infinite. Cominciava quasi ad abituarsi all’idea e a non stupirsene più. Non si stupì nemmeno di come avesse recuperato così in fretta, né, soprattutto, di come il suo fisico avesse reagito così magnificamente alle protesi automatizzate. Era convinto che quell’arto metallico e il volto parzialmente robotico gli piacessero, persino. D’altra parte gli conferivano un’aria ancor più spaventosa e autorevole; ed erano ciò che in fondo la gente si aspettava da lui; che anche il suo corpo fosse realmente un’arma pericolosa.

“Alcuni di voi lo conoscono già.” Shark se ne stava in piedi a pochi passi dalla porta, fronteggiando l’enorme laboratorio. Una squadra di tecnici in camice bianco aveva interrotto le proprie attività e ascoltava in assoluto silenzio. “Per tutti gli altri, questo è il Dottor Jack Fellon. Da oggi, a capo del settore.”
Fellon accennò un cenno di saluto e si guardò attorno, mentre con la coda dell’occhio notò che gli uomini stavano annuendo senza particolare emozione. Le apparecchiature in quella stanza superavano di gran lunga ciò a cui aveva avuto accesso finora e per un attimo si sentì elettrizzato.
Decisamente, quell’uomo possedeva delle risorse infinite.
“Fate riferimento a lui allo stesso modo in cui vi rivolgereste al Dottor Black.” concluse lapidario Shark.
Un uomo sulla cinquantina annuì più marcatamente degli altri e si avvicinò ai due. E l’attività nel laboratorio riprese automaticamente, come se quel gesto avesse sancito la fine delle comunicazioni.
“Così, Fearless è bruciato.” asserì l’uomo che li aveva raggiunti. “Che cosa pensa di fare, ora, Signor Shark? Visti anche i guai con la legg...”
“I progetti non sono andati persi.” lo interruppe bruscamente l’uomo. “E di questo se ne occuperanno nell’ala B.”
“Capisco.”
“Ho qualcosa di molto più importante per le mani adesso.” proseguì. “E mi preme di risolvere al più presto questa storia. E in modo risolutivo.” Il tono adirato di Shark non lasciava alcuno spazio per una replica e Fellon notò che il Dottor Black stava osservando con malcelato interesse l’arto meccanico dell’altro.
“Un’illusione” s’intromise, anticipando i pensieri di questi.
Black si voltò verso di lui con un’espressione perplessa e al contempo estremamente curiosa.
“Quell’uomo è capace di infliggere ferite reali, pur servendosi di illusioni.” precisò intuendo le sue curiosità. “Non c’è altro modo per definirle. Ma in realtà non siamo sicuri di ciò che può fare veramente, questa è solo una delle cose che abbiamo potuto ipotizzare.”
“Interessante.” commentò l’altro, assorto nelle sue congetture.
“Interessante un accidenti!” I due interlocutori sussultarono appena allo scoppio d’ira improvviso di Shark. “Io lo voglio morto, non m’importa come! Quel pagliaccio mi ha rovinato!” Rimasero in silenzio, colti da una velata inquietudine. “Ho perso tutti i miei contatti al governo; ho addosso i federali che mi vogliono in galera e gente ben più incazzata che mi vuole morto; metà del mio capitale è sotto sequestro e sono costretto a nascondermi come un fottuto ladro da due soldi!”
A Fellon non sfuggì il fatto che non avesse fatto parola dei suoi danni fisici. Era convinto che quello che era successo sul tetto della Mobyrent la vigilia di Natale lo avesse turbato profondamente, anche se non lo dava a vedere.
“Lo voglio morto, cazzo!” ringhiò furibondo. “E non mi basta; voglio vederlo soffrire!” Il pugno sferrato con rabbia sul piano di marmo risuonò rimbombando violento all’impatto con la superficie, facendo trasalire i due uomini in camice bianco. Per un momento l’attività nella sala si fermò di nuovo. Qualche occhiata fugace si posò sul banco completamente distrutto, non meno inquieta di quelle dei due scienziati, che avevano schivato i detriti per un soffio e si erano scostati precipitosamente. Un lieve brusio si diffuse per un momento, per poi scemare rapidamente all’occhiata minacciosa dell’uomo.
“Signore” si azzardò Fellon, facendosi coraggio. “Quell’uomo potrebbe fornirci tante di quelle informazioni che nemmeno immaginiamo!” Si sforzò di ignorare l’occhiata ancora più furiosa di Shark. “Non capisce?!” insistette caparbio. “Ha distrutto le corazze, neutralizzato le armi a impulsi e...” S’interruppe appena in tempo per evitare di ricordare troppo dettagliatamente al suo interlocutore quell’esperienza. “Insomma, potremmo avere per le mani qualcosa d’inimmaginabile. Molto al di là di Fearless!”
Il dottor Black si limitò ad annuire in silenzio, non meno convinto dell’altro. “Ha ragione” ammise, quando lo sguardo indagatore di Shark si spostò dal dottor Fellon su di lui. “Averlo qui, vivo...” aggiunse poi in tono accondiscendente e allusivo. “Non credo andrebbe contro i suoi progetti, d’altra parte.”
Shark sembrò rifletterci per un momento. “E va bene.” acconsentì, senza nascondere un interesse crescente. “Lo prenderemo vivo. Ma quel bastardo è mio!” Sogghignò maligno, nel porre l'accento sulle ultime parole. “Sia chiaro.”



Central Maze City, quartiere di Hell’s Court.
In quello stesso momento.


Quelle persone, da lassù, gli ricordavano i soldatini con cui giocava da bambino. Sfilavano lentamente verso il cancello in modo ordinato, mantenendo un passo regolare. Tutti vestiti di scuro, tutti con la stessa espressione sul volto. Un nemico invisibile, tutti contro tutti. Come quando giocava da bambino, quando i ragazzi più grandi lo prendevano in giro perché non sapeva niente di guerre e combattimenti, quando non riusciva a capire perché dovessero esistere i buoni e i cattivi e i neri dovessero categoricamente scontrarsi contro i bianchi; altrimenti era un errore, era sbagliato persino giocare. Quando gli altri ridevano e lui si chiedeva perché, perché fosse così divertente che i suoi soldatini piangessero tutti.
Quelle persone, da lassù, sembravano soldatini.
Li osservò mentre scomparivano, uno a uno, oltre il cancello di ferro battuto, poi lungo la strada, come se li stesse accompagnando. Aveva smesso di chiedersi da tempo perché; da qualche giorno, invece, aveva semplicemente iniziato a chiedersi quando.
Quando notò il gatto che si aggirava con circospezione sul cornicione e saltava leggero a un paio di metri da lui, sul pavimento scuro di bitume sbiadito dal sole, lo osservò per un momento con la coda dell’occhio. Aveva anche smesso di sorprendersi, ormai.
“Fammi indovinare” disse ad alta voce. “Non dirmi che ti piacciono i funerali.”
D. si limitò ad avvicinarsi a lui e a guardare verso il basso, al di là del muretto. “Però, è piuttosto alto qui.” commentò senza scomporsi.
Jason rimase in silenzio, seduto con le gambe ciondoloni nel vuoto. Non si voltò a guardarlo; si limitò ad accartocciare il contenitore di cartone che teneva in mano e lo gettò distrattamente alla sua destra, centrando il sacco dei rifiuti.
“Mai sentito parlare di tavoli? Bicchieri di vetro?”
Jason continuò a restarsene in silenzio.
“Noto che hai seguito il mio suggerimento, comunque.” proseguì l’uomo. “Come va il braccio?”
“Bene.”
Il vento si stava alzando e le lenzuola stese ombreggiarono per un momento l’espressione assente del ragazzo, che si era voltato per un attimo verso il felino, ormai seduto pacificamente accanto al suo interlocutore.
“Wayne ha fatto un ottimo lavoro anche con il nuovo costume, mi sembra.” D. si soffermò per un momento a osservare il simbolo che spiccava sul torace, quando lo sguardo di Jason si sollevò istintivamente fino a posarsi sul punto dove era stato ferito. Era l’unico particolare differente rispetto a quello che ricordava, a parte il tessuto; alla spirale ipnotica che appariva nel costume originale era stato sovrapposto il simbolo taoista dello Yin e lo Yang; un cerchio ipnotico diviso in due elementi complementari e contrapposti. Per un istante sembrò assorto in qualche pensiero, poi si lasciò sfuggire una sorta di sorriso. “Decisamente, niente di quello che si dice su di te è falso o esagerato.”
“Uno di questi giorni me lo dirai che cosa si dice di me, spero. Comincio a essere curioso.” Non gli era sfuggito che l’altro aveva notato il simbolo sul suo costume.
“Sarebbe estremamente spiacevole se poi ti montassi la testa.”
Quelle parole sembrarono incupire lievemente lo sguardo del ragazzo. Rimase in silenzio per qualche momento, prima di decidersi a parlare. “Tu lo sapevi, vero?”
Era più un’affermazione che una domanda. E D. non sembrò in alcun modo sorpreso di sentirla. “Sapevi quello che mi sarebbe successo usando realmente i miei poteri; che ogni volta che entro nella mente di qualcuno, ne assimilo i pensieri, la personalità.” D. continuava a fissare il cimitero, parecchi metri sotto di loro, con la stessa quiete di quel luogo ormai deserto nello sguardo; le mani comodamente in tasca, quasi sovrappensiero. “Sapevi che più tempo passo nella mente di un altro e più divento come lui.” Il tono di Jason tradì per un istante un fremito di rabbia impercettibile. “Lo sapevi. E ti sei guardato bene dal farlo sapere anche a me, visto che volevi convincermi a combattere contro quelli della tua razza.”
“Moderiamo i termini, per cortesia” ribatté vagamente ironico l’altro, interrompendolo. “Non è proprio il caso di paragonarmi a certa gentaglia.”
“Già, come no?” sogghignò sarcastico Jason. “Beh, quando?” chiese dopo un altro momento di silenzio.
D. si limitò a rivolgergli un’occhiata leggermente interrogativa.
“Quanto ci impiegherò a schierarmi totalmente dalla parte dei cattivi? Perché è questo quello che volevi fin dall’inizio, no?”
“Sai, Jason...” rispose l’altro, dopo aver riflettuto un istante. “Quello che voglio io non è poi molto rilevante, credimi. Che cosa pensi che accadrà una volta che sarai un cattivo, come dici tu? Non funziona solo in un senso, mi sembra intuitivo.”
“E la cosa dovrebbe consolarmi?” Il tono di Jason si era fatto nuovamente riflessivo. “Sapere che non sarò mai più me stesso; e che continuerò a essere qualcosa d’indefinito e mutevole fino alla fine dei miei giorni?”
“Non perderai la tua identità. Non uno come te.” D. sembrò assorto nuovamente in qualche pensiero. “Cambieranno solo le cose e le persone che ti troverai ad affrontare... E, naturalmente, il modo in cui le affronterai.” Le ultime parole furono sottolineate con un velato sarcasmo. Poi l’uomo si fece nuovamente assorto, come parlasse a se stesso. “Bene, Male. Non c’è poi una gran differenza... Tutti quanti siamo così. Solo che tu lo sei più degli altri.”
Il ragazzo tornò a fissare la strada, sotto di lui. Per un momento il tono con cui D. aveva pronunciato quelle parole gli era parso diverso.
Quel cancello di ferro battuto che separava il prato e le lapidi dall’asfalto sembrava piccolissimo, eppure era l’unica cosa che riusciva ad attrarre la sua attenzione. Scintillava, sotto il sole.
“Nessuno ti costringe, Jason.” proseguì D., sollevando le spalle con una certa noncuranza. Le sue parole suonarono nuovamente pacate. “Nessuno ti ha mai costretto fin dall’inizio. Puoi sempre scegliere di tornare alla tua vita e lasciare che le cose accadano senza di te.”
“Figurati, tanto sapevi anche questo. Come se ormai potessi dimenticarmi di Shark e di quello che mi ha fatto.” commentò sarcastico Jason. “Devo ammettere che sei abbastanza credibile, comunque. Quasi quasi stavo per cascarci di nuovo.”
D. si lasciò andare a una risata sinceramente divertita. “Quello che si dice di te è proprio tutto vero.”
“Non lascerò che la faccia franca.” aggiunse l’altro, ignorandolo, in tono estremamente serio. “Mi ha tolto più di quanto fossi mai riuscito ad avere... E non mi riferisco soltanto a Molly.” precisò poi, lanciando un’occhiata molto eloquente al suo interlocutore. Solo dopo aver parlato, ebbe la strana sensazione che avesse appena detto qualcosa d’importante. E capì di aver appena rivelato qualcosa di sé all’ultima persona con cui avrebbe mai pensato di farlo.
“In questo momento starà certamente pensando la stessa cosa di te.”
D. si fece altrettanto serio per un istante e Jason, per tutta risposta, sogghignò appena, si alzò in piedi sul muretto e si voltò verso di lui, dando le spalle al vuoto. “Lo spero proprio. Ma questa città è ancora sua. E se dovrò prendermelo un pezzo alla volta, allora è esattamente quello che farò.”
Le sirene della polizia, in lontananza, giunsero ovattate e distorte. “Fammi il favore D.” proseguì senza staccargli gli occhi di dosso. “Per una volta, resta fermo lì.”
L’altro si lasciò sfuggire un’espressione vagamente interrogativa.
“Devo andare.” Fu la risposta a quello sguardo. “Nemesis ha del lavoro da fare anche oggi” spiegò ironico, indicando con un cenno della testa la direzione da cui provenivano le sirene e i colpi di pistola.
“Così, c’è un nuovo supereroe in città.” commentò l’altro con un sorriso beffardo.
Jason rispose fingendosi appena sorpreso. “Pensavo lo sapessi.” Si lasciò cadere nel vuoto per qualche metro, poi volò via a gran velocità, non prima di aver pronunciato quelle parole a bassa voce e in tono molto serio. “I supereroi non esistono.”

D. lo osservò per un istante mentre si allontanava, con una strana espressione. In quel momento, senza che se ne accorgesse del tutto, fu come se quell’impercettibile velo di malinconia che gli era sembrato di scorgere negli occhi dell’altro fosse rimasto nell’aria, su quel tetto, e gli avesse attraversato lo sguardo senza farsi notare, spinto dall’ennesima folata di vento.
Quando, un secondo dopo, si voltò a osservare il gatto che lo fissava e faceva le fusa, quell’espressione era di nuovo impassibile e distaccata. L’animale socchiuse gli occhi ed emise un miagolio vellutato e l’uomo allungò una mano all’interno della giacca e ne estrasse un pacchetto di sigarette. Se ne accese una, con tutta calma.
“Figurati” si rivolse al felino, dopo aver inspirato una lunga boccata. “Non ha nemmeno un briciolo della mia classe nell’uscire di scena.” Si voltò e fece per andarsene, mentre pronunciava quelle parole; ma sorrise appena fra sé e sé, allontanandosi. “Ci si può sempre lavorare su, d’altra parte.”


CONTINUA...



taisa: Come da tradizione^^, Jason sceglie la sua strada (la vendetta in questo caso), pur consapevole che non sarà una strada tanto sempice da seguire, soprattutto perché, sempre da tradizione, anche lui ha un bel punto debole con cui deve fare i conti... Altro che la kryptonite! XD E D., anche se ogni tanto si degna di svelare qualcosa in più, non si capisce bene se stia dalla sua parte o meno. Chissà? Ovviamente nemmeno io ne sono tanto sicura XD. Sono contenta, comunque, che questo misterioso personaggio ti piaccia e mi fa piacere che il "ruolo" di Molly in tutta questa storia, anche se è un personaggio che compare appena, si noti. Ti rinnovo i miei ringraziamenti ^_*

Lely1441: Come ho già detto a taisa, mi fa molto piacere che Molly si sia ritagliata il suo ruolo, anche restando un personaggio marginale. Come vedi, la resa dei conti vera e propria tra Jason e Shark è un qualcosa su cui i nostri eroi s'impegneranno (da entrambe le parti) in futuro; come nelle migliori tradizioni, aggiungerei^^, anche se in questo caso entrambi hanno un conto assolutamente personale in sospeso. Intanto, quello che auspicava D. sembra essersi realizzato, sotto la consueta supervisione dei suoi gatti XD Che sia lui quello che ha in mano la situazione?^_* Anche a te confesso di non essere tanto sicura delle intenzioni di quest'uomo XD. Mi ripeto, comunque, grazie mille^^.

Avviso che il prossimo capitolo sarà anche l'ultimo. Un grazie a chi sta seguendo questa storia^^


  
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