Storie originali > Romantico
Segui la storia  |       
Autore: Eleanor S MacNeil    29/06/2015    6 recensioni
Charlotte ha un segreto.
STOP!
Sto' scherzando! Non è quel tipo di storia strappalacrime o melensa che porta il lettore a strapparsi i capelli ogni volta che i due si avvicinano per baciarsi.
Charlotte è una donna come tante, nulla di strano, niente che possa essere degno di nota, ma se guardiamo bene, se osserviamo da vicino la vita di Charlotte possiamo notare la mancanza di qualcosa: un uomo.
Charlotte gestisce un programma radiofonico chiamato: “Tutta colpa di Cenerentola” dove parla dell'amore che non esiste, del vero significato di innamorarsi, o almeno, il significato che lei vi attribuisce, e di come le giovani ragazze di New Orleans si lascino influenzare dalle favole e dalle illusioni di un amore perfetto e duraturo.
E poi arriva il Cliché...perché lo sappiamo, nelle storie d'amore ci deve essere almeno un cliché!
Genere: Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A










Image and video hosting by TinyPic







Capitolo 15

I'd Come For You

I'd come for you - Nickelback











«Hai la più pallida idea di cosa si provi a portare nell'utero un altro essere umano che di notte inizia a scalciare per la prima volta?»

«Ciao anche a te!» esclamò Robert, rispondendo al telefono. Charlotte lo chiamava almeno una volta al giorno solo per rompergli le scatole oppure per mandarlo a comprare del cibo per saziare le sue voglie assurde, ma quella mattina aveva avviato la telefonata per riferirgli una cosa importante. «Allora si è mossa.»

«Perché continui a dire che è femmina, magari è maschio!»

Sentiva rumori di auto e clacson in sottofondo, probabilmente stava camminando per strada, mentre lui entrava in centrale. «Uno dei due ha ragione, ma preferirei essere io questa volta.»

«Maschi.»

«Stai andando a ritirare la macchina?»

«Veramente non l'ho ancora portata dal meccanico, il tempo scarseggia, ma la porterò più tardi, dopo l'ecografia.»

Robert alzò gli occhi al cielo. L'auto di Charlotte, una Jeep Wrangler blu, da qualche giorno aveva iniziato a dare segni di malfunzionamento, probabilmente erano gli iniettori da cambiare, ma lei continuava a rimandare il meccanico con la classica scusa della mancanza di tempo.

Tipico di Charlotte.

«Comunque, stanotte ha iniziato a dare calci ed ha continuato fino a stamattina.»

«Speriamo non erediti il tuo carattere scorbutico!»

«Senti chi parla!» esclamò Charlotte dall'altro capo del telefono.

«Tu non te ne rendi conto, ma hai una caratteraccio.» Robert salì gli ultimi gradini del distretto, entrando negli uffici e avviandosi verso la sua scrivania. «Toglimi una curiosità, di quanto sei?»

«Venti settimane, idiota!»

«Mi mancava l'insulto mattutino.»

«A me mancava la tua mancanza di tatto. Sia benissimo che oggi entro nella ventesima settimana.»

Aveva ragione, sapeva perfettamente di quanto era, ma adorava farle perdere le staffe. Charlotte aveva evidenziato e segnato sul calendario ogni tappa della gravidanza, perfino le settimane di gestazione, e pensare che a lui bastava sapere in che mese era. Quando quella mattina aveva guardato che giorno era, diciotto aprile, aveva anche visto il numero venti scritto accanto. Quella donna stava cercando in tutti i modi di renderlo partecipe, ma gli stava troppo addosso.

«Comunque, verrai oggi?»

«Che succede oggi?»

«Sei il solito idiota!» Charlotte riattaccò il telefono e Robert si ritrovò a ridere, sedendosi alla scrivania sotto lo sguardo indagatore di James.

«Charlie ti saluta.»

«Che succede oggi?» domandò James, facendogli eco alla domanda che poco prima aveva posto a Charlotte.

«Ecografia. Si dovrebbe vedere se è maschio o femmina.»

«Prega che i tuoi amichetti abbiano fatto un buon lavoro, perché se non è maschio ti strangolo» lo minacciò James, puntandogli contro la matita che teneva in mano. «Ho scommesso duecento dollari!»

«Non posso mica comandare ai miei soldati portatori del cromosoma X di starsene in panchina solo perché tu vuoi vincere una scommessa. E poi, se devo essere sincero, preferire fosse femmina.»

«Finalmente dici una cosa sensata, Goodwin!» Jack comparve alle spalle di Robert, mettendogli una mano sulla spalla. «Ho scommesso trecento dollari sul fiocco rosa!»

Era per caso diventato un business?


***


Odiava le persone. Charlotte detestava tutti quelli che le toccavano la pancia, come se portasse fortuna. Perché era andata a trovare sua nonna? Sapeva che i clienti della tavola calda avevano preso l'abitudine di toccarla solo per il gusto di sentire quella protuberanza ormai marcata.

Quella notte il piccolo aveva iniziato a muoversi. All'inizio aveva sentito un leggero sfarfallio, come dei piccoli gattini che le camminavano sulla pancia, poi era diventato più intenso ed aveva capito. Aveva sorriso, prendendo in mano il telefono, pronta a chiamare Robert, ma poi aveva rinunciato. Si era convinta che il solo motivo per cui non l'aveva fatto era l'ora tarda, ma sapeva perfettamente che la sua era semplice paura di sentirsi rifiutata.

Come poteva comportarsi a quel modo? Si sentiva una ragazzina in piena cotta estiva, confusa e stordita. Avrebbe voluto prendere Robert e picchiarlo, per come la faceva sentire, ma la colpevole era lei. Stava permettendo a sé stessa di lasciarsi andare e non poteva, non con Robert.

«Si è mossa?»

«Nonna, anche tu credi che sia femmina?»

«Io non lo credo, lo so!» Rose le sorrise amorevolmente, mettendole davanti un piatto colmo di pancakes e una bella tazza di caffè fumante.

«Allison dice che non dovrei bere caffè.»

«Ah, tua sorella ha bevuto caffè per nove mesi, dille di non predicare bene e razzolare male!»

Charlotte adorava sua nonna. Aveva la lingua biforcuta e pronta a dire ciò che pensava. Proprio come lei. «Oggi ho l'ecografia.»

«Robert verrà?»

«Non credo» rispose Charlotte, addentando un pezzo di pancakes. «Per il momento partecipa in maniera discontinua. Mi porta il cibo quando ho le voglie, guarda le ecografie, ma non ha più partecipato ad una visita, da quella volta. Ha bisogno dei suoi tempi, giusto?»

«Tesoro mio, da come ne parli sembri innamorata persa di lui.»

E le parole di nonna Rose furono come un pugno allo stomaco. No, lei non poteva essersi innamorata di Robert, era matematicamente e sentimentalmente impossibile.

«Nonna, ti consiglio di andarci piano con la cannabis terapia!» esclamò Charlotte, prendendo la borsa e facendo ciò che le riusciva meglio: scappare. Fuggire, andarsene, fingere che nulla fosse successo. Le riusciva bene. Lei era una che scappava, che cercava la via più facile senza chiedersi se fosse giusto o sbagliato.

Lei innamorata di Robert. Che assurdità. Le importava solo per il bene di suo figlio, per dare a lui un padre presente e amorevole, non per dare a sé stessa un uomo.

Lei non voleva innamorarsi, non voleva avere una relazione, voleva semplicemente starsene per conto suo, vivere e continuare a divertirsi. Ma quel pensiero egoistico, sapeva, era lo stesso di Robert. Entrambi testardi e desiderosi di non impegnarsi per non perdere quella libertà acquisita e per non soffrire. Lei fuggiva dall'amore, lui dalle responsabilità.

Alla fine sua nonna aveva ragione, erano uguali. Lei e Robert erano due egoisti patentati, solo che lei stava cercando di mettere da parte l'orgoglio per il bene di quel bambino che, purtroppo, era anche figlio di Robert. Che bel casino.


***


«Allora andrai?»

Robert sospirò, scuotendo il capo per l'insistenza di James. Possibile che non sapesse farsi gli affari suoi? «No, dobbiamo fare questo appostamento, ricordi?»

«Posso farlo anche da solo!»

Seduti nell'auto di James, Robert ed il collega erano appostati sul ciglio della strada, intenti a tenere sotto controllo l'appartamento di un sospettato. «Bisogna essere in due, è il protocollo.»

«E da quando segui il regolamento?»

«Da quando abbiamo rischiato una causa da un milione di dollari con quel coglione di Eric Anderson.»

«Quel figlio di buona donna...ancora devo capire perché ha ritirato le accuse, sembrava piuttosto convinto ad affossarci.»

James aveva ragione. Prima il chirurgo plastico che avevano mandato in galera per una notte con l'accusa di possesso e spaccio di droga faceva causa a loro e al dipartimento di polizia e poi, tutto ad un tratto, ritirava le accuse e lasciava cadere la storia nel dimenticatoio. Insomma, aveva lanciato minacce pesanti sia a loro che a Charlotte.

Eric Anderson, l'uomo che anni prima aveva usato e scaricato Charlotte come una bambola di pezza, ora sembrava voler tornare a far parte di un passato da dimenticare. Che strano.

Per fortuna era quasi l'ora del cambio di guardia, questo voleva dire che non si sarebbe perso la partita dei Pelicans.


***


Tutto come aveva previsto. Robert le aveva mandato un messaggio in cui si scusava per la sua assenza. Come al solito l'aveva scaricata, che perdita di tempo. Così aveva fatto l'ecografia senza di lui ed ora stava tornando a casa.

Sospirò, ormai doveva esserci abituata, sapeva che tipo di uomo era, eppure le dava fastidio quel suo comportamento a volte presente altre menefreghista. Non era giusto.

Si ritrovò a giocare con il braccialetto che portava al polso destro, un insieme di ciondoli regalatele o comprati nel corso della sua vita. Tutti diversi. C'era una chiave, un lucchetto, una coccinella, un campanellino, perfino il numero sette, il suo numero fortunato. Però stava giocherellando con il cuore spezzato. A dire il vero era la metà di un cuore, l'altra non esisteva, un regalo di sua nonna per il suo ventottesimo compleanno. Nel donarglielo aveva sorriso, dicendole “l'altra metà la devi ancora trovare”. Enigmatica e complessa sua nonna, ma l'idea di donarle solo un pezzo di un cuore l'aveva trovata carina. In fondo un cuore intero voleva dire amore e lei fuggiva da quel sentimento da sempre.

Abbassò il finestrino dell'auto, facendo entrare l'aria della sera. Aprile era un bel mese, rispetto a marzo. Certo, anche questo non scherzava con il tempo ballerino, ma almeno i fiori cominciavano a sbocciare e le peonie di sua madre, il suo fiore preferito, adornavano il giardino dove era cresciuta. Per non parlare dei glicini che lei e sua nonna avevano piantato quando aveva sei anni. Profumavano il gazebo del giardino di nonna Rose da ormai ventidue anni.

Aprile. E lei, che adorava la primavera, si sentiva sempre più spenta. Forse era la stanchezza della gravidanza, oppure era Robert che le portava via energia? Rincorrerlo per riuscire a renderlo partecipe la sfiniva a tal punto che, presto, si sarebbe ritrovata ad aggredirlo di nuovo e lei non voleva. Voleva evitare di picchiarlo o tirargli addosso qualcosa, ma la sua discontinua presenza la stava facendo innervosire.

Anche l'auto.

All'improvviso la sua amata Jeep iniziò a fare uno strano rumore, seguito da colpi e ticchettii. Accostò appena in tempo.

«Fantastico!» esclamò quando l'auto si spense. Perché non l'aveva portata dal meccanico quando le era stato detto? Ah, sì, era stato Robert a consigliarlo e lei aveva finto di non sentirlo perché era una dannata orgogliosa troppo presa ad odiarlo per seguirne i consigli. «Ottimo lavoro Charlotte, e adesso?»

Adesso doveva chiamare qualcuno. Ma chi?

Cominciò a scorrere la rubrica del cellulare. Erano le sei, probabilmente Allison era ancora in ospedale, difatti non rispose. Provò suo padre, segreteria telefonica. Sua madre era Dallas per una convention. James suonava a vuoto, probabilmente aveva il silenzioso e Karen era imbottigliata nel traffico di punta. Così attese che qualcuno la richiamasse.

Dannazione a lei e alla sua idea di prendere quella stramaledettissima scorciatoia che passava in mezzo ad un'altura poco trafficata. Il tutto per evitare il traffico di punta. Che bellezza!

Per ingannare il tempo chiamò il carro attrezzi, ma anche quello sembrava non volere arrivare. Era buio, faceva freddo e lei era sola.

«Grazie tante universo!» esclamò, quando si rese conto che la sua ultima boa di salvataggio era Robert.

Compose il numero, aspettando che rispondesse. Uscì dall'auto, appoggiandosi al cofano. Da quel punto poteva vedere New Orleans specchiarsi nel Mississipi, se non fosse stato per le circostanze poco gradevoli e l'isolamento di quella zona, si sarebbe soffermata ad ammirare la vista, ma era da sola, nel bel mezzo del nulla, incinta e in una strada deserta. Voleva solo tornarsene a casa.

«Se mi hai chiamato per dirmi che è maschio hai sbagliato momento!» esclamò Robert, rispondendo al telefono.

«L'auto mi ha lasciata a piedi.»

«E perché chiami me?»

«Razza d'idiota!» esclamò Charlotte fuori di sé. «Forse perché nessuno mi risponde?»

«James, guarda il tuo cellulare.»

Charlotte sentì il fratello fare domande e poi imprecare. Aveva finalmente guardato il cellulare. «Qualcuno può venirmi a prendere?»

«Hai chiamato il carro attrezzi?»

Perché doveva fare tutte quelle domande? Non poteva semplicemente prendere la sua cavolo di moto e venirla a prendere? «Certo che l'ho chiamato, ma arriverò tra un'ora. Karen è imbottigliata nel traffico, papà ha la segreteria telefonica e James si è temporaneamente scordato di avere una sorella incinta!»

Era arrabbiata, spaventata e frustrata, e lui trovava il tempo di farle domande idiote. Che razza di uomo era? Rimase in silenzio, ad ascoltare Robert e James discutere su chi dovesse venirla a prendere.

«Ok, adesso calmati, sto venendo a prenderti.»

Riattaccò il telefono, ricordandosi poco dopo di non aver detto ai due idioti dove si trovava, non aveva voglia di risentire di nuovo le loro voci, così si limitò a mandare un messaggio, sperando che l'imbecille di turno lo leggesse, sempre se ne era in grado.

Charlotte si sedette in auto, cercando di calmarsi, ma il tempo sembrava non voler scorrere. Prese a camminare avanti e indietro come una forsennata, massaggiandosi la schiena, ma la creaturina che aveva in grembo era più agitata di lei, si muoveva e, anche se era troppo piccola per darle fastidio, quelle piccole capriole la facevano agitare ancora di più.

«Sh, calmati tesoro, presto torneremo a casa.»

Guardò l'orologio, erano passati venti minuti, ma le sembrava un secolo. Stava per urlare, ma dei fanali in lontananza la fecero zittire all'istante. Cominciò a sperare quando l'auto rallentò fino a fermarsi vicino alla sua, poi quelle speranze si affievolirono.

«Così le voci sono vere.»

Quella voce, non l'aveva dimenticata. Certo ora aveva un tono più maturo, ma rimaneva pur sempre la voce roca di Eric, che ora camminava verso di lei, debolmente illuminato dai fari delle loro auto.

Charlotte si portò istintivamente le mani alla pancia, facendo qualche passo indietro, sentendolo ridere. Era proprio lui. «Che ci fai qui?»

«Passavo per caso, ho visto l'auto e ti ho riconosciuta» disse lui. «Allora è vero che sei incinta.»

«Già.» Charlotte manteneva un'aria diffidente. Non aveva dimenticato il dolore e il suo cuore spezzato, come poteva? «Beh, grazie di esserti fermato, ma sta per arrivare il carro-attrezzi ed ho avvisato la mia famiglia, quindi puoi anche andare.»

«E lasciarti qui da sola, di sera, nel mezzo del nulla, con tutta la bella gente che circola?» sogghignò Eric, allungando una mano per sfiorarle il viso, ma lei si ritrasse. «Non credo proprio dolcezza.»

«Non chiamarmi dolcezza!»

«Il tuo fidanzato come ti chiama?»

«Non sono affari tuoi!»

«E come stanno tuo fratello ed il suo amico, Robert? Ho sentito dire che è lui quello che ti ha messa incinta, lo stesso che mi ha infilato della marijuana in tasca e mi ha arrestato.»

Charlotte deglutì. Non le piaceva quel tono accusatorio e quel fare losco che Eric stava adottando. Si sentiva in trappola e sola, vulnerabile e impaurita. Odiava sentirsi così. «Non so niente di questa storia.»

«Certo, fai pure la finta tonta, tanto sappiamo entrambi che quei due l'hanno fatto per te.»

Charlotte strinse la mascella, indietreggiando mentre Eric continuava ad avanzare verso di lei. L'ultimo passo la portò a sbattere contro l'auto e lo sguardo dell'uomo non era molto rassicurante. Perché aveva lasciato la borsa sul sedile del passeggero insieme al suo spray al peperoncino?

Era a pochi centimetri da lei, pronto a fare qualsiasi cosa avesse in mente, ma il rombo di una moto lo fece fermare. Charlotte tirò un respiro di sollievo quando riconobbe la Harley di Robert.

«È arrivata la cavalleria!» esclamò Eric, osservando Robert avvicinarsi a loro a grandi passi con lo sguardo puntato su Charlotte.

«Stai bene?» Sembrava preoccupato mentre prendeva la donna per le spalle, fissandola intensamente negli occhi.

Lei annuì con un sorriso tirato, sentendosi al sicuro con lui.

«Certo che non l'avrei mai detto, voi due insieme.» La voce di Eric era sprezzante, tanto che Robert strinse un pugno talmente forte da far sbiancare le nocche. Lo avrebbe preso a cazzotti se Charlotte non l'avesse trattenuto per un braccio.

«Che ci fai qui, Anderson?» gli domandò, cercando di mantenere il controllo. Odiava quella faccia da faina e quel ghigno strafottente.

«Come ho detto a Charlie, passavo di qui per caso e l'ho riconosciuta, così mi sono fermato per vedere se aveva bisogno di aiuto.»

«Come vedi ci sono io adesso, quindi puoi anche andartene» specificò Robert, facendo un passo in avanti per mettersi tra Eric e Charlotte, portandosi le mani ai fianchi e scostando la giacca quel tanto che bastava per mostrare pistola e distintivo. «E, per la cronaca, per te lei non è Charlie, ma Charlotte, vedi di ricordartelo.»

Eric alzò le mani in segno di resa, arretrando leggermente «Beh, tolgo il disturbo allora. Ci vediamo, Charlotte.»

Ma Robert non aveva finito, non voleva che un uomo del suo calibro girasse intorno a Charlotte o a suo figlio.

«Anderson» lo richiamò. «Sappi che se ti vedo ancora girare intorno a Charlie o a mio figlio, non mi farò problemi a togliermi il distintivo e a finire quello che io e James abbiamo iniziato anni fa.»

Charotte rimase in silenzio, ascoltando il respiro pesante di Robert mentre Eric si allontanava in auto. Chissà per quale motivo, ma con lui si sentiva al sicuro. Forse era merito del distintivo.

«Ti avevo detto di far controllare l'auto» sbottò all'improvviso Robert senza guardarla negli occhi.

Charlotte rimase spiazzata. «Non ho avuto tempo!»

«Invece il tempo di cacciarti nei guai lo trovi sempre!»

«Adesso sarebbe colpa mia?»

Le loro voci erano alte, gesticolavano animatamente, sembravano in procinto di prendersi a pugni a vicenda.

«E che fine ha fatto il tuo spray al peperoncino?»

«In borsa!» esclamò Charlotte, indicando la borsa sul sedile del passeggero.

Robert si portò le mani ai fianchi, scuotendo il capo. «Ti ho regalato quella bomboletta perché tu la tenessi sempre con te, non in borsa e fuori portata!»

«Regalata? Che gesto nobile da parte tua, proprio un regalo fatto col cuore.»

«Sai, forse non sarebbe male se ti lasciassi qui ad aspettare da sola il carro-attrezzi.»

«Fantastico, vattene, non so che farmene di un uomo capace solo di urlarmi contro per una dimenticanza!»

Poi il silenzio. Robert la guardava negli occhi, consapevole che quella litigata era stata solo uno sfogo e nulla di più. Quando aveva ricevuto la sua telefonata era andato in panico e si era precipitato da lei senza però darlo a vedere, poi la vista di Eric gli aveva mandato il sangue al cervello e la tensione era salita. Urlare contro Charlotte era l'unico modo a lui conosciuto per sfogare la sua rabbia. Quello o sparare ad Eric, ma visto che l'atto era punibile dalla legge, si era dovuto limitare alla prima opzione.

«Stai bene?» le domandò una volta calmato, allungando la mano e sfiorandole il braccio.

«Sì, adesso sì.» Charlotte gli sorrise. Quella sfuriata aveva fatto bene anche a lei.

«Il bambino?»

«Bambina» lo corresse Charlotte, guardandolo negli occhi. «È una bambina, lo sapresti se fossi venuto con me oggi.»

Una femmina. Una figlia. Robert si portò le mani alla barba, deglutendo rumorosamente. Charlotte lo fissava in attesa di una qualsiasi opinione o altro, ma lui non riusciva a pensare ad altro che ai problemi futuri.

«Speriamo non erediti il tuo caratteraccio.»

«Grazie tante!»

«Avanti, dillo!»

Charlotte sorrise, alzando gli occhi al cielo. «Avevi ragione tu!»

«Te l'avevo detto che era femmina!»

Durante il tragitto per tornare a casa nessuno dei due disse nulla. Charlotte restava avvinghiata al torace forte di Robert, sentendo i muscoli tesi, mentre lui guidava la moto con responsabilità, senza superare i limiti. Che strano.

Arrivati a casa, Charlotte scese dalla moto, stringendosi nelle spalle e guardandosi intorno. Non sapeva spiegarselo, ma l'incontro con Eric l'aveva scombussolata. Era stato così strano e inquietante da farla rabbrividire. Non se la sentiva di stare da sola.

«Robert, ti va di fermarti da me?» domandò. «Non mi sento al sicuro con Eric in circolazione. Aveva uno strano sguardo negli occhi.»

Robert rimase impassibile, facendo spallucce e spegnendo la moto. «Ok.»

Non fece domande, si limitò a seguirla con il casco in mano mentre telefonava a James per rassicurarlo sulla situazione. Entrati in casa Hannibal corse subito a salutare la sua padrona, annusando poi le mani di Robert senza abbaiare. Ormai era di casa.

«Stai meglio?» le domandò, osservandola appendere l'ecografia al frigorifero. Non voleva dare a vedere la sua preoccupazione, ma quel silenzio lo faceva innervosire.

«Adesso sì.»

«Femmina allora. Non abbiamo mai parlato dei nomi.»

Charlotte corrugò la fronte. Non era da Robert interessarsi così tanto della bambina, ma il suo tentativo di distrarla dall'incontro con Eric era lodevole. Quasi tenero.

«Mi piace il nome Julie.»

«É troppo scontato!» esclamò Robert, aprendo il frigorifero alla ricerca di una birra, trovando solo acqua e thè. «Il settanta percento della popolazione femminile americana si chiama Julie!»

«Volevo chiamarla così in onore della mia bisononna, Julianna.»

«Oh!» Robert annuì, togliendosi dalla cintola il distintivo e la pistola, poggiandoli sulla penisola della cucina. «Chiamiamola Julianna, allora.»

Sapeva quanto Charlotte tenesse al ricordo della sua bisnonna. Quella donna aveva le palle quadrate, insomma, aveva sfidato le convenzioni sociali sposando un uomo di colore in un epoca dove le differenze razziali e sociali dividevano la popolazioni di categorie. Una nobildonna bianca che sposava un cameriere nero non era di certo una cosa ben vista negli anni venti.

«Ma Julie è più carino.» Si stava imponendo, ma con dolcezza e questo era strano, soprattutto per Charlotte.

Robert aggrottò la fronte, guardandola allibito. «Dove è la Charlotte spacca palle che conosco? Questa versione 2.0 non mi piace molto, è troppo fuori dal personaggio!»

«Sei un coglione, lo sai?»

«Charlie, dove ti eri cacciata?»

«Il divano è tutto tuo.» Charlotte fece per allontanarsi, ma Robert la richiamò

«É stato un piacere salvarti, dolce donzella!»

«Fottiti idiota!» rispose lei a tono, alzando il dito medio.

«Ma da solo non c'è gusto, mi dai una mano?»

«Vaffanculo!» esclamò Charlotte, allontanandosi e avviandosi in camera sua con Hannibal al seguito.

Trascorse la notte sul divano, guardando il soffitto con una strana agitazione dentro. Femmina, avrebbero avuto una figlia. Una bambina che doveva proteggere da uomini come lui. Sospirò, voltandosi verso l'orologio sulla parete. Le tre del mattino. Erano già trascorse tutte quelle ore?

Silenziosamente si alzò, avviandosi verso la camera di Charlotte, trovandola distesa sul fianco. Si appoggiò allo stipite della porta, osservando la donna. Doveva ammettere che quando dormiva non sembrava la castra-uomini che conosceva, anzi, pareva quasi angelica, ma sapeva che di paradisiaco non aveva nulla, solo gli occhi.

Quella donna l'avrebbe mandato al manicomio prima o poi e non sarebbero serviti a nulla i suoi tentativi di mettere paletti e barriere tra loro. Non poteva fuggire, c'era una figlia di mezzo, ma poteva comunque provare ad andare d'accordo con lei. Quindi doveva smetterla di fingere disinteresse proprio quando cominciava ad avvicinarsi, oppure allontanarsi ogni volta che si sentiva soffocare da quella situazione. Doveva fermarsi e capire che cosa voleva, chi voleva e perché.

Si avvicinò al letto, inginocchiandosi proprio all'altezza della pancia di Charlotte, accarezzandola lievemente.

«Ehi, ciao piccola» bisbigliò, per non farsi sentire da Charlotte e da Hannibal sdraiato vicino alle gambe della padrona. «Siamo messi male, vero? Io non avrei mai pensato di diventare padre così e nemmeno tua madre. Anzi, se avesse potuto scegliere, non avrebbe di certo scelto me, ma è successo ed ora siamo noi. Lei non mi sopporta, a dirla tutta mi riesce difficile sopportare lei, ma per te farò uno sforzo quindi, dato che io cercherò di andare d'accordo con tua madre, che ne pensi di metterci una buona parola per me? Sai, potresti convincerla a darmi una possibilità. Questo renderebbe la tua vita e la mia meno turbolente.»

Charlotte mugugnò nel sonno, muovendosi leggermente, costringendo Robert a fermarsi per evitare che si svegliasse. Attese qualche secondo, prima di riportare il volto a pochi centimetri dalla pancia, accarezzandola lievemente. «Allora, affare fatto?»







Angolo Autrice:

Capitolo abbastanza intenso, che ne dite? Charlotte comincia a farsi delle domande, cerca di capire la natura dei suoi sentimenti verso Robert, ma, come abbiamo visto, non smette di prendere a parole il poveretto.

Ah, quei due sono troppo fuori di testa!

Ed è femmina! Fiocco rosa in casa Sinclair/Goodwin! Ed i nomi iniziano ad arrivare, vedremo più avanti come si evolverà la gravidanza, fino ad arrivare alla soluzione finale. Quei due capiranno mai i loro sentimenti? Lo vedremo!

Prossimo aggiornamento giovedì 9 luglio!

   
 
Leggi le 6 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Romantico / Vai alla pagina dell'autore: Eleanor S MacNeil