Anime & Manga > Le bizzarre avventure di Jojo
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Autore: AlsoSprachVelociraptor    30/06/2015    3 recensioni
!!!*ATTENZIONE!* STORIA RISCRITTA E RIPUBBLICATA SU QUESTO PROFILO. NON LEGGETE QUESTA!! LEGGETE LA NUOVA VERSIONE!! (QUESTA VERSIONE è DATATA ED è QUI SOLO PER RICORDO)
Anno 2016. Shizuka Higashikata, la bambina invisibile, è cresciuta e vive una vita tranquilla con i suoi genitori Josuke e Okuyasu nella cittadina di Morioh, e nulla sembra poter andare storto nella sua monotona e quasi noiosa esistenza. Ma quattro anni dopo la sconfitta di Padre Pucci un nuovo, antico pericolo torna a disturbare la quiete della stirpe dei Joestar e dell'intero mondo, portandoli all'altro capo della Terra, nella sperduta cittadina italiana di La Bassa. Tra vecchie conoscenze e nuovi alleati, toccherà proprio a Shizuka debellare la minaccia che incombe sull'umanità. O almeno così crede.
Genere: Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri
Note: What if? | Avvertimenti: Incompiuta
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-Tesoro! Sono a casa!- urlò Josuke entrando in casa e togliendosi le scarpe davanti all’uscio. Sfilandosi le Converse, si accorse che c’erano delle scarpe in più.
Non era insolito vedere un grande numero di calzature all’uscio a causa della grande collezione di Josuke, ma quelle non erano sue, né tantomeno di sua figlia o di suo marito.
Dopo un secondo di confusione, arrivò alla conclusione che i parenti dovevano essere già arrivati. Avevano detto che l’aereo sarebbe atterrato più tardi, ma poco importa.
-Ah! JoJo! Sei arrivato! - gli rispose Okuyasu, sporgendosi dalla porta della cucina.
Conosceva il viso di Oku, sapeva leggere ogni sua espressione. Ogni suo sguardo era significativo, Josuke ne era cosciente, e quello che gli stava rivolgendo ora era qualcosa che non vedeva da anni. La paura scorreva nei suoi occhi scuri, e sfoderava un sorriso tirato, un’espressione nervosa gli contorceva il viso.
-Ehi… tutto bene? -
Josuke si avvicinò con preoccupazione accarezzandogli gli zigomi e dandogli un leggero bacio sulle labbra.
Sarebbe anche continuato, e magari sarebbe sfociato in qualcosa di più, se Josuke non avesse intravisto qualcuno in cucina da dietro la testa di Okuyasu. Sobbalzò e si staccò violentemente dal marito, assumendo di nuovo la sua classica espressione fredda e distaccata. Okuyasu sembrava ancora più giù d’umore ora, ma a Josuke non importava più.
-Hey! Jotaro… Tutti voi… Siete arrivati in anticipo, eh? Non me l’aspettavo… come va?- gracchiò nervoso, avvicinandosi al tavolo con i Kujo seduti ad esso. Jotaro in tutta risposta sbuffò rumorosamente, un’espressione disgustata sul viso stanco. Se Josuke era abitato a non mostrare nessun sentimento, Jotaro era anche peggio di lui, tanto che anche solo vedere gesti d’affetto lo infastidiva.
Dopo essersi lisciato i vestiti e aver riacquisito un colorito decente dall’imbarazzo di poco prima, passò lo sguardo su Jolyne ed Emporio, che ancora ridacchiavano.
-Jotaro, dove sono Holly e tua moglie? Non dovevano venire anche loro?-
-Sì, Josuke- disse Jotaro, tornando serio. –ma Rosanna non sa ancora nulla degli stand. Volevo lasciarla fuori da tutto ciò, così mia madre l’ha accompagnata a fare spese per Morioh.-
Josuke abbassò lo sguardo, annuendo pensieroso. C’era un’altra persona, un altro parente, ma non voleva chiedere dove fosse. Probabilmente, non avrebbe nemmeno voluto che venisse.
-JoJo…- Okuyasu lo prese per un braccio. –JoJo, tuo padre è sulla poltrona in sala. Va’ a salutarlo. Prima ha chiesto di vederti.-
Josuke guardò suo marito di sottecchi, stringendogli la mano con forza. Stava disperatamente chiedendo aiuto, ma si ritrovò come risposta solo uno sguardo severo e deciso che lo convinsero ad andare.
Borbottò e si avviò in sala, appoggiandosi allo schienale della poltrona. Il televisore era spento ma suo padre lo stava guardando lo stesso. Josuke sospirò forte, strappò il telecomando dalle sue mani tremanti e lo accese. Era ancora sintonizzata sui canali spazzatura che guardava Shizuka.
L’anziano si girò piano e lo guardò. –Josuke...- mormorò, la voce rotta.
-...Joseph.- rispose freddo lui. Non disse altro. Vecchio bastardo, vecchio bastardo.
Non ebbe nemmeno il coraggio di guardare suo padre in faccia. Semplicemente era lì, in piedi di fianco a quella poltrona con quell’uomo alto e scarno adagiato sopra. I pugni stretti e le nocche bianche, si mordeva forte il labbro inferiore, con un’espressione che si addiceva poco ad un uomo adulto e sposato, ma più a un bambino viziato che faceva i capricci.
-Come sta… la… la bimba?-
-Shizuka. Si chiama Shizuka.-
-Come sta?-
Josuke non voleva parlargli, e men che meno parlare di sua figlia. Non a lui, almeno.
-Sta bene.- rispose frettolosamente. Joseph fece un mezzo sorriso.
-Sono passati così tanti anni da quando l’avete portata via…-
A quelle parole che forse più di ogni altra non voleva sentire, Josuke si allontanò, stanco. Era stancante parlargli, e stancante pensare che quell’uomo, in quelle condizioni, possa essere suo padre. Quel vecchio bastardo che, trentatré anni prima, aveva deciso di divertirsi un po’ con una giovane giapponese qualunque per poi andarsene, senza nemmeno pensare che quel “divertimento di una notte” potesse essere stato la disdetta di qualcuno.
Tomoko era rimasta incinta, e nove mesi dopo nacque un bambino che assomigliava fin troppo all’uomo che l’abbandonò. Perse il posto all’università, e tutti i suoi sogni si frantumarono, tutto per colpa di quel bambino che non sarebbe mai dovuto nascere.
Sua madre gli fece sempre pesare questa grande somiglianza con il padre che lui non conobbe mai, e quelle continue similitudini lo facevano soffrire. Si sentì sempre in colpa per l’essere nato. Ora che si era fatto una famiglia tutta sua il senso di colpa era un po’ svanito, grazie ai suoi famigliari che continuavano a ripetergli che se lui non ci fosse stato, la loro vita sarebbe orribile. A Josuke piaceva sentire queste cose, essere lodato e idolatrato. Forse era un po’ narcisistico, ma così si sentiva come se non fosse stato solo un errore.
Ma parlare con quell’uomo era diverso. Tutti i sensi di colpa tornavano a galla, e la rabbia si faceva solo più forte. Josuke pensava che fossero pari, ora.
Quando Josuke e Okuyasu si trasferirono a New York, nel 2002, erano senza soldi, casa e lavoro. Josuke era stato chiamato dalla Harvard per studiare lì, date le grandi doti che aveva dimostrato al primo semestre dell’università di medicina della città di S. Ma erano comunque solo due ragazzini giapponesi sperduti nella Grande Mela.
Joseph e Suzie abitavano a New York. Josuke allora chiese se suo padre avesse un piccolo locale per loro due, dato che era stato uno dei più grandi agenti immobiliari dell’intera città negli anni passati. Il caso voleva che, al piano superiore all’abitazione del suo anziano padre e di sua moglie, ci fosse un appartamento vuoto. Era quello che di solito spettava agli ospiti, ai famigliari lontani che venivano a fare visita ai due anziani, ma decise di affittarlo a loro.
Insieme ai due vecchi coniugi, però, c’era anche la piccola Shizuka. Erano troppo avanti con l’età per occuparsi di lei, così decisero di tenerla loro nel piccolo appartamento. La televisione trasmetteva solo canali inglesi, il riscaldamento era spesso freddo e si gelava d’inverno. Rimasero in America per sette anni, tempo che Josuke prendesse laura e specializzazione, uscendo dall’università medica più prestigiosa degli Stati Uniti con un trenta e lode. In quei sei anni la bambina era stata cresciuta da loro, e, in poco tempo, la piccola considerava i due giovani come i suoi veri genitori.
Suzie morì, e Joseph fu mandato in una casa di riposo poiché non era più autosufficiente. Shizuka venne affidata a suo figlio, Josuke, e al suo neo marito Okuyasu. Se non era capace di occuparsi di sé, pensava Josuke con un pizzico di veleno, era impossibile che potesse prendersi cura di una bambina.
Tornarono a Morioh e, dopo aver ristrutturato la vecchia e fatiscente casa dei Nijimura, ci abitarono per sette anni, fino a quel momento.
Ma Joseph ci teneva alla piccola Shizuka. Portargliela via era stato, più che una necessità per la buona vita della bambina, una vendetta verso il padre.
Josuke si era allontanato dalla poltrona su cui giaceva l’anziano padre, che ora si era addormentato.
-Josuke, ora che sei arrivato anche tu, posso spiegarvi tutto.- tagliò corto Jotaro, dandogli uno scossone che lo fece rinsavire e tornare alla realtà.
Si accomodarono nella sala da mangiare, riuniti intorno ad un tavolo circolare. L’espressione di Jotaro era terribilmente seria, anche più del solito. La vistosa cicatrice che gli solcava l’occhio destro, cieco e annebbiato, non facevano altro che donargli un aspetto ancor più minaccioso e sinistro.
-Penso vi ricordiate tutti di Pucci.-
Jolyne, dopo aver udito quel nome, digrignò i denti. Okuyasu e Josuke annuirono, spaventati. –Bene. Pensavamo che con lui, il segreto di Dio fosse finito.
Ma non è così. Qualche anno fa, abbiamo riscontrato che in Europa si sono verificati dei casi di vampirismo.-
-Eeeh? Vampiri?- urlò Okuyasu, alzandosi dalla sedia e sbattendo le mani sul tavolo, incredulo. –Impossibile! Lo sanno tutti che non esistono i vampiri! Vero JoJo?-
-Oku, per favore, siediti.- gli mugugnò Josuke, strattonandolo verso il basso per la canottiera e facendolo risedere. Jotaro rimase un po’ irritato dall’intervento dello zio acquisito, ma lasciò correre. Quello che stava per dire era decisamente più importante.
-A quanto pare, in Italia e in tutta Europa, ci sono le tracce di questi “uomini del pilastro”, superuomini aztechi, che hanno lasciato dietro di sé le Maschere di Pietra, che però erano rimaste nascoste sotto terra. Nel 2012, tuttavia, l’accelerazione del tempo di Made in Heaven causò dei terremoti nella zona del centro Europa, e anche in Italia Settentrionale. Lo scrollamento del terreno causò l’affioramento delle Maschere di Pietra, che, a quanto pare, vennero usate da qualcuno per creare degli altri vampiri. Non sappiamo chi.
La Fondazione Speedwagon è andata a controllare, ma le maschere di pietra non sono più presenti. Le hanno prese tutte.
Grazie agli studi sulla maschera del mio trisavolo, Jonathan Joestar, siamo riusciti a capire come funzionano, ma fatto sta che c’è qualcuno che si aggira per l’Europa trasformando persone in vampiri e mettendo in serio rischio l’umanità.-
Jotaro si voltò verso Josuke, serio. –L’unico modo per uccidere i vampiri è usare le “onde concentriche”, una tecnica che usa il sangue e il respiro come amplificazione delle onde solari. Le onde concentriche, perché vengano usate nel modo adeguato vanno allenate, ma si possono trasmettere per via genetica. Impararle da zero è quasi impossibile, se non tramite un allenamento duro che non tutti sopportano, non sempre portano buoni risultati e impiegano anni e anni di studio e allenamento. Tempo che non abbiamo.
Nonno si era allenato, e le sa usare bene. Era rimasto l’ultimo a saperle usare, ma ormai non ne è più in grado. Purtroppo mia mamma non le ha ereditate, e di conseguenza nemmeno io, e neppure Jolyne, ma c’è una buona probabilità che tu possa svilupparle. Potresti essere la speranza del genere umano.-
-Io non voglio esserlo- sussurrò Josuke, lo sguardo mesto.
-Josuke, non era una domanda. Sono serio.-
-Anche io sono serio- rispose lui, lo sguardo gelido e gli occhi quasi lucidi. –Non voglio rischiare la vita ancora. Non voglio rischiare la vita della mia famiglia.-
Okuyasu gli passò una mano sulla schiena in modo dolce, ma Josuke se la scrollò di dosso, fulminandolo con uno sguardo carico d’odio. Okuyasu capì di dover far retrofront, stringendo le mani sul bordo del tavolo.
La porta di casa sbatté e una sottile voce si intromise tra quelle gravi di Jotaro e Josuke.
-Pa’ sono tornata… pa’? dove siete?-
Shizuka si sporse dalla porta della cucina, un’espressione annoiata sul viso. Tuttavia, appena vide i parenti, fece una faccia terrorizzata e divenne traslucida.
Okuyasu si alzò e la prese per una mano, facendola sedere sulle sue ginocchia, benchè lei non ne fosse molto convinta.
Jolyne si avvicinò a lei, sorridente. –Cuginetta! Sei cresciuta tanto eh?-
Shizuka abbassò lo sguardo, stringendo il braccio di suo padre attorno alla sua vita che la obbligavano a rimanere lì. –Shizu, salutala- la ammonì, dandole una leggera scossa.  Lei annuì piano, alzando appena lo sguardo e fissandola storto con i suoi grandi occhi grigi, ancora un po’ infantili.
-Quanti anni hai?-
-Diciassette.- rispose, talmente piano che risultava appena udibile.
Jolyne ridacchiò. –Sembri molto più piccola, in effetti!-
Con uno sbuffo di fastidio, Shizuka annuì, e Jolyne decise di lasciarla in pace. Che caratteraccio, pensò la ragazza, tornando a sedersi vicino al padre e al fratellino adottivo.
-Partiamo per l’Italia questa settimana.- finì Jotaro, con uno sguardo duro. –che a te piaccia o no, Josuke. Non voglio discussioni.-
-Italia?- mormorò Shizuka, strattonando la canottiera di Okuyasu. –Andiamo in Italia? Davvero?-
Lo sguardo di entrambi i suoi genitori non era però emozionato all’idea di visitare il Bel Paese come lei. Il loro sguardo era disperato e rassegnato, come quando partirono per la Florida, nel 2012.
-…papà?-
-Shizuka, non intrometterti. È una faccenda grave.- sbottò Josuke, guardandola con durezza. La ragazza deglutì forte, mentre Okuyasu la faceva scivolare giù dal suo grembo. –Va’ fuori con Emporio, noi dobbiamo parlare.- le disse, serio. E quando suo padre Okuyasu era serio, allora era grave. Lei abbassò lo sguardo e si diresse al cortile sul retro della casa, con il ragazzino biondo che la seguiva.
 
Emporio e Shizuka giocarono un po’ a palla nel giardino, nella zona d’erbetta tenera che suo padre Okuyasu aveva coltivato con tanta cura.
-E così ci sono i vampiri?-
-Sì. Papà Jotaro ha detto questo almeno. Ma io mi fido di Jotaro.- rispose Emporio, un po’ imbarazzato. La ragazza annuì piano, coricandosi sull’erba verde smeraldo.
-Nonno mi ha raccontato di queste cose, quando ancora capiva qualcosa almeno.-
Strappò dell’erba con rabbia, spaventando il biondo. –Voglio andare anch’io. Non sono debole, mi sono allenata, e non sono più una neonata. Voglio anche io accompagnarli in questa missione!-
-Hai ragione, Shizuka- mormorò Emporio.
Il sole stava calando, e il cielo si era fatto arancione, mentre piano piano si nascondeva dietro gli edifici del centro di Morioh-cho, lanciando lunghe ombre rosso scuro sui due ragazzi.
Shizuka rientrò a grandi passi nella sua grande casa, diretta verso la camera in cui i suoi genitori, suo zio e sua cugina si trovavano, più determinata che mai. Okuyasu stava cucinando, e gli altri erano seduti al tavolo.
-Papà voglio venire anch’io in Italia a sconfiggere i vampiri.-
Okuyasu si voltò con un’espressione attonita sul viso stanco. –Shizu no, non capisci…-
Shizuka venne afferrata forte per un braccio e trascinata lontana dalla cucina da Josuke, la sua presa che le stringeva sull’avanbraccio magro, mentre lei cercava di divincolarsi. Una volta che lui si fermò, la prese anche per l’altro braccio e si piegò un po’, guardandola fissa negli occhi, gelidi e contratti in uno sguardo carico di rammarico e dolore.
-Ti abbiamo detto di no.-
Shizuka non ci vide più dalla rabbia. Ne aveva fin sopra ai capelli di quell’atteggiamento di superiorità che avevano nei suoi confronti, di essere sempre trattata da mocciosa e da debole. Lei non lo era, e loro non lo capivano.
-Mi trattate sempre come una bambina! Io quest’anno compio diciotto anni, sono quasi adulta! Non potete impedirmi di venire!-
-Shizuka, sei ancora piccola per queste cose. Il caso è chiuso.-
-Non è vero!- sbottò lei, stizzita. –Voi avete combattuto il serial killer a sedici anni! Zio Jotaro aveva la mia età quando è andato in Egitto! Nonno ha sconfitto quegli Dei strani a diciotto..-
I parenti si avvicinarono, incuriositi. Okuyasu mise una mano sulla spalla alla figlia nel tentativo di calmare un po’ le acque, che lei strattonò via con violenza. Suo padre Josuke era su tutte le furie, mentre la stringeva forte per le braccia, il viso stravolto dalla rabbia.
-Shizuka! Perché non ci ascolti mai? Noi siamo i tuoi genitori! Decidiamo noi per te e basta! Non si discute! Tu starai qui e noi andremo, il caso è chiuso!-
-Voi non siete i miei veri genitori! VI ODIO! MI FATE SCHIFO!-
Detto ciò, si divincolò dalla stretta del padre e scappò fuori per la porta principale, piangendo a dirotto.
Josuke rimase interdetto, le mani che stringevano il nulla. Chiuse le mani a pugno, digrignò i denti e con un grido tirò un forte pugno allo stipite della porta, che assunse una piega strana grazie ai poteri di Crazy D. Di fronte a lui, Okuyasu si alzò gli occhiali da vista e si massaggiò gli occhi stanchi, sospirando pesantemente.
-Josuke- si intromise Jotaro, prendendo il dottore per una spalla e stringendogliela forte. –non lasciarla andare.-
-Tranquillo, è già capitato uno o due volte che scappasse di casa… di solito va da Koichi o da mia madre, poi torna…-
-No, non capisci. La mia storia è stata interrotta, prima. Non vi ho ancora detto che, fino a poco tempo fa, il vampirismo era ristretto solo alle zone europee e del bacino del Mediterraneo, ma da poco tempo si sono verificati diversi casi anche in tutta l’Asia, Giappone compreso.
Shizuka potrebbe incontrare i vampiri, è in pericolo.-
 
In lacrime, Shizuka correva per le buie strade di Morioh senza una meta vera e propria. I fanali delle automobili disegnavano figure inquietanti sui muri dei palazzi, ma cercò di non prestarci troppa attenzione. Dentro la sua mente c’era solo il pensiero che fosse sottovalutata da tutti, anche dai suoi genitori. Non era debole, lei era forte, indipendente e grande. Poteva fare qualsiasi cosa, anche se non aveva gli stand e l’esperienza dei suoi parenti, della pesante famiglia che doveva portarsi sulle spalle. Quei due idioti che non la capivano davvero.
Corse in un vicolo buio, accorgendosi che era cieco cercò di tornare alla strada principale, che era trafficata a tutte le ore della giornata e un po’ più illuminata.
Ma non fece in tempo, perché si ritrovò una figura davanti a sé che le bloccava il cammino.
Strizzò gli occhi per riconoscere quella persona che aveva davanti. Magari era uno degli amici dei suoi genitori che la erano venuta a prendere.
Vide solo la pelle innaturalmente pallida e due cupi e vitrei occhi rossi. L’uomo la osservò e ghignò, esponendo due vistosi canini. Le si avvicinò minacciosamente, e Shizuka iniziò a indietreggiare, impaurita. Usando il suo stand divenne completamente invisibile e tentò di passargli di fianco senza essere vista. Ma fu vano, perché l’uomo si voltò verso di lei, individuandola senza sforzo, riuscendo a sferrarle una gomitata sul naso. Lei cadde a terra dolorante, mentre l’uomo iniziò a tirarle dei calci nell’addome, ma ormai Shizuka era quasi svenuta dal dolore, inerme e senza sensi, riversa sul marciapiede.
Il vampiro le si inginocchiò al suo fianco, le afferrò i capelli e le piegò la testa dalla parte, esponendo il suo collo vulnerabile, rimanendo a fissarla coi suoi occhi rossi e brillanti, il suo ghigno inumano, e i suoi canini appuntiti e innaturalmente lunghi pronti a dissanguarla completamente.
Fu uno spuntino fin troppo facile.
 


When you're sure you've had enough
of this life, well hang on
Don't let yourself go
Cause everybody cries
And everybody hurts sometimes.
Everybody Hurts, R.E.M. (Automatic for the People, 1992)


Note dell’autrice
Ve l’avevo detto che sarebbe successo qualcosa in questo capitolo! Finalmente la storia è iniziata. Mi spiace se ci ho impiegato così tanto tempo ad aggiornare ma ho avuto problemi col vecchio portatile. Ora che ho il computer nuovo non dovrebbero più esserci problemi! (Speriamo!)
Ci vediamo al prossimo capitolo, un bacione a tutti i miei lettori! Ciao! (Non odiatemi, pls)
   
 
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