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Autore: Symphonia    06/07/2015    6 recensioni
STOICK POV
Era una ragazza diversa dalle altre, Valka. Mi affascinava in un modo che credevo impossibile...
“È molto semplice, Stoick. Ti sei innamorato! È una bella cosa.” disse con tono gioviale e un sorriso a trentadue denti sotto i baffi biondi, che iniziavano ad allungarsi.
“Skaracchio, non è quello che…”
“E come glielo dirai, eh? Con una poesia?” mi troncò, accarezzandosi felicemente i baffi.
“Cos-? Ma ti prego! La poesia è per i mollaccioni! Per conquistare una donna devi apparire fiero, un vero uomo e magari presentarti con una testa di drago in mano.” risposi fulmineo e con tono austero.
Skaracchio mi guardò pensieroso con un sopracciglio alzato.
“Non sono sicuro che presentare a Valka una testa di drago come pegno d’amore sia una buona idea…”
***
Una piccola fanfiction sul nostro burbero vichingo preferito! Parla semplicemente di come si innamorò di Valka e di come nacque For the dancing and the dreaming. Enjoy!
Genere: Commedia, Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Skaracchio, Stoick, Valka
Note: Missing Moments, Movieverse | Avvertimenti: nessuno
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DTOS



   

    Era una calda giornata, l’estate era vicina. La neve si scioglieva per dar spazio ad un panorama sempre più verde ed io girovagavo per la foresta con la testa fra le nuvole. Ad un tratto, arrivai in un avvallamento con un laghetto al centro. Non conoscevo quella parte della foresta, ma mi sembrò un posto tranquillo e ben nascosto da possibili occhi indiscreti.

Mi lasciai cadere sull’erba e ne staccai un filo, che torturai tra le dita. La mia mente era altrove. Era ancora al villaggio, forse. Era ancora concentrata su quella persona.


    Valka.
    Era una ragazza piuttosto conosciuta al villaggio per alcune sue idee “particolari” riguardo ai draghi. Sinceramente non ne sapevo molto, sinceramente non me ne importava granché.
    La vedevo quasi ogni giorno salutare ogni abitante del villaggio in maniera allegra e cordiale. Quando passava all’armeria del padre di Skaracchio, dove avevo praticamente fissa dimora assieme al mio migliore amico, mi rivolgeva qualche sorriso timido. Riusciva a distruggere il mio atteggiamento fiero e duro in pochissimo tempo, con quel sorriso.
    Non era come le altre donne del villaggio. Non amava imbracciare le armi, cacciare draghi e non era un asso in cucina - il pesce che mangiai l’altro ieri sera nella sala del consiglio ne sa qualcosa… -, ma era solare, avventurosa, intelligente. E testarda, devo ammetterlo.
    Scatenava in me reazioni strane, sconosciute. Non so perché, ma sentivo che avrei dato qualsiasi cosa per avere quei allegri e vispi occhietti tutti per me.


    Continuai a girare e rigirare il filo d’erba tra le dita immerso nei miei pensieri, finché non sentii una melodiosa voce femminile cogliermi sul fatto. M’irrigidii e vidi un viso dai tratti lunghi e sottili comparire qualche centimetro sopra di me. Quei grandi occhi verdi li avrei riconosciuti ovunque.
    “Anche tu qui, Stoick?” chiese con un sorrisetto divertito sul volto.
    Mi alzai di scatto e cercai di ricompormi nella maniera più vichinga che potei.
    “V-Valka! Che sorpres… ehm… No! Cioè… Che ci fai tu qui?” chiesi con voce profonda.
    Era un tentativo, poco riuscito, di sembrarle indifferente. Lei scoppiò a ridere. Cos’aveva da ridere? Anzi, come si permetteva di ridere? Io ero Stoick, il futuro capo villaggio! Mi sentii avvampare, ma non ero sicuro fosse per la rabbia.
    “Questo è … il mio posto segreto.” rispose, gonfiando il petto.
    Cos’era? Un tentativo di imitarmi? Vedendo che non le rispondevo (forse avevo fatto una faccia strana?), s’incamminò verso il laghetto. Il suo colore verde azzurrastro, così intenso e luminoso, faceva da sfondo alla longilinea figura di Valka e mi scoprii ad ammirarla, mentre si allontanava. Credevo che sarei morto dal caldo che provavo. Non capivo se era per come mi sentivo o se era colpa di quel gilet in pelliccia di yak. Ero veramente confuso.
    Nonostante la incontrassi spesso, non avevo mai notato quanto snella e leggiadra la sua figura fosse. Non era bella come le compagne guerriere della sua età. Non aveva delle rotondità ben definite, il viso era spigoloso e il colorito era forse un po’ troppo pallido. Non era possente, non aveva l’atteggiamento della guerriera senza pietà. Aveva però un portamento distinto e al contempo sembrava che fluttuasse. Era semplice nei gesti, un po’ goffa, ma la trovai semplicemente incantevole. Un fiore raro che si nascondeva tra le rocce di quel luogo.
    Passeggiava sulla riva del lago e dato che era troppo occupata a canticchiare una melodia, decisi di lasciarla stare e di tornarmene sui miei passi. Mentre risalivo il sentiero, mi voltai un paio di volte. Stavo controllando se mi seguisse, anche solo con lo sguardo.
    Non era così. Lei era indipendente ed ero io che continuavo a fissarla in una maniera a dir poco ossessiva. Forse… forse…
    “No.” mormorai e con uno strano peso sul cuore, tornai a casa.
    Non era la donna adatta a me. Non era la donna adatta ad un vichingo!
    “Cosa stai facendo, Stoick? Non è fatta per te. Ti serve una donna che sappia cucinare, che ti appoggi nelle battaglie contro i draghi. Tu devi trovare qualcuna che soddisfi queste richieste! L’amore passa in secondo piano per il capo villaggio…”


    Quei pensieri mi seguirono anche quella sera, il giorno dopo e il giorno dopo ancora. Diventò un tormento. Iniziai a parlarne con Skaracchio, anche se immaginavo già che cosa comportava.
    “È molto semplice, Stoick. Ti sei innamorato! È una bella cosa.” disse con tono gioviale e un sorriso a trentadue denti sotto i baffi biondi, che iniziavano ad allungarsi.
    “Skaracchio, non è quello che…”
    “E come glielo dirai, eh? Con una poesia?” mi troncò, accarezzandosi felicemente i baffi.
    “Cos-? Ma ti prego! La poesia è per i mollaccioni! Per conquistare una donna devi apparire fiero, un vero uomo e magari presentarti con una testa di drago in mano.” risposi fulmineo e con tono austero.
    Skaracchio mi guardò pensieroso con un sopracciglio alzato.
    “Non sono sicuro che presentare a Valka una testa di drago come pegno d’amore sia una buona idea…”
    “Sì… Forse hai ragione. Ma ehi! Non sono venuto qui a parlarti di questo!”
    “Ah, no? E di cosa allora?” chiese ingenuamente.
    “Di come smettere di pensare a Val… Lei!” esclamai, un po’ troppo forte. Nessuno avrebbe dovuto sapere della mia… infatuazione?
    “Te l’ho già detto… Glielo devi dire!” brontolò lui.
    E tirammo avanti così per tutta la mattinata. Skaracchio non poteva capire. Non pensava come il figlio di un capo, ma come… Skaracchio! Io però dovevo togliermela dalla testa, eppure era difficile. La incontravo sempre più spesso. Più si avvicinava l’estate, quella stagione in cui gli attacchi dei draghi erano più frequenti, e più i giovani vichinghi dovevano essere preparati.


    L’addestramento non era più duro del solito. Oramai sapevamo navigare perfettamente, combattevamo nell’arena con regolarità e imparavamo ad utilizzare al meglio le armi. Io mi trovavo bene con tutte - mio padre mi aveva allenato a lungo -, Skaracchio preferiva usare mazze e martelli e Valka… Sapevo che non dovevo neanche cercare la sua figura, ma il suo utilizzo di lance e i bastoni era ipnotizzante. Li maneggiava con grande eleganza.
    “Ehi, Valka! Devi combattere i draghi, non invitarli a ballare! Smettila di evitare i loro attacchi!” sbraitò l’istruttore.
    Non aveva tutti i torti; gli attacchi non andavano solamente evitati. Bisognava neutralizzarli e uccidere il drago. Lei invece non ne voleva sapere. Troppo testarda per eseguire quell’ordine, non attirava solo l’antipatia dei compagni, ma iniziava anche a far spazientire l’Incubo Orrendo che stava fronteggiando. Aveva smesso di usare solo gli artigli: si era dato fuoco.
    Iniziai ad essere veramente preoccupato ed irritato. Sentire i miei amici sghignazzare, dicendo apertamente che magari così avrebbe imparato la lezione, mi faceva ribollire di rabbia. E quel drago… quel drago diventava sempre più arrabbiato. Doveva saperlo che gli Incubi Orrendi sono piuttosto impazienti di mangiare la loro preda. Stavo seriamente pensando di andare ad aiutarla, ma la voce della ragione mi diceva che non era una buona idea.
    “Che ne sarà della tua reputazione Stoick, eh? Hai aiutato quella che adora i draghi, bravo…”
    Erano cose stupide da pensare, ma io ero il figlio del capo villaggio, il futuro capo del villaggio vichingo di Berk! E allora?
    “E allora i vichinghi non pensano, i vichinghi agiscono!”
    Rinfrozai la presa sull’ascia e scattai in avanti. Il respiro cresceva e diventava sempre più irregolare e il cuore batteva forte come un martello sull’incudine. Poi, solo un suono secco e il rosso.
    Un rantolo, un tonfo pesante e l’odore del sangue unito alle pietre e alla terra.
    Potevo sentire il sangue pulsarmi nelle orecchie e gl’occhi che cercavano una e una sola figura in quel caotico scenario. Valka era caduta sulle ginocchia, gli occhi sbarrati da quella che definii un’orrida incredulità. Seguii la traiettoria del suo sguardo e vidi il corpo dell’Incubo Orrendo accasciato a terra, esanime.
    I miei compagni mi saltarono addosso abbracciandomi.
    “Bravo, Stoick!”
    “Così si fa, amico!”
    “Tu sì che diventerai un vero vichingo!”
    Continuarono a farmi i complimenti per il primo drago abbattuto in vita mia. Mi sentii soddisfatto di me stesso: avevo abbattuto un Incubo Orrendo, dopotutto! Ma quella soddisfazione sparì quando vidi il viso di Valka. Era distrutta, gli occhi due laghi verdi pronti a riversarsi sulle guance.
    “Perché l’hai fatto?!” sbraitò.
    S’era alzata in piedi senza problemi e mi aveva raggiunto con passo rabbioso. Ora mi guardava fisso negli occhi. Ah, quanto volevo quello sguardo su di me. Però non in quelle circostanze così… sfavorevoli? Ma perché? L’avevo salvata da un drago che voleva ucciderla!
    Cercai di ribattere, inutilmente. Era la prima volta che mi sentivo spiazzato prima ancora di iniziare una lite. Erano quegli occhi…
    “Io…” mormorai.
    “Tu dovevi lasciarlo a me!” scandiva bene le parole, nonostante la voce quasi spezzata “L’avrei sicuramente rigettato nella cella, se non ti fossi intromesso! Perché l’hai fatto?!”
    Le sue parole erano rabbiose e io mi sentii come travolto da un fiume in piena, mentre lei se ne andava dall’arena, senza più guardare la carcassa del mostro. Ho cercato di fare del mio meglio per mantenere un atteggiamento composto e per niente sconvolto, ma nel profondo mi sentivo ferito. Mi dicevano che non mi dovevo preoccupare, che era strana, che non ci dovevo pensare e altre cose. Non li stavo ascoltando veramente, le mie orecchie udivano l’eco di altre parole.
    Poi, un tocco sulla spalla mi riportò alla realtà.
    “Va tutto bene, Stoick?” mi chiese Skaracchio preoccupato.
    “Non ne sono del tutto sicuro.”


    Non vidi più Valka per giorni interi. Non si era più presentata agli allenamenti e non girava più per il villaggio. Non chiesi niente ai genitori per evitare che fantasticassero su un mio possibile interessamento. Però più il tempo passava e più mi sentivo triste.
    Non che avessi torto: uccidere quel drago è stata la scelta giusta. Si chiama “spirito di sopravvivenza”, ma lei… Lei pensava cose strane. Lei pensava che fosse giusto lasciarli vivere. E forse era veramente così, ma loro non lasciavano vivere noi. Razziavano di continuo sulle nostre terre e noi cosa dovevamo fare? Aspettare di morire?
    Dovevo chiarire questa cosa con Valka, sentivo di doverle comunque delle spiegazioni, nonostante tutto. E la cercai, a lungo la cercai. E la trovai solo un paio di sere dopo: era andata a campeggiare sulla spiaggia nella parte ad est dell’isola.
    “Valka!” la chiamai con voce sollevata.
    Lei mi fulminò con lo sguardo e scese dalla roccia su cui stava riposando. La sua lunga treccia ondulò nell’aria mentre saltava giù. Le erano cresciuti i capelli, non me n’ero mai accorto di quanto fossero lunghi.
    “Che cosa c’è?” chiese con un tono non secco, ma capii che la mia presenza le aveva rovinato l’umore.
    Avevo aperto la bocca per parlare, ma le parole mi morirono in gola. Non riuscivo a parlare, io, Stoick, il figlio del capo villaggio. Valka intanto mi fissava intensamente e, man mano che passavano gli attimi, il suo sguardo s’addolciva.
    “Se hai fatto tutta questa strada per scusarti…”
    “Io non ho niente di cui scusarmi.” replicai brusco.
    Mi guardò con uno sguardo stupito ed irritato allo stesso tempo.
    “Ah.” fu il suo unico commento.
    Poi si voltò e si mise a camminare sul bagnasciuga. Io la tallonai senza farmi problemi, cercando di rimediare a ciò che avevo detto. Non avevo sbagliato, aveva fatto la cosa giusta… per lei. Sì, potevo riassumere tutto in questa semplice frase; e così feci.
    “Io… l’ho fatto per te.” dissi con tono sicuro.
    A quella dichiarazione, scoppiò a ridere.
    “Stoick, non dovevi fare proprio niente: avevo la situazione sotto controllo.” ribadì convinta.
    “No, non è vero.”
    “Sì, invece!”
    “No!” esclamai in tono troppo potente. Il mio orgoglio m’impediva di piegarmi a lei, ad una che aveva idee strane sui draghi.
    “No… aveva preso fuoco! Quel… quel mostro ti avrebbe uccisa.” ripetei più flemma, ma non per questo meno convinto.
    “Quel mostro ne avrebbe avuto tutte le ragioni: tu come ti sentiresti se degli sconosciuti ti buttassero in gabbia e ti facessero vivere solo per combattere?” mi chiese spazientita.
    Le riconoscevo che era una donna con degli ideali veramente solidi. Non riuscivo a comprenderli del tutto, ma ammiravo la fiducia che aveva in essi e con quanta passione li difendeva.
    “Val…”
    “Allora?!”
    Di nuovo quei laghi… Quegl’occhi che stavano per traboccare di lacrime. La presi per le spalle, ma mi trattenni dall’abbracciarla: non potevo darle ragione. Abbassai il busto in modo da non guardarla dall’alto verso il basso.
    “Val, loro compiono razzie sulle nostre terre.” le dissi con voce più comprensiva che potei.
    “Perché non scoprire il perché lo fanno, al posto di ucciderli?”
    Era veramente diversa dagli altri, faceva domande veramente intelligenti. Lei pensava - forse anche troppo - prima di agire e lì capii che forse nell’arena avrei dovuto veramente lasciarla fare. Poi però mi ricordai di cosa diceva mio padre: pensare troppo uccideva.
    “Quando troveremo il nido…”
    “Quando troverete il nido li ucciderete tutti senza alcuna pietà, anche i cuccioli. Non risparmierete nessuno.” troncò lei perentoria.
    “Vuoi porre un drago al livello di un essere umano?”
    “Pongo la vita al livello di un’altra vita, Stoick. Perché… perché semplicemente non ce ne andiamo da Berk? Loro… potrebbero procurarsi il cibo liberamente e noi vivere tranquillamente.”
    Ah, Valka! La mia Valka… La stava facendo troppo facile. Aveva dei tratti ancora così ingenui sul volto. Lei non sapeva cosa comportava doversene andare da Berk: sconfitta e una marea di problemi.
    “Perché noi siamo vichinghi, Valka. Siamo qui da secoli e qui rimarremo.”
    “Quindi lo facciamo per onore?” chiese indignata.
    “Cerca di capire! Trovare un nuovo posto in cui vivere non è facile.” cercai di spiegarle. Normalmente, a quel punto, avrei già perso le staffe, ma con lei non ci riuscivo.
    “Ah, perché uccidere i draghi lo è!”
    Come non detto: questa frase mi ferì nel profondo.
    “Uccidere i draghi…! Oooh, mi spieghi perché stiamo litigando su questo?!” sbottai di colpo, mollando la presa sulle spalle.
    “Io non sto litigando, io sto discutendo! E perché tu hai fatto di testa tua, come sempre!” m’accusò senza problemi. Per lei, ero io che avevo torto, nonostante cercassi di spiegarmi.
    “Ah, perché tu non sei testarda, vero? Vuoi sempre avere ragione!”
    Mi guardò risentita. Quel litigio - perché di questo si trattava - la stava ferendo nell’orgoglio. Quell’orgoglio che ammiravo tanto… come il resto. L’intelligenza, i capelli, le sue espressioni, persino quella cieca fiducia nei suoi ideali mi attraeva. Era una donna forte nelle convinzioni, ma fragile nel carattere.
    Non riusciva più a guardarmi in volto e fissò il mare, imperlato dai riflessi della luna. D’istinto, mi raddrizzai e continuai a parlarle.
    “Scusami… io… io volevo solo proteggerti, Val. Mi ero fatto prendere dalla battaglia… non lo volevo uccidere, davvero. Io… volevo solo ferirlo, così sarebbe tornato in gabbia. Avevo paura per te.”
    Era una mezza verità. Non sapevo se lo volevo davvero uccidere quel drago, ma io la volevo proteggere.
    In tutta risposta, lei fissava la mia barba. L’avevo fatta crescere per sembrare più uomo e lei… lei ci si mise a giocherellare con le mani. Sentii nuovamente quel caldo pervadermi ogni singola parte del corpo. Passava la barba tra le dita e stava formando delle piccole treccine. Quando ebbe finito, posò le dita sulle mie labbra.
    Poi, lesta come una lepre, vi posò un bacio lieve.
    “Grazie.” mormorò, abbozzando un sorriso.
    E se ne andò per la sua strada, lasciandomi lì a fissare beota il paesaggio. Era un bacio dolceamaro, ma io mi sentii veramente felice. Era un gesto... importante. Tuttavia mi trattenni dall’urlare di gioia: non volevo che mi sentisse. Non era il caso.


    Con passo affrettato - anzi di corsa - tornai al villaggio. Mi precipitai a casa di Skaracchio e bussai alla porta così forte, che quasi la sfondai. Quando Skaracchio aprì la porta, non gli lasciai nemmeno il tempo di lamentarsi.
    “Aiutami a scrivere questa poesia, Skaracchio.”
    Lui mi mostrò nuovamente il suo sorriso a trentadue denti e mi fece salire in camera sua. Prendemmo carta e carbone ed iniziammo a buttare giù delle idee.
    “Ehi, Skaracchio, cosa fa rima con Valka?”
    “Oh, seriamente vuoi buttarti su una simile banalità?”
    E così provammo con le più svariate serie rime e versi, inutilmente; ne uscivano cose banalissime, non eravamo poeti. I vichinghi non sono poeti. I vichinghi non scrivevano poesie. Quella sera finimmo per non combinare un bel niente. Tornai a casa delusissimo del mio lavoro e quando arrivai mio padre aveva una “splendida notizia” per me: un paio di giorni dopo sarei partito con Skaracchio per la mia prima spedizione. Ero felice: finalmente sarei stato trattato come un adulto a tutti gli effetti - a vent’anni ci mancava altro! -, ma un po’ di quell’entusiasmo si smorzava a sapere che Valka non sarebbe stata dei nostri. Me l’ero aspettato, però la cosa m’impediva di essere completamente felice.
    Mi trascinai in camera e mi buttai sul letto: stavo ripensando a cosa comportava partire per una spedizione. Sarei stato via a lungo, per giorni se non settimane! E se qualcuno si fosse proposto a Valka mentre ero via? Sobbalzai. No, non lo potevo permettere: dovevo essere io a conquistarla per primo.
    Mi sfiorai le labbra. Quel bacio... La sua nota dolceamara era ancora lì, la sentivo ancora. Continuavo a non capire: era solo un ringraziamento o era… amore? Potevo osare di sperare tanto dopo che avevo ucciso un drago di fronte ai suoi occhi?
    Non ne ero sicuro, ma di certo non l’avrei ceduta a qualcun altro. Mi chiesi anche chi l’avrebbe mai voluta una come Valka: aveva un fascino particolare, che non tutti sembravano cogliere. Lo stesso valeva per il carattere calmo: a meno che non si toccava l’argomento sui draghi, lei era tranquilla come pochi al villaggio. E l’intelligenza! Quel barlume che le si accendeva negli occhi quando capiva al volo qualcosa… Era unica nel suo genere.
    Mentre mi rilassavo all’idea che in fondo nessuno - forse - l’avrebbe mai compresa e amata come me, continuai a ripensare a quella melodia che canticchiava sul lago. Sinceramente la ricordavo poco: era una danza che si eseguiva ai matrimoni, ma non ricordavo le parole… non ricordavo neanche se ne avesse.


    M’assopii velocemente quella notte e mi risvegliai con lo stomaco attanagliato dalle preoccupazioni. Mi tornava in mente il suo viso e le sue parole. Non avevo passato una notte tranquilla. Ero molto agitato, frustrato all’ idea di partire senza che lei sapesse.
    Avevo un giorno ancora per riuscire a dichiararmi. Non che sarei sparito per sempre, ma… Iniziai a pensare che alle volte capitava di non tornare dalle spedizioni, per svariati motivi. Primo fra tutti, i draghi.
    “E se… se non tornassi?”
    Non avrei più rivisto Valka, questo era certo. Non avrei più rivisto la mia diciottenne preferita. Pensavo a lei come ad una bambina, ma Valka era una donna. Una meravigliosa donna. E io ero il figlio del capo villaggio, era impossibile che tornassi morto e non avrei dovuto provare terrore per niente! Tuttavia, volevo lo stesso riuscire a dichiararmi prima di partire: almeno così avrebbe avuto tutto il tempo per pensare alla mia proposta.


    Ricominciai a scribacchiare sui fogli, ma non mi veniva niente di poetico in mente e quella stupida melodia continuava a picchiettarmi nella testa. Era così insistente, che finii col fischiettarla. Quando mia madre salì in camera, rise.
    “Sono sorpresa: non sapevo sapessi fischiettare anche queste vecchie ballate, Stoick.”
    “La conosci?”
    “È vecchissima, nessuno si ricorda più tutte le parole. Però viene ancora suonata ai matrimoni.” detto questo, scese a preparare il pranzo.
    Dunque era una melodia che c’entrava con l’amore. Mi presi la testa fra le mani nervoso e la fischiettai ancora e ancora. Provai ad adattare i miei vari - e scarni - tentativi poetici e di riadattarli alla melodia. Alla fine, erano pochi i concetti che dovevano trasparire: il mio amore per Valka che si era fatto sempre più ardente col tempo, tanto che la volevo sposare e che sarei tornato in qualsiasi circostanza. Qualsiasi. Erano pochi concetti, ma non ero sicuro di riuscire ad esprimerli bene.
    M’inchiodai alla sedia e mi misi a scrivere come se veramente non ci sarebbe stato un domani per me. Era così inquieto, il mio tempo stava per scadere. Rifiutai il pranzo e i miei giustamente si chiesero se stessi male. In effetti, ero malato. D’amore. Malato d’amore. E Skaracchio aveva ragione: l’unica cura era dichiararsi.
    Come attraversato da un lampo di genio - grazie Thor! - riuscii a trovare l’ispirazione per scrivere qualche verso. Non avevo completato la ballata, ma in quelle poche parole c’era tutto. Mi sentii sollevato, anche se non avevo ancora finito. Dovevo riuscire a recitare a Valka quello che avevo scritto, ma prima urgeva fare un salto da Skaracchio: avevo bisogno della sua opinione, era il mio migliore amico.
    Ed ecco che mi fiondavo più veloce del vento all’armeria. Chiesi di Skaracchio e non appena lo vidi, lo strattonai via dall’incudine su cui stava lavorando. Imprecò e si lamentò rumorosamente, ma io non lo ascoltai; non avevo tempo. Lo portai sul retro - avevo troppa paura delle orecchie indiscrete - e gli recitai quello che avevo scritto.
    “Stoick, ma è bellissima! Sono lusingato… credevo fossi innamorato di Valka!”
    “Co-cos’hai capito?! Questa è per Valka! Da te voglio solo un’opinione!”
    Skaracchio scoppiò a ridere e mi abbracciò.
    “Amico mio, dico che tra poco sarai bello e sistemato.” shignazzò lui.
    Quello era veramente un sollievo. Come ultima cosa gli chiesi se aveva visto la ragazza e lui mi rispose che oggi era il suo turno di apparecchiare la sala del consiglio. Neanche a dirlo che mi precipitai da lei il più velocemente possibile.


    Quando aprì una delle enormi porte, vidi emergere dalla fioca luce della sala un’esile figura. Sapevo che era la sua, nonostante mi desse di schiena.
    “Valka.” la chiamai con voce tremante. Mi sentivo emozionato.
    Lei si voltò e si sorprese di vedermi. Mi rivolse uno dei suoi dolci sorrisi. Che bello, era tornata alla cortesia di sempre: almeno non mi odiava.
    Le venni incontro e ci fermammo uno di fronte all’altro proprio al centro della sala. Mi sudavano le mani e le nascosi dietro: era una brutta idea leggerle la ballata col foglio davanti e pieno di sudore.
    Mi fece un altro sorriso e mi chiese cosa ci facevo lì. La risposta era semplice.
    “Volevo vederti.”
    M’imbarazzai - eh, sì… alla fine capii che era proprio imbarazzo -, ma quelle parole mi uscirono naturali. Stavo cercando lei. E Valka, in tutta la sua onestà, mi disse che era contenta.
    Era contenta.
    “Mi dispiace di essermela presa tanto l’altro giorno e…”
    Fece una pausa sospirando e guardandosi attorno: sembrava dovesse dirmi qualcosa.
    “E…? Non puoi lasciare col fiato sospeso il futuro capo villaggio, Val!”
    “E mi dispiace di non averti ringraziato adeguatamente per avermi salvato la vita.” ammise, dondolando da un piede all’altro.
    “Cosa? Dispiacere…? E il bacio, allora, che cos’era per te?”
    Andai nel panico più totale. Perché mi aveva baciato? Iniziai a pensare a quanto stupida potesse sembrarle la ballata e mi sentii avvampare ancor di più. E se non fosse stato per quello sguardo che mi fissava curioso, me ne sarei certamente andato con una scusa.
    “E tu mi cercavi per…?” chiese, strabuzzando quei bellissimi occhi verdi. Finalmente era serena.
    Io però, non le risposi. Ero veramente troppo agitato. Allora lei volse lo sguardo a terra: veramente non riusciva a guardarmi negli occhi per più di qualche istante?
    “Ho sentito che domani partirete per una spedizione…” mormorò, ma la sua voce non aveva quel tono dolceamaro della volta scorsa, né era spezzata dalle lacrime di rabbia o felice come quella volta al lago. Era… sì, era malinconica.
    E ancora non risposi, ma il fatto che avesse portato a galla quell’argomento per qualche strana ragione, mi calmò.
    In quegl’attimi di silenzio, lasciai andare tutte le mie paure. I miei sentimenti non dipendevano dai gesti: il suo bacio forse non era poi così importante, o forse sì. Non lo potevo sapere e lei non sembrava in procinto di dirmelo. Inoltre, non volevo più discussioni e spiegazioni, tutto avrebbe potuto aspettare ed essere rimandato, tutto avrebbe avuto un suo tempo; ma non era quello il momento. Non era quello che le interessava. Lei voleva sapere della mia partenza.
    Avevo acquisito un nuovo coraggio, derivato dal desiderio - egoista, lo ammetto - di liberarmi dal silenzio, di liberarmi da quella segretezza in cui mi ero rinchiuso.
    Presi le sue mani - per Odino, quanto erano minute! - e iniziai a fischiettare quella ballata. Un barlume nei suoi occhi si accese e mi guardò con grande curiosità.
        “Per ogni mar navigherò,
        Ma non avrò paura.”
    E un sorriso fece capolino sul suo volto. Quanto era bella…
        “Le onde io cavalcherò
        Se tu mi sposerai…”
    Sobbalzò. Il sorriso si fece incerto e le mani le tremavano, ma io non avevo finito. Doveva sapere che sarei tornato. Per lei.
        “Né il sole sai,
        Né il freddo mai,
        M’impedirà il ritorno.
        Se mi prometterai il tuo cuor
        E amore…”
    E proprio in quel punto così importante, le parole mi morirono in gola. Sentii le guance infiammarsi e avevo smesso di guardarla; stavo bellamente fissando il pavimento. Lei abbassò il busto, cercava il mio volto. Speravo mi avrebbe aiutato ad alzarlo prendendomi il mento, ma… forse le stavo stringendo troppo le mani e non riusciva liberarsi.
    “E amore?” intonò. Tutto pur di farmi proseguire.
        “E amore per l’eternità.”
    Era un mormorio tremolante. Non avevo nient’altro da aggiungere. Alzai lo sguardo e mi scoprii spaventato. E intanto lei scoppiò a ridere. Ero così stonato? Ero davvero sembrato così stupido?
    “Oh, Stoick!” esclamò, facendo scivolare via le sue mani dalle mie. Allora non la stringevo così forte... E non capivo cosa c’era di così divertente. Avevo forse fatto una smorfia?
    “Sono sembrato tanto ridicolo?!” chiesi un po’ irritato.
    “Cosa? No! No… Solo… Credo tu sia l’unico uomo in tutto il villaggio, che abbia mai riscritto le parole di un’antica ballata per una donna. Per me!” continuò sorridente.
    Non sapevo come prenderla. Non avevo capito se avesse recepito il messaggio o se stesse fingendo allegria per non ferirmi. Non che funzionasse... Non potevo guardarla ridere così di gusto sui miei sentimenti e allora mi misi a fissare i quadri degli antenati vichinghi, quando sentii un abbraccio improvviso. Era caldo e avvolgente, era così gradevole...
    “Sei stato veramente dolce. E…” mi disse, cercando nuovamente il mio sguardo.
    Io mi volsi e le cinsi la vita. Com’era magra…
    “E…? Davvero, Val, non puoi tenere sulle spine il futuro capo villaggio.” borbottai indignato.
    Lei rise di nuovo e affondò il viso nel mio gilet di yak. Quando riemerse, mi mostrò un sorriso che non avevo mai visto. Non era divertita, né gentile. Era un’espressione nuova, un sorriso nuovo.
    “Facciamo così: quando tornerai, io ti canterò la fine della ballata e tu scoprirai i miei veri sentimenti.” decretò sicura, lanciandomi un’occhiata maliziosa.
    Io accettai di buon grado: alla fine avevo raggiunto il mio obbiettivo e le promisi che le avrei portato un pegno. Le promisi anche che non sarebbe stata una testa di drago e lei rise ancora. Potei finalmente partire con tranquillità.


    Le emozioni che provai in quella spedizione non sono materia di questo racconto, perché è inutile dire di come ogni singola cosa mi riportava in mente Valka. Però ero riuscito comunque a uccidere dei draghi, nonostante a lei quest’idea non piacesse. Non le avevo promesso niente e lei non mi aveva fatto promettere niente: occhio non vede, cuore non duole, come dice Skaracchio. E questo metodo di pensare così… skaracchioso si addiceva perfettamente alla situazione.


    Quando ritornai, la cercai al molo. Non era venuta ad accogliermi e per un attimo mi prese il panico: che avesse trovato qualcun altro? Non ebbi molto altro tempo per preoccuparmi che andammo nella sala del consiglio a festeggiare. Tuttavia, rimasi abbastanza pensieroso e taciturno.
    Mi sedetti ad un tavolo a parte, a vedere gli altri divertirsi e danzare. Al terzo o quarto giro, sentii una voce femminile sorprendermi alle spalle.
    “Non danzi, Stoick?”
    Mi voltai e la vidi. I capelli le erano cresciuti ancora ed era diventata più alta. Anche il viso si era fatto più adulto. Ed erano passate solo due settimane… Era come vedere un fiore sbocciare.
    “Aspettavo giusto la mia dama preferita.”
    Lei sorrise e mi tese la mano, ma al posto di andare verso la pista da ballo, ci appartammo in un angolo lontano da occhi indiscreti. E lì, prese le mie manone tra le sue e mi cantò la strofa promessa. Le goti le si imporporarono magnificamente e scoprii un’altra cosa: aveva una voce dolcissima.
        “Amato mio, o mio tesor
        Tu cerchi di stupirmi.
        Parole non ti serviranno
        Ti basterà abbracciarmi!”
    Non me lo sarei fatto ripetere due volte. La presi e la sollevai. Da lassù e con quel sorriso - che finalmente capii, era il suo sorriso da innamorata -, sembrava una valchiria scesa dal Valhalla. Poi la abbracciai e le ricambiò affettuosamente. Era diventata la mia Valka. Lo era diventata per davvero.
    Sciolsi a malincuore quell’abbraccio e la lasciai andare. Seguì un attimo di silenzio. Davvero non c’era più niente da dire? Lei scoppiò nuovamente a ridere e io mi stupii della sua giovialità. Mi raccontò di un aneddoto che le era accaduto da quando ero partito: da quanto aveva scoperto - perché lei, da brava curiosa, scopriva, non accontentandosi mai -, a quella ballata mancavano almeno altre quattro strofe.
    Io non potei fare a meno di scoppiare a ridere e mi venne naturale sfiorarle la guancia. Lei cercava di distogliere lo sguardo, ma io fui più veloce e riuscii a rubarle un bacio. Breve, pieno di timidezza, casto, ma era già un inizio. Lei rise ancora, mentre mi invitava a ballare.

    È stato semplicemente così che nacque quella canzone. Semplicemente così, per amore.






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N.A.:
*sfonda la porta* I'M BACK BABEH!

Dovevo immaginarmi prima o poi il background di Stoick e Valka e di tutta "For the dancing and the dreaming". Spero che questa brevissima storia vi sia piaciuta e vi abbia fatto provare... qualcosa. Schifo, feels o qualsiasi cosa.... Oooooh >///< Non posso emozionarmi per una cosa che io ho scritto! Accidenti...
Anyway, piccola fanfiction senza pretese e l'ho revisionata subito il secondo giorno perché mi ero accorta di alcuni errori nella prima stesura. Eh, capita. Specie dopo un lungo anno di pausa... super skaracchioso ♥
Grazie a Vic, che legge e recensisce con tanta pazienza, e a Yume, che è sempre tanto pucciosa.

Alla prossima!^^ *fa bye bye con la manina*
   
 
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