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Autore: evelyn80    06/07/2015    4 recensioni
Dopo aver espresso il desiderio di poter salvare Boromir dalla sua triste fine, Marian si ritrova catapultata nella Terra di Mezzo grazie ad un gioiello magico che la sua famiglia si tramanda di generazione in generazione. Si unirà così alla Compagnia dell'Anello per poter portare a termine la sua missione. Scoprirà presto, però, che salvare Boromir non è l'unica prova che la attende.
Ispirata in parte al libro ed in parte al film, la mia prima fan fiction sul Signore Degli Anelli.
Genere: Avventura, Comico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Boromir, Nuovo personaggio
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'La mia Terra di Mezzo'
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Tingilindë, stella scintillante

 
Come affermava Fabrizio De André nella sua famosa canzone "Bocca di Rosa", "una notizia un po’ originale non ha bisogno di alcun giornale; come una freccia dall’arco scocca, vola veloce di bocca in bocca". In brevissimo tempo, tutti gli abitanti di Imladris seppero che era misteriosamente ricomparsa la "Stella di Fëanor", al collo di una donna mortale proveniente da luoghi lontani e sconosciuti.
Ben presto gli Elfi cominciarono a chiamarmi “Tingilindë” – che significa “stella scintillante” – e, quando mi vedevano passare, tutti portavano il pugno alla fronte in segno di rispettoso saluto.  All’inizio ne fui molto imbarazzata: da qualsiasi parte mi voltassi vedevo gente fare quel gesto, e vane furono tutte le mie richieste di smetterla. Alla fine,  Arwen mi consigliò di non farci caso e, pian piano, mi abituai a tutte le loro smancerie.
La mattina successiva al mio arrivo la figlia di Elrond mi accompagnò nella Sala delle Armi.
"Se vuoi imparare l’arte della scherma, innanzi tutto devi avere una spada” mi disse, mentre mi guidava nel vasto salone illuminato da torce. “Qui ne abbiamo molte, sia di fattura elfica che umana: potrai scegliere quella che più ti aggrada!"
In effetti, c’erano un’infinità di lame di varie fogge e dimensioni: lunghe, corte, larghe, strette, e chi più ne ha più ne metta. Passeggiai a lungo, osservando le spade appese al muro, ognuna riposta dentro il proprio fodero ed, alla fine, ne scelsi una dalla lama larga come il palmo della mia mano, ma lunga solo una cinquantina di centimetri. Questo perché, con la mia fervida fantasia, mi ero spesso immaginata come un’eroina fantasy, con la spada appesa sulle spalle e non alla cintura. Di conseguenza, avevo bisogno di una lama che non mi intralciasse troppo, specialmente al momento di estrarla.
Lo dissi ad Arwen e lei non fece alcun commento al riguardo: staccò la spada che le avevo indicato dal muro e mi accompagnò dall’Elfo armaiolo, per far lustrare ed affilare l’arma e per fargli costruire un'imbracatura in cuoio per poterla portare come più desideravo.
Mentre quello lavorava alla mola, ella mi spiegò che avevo scelto una spada che era stata forgiata molti secoli addietro dagli Uomini del Mark, i principi dei cavalli, e che era appunto così corta per essere usata più comodamente durante i combattimenti in sella.
L’armaiolo portò a termine il suo lavoro molto velocemente. Finalmente ebbi modo di guardare da vicino, per la prima volta, la spada che avevo scelto. L’elsa era molto semplice, in acciaio foderato in legno e ricoperta di strisce di cuoio per favorire la presa; il pomolo era anch’esso in acciaio, perfettamente sferico; la guardia era larga, proporzionata alla lama, che era finemente incisa con motivi che mi ricordarono lo scorrere dell’acqua. Mi parve di ricordare che, spesso, i cavalieri solevano dare un nome alle proprie armi, perciò chiesi ad Arwen se quella spada ne avesse già avuto uno.
"Non che io sappia" mi rispose lei.
"Allora, vorrei chiamarla "acqua che scorre", perché la sua decorazione mi ricorda un fiume impetuoso” dissi, convinta.
"Hoskiart" disse l’Elfa a voce alta, fissandomi negli occhi.
"Come, scusa?" le chiesi, inarcando le sopracciglia. Non avevo idea di cosa volesse dire quella parola, ma a me suonava tanto come una parolaccia.
"Hoskiart” ripeté lei. “Nella nostra lingua significa "acqua corrente".”
"Hoskiart" mormorai a mia volta, per imprimermi il nome nella mente. "Mi piace!"
Lei mi sorrise.
"Bene, allora seguimi. Cominceremo subito la prima lezione di scherma."
Dopo aver indossato nuovamente gli abiti con cui ero arrivata, Arwen mi condusse ad una terrazza isolata, che dava sulle cascate. Anche lei indossava abiti maschili e portava al fianco una splendida spada dalla lama leggermente ricurva, che ricordava vagamente una scimitarra.
"Questa è Hadhafang!" mi disse solennemente, mentre la estraeva dal fodero. "La spada forgiata per la principessa Idril Celebrindal di Gondolin, mia antenata. Con essa, sia mio padre che io stessa, abbiamo combattuto molto. Ora, questa spada sarà maestra della tua!".
La mise di piatto davanti al viso, in una sorta di saluto. In questo modo vidi che, sulla lama, era incisa una frase in strani simboli.
“Che cosa vogliono dire quelle parole?” le chiesi indicandole, sinceramente incuriosita.
Aen estar Hadhafang i chathol hen, thand arod dan i thang an i arwen” recitò l’Elfa con voce profonda. “ ”Questa lama è chiamata Hadhafang, una nobile difesa per una nobile dama, contro schiere di nemici”. E’ questo il loro significato. “Hadhafang” significa “massacra-folla”.”
A quelle parole rabbrividii involontariamente e, per la prima volta, mi resi conto che la creatura che avevo davanti aveva più di 2700 anni di età.
Per il resto di quel giorno, e per i successivi, Arwen mi istruì all’uso della spada. Gli Elfi erano molto agili e flessuosi e lei sembrava danzare, anche quando la faceva roteare minacciosa. Io, invece, ero rigida come un pezzo di legno e, molte volte, feci cadere la povera Hoskiart, con disappunto non solo dell’Elfa ma anche dei miei poveri piedi perché, spesso, per impedire che la lama sbattesse contro il suolo, li sacrificavo piazzandoli sotto la spada in caduta. Alla fine della prima giornata potei camminare solo sui talloni e, quando mi tolsi gli stivali per andare a dormire, vidi che avevo molte unghie nere. Ma, con il passare dei giorni, contrariamente alle mie aspettative – in fondo in fondo ero sicura che non sarei mai stata capace di combattere – cominciai a migliorare ed, anche se non raggiunsi mai il livello di bravura ed agilità della mia maestra, imparai ben presto a destreggiarmi.
Una ventina di giorni dopo il mio arrivo ad Imladris, finalmente anche Gandalf giunse a Gran Burrone. Io ed Arwen stavamo ancora tirando di scherma nella nostra terrazza quando Lindir, uno degli Elfi fidati di Elrond, mi venne a chiamare.
"Dama Marian Tingilindë, Sire Elrond vuole vederti. Ti aspetta nella Sala del Fuoco!" mi disse, con un inchino rispettoso. Alzai gli occhi al cielo – ancora quelle stramaledette smancerie elfiche – poi infilai la spada nel fodero, che portavo sulle spalle proprio come avevo sempre desiderato ed, asciugandomi il sudore dalla fronte con la manica della casacca, raggiunsi il padrone di casa.
Era seduto sulla sua poltrona ed, in altro scranno al suo fianco, si trovava lo stregone. Anche questa volta, non appena varcai la soglia del salone, il mio ciondolo prese a brillare. Involontariamente lo coprii con la mano, ma Gandalf mi fermò.
"Lascialo splendere! E da molto, molto tempo che quel gioiello non brilla sulla Terra di Mezzo!" mi disse, con la sua voce cupa ma gentile.
"Ecco, Mithrandir" intervenne Elrond, indicandomi con un cenno del braccio, "questa è la fanciulla degli Uomini di cui ti parlavo! E’ giunta qui diciannove giorni or sono, portando seco la "Stella di Fëanor". Viene da una terra molto lontana…"
"Molto più lontana di quanto tu immagini, Elrond!" lo interruppe il vecchio stregone. "Talmente lontana da essere stata obliata persino dai più saggi! Vieni avanti, mia cara" mi chiese, protendendo le mani nodose verso di me.
Io obbedii, titubante: trovarmi al cospetto di Gandalf mi intimoriva moltissimo. Era come essere nudi ed inermi sotto il suo sguardo, che sembrò leggermi fino nel profondo dell’anima. Lui avvertì la mia esitazione e, con un lieve sorriso, mi rassicurò.
"Non avere paura. Non hai nulla da temere, da me."
"Lo so… non ho paura" mormorai, ma senza comunque riuscire a smettere di tremare mentre avanzavo lentamente verso di lui.
Non appena gli arrivai davanti l’Istari si alzò faticosamente in piedi, stringendomi leggermente le mani e osservandomi a lungo con i suoi occhi penetranti. Dopodiché si rimise seduto ed Elrond mi invitò a fare altrettanto, indicandomi la poltrona di solito riservata a sua figlia.
"Questa ragazza, mio caro Elrond, è l’ultima discendente del ramo perduto della casa di Fëanor” attaccò Gandalf, dopo aver emesso un lungo sospiro. “Uno dei suoi discendenti nell’antichità ha lasciato la Terra di Mezzo portando con se la "Stella" e, dopo un lungo e periglioso viaggio per mare è infine approdato sulle rive di una terra molto remota, il cui nome è Europa. Lì, egli ha conosciuto una fanciulla degli Umani, con cui ha creato una famiglia, per non fare mai più ritorno nella sua terra natia. Ecco perché il Gioiello è stato creduto perduto. Ma ora è ritornato, e credo proprio che questo sia buon segno."
Elrond annuì gravemente ed io, dopo aver preso il coraggio a quattro mani dissi, con la voce che mi tremava dall’emozione:
"Io sono arrivata qui perché ho espresso un desiderio, ed ora ho una missione da compiere…"
"Lo so" mi interruppe Gandalf. "E, non temere, la porterai a termine” affermò, con un dolce sorriso, strizzandomi lievemente l’occhio, in maniera talmente impercettibile che, per un attimo, ebbi l’impressione di essermelo soltanto immaginato.
Le sue parole mi lasciarono di pietra: possibile che Gandalf sapesse cosa volevo fare? Ma, in fondo, riflettei, lui era uno degli Istari e, mentre mi aveva osservato, mi aveva letto nel profondo della mente. Molto probabilmente era riuscito a vedere che volevo salvare Boromir. Ed ora, mi avrebbe forse subissato di domande su tutto ciò di cui ero a conoscenza?
"Non crucciarti inutilmente!" mi disse, vedendomi pensierosa. "Pensa solo che le cose non accadono mai per caso! Tu sei la “Portatrice della Stella” ed, a quel che mi risulta, le stelle sono una cosa buona! Ora vatti a riposare: vedo che Arwen ti sta allenando duramente, non è vero?" mi chiese, guardandomi maliziosamente ed ammiccando di nuovo.
Io annuii.
“Molto bene, dovrai essere pronta e ben addestrata, per affrontare al meglio la tua missione” concluse, sorridendo sotto i baffi.
Annuii ancora, con il sorriso che mi si allargava in faccia. Le parole del vecchio stregone mi avevano infuso una dolce sensazione di pace e di sicurezza. Lasciai la stanza molto più leggera e con la consapevolezza che, stando al Calendario del Libro, tra pochi giorni avrei finalmente incontrato il Capitano di Gondor.
Era il diciotto di ottobre, e così Gandalf mi spiegò perché la mia famiglia possedeva la "Stella di Fëanor".



Spazio autrice:
Salve a tutti! Eccovi il secondo capitolo della storia di Marian, riveduto e corretto.
Una precisazione: come ho detto anche nell’introduzione, la mia storia è ispirata in parte al libro ed in parte ai film. Questo è il caso della spada di Arwen, che nel libro non compare. Le informazioni che la riguardano le ho prese da internet, e sono quelle che sono state rilasciate dalla Produzione della mitica Trilogia di Peter Jackson.
Spero che la mia correzione stia effettivamente migliorando la storia, e sarò lieta di leggere i vostri commenti in merito, se vorrete lasciarmi i vostri pareri. Qui su efp ho cancellato la storia originale ma, se volete fare un confronto, su fanword.it potete ancora trovare quella vecchia.
Bacioni!
Evelyn
  
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