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Autore: lanuvoladismog    09/07/2015    2 recensioni
Quando Gwen scopre nuovi colori nella sua vita decide di tingersi i capelli di blu.
Duncan vuole affermarsi e impone la sua cresta verde.
Il nero è la metamorfosi.
Gwen lo comprende ma non vuole accettarlo; Duncan ha giurato di non cambiare mai.
Il nero è il rifiuto.
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Duncan, Gwen | Coppie: Duncan/Gwen
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale
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Estate 1979

Il Diamond in quegli anni era sempre pieno, anche in settimana. I ragazzi ballavano di tutto, probabilmente sarebbero stati capaci di adattarsi a un’aria lirica, pur di divertirsi. Una sera trasformarono un pezzo dei Sex Pistols in un dolcissimo lento, sotto gli occhi increduli di Duncan, che quella sera era al centro del palco, mentre Gwen scambiava due chiacchere con Bridgette, storica ragazza di Geoff. Ancora si ricordava di quando entrambi cercavano di convincerla a partecipare ad una delle loro feste ai limiti della legalità, ai tempi della scuola. Come coppia stavano certamente bene, ma nessuno avrebbe mai scommesso su due ragazzini appena usciti dal liceo che si erano messi in testa di fare affari. Invece, contrariamente ad ogni aspettativa, il Diamond crebbe fino a diventare uno dei locali più rinomati della città. 

«Gwen, io.. devo dirti una cosa» la scosse, Bridgette, richiamando l’attenzione della sua interlocutrice non molto socievole, ad essere onesti. «Hei, da quando fai gli annunci? Dimmelo e basta» «So che non è il momento migliore, visto che le cose non vanno benissimo con Geoff, e anche il fatto che siamo così giovani e immaturi, e so anche che beviamo una sera sì e l’altra pure, forse fumo troppo e.. e sono incinta!» Ora Gwen era davvero scossa. «Senti Bridge, hai preso qualcosa? Perché se è così lo capisco, e te la faccio passare... con calma. Adesso usciamo e smaltisci tutto» «Sono seria. Il bambino c’è, io sono al terzo mese e voglio tenere il bambino, mentre non sono affatto sicura di volere il ragazzo con cui convivo e gestisco un’attività» prese un respiro profondo e uscirono, sedendosi sul muretto dietro la porta di servizio.

Gwen sentiva la gola secca, la lingua rigida e gli occhi freddi. Aveva un senso? «Tu e Duncan vi amate». Non era una domanda. «Sì, io lo amo.» rispose l’altra, comunque, senza apparente motivo. In un’altra occasione avrebbe scosso la testa ridendo, perché davvero questi sentimentalismi non  li riteneva necessari; in quel momento invece la paura la attanagliava e non riusciva ad afferrarne il motivo.  «Ma ti senti bruciare? Io sì, all’inizio era proprio così. I nostri gesti, spesso involontari, avevano in realtà un significato intrinseco e proprio, che ad oggi mi sfugge.» «Qualcosa è… cambiato?» «Nessuno dei due ha combinato nulla. Non c’entra nemmeno quella storia con Alejandro, a dire il vero. Non sempre c’è una ragione, o melodrammi… l’amore che strappa i capelli è perduto ormai, mi ha cantato una volta un cliente. Lì per lì ho pensato semplicemente fosse strafatto, e che l’amore ti porta a tutto tranne che a perdere, no? Anche se si tratta di capelli. Però…» nel frattempo si accese una sigaretta. Gwen non riuscì a imitarla, inspirando ed espirando profondamente ogni parola «però alla fine ho realizzato che aveva ragione lui. Quando mi sentivo bruciare, era perché quell’amore mi stava corrodendo. Stavo perdendo libertà, la mia identità, non so se mi spiego. Come essere dipendente da un uomo, e mi sono resa conto che questa non è la mia natura. Quando non resta più nulla da bruciare, nessun capello, il fuoco si spegne: la nostra passione si è spenta. Che devo dirti? Non resta che qualche svogliata carezza… la tenerezza, quella ci sarà sempre.»

«Il ricordo.» sussurrò Gwen, sguardo in basso, verso le punte degli anfibi, la testa chinata che non riesce alzarsi. Era quello il futuro che avevano davanti? Duncan l’avrebbe trascinata in giornate vuote e costruite da una routine? Ridurre una vita –perché, ora come ora, il loro amore era vivo, e perché in fondo quattro anni di relazione significano aver condiviso la sua esistenza con un uomo- a un automa, un sistema che si muove per inerzia, era corretto? Sarebbe stato rispettoso nei confronti di ciò che il loro amore aveva rappresentato? Si accorse Gwen che non avrebbe mai riflettuto su una simile evenienza, un anno prima. Era vero, si disse, lei e Duncan non erano cambiati. Erano maturati, ma in fondo potevano considerarsi ancora il punk e la gotica che non erano mai andati a genio ai prof, e nel loro salotto c’era ancora quel poster dei Pink Floyd; tenevano ancora la maglietta del Che appesa al muro con un chiodo. Allo stesso modo, continuavano ad amarsi con la curiosità dei primi tempi, con stupore, quando la voglia di conoscersi equivale a quella di appartenersi. A lei Duncan mancava anche in quell’esatto momento, mentre violentava una chitarra sul palco e lei cercava disperatamente di aiutare un’amica. Queste certezze la confortarono, mentre avvolgeva un braccio intorno alle spalle di Bridgette. Tuttavia sapeva che le sue paure non erano del tutto infondate; da quel fatto ancora non si erano riprese, e tutte le elucubrazioni, i discorsi filosofici da due soldi e i pianti nel cuore della notte erano iniziati da quel giorno.
«Come intendi chiamarla?» chiese Gwen d’un tratto.

«Lucy… Lucy in the sky with diamonds.»



Aprile 1978

Nella palazzina recentemente costruita non succedeva molto: gli inquilini erano ragazzi, certo, ma l’unico a comportarsi da ragazzino era Duncan. E Gwen, quando il punk tirava fuori qualche idea interessante; con interessante si intendeva inquietante, macabro, psichedelico. Così come la nenia che sentirono provenire dal piano di sotto.

Picture yourself in a boat on a river
With tangerine trees and marmalade skies
Somebody calls you, you answer quite slowly
A girl with kaleidoscope eyes

«Porca troia, cos’è questo schifo?» imprecò Duncan dal balcone. Desiderava semplicemente bere la sua birra con i piedi sul tavolino marrone ridipinto dalla sua ragazza con scene dei film di Hitchcock, la stessa ragazza che ora poggiava la testa sulle sue gambe e meditava di spargere un po’ di sangue vero, stavolta, invece della pittura rossa usata per rinnovare i mobili. «Adesso scendo» decise il primo. Lei lo seguì, le catene che tintinnavano e il passo pesante dovuto agli anfibi.

Davanti al pianerottolo del primo piano trovarono una Heather furiosa attaccata al campanello della porta sulla destra. «Io devo studiare!» sbraitò «tornatene in uno sporco e antiestetico furgoncino a fiori!» Duncan bussò e poco dopo apparve una ragazza con degli enormi cerchi alle orecchie e un’aria infastidita affacciarsi. «Senti Yoko Ono» la apostrofò «Io a casa mia faccio quello che voglio, e tu, così precisa come sembri, avresti potuto studiare prima, invece che alle undici di notte, chiaro?»
Ah, era indispettita. Proprio lei, pensò Gwen.
Ma chi aveva il coraggio di trattare Heather in quel modo, si disse, una possibilità se la meritava. Anche se ascoltava i Beatles.
«Comunque piacere, mozzarellina, io sono Leshawna. Quello scolapasta è il tuo ragazzo?»
«Io sono Gwen. Sì, io e Duncan abitiamo al secondo piano.» si sorrisero. «Un giorno di questi vieni a trovarci» propose «ti portiamo in un posto che ti piacerà sicuramente.»
 
Salendo le scale, Duncan aveva ancora un dubbio: «Dove dovremmo andare con quella, scusa?» chiese, sinceramente curioso «Al Diamond, mi sembra ovvio.»
 

 
 
 
Buonaseeera! Sono in ritardo, lo so. La prima parte era pronta da tempo, ma non riuscivo proprio a trovare il tempo per scrivere del primo incontro con Black Mama, che spero di aver reso in maniera quantomeno decente. Penso sia chiaro che il nome Diamond sia un tributo alla splendida canzone dei Beatles, mentre Bridgette cita La canzone dell'amore perduto del gradissimo Faber. Tanti baci e a presto ((:
  
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