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Autore: Tigre Rossa    09/07/2015    8 recensioni
‘Tornerò da te, amore mio. Te lo prometto.’
Sfioro la sua guancia per quella che, lo so, sarà per lungo tempo l’ultima volta.
Il mio piccolo mezzuomo chiude gli occhi e, perdendosi in quella carezza fugace, mi stringe la mano tra le sue, cercando di far durare quel flebile contatto il più a lungo possibile, prima che l’oblio ci separi.
‘Sai che non puoi fare una promessa simile, Thorin.’
Sussurra, la voce spezzata di chi ha smesso di sperare.
Incapace di sentirlo parlare in questo modo, gli sollevo delicatamente il mento con due dita ed aspetto che riapra esitante quei grandi occhi blu di cui mi sono innamorato.
‘Posso, invece.’
Mormoro dolcemente, affidandogli il mio giuramento.
Non lo perderò, non più, mai più.
‘Tornerò, Bilbo. Dovessi metterci mille secoli, tornerò da te.’
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Reincarnation AU-Bagginshield
Genere: Angst, Romantico, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Altri, Bilbo, Thorin Scudodiquercia
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 2 – Vuoto
 
 
 
E ti senti il vuoto dentro.
 
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“Finalmente hai deciso di tornare tra noi, Durin.”.
Nel sentire quella voce, familiare e confortante, apro gli occhi, per vedere un medico militare osservarmi con un lieve sorriso sul volto abbronzato, gli occhi scuri attenti ma sollevati.
“Watson” lo saluto, con voce roca, un accenno di sorriso sulle labbra “Dain mi ha detto che mi avete praticamente tirato fuori dalla tomba, tu e gli altri.”
“Già, mi devi un favore. Di nuovo.” commenta lui, passandosi una mano tra i corti capelli color biondo cenere.
Conosco Watson da anni; l’ho visto ricucire e riportare alla vita più ragazzi di quanto voglia ricordare, e più volte ha rimesso insieme i miei pezzi, da quando siamo entrambi qui in Afghanistan.
Faccio per mettermi a sedere, trattenendo a stento un gemito di dolore, e subito lui inizia a controllarmi il battito e alcune ferite superficiali che ho riportato nello scontro “Come ti senti?”.
 “Pronto a ritornare subito sul campo.” ribatto, ignorando le intense fitte che avverto al fianco e i forti brividi che mi attraversano la pelle.
Una smorfia triste si forma sul viso del medico “Dubito che potrai farlo molto presto, Scudodiquercia.”.
Gli lancio uno sguardo affilato, quello che fa scattare immediatamente sull’attenti i miei uomini, quasi terrorizzati “Stai scherzando.”
Lui scuote la testa, lentamente “Negativo. Sei conciato molto male. In teoria, non dovresti nemmeno essere vivo.”.
“In teoria.” ringhio “Eppure sono qui, e non ho alcuna intenzione di lasciare i miei uomini a combattere da soli.”
”Ai tuoi uomini non servirai a molto, se non riesci nemmeno a reggerti in piedi.” commenta, dopo aver poggiato una mano sulla fronte per sentirmi la temperatura “Su, sollevati la maglia, così vedo in che condizioni è il fianco.” .
Sbruffo, ma con un po’ di fatica faccio come mi ha detto.
Lui inizia subito a togliermi le bende, macchiate di sangue secco e di una strana sostanza verde che non riesco a riconoscere, e quando finalmente la ferita compare entrambi tratteniamo il fiato.
E’ grande, ricoperta di sangue fresco e secco e di quello stesso liquido verde-giallino presente sul tessuto sporco, e gran parte della pelle attorno ad essa è rossa e nera, e brucia come se fosse stata troppo tempo a contatto con un ferro ardente.
“Merda!” impreca Watson tra i denti, gli occhi che lanciano scintille, e si affretta a disinfettare la ferita e a cambiare le bende.
Quando finalmente finisce, solleva lo sguardo e mi guarda con serietà in volto “Te la senti di viaggiare, Durin?”.
Il tono, improvvisamente teso e duro, mi fa capire che senza ombra di dubbio che la situazione è anche peggiore del previsto.
“Per andare dove?”
“A Peshawar.” risponde quasi con un ringhio, stringendo i pugni.
Dentro di me ho un lieve fremito.
Peshawar.
 “Se parti subito, forse hai ancora qualche possibilità.”
L’ospedale militare per i casi disperati.
Stringo i denti, mentre dentro di me maledico ogni divinità esistente e non.
“D’accordo.”
L’ospedale da cui si esce solo in due modi.
Su una sedia a rotelle o in una bara.
 
 
.o0O0o.
 
 
Mi agito nel letto, gli occhi chiusi e le labbra semiaperte, mentre sento tutto il corpo come avvolto da un terribile incendio, ma allo stesso tempo scosso da incontrollabili tremiti.
 
Non so da quanto tempo sono in questo stato, non so nemmeno dove sono di preciso; i miei ricordi e i miei stessi pensieri sono confusi dalla febbre che mi ha assalito dopo il mio risveglio.
L’ultima cosa che riesco a ricordare con chiarezza è che ho iniziato ad avvertire i dolori diventare sempre più forti durante il mio veloce trasferimento a Peshawar, e poi tutto è diventato confuso.
 
Non solo i pensieri e i ricordi, ma anche le sensazioni, gli odori, le immagini, i suoni.
 
Tutto si mescola insieme, trascinandomi in qualcosa che non riesco, non posso comprendere, simile a una gigantesca ragnatela fatta di oscurità, dove non posso orientarmi né muovermi.
 
La realtà, o almeno quella che credo sia la realtà, si fonda con altro, parti malati della mia mente sofferente, forse, tanto che ormai faccio fatica a distinguerla da tutto il resto, da tutto ciò che non può, non deve essere reale.
 
Momenti di agitazione e di lotta si alternano a placidi e sofferenti attimi di abbandono al dolore, di resa, di silenzioso annullamento costellato di sofferenza, di vuoto pieno di tutto.
 
Ansimo, alla ricerca d’aria e sollievo, stringo le mani e tiro calci all’aria, e poi mi lascio andare ai fili di questa gigantesca ragnatela, mi accascio tra le lenzuola zuppe del mio sudore e sprofondo nella confusione che mi culla, incurante che le figure che mi circondano, vestite di bianco o di colori vivaci e pesanti pellicce, siano reali o meno.
 
E così, in bilico tra due limbi che ormai hanno smarrito i rispettivi confini, io mi perdo, e dentro di me invoco la fine di tutto.
 
 
Bilbo Baggins, vorrei presentarti il capo della nostra compagnia, Thorin Scudodiquercia.”
 
Una figurina esile, dai ricci capelli ramati, mi osserva confusa, e io faccio altrettanto, scrutando ogni suo singolo dettaglio come se stessi studiando una merce preziosa.
 
“Dunque, questo è lo hobbit.”
 
Lentamente prendo a girargli attorno, e posso leggere nel suo sguardo intenso e profondo la confusione, lo smarrimento, la suggestione.
 
E, dentro di me, so già che quella creaturina così insignificante avrà un ruolo importante d’ora in avanti, nel bene e nel male.
 
 
Un ago mi viene infilato nella pelle, ma quasi non lo avverto, il dolore troppo forte per dar peso a quel lieve pizzicore.
 
Un paio di occhiali riflettono la luce del sole e per un attimo mi ricordarono la brillantezza e la purezza del cristallo, prima che una nuova fitta al fianco mi strappi un gemito.
 
“Andrà tutto bene, soldato.”
 
Una voce gutturale, lontana, cerca di confortarmi, ma la mie mente è già di nuovo preda della confusione e della febbre, e tutto quello che posso fare è stringere con forza i pugni, nella speranza che tutto finisca presto.
 
 
“So che dubiti di me. Lo so, lo so. Lo hai sempre fatto.”
 
Un paio di occhi blu, sinceri, limpidi, senza rancore o rabbia, sono fissi nei miei, mentre quel piccolo uomo dal volto buono e dalla voce serena mi scruta senza timore, parlando liberamente nonostante conosca fin troppo bene la poca fiducia che ripongo in lui.
 
“E hai ragione: penso spesso a Casa Baggins. Mi mancano i miei libri. E la mia poltrona. E il mio giardino. Vedi quello è il mio posto. È casa mia. Perciò sono tornato. Perché... voi non ce l'avete... una casa. Vi è stata portata via. E voglio aiutarvi a riprendervela se posso.”
 
C’è sincerità, nelle sue parole, e coraggio, e dolcezza, e improvvisamente non riesco più a sostenere quello sguardo così sincero e puro, lo sguardo di chi è disposto a tutto per aiutare qualcuno che ha bisogno, qualcuno a cui, in qualche strano, malsano modo, tiene.
 
Noi.
 
Me.
 
Abbasso gli occhi, mentre dentro di me sento bruciare un’emozione che mai avevo avvertito prima di quel momento, e quando li rialzo per incontrare di nuovo quelli di lui qualcosa, tra noi, scatta.
 
Ed è lui, ora, a non riuscire a sostenere il mio sguardo.
 
 
Gemo, mentre qualcuno mi posa un panno umido sulla testa, come se un po’ d’acqua potesse spegnere il calore infernale che mi sta distruggendo dentro.
 
“L’avvelenamento del sangue è più esteso del previsto, e la febbre non vuole saperne di scendere. Se continua così, non resisterà ancora a lungo.”
 
Forse è delusione, quella che fa quasi incrinare quella voce sconosciuta, o è solo stanchezza per un altro, lungo lavoro inutile.
 
Non ho nemmeno la forza di voltarmi verso la voce secca che ha appena dichiarato il mio destino.
 
Tutto quello che riesco a fare è socchiudere gli occhi per guardarmi attorno un’ultima volta, o almeno provarci.
 
I camici bianchi, simili a pallidi spettri, continuano a muoversi veloci attorno a me, nel rumore soffuso della notte, e l’unica cosa che riesco a pensare distintamente è perché semplicemente non mi lasciano andare.
 
Dopotutto, è compito di un buon soldato rendersi conto di quando è ora di arrendersi.
 
E questo è il momento di farlo.
 
 
“Thorin.”
 
Lo sguardo del piccolo uomo dai capelli ramati mi trapassa, simile a un pugnale, mentre la sua voce decisa mi ancora di più lo squarcio che sento nel cuore.
 
Mi avvicino a lui e gli sbatto malamente la mappa sul petto, non riuscendo a sostenere quello sguardo sempre così fiducioso.
 
“Non puoi abbandonare ora.”
 
Sono queste parole che mi seguono mentre mi allontanano, mentre sto abbandonando tutto quello per cui ho lottato.
 
Sono queste le parole che mi fanno fermare, l’anima divisa tra fiducia e sconforto.
 
Sono queste le parole che mi fanno voltare per tornare indietro, indietro dalla mia speranza.
 
Indietro da lui.
 
 
Delle lunghe dita sottili mi sfiorano la fronte calda e mi spingono indietro alcuni ciuffi di capelli.
 
La voce che mi raggiunge è molto più dolce e delicata delle precedenti, e le sue parole, lievi, ma calde come tinozze ardenti, mi riaccendono qualcosa dentro.
 
Una mano, la sua mano, è stretta attorno alla mia, e posso avvertire il suo corpo caldo premuto contro il mio,  il suo respiro sul mio viso, la disperazione e quel sentimento così spaventosamente grande nella sua voce.
 
“Si faccia forza, capitano Durin. Resista. Ci sono delle persone da cui deve tornare. Persone che la stanno aspettando. Persone che hanno bisogno di lei.”
 
E il mio pensiero va a un paio di occhi blu intenso.
 
“Non lasciarmi.”
 
 
‘Tornerò da te, amore mio. Te lo prometto.’
 
 
Un nome, un solo nome, sfugge alle mie labbra esangui.
 
“Bilbo . . .”
 
 
.o0O0o.
 
 
La luce mi ferisce gli occhi, e devo aprirli e chiuderli numerose volte per riuscire a mettere a fuoco, con fatica, ciò che mi circonda.
La prima cosa che riesco a notare è il viso, dolce e gentile, di una donna dai lunghi capelli biondi ed intrecciati.
Faccio per sollevare il viso, ma ogni mio gesto viene anticipato dalla voce musicale della donna.
“Finalmente si è svegliato, capitano Durin.”
 “Dove . .  cosa . . .” la mia voce esce fuori a fatica, come se non mi appartenesse più, e la giovane donna muove appena la testa per impedirmi di continuare.
“Non si sforzi, non è il caso. Si trova a Peshawar da quasi una settimana, ed è stato in bilico tra la vita e la morte a lungo. In seguito alla ferita ha contratto una forte infezione, che ha causato una febbre smisurata e uno sproporzionato avvelenamento del sangue. Il responsabile del reparto si occuperà di spiegarle tutti i particolari della sua situazione appena sarà un po’ più in forze.”
La dottoressa – o almeno credo sia una dottoressa- mi fa un piccolo sorriso luminoso e rassicurante e continua a parlare, mentre si tira indietro un ciuffo ribelle di capelli.
“Per ora posso dirle solo che è fuori pericolo. Ormai la febbre è molto più bassa di prima e i farmaci stanno finalmente facendo effetto. Non dovrebbero esserci altre complicazioni.”
“Io . . . devo tornare sul campo.” mormoro, cercando di mettermi a sedere “I miei ragazzi . . .”
Il suo volto si scurisce, e nei suoi occhi chiari posso scorgere, almeno per un attimo, una punta di tristezza.
“Di questo ne parleremo più avanti, quando starà meglio.” sussurra, mentre con una mano ferma il mio tentativo.
“Ora lei pensi solo a riposare. Dorma un po’, se ci riesce.”.
  Il suo sguardo trema per un attimo e si sofferma esitante sul mio fianco fasciato, con una punta di esitazione negli occhi.
Come se ...
Si alza dal mio capezzale e fa per andarsene, ma poi si volta verso di me e mi guarda con un lieve sorriso sulle labbra sottili.
“Ha lottato molto duramente, capitano. Chiunque sia la persona per cui si è attaccata così disperatamente alla vita, sono certa che ne è valsa la pena.”
A quelle parole il mio pensiero non va, come avrei immaginato in simili occasioni, ai miei uomini o alla mia famiglia rimasta in patria, ma a quel paio di occhi blu intenso, sconosciuti eppure familiari, e a quel nome dal suono così lontano eppure così vicino, ed all’improvviso mi ritrovo ad abbassare lo sguardo.
E, dentro di me, stranamente, avverto qualcosa che credevo impossibile da provare, almeno in questa vita.
 
 
.o0O0o.
 
 
Osservo con aria torva il responsabile del reparto, un uomo alto, dai lunghi capelli castani, che mi scruta con aria illeggibile, e la dottoressa dal volto dolce al suo fianco.
“Come lei sa, capitano” inizia a dire il medico, senza alcun preambolo o esitazione “Sul campo, oltre a una serie di ferite minori ottenute durante lo scontro, è stato colpito da un proiettile nemico al fianco destro. La ferita era molto grave e profonda, ma con il soccorso quasi immediato del suo medico militare è riuscito a sopravvivere alcuni giorni ed a riprendere i sensi.
Purtroppo, però, in quei giorni di incoscienza la ferita si è infettata, causando non solo una forte febbre che ha iniziato ad avvertire durante il suo trasferimento, ma un esteso avvelenamento del sangue, che l’ha quasi portata al decesso.
Fortunatamente, i farmaci e le cure hanno avuto un effetto quasi miracoloso su di lei, tanto che la febbre è completamente scomparsa nel giro di una settimana e siamo riusciti ad evitare danni esageratamente gravi agli organi vitali.”
 
Una piccola fiamma di sollievo mi si accende dentro.
Quelle parole, per quanto fredde, mi rassicurano un po’.
Niente danni a cuore e polmoni. Niente danni importanti, per lo meno.
Più di quanto potessi sperare.
 
Il medico deve aver notato il sollievo sul mio volto, perché sollevaimpercettibilmente un sopraciglio e continua a parlare, con lo stesso tono di prima.
“Nonostante ciò, gli effetti della ferita e di questo prolungato ed oltremodo aggressivo avvelenamento sul suo organismo sono abbastanza estesi.”
Sobbalzo, confuso “Ma avete appena detto che . .”
“... non ci sono danni eccessivamente gravi agli organi vitali, ed è così.” completa per me l’uomo  “E’ l’interezza del suo organismo ad essere danneggiata, anche se non in modo molto evidente. Nelle sue vene il sangue infetto ha scorso per troppo tempo, lasciando danni considerevoli al suo corpo in generale. Troppo sangue infetto, troppi virus per troppo tempo l’hanno attaccato ed indebolito per troppo tempo.”
Il sollievo che avevo avvertito poco prima scompare, per essere sostituito solo dal gelo.
“La sua salute è irrimediabilmente compromessa. Il suo sistema immunitario non sarà mai più come quello di una volta, così come le abilità del suo corpo, e la debolezza sarà una costante nel suo corpo. Per non considerare la profondità della ferita, che ci metterà mesi a guarire del tutto e che limiterà moltissimo i suoi movimenti. Azioni prima semplici potranno essere faticose o pesanti, anche se ciò migliorerà con il passare del tempo, e la possibilità di malattie future è incredibilmente alta.”
Per un attimo, mi sembra di vedere un barlume di esitazione nel suo sguardo, che volta la testa verso la donna, mentre io, lentamente, unisco i puntini.
“Purtroppo, alla luce di questa nuova situazione” continua per lui la bionda, con la voce piena di rimorso  “per lei anche un paio di giorni sul campo di battaglia sarebbero fatali.”
Dentro di me, qualcosa si spezza.
“Mi state dicendo che non potrò . . .” la voce per un attimo mi si blocca in gola, ma quasi facendo violenza contro me stesso mi costringo a buttarla fuori, stringendo con forza il lenzuolo tra le mani come se volessi strapparlo “ . . . non potrò più combattere.”.
La dottoressa ha la decenza di abbassare lo sguardo, mentre l’uomo non ha alcun tipo di reazione.
“Mi dispiace.” mormora lei, e nella sua voce posso avvertire vera tristezza, ma è come se non la sentissi. “Mi dispiace tantissimo.”.
Resto in silenzio, lo sguardo vuoto fisso sui loro volti.
 
Non ho più parole, dentro di me, non più.
In fondo, cosa si può dire, quando il proprio mondo cade a pezzi?
 
Il medico riprende a parlare, come per riempire quel silenzio scomodo, pieno di troppo e di niente, ma le sue parole mi scivolano addosso come acqua.
“Ci siamo già occupati di preparare tutto per il suo rientro in patria. La sua famiglia, o meglio i pochi membri che siamo riusciti a contattare, sa già tutto. Potrà partire tra una settimana al massimo, insieme ad altri pazienti di questo ospedale.”
Mi fissa, come se si aspettasse una risposta da parte mia, ma io non apro bocca, e dopo un po’, con qualche fredda frase di circostanza, i due messaggeri di morte vestiti di bianco se ne vanno.
 
E io resto da solo, con i frammenti spezzati della mia vita ormai inutile tra le mani e il vuoto dentro di me.
 
 
 
 
 
 
 
La tana dell’autrice
 
I’m back! Miss me?
 
D’accordo, questa volta le note saranno mooolto lunghe, ma durante l’ultimo aggiornamento non ho avuto modo di aggiungere molto, quindi devo rimediare ora.
Per prima cosa mi scuso per il ritardo sia nel pubblicare sia nel rispondere alle recensioni. Purtroppo sono costretta a limitare il mio tempo al computer e quel poco che ho lo uso principalmente, oltre che per trascrivere ciò che scrivo a mano, per vedere le puntate di Merlin –perché si, adesso mi sono fissata con Merlin, non so nemmeno io il motivo- prima che la mia partenza per Catanzaro, perché non POSSO aspettare di tornare a metà agosto per vedere come va a finire –cioè, più o meno lo so già, perché non sono mai riuscita a stare lontana dagli spoiler in vita mia, ma beh, mi avete capito, spero-.
Per le recensioni, che comunque ho letto e di cui vi ringrazio già ora, farò in modo di rispondere il prima possibile, promesso!
 
Tornando alla storia . . .ecco, qui abbiamo di nuovo i nostri idioti preferiti, lontani in tutto, come lo erano già in passato, eppure vicini dentro. Bilbo è uno scrittore di successo, al momento senza ispirazione a causa di noi-sappiamo-chi (no, non Voldemort), che però conduce una vita silenziosa e tranquilla, mentre il nostro Thorin è un Capitano in stanza in Afghanistan, ferito gravemente in combattimento e, beh, costretto a rinunciare per questo a tutto il suo mondo.
Si, da questo capitolo in avanti prediligerò volta per volto il punto di vista di un solo personaggio –magari ad eccezione dei momenti più importanti-.
Il dottor Watson che fa la sua comparsa all’inizio capitolo è un piccolo cameo a un altro, meraviglioso ruolo del nostro caro Martin, il John Watson della serie BBC Sherlock, che io venero e stravenero. E’ vero, come avete notato voi nelle vostre recensioni, fa un po’ strano avere sia John che Bilbo nella stessa fic, ma non ho potuto davvero resistere alla tentazione di inserirlo. In fondo, per quanto siano interpretati dallo stesso fantastico attore sono due personaggi moooolto diversi –cioè, hanno entrambi ‘na sfiga pazzesca in amore, cioè, prendiamo la fine che fa Thorin e la quasi fine che fa Sherlock (perché si, per chi non lo sapesse shippo alla follia anche la Johnlock), ma anyway- . E poi, visto che nella mia fantasia questa fic è ambientata più o meno nel 2008-2009 e al momento dell’inizio di questa storia Thorin si trova a combattere in Afghanistan mi sembrava quasi obbligatorio fare una scena con loro due insieme.
Per quanto riguarda la ferita di Thorin e il suo successivo congedo dall’esercito, beh, mi sono informata su internet, ma non sono una studentessa di Medicina o roba simile, quindi dubito di essermi espressa bene nel spiegare la natura della sua ferita e le sue complicazioni . . . se ci sono imprecisioni o sbagli –e sono certa che ce ne sono-, vi chiedo scusa e cercherò di chiarire più avanti.
 
Ok, credo che sia tutto . . . come al solito, grazie di cuore di aver letto! Spero che questo capitolo vi sia piaciuto e per qualsiasi consiglio o suggerimento non esitate a contattarmi.
 
Un abbraccio
 
T.r.
  
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