Vasi e demoni
James se ne stava tutto
tranquillo su delle scale nascoste
nei meandri dell’istituto, scoperte qualche mese prima, per
poter leggere in
totale silenzio. Ma a volte capitava che, pure lì, non
poteva starsene in
totale silenzio: in alcuni momenti riusciva a sentire le urla del padre
anche
in quel posto appartato, ed era costretto ad uscirne per capire cosa
stesse
succedendo, anche se poi scopriva che non stava succedendo nulla di
pericoloso.
Era solo suo padre che esagerava, ogni volta, com’era di sua
abitudine.
E questa volta era pure così.
Chiuse l’enorme tomo che teneva sulle gambe con uno sbuffo,
si alzò in piedi stiracchiandosi e si diresse nella stanza
dalla quale
provenivano le urla. Avvicinandosi, sentiva anche la vocina della
sorella Lucie
che si univa a quella del padre in esclamazioni totalmente senza senso
che
implicavano un vaso, demoni, fiori e altro che James non aveva ancora
ben
afferrato.
Nello stesso momento in cui attraversò la porta per entrare
nella stessa stanza del padre, arrivò pure Tessa, con
un’espressione accigliata
in viso che diceva già tutto: cosa succede?
Non ebbe bisogno di dar voce ai propri pensieri, perché Will
riprese a parlare dicendo cose che ancora non avevano acquistato un
senso,
perché erano frasi che non avevano un senso logico. Lucie,
nel frattempo, se ne
stava attaccata alle gambe del padre spaventata, più dai
suoi sproloqui che da
ciò che realmente doveva avere paura.
«Papà, ma cosa sta succedendo? Perché
ho sentito quelle
urla?» E Will
indicò prontamente il
vaso di fiori che se ne stava poggiato sul tavolo.
«E...» Disse
Tessa, incitando Will a spiegare cosa volesse dire realmente,
perché lei e
James non avevano ancora compreso.
«Ma non vedete?
Si è mosso da solo!» Esclamò poi, con
un’espressione di teatrale disperazione in viso.
«Sicuramente c’è qualche
problema che noi non possiamo
risolvere!»
Will continuava
con le sue scenate, cercando di convincere moglie e figlio di un grave e pericolosissimo problema che
avrebbero avuto se non lo avessero ascoltato in tempo.
«Ma non mi dire,
papà. Come quella volta in cui, a tuo parere, il camino si
era acceso solo e
quando hai scambiato un topo per una strana creatura del Mondo
Fatato?»
L’uomo gli lanciò
un’occhiataccia: come poteva minimizzare così
tanto le sue preoccupazioni? Come
poteva non prenderlo sul serio?
«Jamie ha
ragione, caro. Se ti stessi sbagliando anche questa volta?»
Rispose Tessa,
trattenendo una risatina. Ogni giorno c’era una nuova
scenetta.
Sapeva già per
quale motivo Will facesse così, ma non potevano chiamarlo
sempre, non per
motivi futili.
«Io non mi
sbaglio mai, lo sapete benissimo.» E mise un broncio come
faceva da giovane,
una delle tante caratteristiche che non aveva mai perso.
«Quella volta in cui
ho detto che la Sifilide Demoniaca esisteva nessuno ha voluto darmi
ascolto. Mi
avete dato ragione solo quando l’avete visto di persona, per
esempio!»
Ecco, adesso
usciva quel discorso, di nuovo. E non ci sarebbe stato modo di farlo
smettere
se non accontentandolo. In alcuni momenti Tessa pensava che fosse lui
il
bambino, e non i loro due figli. Senza riuscire a trattenere una
risata, si
diresse nell’altra stanza per contattare i Fratelli Silenti.
***
Quando Jem
arrivò, James e Lucie gli si buttarono letteralmente
addosso, abbracciandolo
con forza: non lo vedevano da due settimane, per loro era tanto, ma nel
frattempo James capiva che non potevano chiamarlo ogni qualvolta
volevano,
nonostante il padre si ostinasse a farlo. Qualche volta, temeva James,
avrebbero potuto pure decidere di non fare uscire zio Jem dalla
città Silente.
Dopo che Lucie e
James lo lasciarono entrare, Jem si tolse il cappuccio e si
avvicinò a Tessa e
Will.
Cosa
è successo questa volta?
Sembrava essere
divertito, ma Tessa non ci avrebbe messo le mani sul fuoco. La donna
iniziò a
parlare, ma Will la interruppe.
«Vedi quel vaso?»
Disse, indicandolo con il dito. «Ecco, noi pensiamo che sia
posseduto!»
«Forse tu...»
Iniziò James, ma Will continuava a sproloquiare, come suo
solito, soprattutto
quando c’era Jem. James non potè non notare che,
quando zio Jem veniva in
istituto, suo padre, e a volte anche sua madre, ma lo dava a vedere di
meno,
non aveva occhi che per lui. Il resto svaniva.
Will...
In quel vaso ci sono solo dei semplici
fiori, come potrebbe essere posseduto?
«L’ho
visto
muoversi, per l’Angelo! Perché non mi credi
nemmeno tu?» Di nuovo l’espressione
di teatrale disperazione fece capolino sul viso di Will. Poi uno strano
silenzio, tutto all’improvviso. «No, aspetta. Forse
adesso non è più posseduto,
ho visto la creatura scappare mentre tu arrivavi!»
Tutti i presenti
nella stanza sentirono una risata nella propria mente.
Will,
non cambierai mai, eh? Sapevo fin da quando
è arrivata la comunicazione che era un’altra delle
tue trovate... Ma non potevo
fare a meno di venire.
***
Jem rimase
all’istituto per una mezz’oretta buona, ma ad un
certo punto doveva pur
arrivare il momento in cui doveva andarsene. Era sempre bello poter
passare un
po’ di tempo assieme a loro, anche se sapeva che,
teoricamente, non avrebbe potuto
se non per motivi strettamente legati a ciò che era adesso.
Lo rincuorava
vedere Will finalmente felice, e soprattutto costantemente
felice. Se lo meritava. Ed anche Tessa.
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Note: Allora... Questa
fanfiction è nata nello stesso istante in cui ho letto il
quarto racconto dell'Accademia, quando sono arrivata nel punto in cui
James pensa a quella volta in cui Will, pur di vedere Jem, ha insistito
che il vaso di fiori fosse posseduto da un demone; è nata
senza che me ne accorgessi ed ha preteso di essere scritta, quindi ecco
qui.
Ma nel frattempo non è come l'avevo immaginata, quindi non sono contenta per come è uscita fuori, ma spero possiate apprezzarla lo stesso ^_^