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Autore: Laire    12/07/2015    1 recensioni
"Ecco perchè c'è qualcosa di buono anche nell'essere cattivo"
Una nuova storia, quella a Westeros. Mentre c'è chi combatte per il trono, c'è anche chi combatte per sopravvivere. Il mondo è crudele: facendoti nascere ti da un posto, solo per sottrartelo non appena può.
Genere: Avventura, Azione, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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E V E L Y N
La reggia in cui viveva e la corte che la abitava ormai erano diventate entrambe troppo noiose. Da quando suo fratello era partito per compiere "il suo dovere", Evelyn Sunglass soprattutto era diventata la persona più silenziosa di tutte le Terre della Corona. Anche lei aveva inizialmente sofferto la crisi in cui era caduta la sua casata, eppure probabilmente era l'unica ad aver mantenuto un aspetto regale. Due trecce erano annodate e sfilavano lungo i lati del capo, carezzando appena le sue ossute spalle prima di proseguire oltre, mentre il resto dei capelli le seguiva dietro la schiena. Labbra sottili, ed uno sguardo vacuo che cercava di inoltrarsi oltre la finestra della sua camera: era seduta su uno scannetto in legno quasi al centro tra le quattro mura, mentre una delle sue due mani passava la spazzola sulle ciocche nere. Dai suoi occhi verdi si capiva quanto in realtà fosse in un altro mondo, probabilmente pensando a qualcosa che per ora, per lei, era irraggiungibile. Sognava troppo, e non otteneva mai niente. Spesse volte se l'era rinfacciato, a voce o meno, eppure non smetteva di farlo. Anche stavolta sicuramente se lo sarebbe rinfacciata, più e più volte, ma evidentemente non era questo il momento.
< Avanti. > severa, ma al contempo dolce la sua voce. Naturalmente qualcuno aveva bussato, e in mezzo al silenzio non era un qualcosa che poteva passare indisturbato. Si voltò veloce, con quello sguardo puntiglioso che scrutò la soglia della porta quando questa si aprì. Lentamente, dunque, venne rivelata un'altra figura femminile. Slanciata e molto più alta della stessa Evelyn, con le guance ricolme di lentiggini, e capelli castani. Non vestiva nemmeno minimamente con abiti di corte, anzi, erano ben considerabili degli stracci sporchi, per fortuna non maleodoranti.
< Evelyn! > e la sua voce era così esuberante che, probabilmente, se ci fosse stato un qualche specchio esposto da qualche parte ora sarebbe stato in mille pezzi. Non un inchino, nè un attimo di pausa: con veloci passi avanzò, buttandosi al collo della Sunglass, che di tutta risposta concluse l'abbraccio, anche se probabilmente soltanto per non cadere dallo scannetto.
< Leila! > appena soffocata dal gesto altrui, la voce era comunque contenta. < Cosa ci fai qui? Non dovevo raggiungerti? E togliti però, ci ho messo due secoli a fare le trecce! > entrambe dunque mollarono la presa, rimanendo comunque assai vicine. Mentre Evelyn rimaneva seduta, impegnandosi soltanto a porsi di fronte all'amica, Leila s'inginocchiava per arrivare alla sua altezza. La cosa buffa era che, anche così, era la più alta.
< L'hai saputa l'ultima? > sfarfallò con quegli enormi occhioni marroni, ma non aspettò nemmeno un secondo una risposta dall'amica. < Ser Triston ha mandato un'altra lettera! L'ha ricevuta la vostra Septa, e credo stia andando a riferirla proprio ora a tua madre! >
Improvvisamente, fu Evelyn a gettare un'occhiataccia sull'altra. < E tu come lo sai? > le chiese, astuta.
< Beh... ti stavo aspettando al solito posto. > si strinse nelle spalle lei < Poi mi sono stufata. Quindi sono venuta da te, e beh, il messaggio è stato consegnato davanti ai miei occhi. Non potevo non ascoltare! Avrei dovuto tapparmi le orecchie. >
< E perchè non l'hai fatto? > pareva seria nel volto, quasi offesa, tant'è che subito si alzò mandando indietro lo scanno. Passi lenti, sinuosi, quelli che la condussero sempre più vicino alla finestra che prima guardava. E infatti lì riponeva nuovamente la sua attenzione, ponendo le mani accanto al muro pietroso. Leila si alzò lentamente, avvilita e con gli occhi posti a terra, quando Evelyn riprese. < Te l'ho detto mille volte, mi ascolti mai? Innanzitutto, Ser Triston deve sempre essere accompagnato da un appellativo che indichi la sua provenienza. Non sei come me, Leila. > si voltò di scatto, mordendosi il labbro. < Davanti a me, per prima cosa, devi inchinarti. Hai chiesto il permesso a qualcuno oltre alle guardie qua fuori, prima di entrare? Come sei entrata? >
< D-di nascosto. >
< Ecco. > Evelyn aveva le mani tra i capelli. L'amica aveva smesso di guardarla, e quando lei se ne accorse avvicinandosi, allora sorrise furbamente. < Ci hai davvero creduto? > la sua mano si posò sulla spalla dell'altra, affrontando la differenza di altezza, e solo allora entrambe cominciarono a ridere.
< Sei crudele! >
< Secondo te, è possibile che volessero dare il nome di Ser Triston a mio fratello? Pensaci, mia madre che quando gli venne chiesto il nome di suo figlio appena nato richiama il nome di Ser Triston, avendolo affidato alla sua memoria. Urlando però fa intuire una "a" al posto della "o". >
Risero di nuovo, entrambe e di gusto. In effetti, all'interno della sua camera, passarono molto tempo a ridere su quanto era appena accaduto senza che si rendessero della reale gravità dei fatti: visto il momento di crisi che colpiva la casata, non era possibile invitare chiunque tra le mura della reggia.
< Bene... adesso è il caso di uscire. Hai imparato a diventare invisibile? >
< No, però ci sto lavorando. Vogliamo vedere che riesco a uscire senza farmi vedere da nessuno? >
< Senza il mio aiuto? >
"E' impossibile, ci sono comunque troppe guardie" pensò Evelyn, lanciando altre profonde occhiatacce sull'amica. Era la verità, una persona comune non poteva farcela.
< E secondo te come sono entrata? >
Anche questo era vero. In effetti, Leila aveva un'innata dote per passare inosservata. Le due erano amiche da moltissimo tempo, e questo non aveva fatto altro che confermare, in più occasioni, quanto la ragazza fosse brava nel non farsi notare. Per un periodo Eve l'aveva accusata di essere una strega per questo, e ogni volta che dimostrava di poter essere "invisibile" continuava a farlo.
< Sei una strega. Usi la magia del sangue, sei una strega! > così le disse ancora una volta, appena fuori dalle mura, anche stavolta ce l'aveva fatta. < Strega! > continuò a rinfacciarglielo anche quando cominciarono a incamminarsi. Il tragitto non contava di essere lungo, ma quella parola venne ripetuta almeno venti o trenta volte durante questo.

Là c'era tutto ciò che era sempre servito alle due per stare assieme e trovare qualcosa su cui discutere per passare il tempo. Privo di fogliame, un albero si ergeva dal terreno contorcendo il suo legno ed alzando i suoi grossi e nodosi armi in difesa delle due ragazze, che ai piedi di questo potevano godere invece di ogni singolo filo d'erba che spuntava dal terreno. Era un effetto visivo parecchio strano, e per questo aveva sempre affascinato le due: in fondo un albero così smorto non poteva per natura stare in un paesaggio così rigoglioso, era qualcosa di anomalo. Proprio questa particolarità aveva dato sfogo alla fantasia delle due: un giorno si convinsero che l'albero non avesse mai avuto un'anima, e per questo non avesse mai avuto nemmeno una foglia. Il giorno dopo pensarono che potesse essere un cavaliere, trasformato in albero perchè aveva sfidato una maga cattiva. A Evelyn era sempre piaciuto questo luogo, e continuava a piacerle, sfidando gli ordini della madre che invece voleva tenerla molto più tempo tra le mura della reggia. E' sempre stata punita per tutto: perchè andava a passeggiare senza il permesso, perchè frequentava persone non del suo stesso ceto, un giorno provò persino a maneggiare un coltello da cucina fingendo fosse una spada vera e propria, e fu rinchiusa per tre giorni dentro la sua camera. Allora era piccola, ma già scaltra, tant'è che non ci mise troppo a trovare il modo di sgattaiolare fuori quando sua madre era impegnata. La Septa stessa di nascosto la malediceva per quella che lei chiamava "arroganza", e che non si rifaceva certo a una donna vera e propria. Ma ad Evelyn non era mai importato troppo, e più le si veniva proibito di avere a che fare con persone oltre alla corte, più aveva voglia di infrangere le regole. Era l'unica che davvero manteneva l'aspetto di una vera e propria principessa, ma in quanto al carattere si distanziava nettamente. Infine col tempo si arresero tutti e ottenne il permesso di fare quello che voleva, quando voleva. Con la morte del Lord suo padre, infine tutti si dimenticarono dei suoi piccoli difetti. Così crebbe lei, spontanea ma anche matura.
Proprio adesso affiancava Leila, entrambe rivolte allo strano albero nodoso, parlando del più e del meno, con quell'abito moderatamente pregiato che nella sua bellezza non faceva altro che incastrarsi sotto i piedi.
< Se potessi usare la magia, cosa faresti? > Leila era scaltra, nel trovare argomenti di cui parlare.
< Forse trasformerei un'altra persona in un albero simile. Uno non mi basta più. >
< Saresti così cattiva? >
< Certo che lo sarei, perchè no? > spuntò un altro sorriso sulle sue labbra, con l'attenzione ferma sull'amica. Era curiosa della sua risposta.
< Perchè ora non lo sei, credo. > si strinse nelle spalle, incapace di dire altro.
< Ma una maga deve sempre essere cattiva. Le maghe buone ci rimettono sempre nelle storie, quindi io sarò quella cattiva. >
< Sarà, a me basterebbe un vestito come il tuo. > ridacchiò Leila, squadrando l'altra. < O qualcosa per sembrare un poco meno... povera. >
< Chi fa sfoggio di bellezza, a volte, è soltanto perchè ha paura di non essere abbastanza bello per gli altri, strega. >
< E chi fa sfoggio di arroganza, signorina? > all'improvviso una voce nettamente più severa di quella di Evelyn solcò l'intero luogo, come un colpo dietro la nuca. Entrambe le ragazze si irrigidirono, girandosi lentamente e scorgendo l'avvicinarsi di Septa Baylie. Occhi scavati, viso provato e occhiaie profonde, probabilmente nemmeno oggi aveva chiuso occhio. Soffriva di insonnia, e questo lo sapevano entrambe. Spuntavano ciocche argentate a dipingerle il volto, ma erano di meno dell'ultima volta. < Ah dei... questo posto selvaggio non si addice a voi, ve lo ricordo. > si rivolgeva soltanto a Evelyn, mentre Leila guardava altrove. Fu infatti la prima a prendere parola.
< Septa Baylie! Non potete stare qua! > la fulminò con lo sguardo, in quel momento. Imbronciato il muso, probabilmente sarebbe stata in grado di ferirla, in quel momento. Quello era il loro posto, nessun altro era ben accetto.
< Si che posso invece. Adesso se non vi spiace, dovreste seguirmi. Voi, non lei. > un cenno col capo, stizzito, indicando Leila, che in tutta risposta abbassò lo sguardo.
< E allora non mi muovo. >
< Lady Evelyn! > la Septa sgranò gli occhi < E' qualcosa di importante, l'ha richiesto vostra madre in persona! > La ragazza, richiamata, afferrò saldamente il braccio dell'amica più per timore che per altro. Furono quelle parole però, a rinsaldare la sua decisione.
< Non. Mi. Muovo. > capricciosa da un lato, semplicemente sapeva quello che voleva. Sapeva come agire per ottenere il permesso, e con un veloce sorriso lo fece ben capire anche alla Septa, che si rassegnò come tante altre volte.

Ci misero troppo poco tempo ad arrivare a destinazione, e dato che la Septa aveva così tanta fretta, Evelyn e Leila avevano approfittato di questa per rimanere dietro e ipotizzare quale fosse il motivo di questo richiamo. Ben presto furono di nuovo tra le mura della reggia, superarono un corridoio dopo l'altro anche con grande sorpresa da parte delle guardie, che da molto tempo non vedevano passare una persona esterna alla corte. Infine, arrivarono alla Sala del Consiglio. < Oh! > Leila fu l'unica a stupirsi della grandezza della sala, curiosando qua e là con lo sguardo. Ciò che più la colpì fu l'arazzo davanti all'entrata, recante le sette stelle a sette punte emblema della casata. Come tutti, alla fine si concentrò unicamente sul tavolo centrale, circondato da più sedie. Solo una era occupata, e l'unica persona che sedeva la squadrava dall'alto in basso. Pareva che le mura chiare della stanza fossero fatte apposta per risaltare la bellezza ormai in decadenza della madre di Evelyn: entravano in contrasto col nero dei suoi capelli, tuttavia risaltavano il colore pallido della pelle. E gli occhi, neri e inflessibili, la guardavano con insistenza.
< Septa Baylie... cosa ci fa lei qui? > fu la madre di Evelyn, dunque, a lanciare una frecciatina verso l'anziana, che in sua discolpa avanzò mestamente e rispose. < Mia Lady... la signorina non sarebbe venuta senza di lei. >
< La prossima volta fa pure uso delle guardie se serve. > nessuna vergogna da parte della madre, che pareva quasi disprezzare la ragazza con il solo sguardo. Tutt'un tratto, Evelyn captò la tensione che cominciava a cingere il luogo e cominciò a domandarsi se la sua scelta fosse stata giusta. Badò anche al cambio d'umore dell'amica, la trovava molto più in soggezione. Dunque sorrise con un'aria parecchio altezzosa, squadrando a sua volta lei sua madre dall'alto in basso. Non c'era mai stato un rapporto d'amore tra le due, ecco il perchè di quel suo comportamento ribelle.
< Mi hai chiamato per infastidirmi, o c'è qualcosa di serio? > disse, con una voce abbastanza alta da far sembrare quella domanda un semplice affronto.
< Signorina! > sbottò la Septa < Le buone maniere! >
< Non c'è bisogno Septa Baylie... puoi ritirarti. > così annunciò la Lady, che in seguito a queste parole non fece altro che seguire l'allontanamento dell'anziana. < Sei sicura, dunque, di voler sapere ciò che ti sto per dire davanti a lei? > un cenno col capo, sommario, con cui indicò sempre Leila. Le due si guardarono, ed Evelyn scettica annuì col capo.
< Una tua scelta. > la madre mise le mani davanti come per togliersi ogni responsabilità, così riprese a parlare, mentre le due rimasero ad ascoltare, in piedi.
< Come ben tu sai, cara figlia, la nostra non è una delle condizioni migliori ultimamente. > un cenno con la mano, quasi invitando l'altra a prestare attenzione < Non voglio rievocare spiacevoli ricordi. Nè infierire sul tuo comportamento, pressochè inutile a una signora che si rispetti quale dovreste essere voi. > ridacchiò, lasciando intuire ad Evelyn di aver fatto apposta questo riferimento. < E gli unici che continuano a rimanerci fedeli nonostante tutto, essendo nella nostra stessa situazione, sono i... >
< La casata dei Rambton. > Evelyn la interruppe, la madre come sempre parlava troppo. Perdeva tempo, ed Eve era tutt'altro oltre che paziente. < Già. > rispose la Lady < Non abbiamo più, dentro la nostra casata, un punto di riferimento. Il lord vostro padre, figlia, sapete che è... > morto. Stavolta la ragazza si morse la lingua pur di non attaccare verbalmente la madre. Pareva che lei non soffrisse di niente, era sempre ferma e schietta, e sicura. Non aveva pianto quando era giunta la brutta notizia, quando si seppe che il Lord loro padre era stato arso vivo da Stannis Baratheon, a cui la casata Sunglass aveva allora prestato giuramento. Sopratutto durante il periodo della Battaglia dei Cinque Re, era sempre stata fredda, e la figlia la detestava per questo. Tuttavia, non la interruppe e la fece proseguire. Leila invece rimaneva in silenzio. < Ho ricevuto l'ennesima lettera, stamani. Credo sia ora che voi vi assumiate le vostre responsabilità. > quell'ultima parola fece spazientire totalmente Evelyn.
< Cosa state cercando di dire, madre? >
< Che la casata Sunglass deve molto, alla casata dei Rambton. E poichè i tempi sono quelli che sono, forse è giunta l'ora di mostrare i nostri ringraziamenti, e così unire le due casate in una sola. Tu, mia cara, andrai moglie all'ultimo figlio della loro famiglia reale. Un giorno gli scudi dei nostri cavalieri porteranno un montone dalle corna d'oro, circondato dalle stelle, le nostre sette stelle. Non sarà Tristan a guidare la nostra rinascita, ma tu cara. >
Sgranò gli occhi, spalancò le labbra, stupefatta. La madre era immobile, che la guardava con occhi di vetro, mentre Leila, lì accanto, condivideva la sua stessa reazione. Il cuore cominciò a sussultare forte, troppo forte, e l'ansia creò in lei un nodo in gola. Non poteva dire niente, "quel progetto" era troppo grande per lei. Non aveva mai avuto un impegno tanto enorme, nè una responsabilità tanto grande. Per la prima volta nella sua vita, Evelyn Sunglass non potè controbattere.
   
 
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