Serie TV > Il Trono di Spade/Game of Thrones
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Autore: Laire    09/07/2015    0 recensioni
"Ecco perchè c'è qualcosa di buono anche nell'essere cattivo"
Una nuova storia, quella a Westeros. Mentre c'è chi combatte per il trono, c'è anche chi combatte per sopravvivere. Il mondo è crudele: facendoti nascere ti da un posto, solo per sottrartelo non appena può.
Genere: Avventura, Azione, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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T R I S T A N
Tutt'un tratto faceva troppo caldo. Come se il sole si fosse improvvisamente avvicinato a tutta Westeros, quello sforzo cominciò ben presto ad accaldarlo più del dovuto. Ma erano tempi duri quelli, sopratutto per lui. < Dai muoviti! Un cavaliere che si muove così lentamente non l'avevo ancora visto! > si sentiva fulminato con lo sguardo da dietro la schiena: solo davanti a quelle parole trovò il coraggio di fermarsi, almeno per un secondo. Le mani scivolarono dalla balla di fieno, lasciandola proprio innanzi a sè, ferma. E in tutta risposta, fu lui a pungere con il suo sguardo quella sagoma d'uomo. Il vecchio era là davanti e lo guardava a braccia conserte: una sorta di cappello ombreggiava quel viso barbuto e puntiglioso, mentre in quella posizione le braccia facevano risaltare più i muscoli che altro. Doveva esserci abituato a giudicare da questi ultimi, ma maneggiare una spada non è comunque così faticoso come questo lavoro. Quanto a lui... anche se non peccava di muscoli, non ne aveva troppi. La sua figura era molto più slanciata, alta per la norma, allenata, ma non certo così tanto. < Ah, certo. Ora ti devi pure riposare eh? Lascia che faccio io, non vorrei che quel visetto si sporcasse. > continuava il vecchio, sorridendo beffardo. Aveva già compiuto i primi passi verso lui, quando il cavaliere scosse la testa, convinto che l'altro lo facesse apposta. < Faccio io. > aveva detto Tristan, e così fu. Non era certo stato allenato per compiere questo genere di sforzi, ma era sicuro che una volta maneggiata una spada sapevi fare qualunque cosa. In realtà però, se aveva rifiutato l'aiuto era perchè odiava chi richiamava in quel modo il suo aspetto: tra le mura appartenenti alla sua casata molte volte gliel'avevano rinfacciato. Il suo viso era fanciullesco almeno quanto il viso del vecchio, di cui nemmeno ricordava il nome, già accusava segni dell'età. Erano riccioli quelli che carezzavano il suo capo fermandosi poco sopra il collo, neri come la pece, mentre gli occhi bruni "hanno il colore del fango", diceva sua sorella ogni volta che si presentava l'occasione. E lui ogni volta non sapeva che rispondere, non perchè non ci fosse di che ribattere, ma per quella sua eccessiva bontà. Di anni ormai cominciava ad averne qualcuno, era giovane, eppure rimaneva incapace di ribattere almeno a sua sorella. < Però muoviti! > ancora una volta, imperiosa la voce tuonò alle sue orecchie. S'era fermato ancora una volta, preso dai troppi pensieri. Sbuffò prima di riprendere con quel duro lavoro. Una balla di fieno dopo l'altra, alla fine riuscì a trasportarle tutte prima del tramonto, con l'enorme contentezza del vecchiaccio che per tutto il tempo gli aveva sbraitato contro. Lui lo chiamava "incoraggiare", Tristan meglio non definisse cosa fosse.

< Sei sicuro di voler partire domani? > una soave voce, invece, quella della moglie del vecchio. Gli porse la zuppa prima di chiederglielo, era ora di cena. 
< Certo che si, sennò non arriverei mai a destinazione. > sicurezza quella nelle sue parole. Tristan si strinse tra le spalle, in fondo non ci poteva fare proprio niente. Quando fu la vecchia ad allungargli la ciotola le sue dita si strinsero su questa ancor prima che l'altra compisse un movimento completo, e non per fame o avarizia, quanto perchè non la voleva far affaticare. Appariva fragile ai suoi occhi, una donnina molto meno alta di lui, con una simpatica gobba. Il vecchio Ricard, il nome l'aveva scoperto soltanto rientrando verso casa, l'aveva avvisato che sua moglie era malata, e non poteva fare troppi sforzi. Nella sua bontà dunque in questi giorni aveva fatto di tutto pur di rendersi utile anche in tal senso, anche perchè unguenti e latte di papavero sono molto meno pesanti di balle di fieno.
< Peccato, ti siamo debitori comunque. > 
< Debitori? Davvero? > naturalmente anche Ricard era con loro, e non esitò un solo attimo a contraddire quanto era appena stato detto. Tristan si voltò di scatto come se se ne fosse appena accorto, ma continuò a mangiare mentre lo ascoltava.
< Abbiamo cominciato stamattina, ha finito stasera. Non erano poi così tante le balle di fieno, anche adesso ci avrei messo molto, molto di meno. >
< Ha ragione, mi dovete scusare signora. > era intervenuto lui, gentile e pacato, giusto per dar ragione a chi ha torto e, dunque, concludere il discorso lì. < Non sono abituato a questo lavoro, anzi, stimo vostro marito per riuscire a farlo tutti i giorni. > ridacchiò non appena sentì un qualche verso stizzito provenirgli da dietro le spalle, cosciente del fatto che probabilmente, quelle parole il vecchio non se le aspettava. Pure la donnina annuì compiaciuta, ma in seguito calò il silenzio. Tristan studiò per un'ultima volta quella piccola, minuscola casetta in legno: era rovinata, qualche asse era fuori posto persino nel tetto, eppure aveva un'ambiente talmente familiare che i difetti riuscivano a diventare dei pregi. Si era fermato lì soltanto perchè era allora tremendamente affamato e necessitava cibo, cosa che già aveva previsto durante il viaggio, ma non aveva potuto portarsi approvvigionamenti adatti. Dopo la guerra, dopo tutto ciò che era accaduto, la sua casata non era delle migliori in campo economico. Dopo aver scommesso sull'uomo sbagliato durante la Guerra dei Cinque Re, era riuscita a tirarsi indietro, e per quante ragioni potesse aver avuto cadde comunque nel baratro della povertà. E' per questo che con tutti i dovuti consensi aveva cominciato questo viaggio, per riscattare l'onore perduto in mezzo a gente che dell'onore, in realtà, potrebbe conoscere ben poco. Ed infine eccolo qui, a sorseggiare della scadente, ma buona, zuppa, assieme a una famiglia che gentilmente, neanche troppo, gli aveva offerto ospitalità in cambio di qualche lavoro manuale.
< E dove andrai, se ci è permesso sapere? > dolce la voce della vecchia che lo richiamava alla realtà. 
< Non so se lo conoscete, ma mi è giunta voce ci sarà un torneo nell'Altopiano. Mi pare che la casa Footly sia quella che lo inaugura. >
< E' dovuto a un evento speciale? > 
< Ma quale evento speciale! I nobili sono tutti uguali, basta che abbiano tutti un nome in comune, non gli resta poi che sbandierarlo ai quattro venti. Ah dei! > Ancora una volta quel vecchiaccio dietro non aveva esitato nemmeno un secondo a intervenire a sproposito, e sempre con l'intento di criticare. Sbuffò quando sia Tristan che la vecchia gli cacciarono l'ennesima occhiataccia: la bontà è una cosa, la stupidità tutt'un'altra. Fu Ricard dunque ad alzarsi, anche piuttosto velocemente, e ad andarsene, abbandonando i due da soli e mugugnando di tanto in tanto qualcosa qua e là. 
Fu sempre il giovane a riprendere il discorso: < Non saprei... devo informarmi meglio. Le mie cose sono nella stalla? > 
< Accanto a Fiamma. >
< Perfetto. >
Un cenno col capo, mentre la mano accantonò la ciotola, anch'essa di legno. Aveva finito di mangiare, e ora non vedeva l'ora di dormire fino all'alba. Poggiò i gomiti sul tavolo e affondò le sue mani tra i capelli, mantenendosi la testa tra queste. Nel volto era un poco preoccupato e non lo poteva negare, nè voleva farlo, dato che venne notato subito dalla vecchia che cominciò a puntarlo con quegli occhi stanchi e imprecisi, particolari grazie alle zampe di gallina. 
< Ragazzo, hai paura? > lo ferirono soltanto, quelle parole. Come prima, la sua bontà non gli lascia nemmeno nascondere certe cose come fan tutti. Parve muovere le labbra per rispondere, e invece proseguì sempre lei < Non devi averne. O è mio marito ad averti spaventato così tanto? >
Lì, di fronte a quelle parole, fece velocissimo a rispondere. < Oh no no, figuratevi. E' stato bravo con me. > 
< Ne sei sicuro? >
< Sicurissimo. >
< Potrebbe stupirti se lo conoscessi meglio. >
E invece, Tristan si stupì di quelle parole, al punto che dapprima boccheggiò incapace di dir qualcosa, ma quando trovò qualcosa da dire era già passato troppo tempo, e il discorso andava già avviandosi verso altri lidi. Ben presto andò a riscattare il suo meritato riposo, e le candele di quella piccola casa in legno si spensero tutte quante.

La mattina dopo, capì che era comunque andato troppo tardi a dormire. In effetti, probabilmente a qualunque ora sarebbe andato a dormire non gli sarebbe bastato per niente. Non appena si sedette su quel letto improvvisato, un dolore gli percosse tutta la schiena al punto da digrignare i denti. E per alzarsi, pensava quasi d'aver perso l'uso delle gambe. Sbuffò più e più volte prima di riuscire a prendere una posizione eretta, e quando lo fece, notò qualcosa di strano vicino al suo "letto". Un sacchetto, probabilmente persino in cuoio, racchiudeva un ipotetico contenuto. Si massaggiò la testa spaesato chiedendosi se ci fosse sempre stato, ma infine lo prese e curiosò al'interno. Non sapeva se essere contento, o essere ancora più stupito. Balbettò qualcosa tra sè e sè, buttando occhiatacce in giro per vedere se c'era qualcuno. Poi guardò meglio all'interno, e notò che tra le tante monete di rame un bigliettino riportava il suo, di nome. Era contento, ma era spaesato. Occhieggiava in giro come fa una bestia prima di essere macellata, con la sola differenza che lui non doveva essere macellato, e dunque quel momento poteva essere infinito. Solo successivamente si ricordò quanto gli disse la notte scorsa la vecchia, e soltanto allora capì. Il vecchio, burbero e scontroso probabilmente aveva una bontà che nemmeno Tristan poteva avere nè conoscere, e ciò lo fece sorridere. "Ecco perchè c'è qualcosa di buono anche nell'essere cattivo" pensò. Non perse un minuto di più: si vestì, ma stavolta indossò una cotta di maglia, imprecando più e più volte per i dolori dovuti al giorno ormai passato. Radunò le sue cose in vari sacchetti, che infine con grande parsimonia si impegnò a portare fino alle stalle. 
< Come te la cavi, Fiamma? > ironico lui, mentre buttava finalmente qualche occhiata bruna pure sul suo cavallo. Nero il pelo,  nera la criniera, ma da quando lo vide galoppare così velocemente durante un piccolo incendio scoppiato una notte di tanto tempo fa, il nome non fu più un problema. Carezzò il suo muso, ma poi subito caricò il peso sulla sella, una volta montata pure questa. Corse infine verso le sue cose, quelle che avevano un poco di valore: la sua armatura e la sua spada. Nemmeno uno scudo, che non poteva permetterselo. "Sono troppo pesanti gli scudi" se l'era sempre ripetuto "Graverebbe soltanto sulla mia velocità" continuava a ripetersi, quando ci ripensava. Fatto sta che ora, da indossare, aveva un'armatura e una spada col fodero. Prima la corazza, poi gli schinieri, infine gli spallacci e ora i fiancali, a cui legò nella cinta il fodero della spada. L'elmo decise di non metterselo, in fondo contava soltanto di cavalcare: in armatura aveva l'aspetto di un vero e proprio cavaliere luccicante, dato che ogni parte della stessa era di un colore argento e soltanto alcune parti secondarie erano sul nero-grigio. La parte migliore per lui stava nella corazza, la parte innanzi al petto infatti riportava sette stelle a sette punte, simbolo della sua casata.
Il resto del tempo lo passò dunque a pensare, in attesa che il sole spuntasse quel minimo in più che gli permettesse di avere una completa visione dell'ambiente circostante durante il galoppo, mentre Fiamma si divertiva a dare qualche calcio qua e là sul suolo, come intorpidito.
< Sei pronto a partire, eh? > gracile, la vecchietta gli si avvicinò con fare cauto, fermandosi a un punto abbastanza lontano dal cavallo.
< Non dovreste stare qua, c'è ancora freddo. > ed era così, per quanto in realtà non ce ne fosse troppo. Era semplicemente preoccupato.
< Smettila di preoccuparti così tanto per me, ragazzo. Si potrebbe rivoltare contro di te, questa cosa, fuori da questa casa. E' la prima volta che fai una cosa simile? > pareva schernire, stavolta, lo stesso Tristan, che dopo poco tempo in cui sgranò gli occhi rispose sincero. < Si. >
< Ricorda che l'ambiente in cui andrai è fatto per chi guarda unicamente il suo obiettivo, giovanotto. E sopratutto, dovrai fornire un nome a chiunque te lo chiederà. > Solo dopo queste parole, Tristan si trovò di nuovo a stupirsi. Per quei giorni in cui aveva ottenuto ospitalità dai due vecchi, non aveva ancora dato il suo nome. E solo ora, si rese conto, ma non colmò subito il vuoto. < Dov'è Ricard? > domandò infine, veloce, mentre alzò lo sguardo al cielo, impegnandosi a guardare oltre gli alberi. Era ora.
< Non era a letto, lo fa spesso. > accennò un sorriso il giovane, quando sentì questa risposta. Nemmeno la vecchia sapeva niente, eppure era stata una sua frase ad avvisarlo e metterlo in allerta, a fargli capire la gentilezza oltre ciò che ha di serio e imperscrutabile suo marito. Montò in sella ancor prima di spiccicare una parola, afferrando le redini del cavallo e guardando in basso, verso l'anziana. < Mi chiamo Tristan Sunglass, signora. Portate i miei ringraziamenti a Ricard, vi sono debitore. > un cenno col capo, prima di ricominciare il suo viaggio. Il debito, in poche parole s'era invertito. Osservò la vecchia mostrare cenni di saluto, mentre lui, pian piano, si immerse tra gli alberi assieme al suo fedele compagno. 
   
 
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