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Autore: Conodioeamore    13/07/2015    0 recensioni
Non è facile vivere in una famiglia che ti guarda ogni giorno come se fossi un pericolo. Un fratellastro talmente odioso che ti bullizza sempre. Una madre che ogni volta che posa lo sguardo su di te è per ricordarti che sei frutto di una notte passata con un angelo nero. Eppure, questa è la mia famiglia. Sono angeli dalle bianche e candide ali, hanno successo in qualsiasi cosa facciano, mentre io no. Per questo motivo, verrò sempre guardata con disprezzo da loro, perché non sarò mai quello che sono loro: un angelo bianco.
Il mio nome è Senja, che in greco antico sta a significare un'estraneo. Ed è proprio quello che sono io: un'estranea in una famiglia di angeli. In un certo senso è ironico, non siete forse d'accordo con me?
© (Copyright 2015 by Martina Carlucci)
Genere: Fantasy, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Incest
Capitoli:
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Oh solitudine ci ritroviamo, mia grande amica, da tempo non ci si mostrava nell’oscurità opaca del tempo, oh solitudine mi accompagnasti nell’eterno cammino sviluppandoti, procreandoti come un cancro, mi struggesti l’animo, sfogando la tua ira con amori, spingendo la mia esistenza nell’oblio, asciugando le mie lacrime dal viso, imponendoti come regina sul mio trono, lo spirito come nube al vento svanì in una landa di speranza infinita, l’inferno lo protrasse verso i miei occhi e la speme che tanto desiderata era stata trovata implose in se stessa lasciando l’eterno splendore del nulla in un buco nero sconosciuto all’animo umano. (SOLITUDINE – DI TRISTISMEMINIS) L'accademia Heaven – che era a Los Angeles - era la più prestigiosa scuola che un angelo potesse mai frequentare. E non per via del nome, ma perché il corpo insegnanti è stato selezionato da tutto il mondo. Solo i migliori, possono accedervi. Non so perché io sia riuscita ad entrarci, è ancora un mistero. Tutti gli angeli del mondo vengono a fare domanda in questa accademia, perché qui imparano a controllare i propri poteri. C’erano altri quattordici angeli neri, oltre a me. Quindi non mi sarei mai dovuta sentire sola, invece ogni volta che arrivava l’ora di andare nella classe di addestramento mi sentivo come se qualcuno mi ricordasse sempre che cosa non ero. E cioè, pura. I corsi di addestramento a cui partecipavano tutti gli studenti, erano divisi in base all’età. Solo a quello a cui ero io non funzionava così, essendo solo quindici angeli neri in tutto l’istituto, avevano pensato bene di riunirci tutti in un’unica classe. Fantastico! Ero la più piccola, e tutti quanti non facevano altro che guardarmi con istinti materni e protettivi. Alla fine ci volevamo tutti bene perché, eravamo una famiglia. Eravamo definiti gli estranei, i diversi. Ovviamente nella scuola c’erano più angeli bianchi che neri, quindi ci sentivamo suggestionati. Tutti credevano che eravamo i “cattivi”. All’accademia, però, non erano ammessi solo angeli, ma anche umani. Loro non erano ammessi agli addestramenti, che di solito si svolgono durante educazione fisica. Non si sono mai fatti domande sul perché a quell’ora alcuni alunni della classe non andavano con il resto dei compagni. Gli insegnanti si erano inventati scusanti per tutto. Infondo, dovevano mantenere segreta l’esistenza degli angeli. Arrivammo davanti scuola e come facevamo di solito, ognuno andava per la sua strada. Mi affrettai a raggiungere Violet, che era seduta sui gradini dell’entrata. Violet era di un anno più grande di me, ed era fidanzata con il mio amico, Henry. Si erano conosciuti durante il ballo scolastico dello scorso anno e dopo circa un mese di appuntamenti, avevano deciso finalmente di mettersi insieme. Violet, aveva i capelli castani, con un grazioso taglio a caschetto, e gli occhi marroni. Era molto più alta di me, circa sul metro e settantacinque. Non era un angelo, ma un’umana. Dato, però, che ci conoscevamo già da tre anni, mi ero fatta forza e le avevo raccontato tutto. Lì per lì mi prese per una svitata, infatti mi chiese se prima di averle raccontato la storia mi ero fatta un paio di bicchieri di vodka. Poi quando le avevo mostrato le ali si era ricreduta. Quando Micka lo era venuto a sapere, mi aveva fatto una ramanzina che non finiva più, ripetendomi che degli umani non ci si poteva fidare e cose simili. Alla fine le fece giurare di non rivelare niente a nessuno. «Violet.» La salutai con un cenno di mano. Lei per tutta risposta mi venne ad abbracciare. «Senja, finalmente sei arrivata!» In quel preciso momento la campanella suonò, avvertendoci che le lezioni stavano per iniziare. Che un’altra giornata di merda inizi! Il mio armadietto aveva il numero 0006 e per questo si trovava in una posizione che mi piaceva definire strategica, perché era all’inizio del corridoio. Nessuno lo voleva, perché tutti erano convinti che il numero 6 fosse un numero demoniaco. Quindi il fatto che capitò a me era un bene, e anche ironico. L’armadietto era un sacco spazioso, ci infilai dentro almeno una ventina di chili tra raccoglitori, libri scolastici, notebook e anche la sacca di nuoto. Dentro c’era anche uno specchio. Il lato positivo di questa accademia è che aveva una piscina. Ad inizio anno Violet mi aveva convinta ad iscrivermi al club di nuoto. Quel giorno avevo gli allenamenti fino alle tre del pomeriggio, poi sarei andata con Violet in biblioteca. La lezione di scienze era quasi finita, quando entrò nella classe Jason, il tudor che di solito accompagnava gli studenti angeli alla lezione speciale. Mi affrettai a raccogliere tutta la mia roba e ad uscire dall’aula. Riuscii ad intravedere il tudor e la professoressa scambiarsi occhiate molto intense. Non tutti i prof approvavano i corsi speciali. Dato che la scuola era aperta anche agli umani, c’erano dei corsi ai quali non potevano iscriversi. Come scusante dicevano parole del tipo: «Mi dispiace, ma il corso è pieno. Sei costretto a sceglierne un altro» o stronzate simili. «Allora Senja, sei pronta per la lezione?» La domanda interruppe i miei pensieri, facendomi tornare al presente. Jason Blake era alto con occhi molto grandi e color miele, labbra carnose; quasi da sembrare una ragazza. I capelli erano nero corvino, cosa molto strana per un angelo bianco. Perché di solito i capelli degli angeli bianchi tendono ad essere sempre chiari, quelli degli angeli neri invece hanno un colore scuro. Non ho mai visto le ali di Jason, ma quando provavo ad immaginarle, la mia mente le pensava del colore dei suoi capelli. Ali nere come la notte. Alzai lo sguardo, che fino a quel momento era fisso a terra a guardare le gambe di Jason muoversi in un modo talmente perfetto e pulito da poter fare invidia ad un modello di fama mondiale. Avrei tanto voluto dire: «No che non lo sono, brutto idiota!» però non lo feci. Al contrario mi limitai ad annuire e far uscire dalla mia bocca un verso di consenso. Al che, l’angelo si fermò e si parò davanti a me. Lo guardai negli occhi e divenni rossa per qualche secondo. «Cos’hai, Sen?» «Nulla. Assolutamente nulla» gli risposi. Il suo sguardo non sembrava credere alle mie parole, beh peggio per lui. Lui era il migliore amico di mio fratello, sin da quando erano piccoli, non gli avrei mai potuto rivelare la mia lite con lui. E non lo feci. «Si tratta di Micka?» Si era avvicinato al mio viso. Che cosa gli passa per la testa? D’istinto indietreggiai. «N-no.» mentii. È sempre di Mickael che si tratta. Mio fratello… è la fonte dei miei problemi e delle mie insicurezze. In confronto a lui non sono niente. Jason prese in mano una ciocca dei miei capelli e se la portò vicino alla bocca. Quel suo gesto mi fece rabbrividire. «Sai, Sen sei diventata proprio una bella ragazza.» Il suo tono di voce mi faceva venir voglia di vomitare, giuro. Non ho mai provato nulla del genere per nessuna persona. Ammetto che avevo un po’ paura di quello che mi aveva appena detto, perciò gli diedi una risposta non poco modesta, che, a dirla tutta, stupì anche me. «Non sei il primo che mi fa un complimento del genere, Jason.» Gli tolsi la mano dai miei capelli, lasciandolo lì imbambolato con un’aria da ebete. Per l’imbarazzo mi affrettai ad andare verso l’aula di allenamento. Fu allora che avvertii una terza presenza. Qualcuno che ci stava fissando. E quel qualcuno era mio fratello. Appena varcai la porta, Luke mi venne subito a salutare. «Sen! Ti trovo bene.» Il suo sorriso era così contagioso che non potei fare a meno di sorridere. Luke era il classico nerd, che però nessuno si aspettava di trovare nella classe di angeli neri. Lui è di un anno più grande di me e per lui sono come la sua sorellina minore. Mi ha sempre protetta. Potrei addirittura dire di voler più bene a lui che al mio vero fratello. La mia reazione fu quella di saltargli addosso per abbracciarlo. «Finalmente sei guarito.» Un po’ imbarazzato, Luke mi lasciò andare. «Ho avuto i miei alti e bassi. Sai come sono fatto» mi rispose, un po’ intimidito. In tutta la mia vita non avevo mai incontrato un angelo nero che fosse di salute cagionevole. Lui si poteva considerare un’eccezione. Capelli castano scuro ed occhi neri come la pece, venivano addolciti da un grande paio di occhiali quadrati, tipico dei nerd. Il professore che c’era stato assegnato per l’addestramento si chiamava Francis Vandenberg. Aveva l’aria da chi ha sempre la puzza sotto il naso, quando lo si conosceva meglio scoprivi che, invece, era una persona molto dolce e attenta ad ogni minimo particolare. Anche lui, come tutti i membri della sezione Special Black, era un angelo dalle ali nere. Varcò la porta tenendo nella mano destra una valigetta ventiquattr’ore. Indossava, come sempre, un completo giacca e cravatta in tinta unita blu. I suoi capelli erano leggermente brizzolati, e i suoi occhi erano marroni. Appresso a lui, arrivò un ragazzo alto all’incirca un metro e settanta, con i capelli biondo platino e dagli occhi grigi. Indossava l’uniforme della nostra scuola, però nel modo come la portavano i bulli. Aveva anche un piercing sul labbro inferiore, in modo da renderlo ancora più cattivo. Cavolo se non era bello. Il suo viso era molto fino, però aveva un non so che di oscuro e tutti i miei sensi mi dicevano di non fidarmi. «Ragazzi» disse il professore, posando la valigetta ventiquattr’ore sulla cattedra. «Lui è un vostro nuovo compagno, Gage Russell.» Immediatamente tutta la classe si girò a guardarlo. Echeggiò un brusio di sottofondo, mentre il ragazzo si presentava. «Piacere di conoscervi. Spero che andremo d’accordo» disse, accennando un sorriso. A mio parere, non era per niente sincero quel sorriso.
   
 
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