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Autore: _Krzyz    13/07/2015    2 recensioni
"Ogni persona ha dei segreti."
Qualcosa di prezioso, di personale, scheletri chiusi a chiave in armadi inesistenti. Ogni persona ha una storia alle spalle , una storia che non si può conoscere. Ma basta una parola, una parola per conoscere le vite degli altri. Una parola che può aprire un mondo e distruggerne un altro.
Una parola sussurrata in punta di piedi.
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Raccolta di One - shot, per raccontare le storie di quei personaggi che una storia non ce l'hanno :)
[Il rating potrebbe variare; spoiler!]
Genere: Introspettivo, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti
Note: Missing Moments, OOC, Raccolta | Avvertimenti: Spoiler!
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Incandescence – [sost] incandescenza, luce prodotta da alte temperature
[espr.] forza interiore


 
Incandescenza


Le lampadine a incandescenza che illuminavano la camera di Al sfarfallavano ad ogni sbalzo di tensione. Fuori una tempesta come non se ne vedevano da anni infuriava, la pioggia batteva come migliaia di dita sulle vetrate linde della casa. Di uscire non se ne parlava neanche, nemmeno per riportare in casa le camicie bianche che sua madre aveva steso ad asciugare quella mattina. Era assurdo. In un’ora o poco più il tempo era cambiato dal soleggiato al plumbeo, rovesciando secchiate pesanti sulla terra arida. Il ragazzo si stava annoiando terribilmente, tutti i dispositivi elettronici della casa erano completamente andati e in quel posto non c’era molto da fare. Avrebbe voluto chiedere consiglio agli altri ragazzi Candidi, quelli più grandi di lui, per sapere qualcosa di più riguardo al test attitudinale. Lo avrebbe affrontato il giorno successivo, e ora era bloccato in casa senza sapere che pesci pigliare.
Albert era il ragazzo più alto e massiccio del suo anno. Superava di una buona spanna i coetanei ed era fisicamente forte come un toro. Ma tutto questo era inutile, perché anche in una fortezza di granito ci sono delle crepe. E Al aveva paura. Da quando era in grado di ricordarselo aveva paura. Paura dei tuoni, paura degli spazi angusti, paura di soffocare, paura del buio, paura dei ragni… la sua lista di fobie si srotolava per kilometri nella sua possente gabbia toracica, rivelando un cuore buono e fragile come carta di riso.  Agli altri incuteva timore, forse per la sua stazza, forse per il fatto che a sedici anni già si faceva la barba. E la gente lo guardava e non sapeva che il primo ad avere paura era lui.
I suoi fratelli maggiori erano tutti rimasti nella fazione d’origine. Essere Candidi per loro era facile, dovevano solo fare tutto quello che avevano fatto fino a quel momento, e dire ogni singola cosa che gli balzava in testa non era un problema. Ma se Al avesse detto davvero tutto quello che pensava, tutto ciò che provava, cosa avrebbe concluso? Sarebbe solo, isolato, deriso per la sua vigliaccheria; era un fifone e ne era consapevole, tutto iniziava e finiva li. Aveva digrignato i denti infinite volte di fronte allo specchio, guardandosi e odiandosi in un circolo infinito che feriva come coltelli ,ma senza un rivolo di sangue. Era stufo di essere Albert, quello teme anche la sua ombra.
La pioggia non cessava, non smetteva di schiantarsi con fragore neppure un momento, nemmeno quando spense le sfarfallanti luci a incandescenza, installate più per stile che per comodità. Decise di andare a letto. Si alzò dalla poltrona e si arrotolò nelle lenzuola, quasi stesse cercando la protezione che solo i sogni sanno dare. Ci mise un bel po’ ad assopirsi, i tuoni facevano tremare l’intelaiatura bianca, trasmettendo le vibrazioni fino alle molle del materasso. Cosa avrebbe fatto se il test gli avesse detto di andarsene dalla sua fazione?  Sarebbe rimasto nei Candidi e avrebbe vissuto come aveva fatto finora ma senza sentirsi mai al posto giusto, probabilmente, perché non aveva abbastanza coraggio per cambiare. E se gli avesse detto  di restare, in quel caso che avrebbe fatto? Centinaia di domande sbattevano prepotenti contro la sua scatola cranica, implorando una risposta. Quando chiuse finalmente gli occhi sognò di volare.
La mattina seguente Al era troppo nervoso per fare colazione, quindi si limitò a vestirsi e a uscire di casa. Camminò velocemente fino al centro  dove l’avrebbero sottoposto al test e si mise educatamente in fila con gli altri Candidi, senza pensare a niente. Attorno a lui mille voci risuonavano chiedendosi a vicenda che fazione avrebbero preferito o discutendo la veridicità dei risultati del test, ma lui non era in grado di sentire nulla. Era terrorizzato e stava cercando in tutti i modi di sembrare calmo e distaccato. Si vergognava. Com’era possibile essere così codardi , così vergognosamente timorosi? Non si accorgeva dello scorrere del tempo, assorto com’era nei suoi pensieri, del progressivo diminuirsi della coda di ragazzi di fronte a lui. Da una delle porte del centro un’Abnegante si sporse chiamando il suo nome, ed Al entrò tremando nella stanza.
 
Il pomeriggio si ritrovò a casa da solo, esattamente come il giorno prima, a guardare la pioggia che si abbatteva sulle grandi vetrate. Ma non era una tempesta devastante come quella del giorno, era sì intensa ma non distruttiva. La televisione era spenta perché non aveva voglia di accenderla. Non c’era un rumore, se non il ticchettio delle gocce. Al era seduto sulla chaise-longue in pelle nera, osservava gli arzigogoli che l’acqua che scorreva formava sul vetro. Non riusciva a pensare a nulla che non fosse il risultato del test attitudinale. Un risultato scontato dopotutto.
Candidi.
Eppure perché gli faceva così male? Era la via facile, si sarebbe limitato a continuare a vivere come aveva fatto per sedici anni, senza però essere mai sincero una volta soltanto. Onesto a dirsi ma mai del tutto. Aveva avuto solo l’ulteriore conferma che gli diceva di starsene al suo posto. Allora cos’era quel macigno che ti stava schiacciando il petto, che non ti faceva respirare, Al? Era il tuo cuore, il tuo cuore che batteva violento contro la bara di costole in cui era stato seppellito, il tuo cuore buono e stanco di vivere incatenato dal terrore, dai chiodi che ti eri piantato in testa da solo.
Al non voleva più essere il ragazzo che sobbalzava  ad ogni ombra, che faceva fatica ad addormentarsi, che la gente credeva di conoscere, che lo guardava senza vederlo. E poi una cosa, una cosa quasi ridicola, che gli si accende in testa, come una di quelle lampadine a incandescenza che pendono dal soffitto più per bellezza che per utilità. Ed era come uno di quei piccoli bulbi di vetro che voleva essere:  voleva bruciare, bruciare fino a brillare. Voleva provare al mondo e a se stesso che era coraggioso, forte, che non aveva paura di niente. Non se n’era reso conto, ma per la prima volta dopo tanto tempo aveva preso una decisione senza vacillare nelle sue convinzioni, nemmeno per un secondo.
Ed è per questo motivo che, quando lo chiamarono alla Cerimonia della Scelta, lui afferrò il coltello e, senza esitazione, se lo passò sulla carne.
E’ per questo motivo che fece colare il suo sangue sui carboni ardenti, vedendolo evaporare come toccò la superficie calda e nera.
È per questo motivo che, sebbene gli tremassero le gambe, saltò sul treno.
Ma il cuore era sempre quello. Grande, e buono, forse troppo buono. Troppo buono per un luogo dove semini ematomi sui corpi di avversari più piccoli di te, o di sesso opposto, o deboli. Troppo buono per un luogo dove tutto quello che devi fare è diventare una macchina di tendini e muscoli, dove non è concessa l’umanità.
Perché Al voleva essere coraggioso, voleva brillare, voleva essere incandescente.

Ma c’era una luce che brillava più di lui, che lo attirava come i lampioni attirano le falene, sbattendovi contro.
E un giorno, un Diavolo gli aveva sussurrato all’orecchio. E, con parole suadenti, gli aveva detto che non sarebbe potuto bruciare a lungo, perché lui era un fuocherello e un fuocherello è nulla di fronte ad un incendio.  E Al ha avuto paura, riemersa dove l’aveva seppellita tanto tempo prima.
E ha provato a spegnere un fuoco amico, un fuoco che si fidava.
E ora non brilla più, perché era troppo buono per un posto così. E ora il suo cadavere è in fondo al Pozzo, la colonna vertebrale quasi disintegrata, e nulla in corpo, se non una flebile fiamma, se non il coraggio che lo aveva spinto a buttarsi giù da un precipizio.

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IL KACTUS DI KRZYZ
 
Ed eccoci qua con  questo nuovo capitolo, il cui protagonista è Al! :)
Vi è piaciuta questa storia? E avete ipotesi su chi potrebbe essere il prossimo?
Ed ora lasciatemi ringraziare. Chi? Ma voi, voi tutti che avete letto questa raccolta facendo arrivare il prologo a 200 visite, voi che la seguite, la ricordate, l'avete inserita fra i preferiti! Grazie mille anche a Kaithlyn24 e a maple, che puntualmente seguono questa storia!
Davvero, vi sono debitrice dal profondo del cuore. Non sapete quanto voglia dire per una persona come me, grazie infinite :)
Bacioni dal Kactus!

_Krzyz

p.s: MOMENTO DI AUTOPUBBLICITA' (cosa semi-illegale ma comunque tollerabile, spero) per tutti quelli che apprezzano il mio stile di scrittura, poco tempo fa ho pubblicato una short, sempre su Divergent, cambiando completamente stile. Era più una sfida con me stessa che altro...ma se avete pazienza, voglia e tempo per leggere quella cosa  storia, la trovate nelle storie da me pubblicate nella mia bio (non ho il link sottomano, sorry D:) e ditemi cosa ne pensate! Mi farebbe molto piacere :)

 
  
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