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Autore: AlyTae    13/07/2015    2 recensioni
[SCANDAL]Haruna non è una ragazza come le altre: non pensa con la testa degli altri, ma con la sua. Non vuole studiare, e non vuole seguire le orme dei genitori. Vuole solo suonare la sua chitarra, e trovare qualcuno con cui formare una band. Ma Haruna è da sola. Esaudirà i suoi sogni?
**Storia ISPIRATA alla vera storia delle SCANDAL; sono presenti alcuni fatti imprecisato e/o inventati**
Genere: Avventura, Fluff, Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO 13, Aitai ~ Rina's Story ~
"Voglio incontrarti, incontrarti
anche se siamo separati
e tu sei lontano da me,
ricordo ancora il tuo sorriso"

Haruna non riusciva a ragionare. La sua mente era completamente offuscata quando scese dall’autobus con un balzo (la corta gonna dell’uniforme scolastica si alzò leggermente a contatto quando saltò giù dal mezzo pubblico, e ciò non sfuggì ad un uomo sui trent’anni che passava di lì in quel momento, ma la ragazza non se ne curò molto), e rimase tale mentre correva veloce per il centro di Osaka. Non lo vide nemmeno, il paesaggio di quella città meravigliosa che aveva sempre paragonato alla propria libertà. L’unica cosa che vedeva davanti ai suoi occhi era Rina, seduta alla batteria, che suonava con una naturalezza che mai le avrebbe attribuito. Almeno, non per quanto riguardava quello strumento.
Oltre a quello, ancora le ronzava nelle orecchie la frase che aveva detto Tomomi qualche minuto prima, esattamente appena dopo Rina era scappata via: “Ah! Ora ricordo dove l’avevo già vista…”
 
 
Le sue gambe la portarono a casa. Sapeva benissimo che Rina non poteva essere lì. Era il posto più ovvio dove iniziare a cercare. Se voleva stare da sola, molto probabilmente avrebbe scelto un posto più nascosto. Ma da qualche parte doveva pur cominciare.
Aveva talmente fretta, talmente paura, che la mano le tremò mentre tentava di infilare la chiave nella toppa e le sembrò di metterci dei minuti interi ad aprire la porta. Guardò il salotto, poi cercò in cucina, in bagno ed infine in camera di Rina. Come aveva immaginato: la sua coinquilina non c’era.
Col cuore che le batteva a mille per la preoccupazione e per la corsa, Haruna si lasciò andare pesantemente sul letto di Rina, poi si mise a sedere, mettendosi le mani tra i capelli, i gomiti appoggiati alle cosce.
Non sapeva che pesci pigliare. Che ci faceva lì seduta? Perché non si alzava? Perché non usciva di casa e non riprendeva le ricerche? Cercava di convincersi, ma non si mosse mai dal suo posto.
La verità era che non era così preoccupata per Rina. Sì, era più piccola di lei di tre anni, ma era sicuramente più responsabile di lei e aveva vissuto in quella città da sola da più tempo di lei, non le sarebbe successo nulla di male. Ciò che veramente inquietava Haruna, era il perché. Perché aveva reagito in quel modo, quando l’aveva sorpresa a suonare la batteria? Aveva paura di farle qualche dispiacere, per caso? Proprio ad Haruna, poi, che adorava la musica rock e ed era affascinata da qualsiasi ed inimmaginabile strumento musicale? No, non aveva senso scappare da Haruna, e avere paura di una sua reazione negativa.
Insomma, come avrebbe dovuto reagire? Rina che suona la batteria, cavolo, quel fatto era tanto assurdo quanto meraviglioso. Perché scappare, se Haruna non poteva far altro se non esplodere di gioia?
Alzò lo sguardo, senza smettere però di scompigliarsi i capelli, cercando di calmare quella sua testolina piena di domande e senza nessuna risposta. Gli occhi ispezionarono veloci, quasi senza farlo apposta, la camera di Rina. Ci era entrata solo una volta, lì. Ancora lo ricordava. Era appena arrivata ad Osaka, e Rina aveva suonato la tastiera per lei. Il suo pianoforte era esattamente davanti a lei, appoggiato al muro, di un nero lucente e pulito. Era così in ordine, quella cameretta. Non come quella di Haruna, dove c’erano più vestiti sul letto e sulla scrivania che all’interno dell’armadio. Continuando a guardare l’ambiente che la circondava, però, il suo sguardo si fermò su una parte di parete che prima di allora non aveva mai visto. Il muro candido, dipinto di un rilassante color indaco, veniva interrotto da un grande poster appiccicato alla parete con lo scotch. Un poster di Keith Moon.
La goccia che fece traboccare il vaso. Perché mai Rina, che da un mese intero ripeteva ad Haruna che non le piaceva la musica rock, che ascoltava solo musica classica, che l’unico strumento che le interessava davvero era il piano, aveva un cazzo di poster di Keith Moon in camera sua!?
Quel poster era sempre stato lì, Haruna se lo sentiva. Ed era parecchio, parecchio strano che una che suonava Mozart e Bach tutto il giorno, fosse fan dei The Who.
Finalmente, decise di alzarsi dal suo posto e ritornò in strada, diretta al ristorante di Akira. Era il padre di Shino, il migliore amico di Rina, e sicuramente avrebbe saputo darle delle spiegazioni.
 
 
Maggio 2006, ore 14:25, Osaka (Giappone)

Il ristorante era terribilmente pieno. Shino si asciugò la fronte, sfinito, prima di prendere l’ennesima barca di sushi da portare a qualche altro noioso ed impaziente cliente. Per fortuna avrebbe chiuso di lì a pochi minuti, poi finalmente sarebbe stato libero di andare da Mami per provare con la sua band.
‹‹ Cerca di sorridere, Shino!›› gli disse suo padre, appena il ragazzo tornò nelle cucine ‹‹Non è piacevole per i clienti ritrovarsi con un cameriere così imbronciato››
Per tutta risposta, il figlio sbuffò ancora più forte :‹‹Non contare su di me, questa sera. Devo provare con la band. La grande notte sarà domani…››
Akira sorrise. Suo figlio poteva essere pigro quanto gli pareva, durante certi lavori, ma niente come la sua passione per la musica lo rendeva così lavoratore.
‹‹Mi sbaglio, o domani sera c’è il tuo turno al negozio di strumenti?››
Shino sbuffò nuovamente. Quel giorno sembrava non sapesse fare altro che sbuffare: ‹‹Ho già chiesto il permesso al capo, e mi ha detto che va bene a patto che recuperi le ore perse. Lavorerà Ogawa per me.››
‹‹Vuoi lasciare quei due da soli? Si scanneranno vivi. ››
Finalmente, Shino si lasciò sfuggire un sorriso. Anche Akira rise, ma poi tornò serio.
‹‹A parte gli scherzi, Shino, è davvero importante che tu inizi a guadagnare qualche soldo in più. È indispensabile, se vuoi iscriverti in quella scuola… ››
‹‹ Papà, ne abbiamo già parlato. Sto lavorando molto, riuscirò a pagarmi da solo la scuola, e potrò iscrivermi sia al corso di musica che a quello di disegno. Dai, è solo per una sera. E poi, non capita tutti i giorni di suonare al Namba Hatch. ››
Era troppo elettrizzato. Certo, ci aveva già suonato in quel locale. L’anno precedente, Mariko, la proprietaria della saletta dove soleva provare con gli Young Death, aveva loro proposto loro di partecipare ad una serata dove avrebbero suonato dei gruppi emergenti. E così era stato. I ragazzi avevano suonato, non molto bene dato che era la prima volta che suonavano dal vivo, ma si divertirono molto. E come se non bastasse, appena finito il concerto, Mariko li aveva raggiunti dietro le quinte per dire loro quanto erano stati fantastici e li aveva invitati in tantissimo altri locali popolari di Osaka. Mariko aveva molte conoscenze, nel campo musicale di quella città. Col tempo, gli Young Death si erano esibiti più e più volte, migliorando sempre di più, ed iniziando a comporre canzoni loro. L’indomani, esattamente un anno dopo, avrebbero suonato al Namba Hatch, di nuovo, ma non assieme ad altri gruppi; solo loro, per un’intera sera, e avrebbero suonato pezzi scritti e composti da loro. Ci sarebbe stata molta gente, sicuramente. Erano riusciti ad avere una certa fama ad Osaka, ed avevano un discreto numero di fans, soprattutto tra i liceali e gli studenti della loro età. Dovevano essere perfetti. Perfetti!
‹‹ E con Mami? ›› chiese a tradimento Akira ‹‹Sei riuscito a parlarci? ››
Shino si fece improvvisamente cupo. Avrebbe voluto fulminare suo padre con lo sguardo. Odiava parlarne, questo lui lo sapeva, ma nonostante ciò continuava a toccare quell’argomento. E ciò lo faceva innervosire.
‹‹Andiamo Shino! ›› disse spazientito Akira ‹‹La vedi tutti i giorni! Avrai sicuramente avuto occasione di parlare con lei. ››
‹‹La vedo tutti i giorni perché lavora nella saletta in cui proviamo. È inevitabile vederla. E se non ci parlo, è perché non voglio. Con lei è finita. Una volta per tutte. ››
Fece un lungo sospiro. Suo padre lo guardò con occhi pieni di compassione.
‹‹ Shino, ti conosco troppo bene. È inutile quanto cerchi di parlare male di lei con gli altri, quanto cerchi di allontanarla. Se ti piace ancora, se vuoi tornare con lei… dovresti davvero parlarci.››
‹‹Non ci voglio più tornare, con lei. Non mi posso più fidare di lei. ››
Quella conversazione carica di tensione fu piacevolmente interrotta dal suono della piccola campana appesa sopra la porta del ristorante, che annunciava l’arrivo di un nuovo cliente.
‹‹ Spiacenti, ma abbiamo appena chiuso. Riapriremo alle 18.›› Akira pronunciò quella frase in modo quasi automatico, tanto era abituato a ripeterlo con tutti quei clienti pigri che non riuscivano nemmeno a leggere il cartello posto fuori dal locale, dove erano scritti a grandi caratteri gli orari di apertura e chiusura. La sua espressione, però, cambiò di colpo appena posò gli occhi sulla persona che era appena entrata.
Una ragazza molto giovane, probabilmente della stessa età di Shino, con un tenero caschetto castano che le contornava il viso – un viso terribilmente grazioso – , dolci occhi marroni, e un paio di occhiali dalla montatura viola che non facevano che risaltare ancora di più quel faccino paffuto. Indossava una maglia verde scuro, talmente lunga che poteva utilizzarla addirittura come vestito. Nonostante ciò, Akira riuscì a scorgere lì sotto un paio di pantaloncini corti e neri. Si vergognò di aver guardato in quella zona. Era decisamente troppo vecchio per perdersi in certe sconcezze, in più era un padre di famiglia fedele, ma resistere alla bellezza di quella ragazzina era davvero difficile. Solo in seguito, si accorse che teneva in mano un pezzo di giornale.
‹‹Io veramente … ehm…›› mormorò timidamente lei . Dio, pure la sua vocina era terribilmente graziosa ‹‹avrei notato l’annuncio che avete messo sul giornale. Non ho esperienze di lavoro, però… ››
La ragazza appoggiò il giornale al bancone della zona bar. Akira diede una rapida occhiata. Sì, aveva messo l’annuncio “Cercasi cameriere” poche settimane prima. Si era reso conto che lui e Shino non potevano bastare. Poi gli affari andavano bene, e poteva permettersi molti altri dipendenti.
Guardò con sospetto la ragazza.
‹‹Quanti anni hai? ›› le chiese.
Lei arrossì leggermente, ed attese qualche istante prima di rispondere: ‹‹Quindici. ›› rispose alla fine.
‹‹Mi spiace, non prendiamo minorenni. E poi, tu sei sicuramente una studentessa, e vorresti un lavoro part-time, giusto? ››
La ragazza annuì.
‹‹ Niente da fare.›› disse secco, tuttavia gentilmente, Akira ‹‹Solo tempo pieno. Mi spiace. ››
La ragazza annuì di nuovo. Cercava di nascondere la sua delusione, ma la debole luce dei suoi occhi la tradiva. Akira era dispiaciuto, ma non poteva farci niente.
‹‹Bene, allora io me ne vado!›› giusto in quel momento Shino era uscito dalla cucina ed aveva lanciato il grembiule a suo padre. I suoi occhi caddero sulla misteriosa ragazzina. I due si scrutarono a vicenda con sospetto.
‹‹ Credevo non assumeste minorenni…›› si lasciò sfuggire lei.
Shino parve offeso da quell’affermazione ‹‹Ehi, ho diciassette anni! Mostra rispetto per i più grandi!››
‹‹Lui è mio figlio.›› si affrettò a dire Akira ‹‹Non lo pago.››
Il ragazzo si limitò ad uscire dal ristorante senza dire una parola. Akira sospirò.
‹‹Devi scusarlo, purtroppo ha un caratteraccio. Probabilmente ho commesso qualche errore io, mentre lo crescevo.››
La ragazzina annuì di nuovo, timidamente.
‹‹Non voglio sembrarti un ficcanaso, ma come mai una ragazzina di quindici anni ha così tanta urgenza di trovare lavoro?››
La ragazza esitò un attimo, prima di rispondere : ‹‹Vivo da sola. Devo pagare l’affitto, e la scuola.››
Akira sgranò gli occhi : ‹‹Vivi da sola? Ma… non puoi! Alla tua età…››
‹‹Diciamo che sono più o meno scappata di casa. Comunque, la ringrazio per il suo tempo, scusi se l’ho disturbata.›› fece dietro front e si diresse velocemente verso l’uscita. Akira rimase immobile, a fissare il punto dove era scomparsa.
 
 
Era sfinito. Le prove lo avevano davvero distrutto. Per due ore intere avevano suonato ininterrottamente, facendo pochissime pause, cercando di rimediare ad ogni loro imperfezione. Avevano addirittura completato la loro nuova canzone, e l’avrebbero suonata l’indomani per la prima volta. La stanchezza si mescolava al nervosismo. C’era sempre molto timore, a presentare una canzone nuova di zecca.
Stanco morto, e con ancora la chitarra in spalla, però, non avrebbe avuto modo di riposarsi nemmeno quella sera. Doveva lavorare. Aveva saltato il lavoro del pomeriggio al negozio di strumenti, ma non aveva nessuna scusa per poter saltare anche il suo secondo lavoro. Maledisse suo padre e la avarizia. Manco la scuola voleva pagargli, al suo povero figlio, e lui era costretto a lavorare come un cane tutto il giorno, in posti diversi. Come avrebbe fatto a trovare le energie per esibirsi?
Sconsolato, camminò nel centro della città finché non raggiunse il bar in cui era costretto a shakerare drink e preparare caffè. Non gli piaceva il lavoro di barista. Avrebbe preferito fare il cameriere, ma in quel locale accettavano solo ragazze, in modo da vestirle da Maids stile anime e poter soddisfare gli occhi dei clienti più pervertiti. Uno stile che a Shino disgustava non poco, ma alla fine lui voleva solo dei soldi, quindi non si era mai lamentato. E poi, con sé si era portato anche qualche volantino del concerto al Namba Hatch da distribuire ai clienti, così, per farsi un po’ di pubblicità. Non credeva molto a queste cose, ma non si sa mai.
Appena entrato, si diresse velocemente verso il bancone, senza neanche dare un’occhiata in giro. Voleva solo finire il suo turno al più presto per poter filare a casa a riposarsi. Sentì la voce lontana di chissà quale cliente che ordinava un mojito e un cuba libre. Preparò i drink con i soliti movimenti, quasi automatici. Sistemò poi i due bicchieri su un vassoio, poi si guardò intorno alla ricerca di una cameriera libera.
‹‹Ehi! Tu!›› gridò ad una che le dava le spalle, a pochi passi dal bancone ‹‹Un mojito e un cuba libre per il tavolo cinque, pronti!››
La cameriera lo raggiunse e afferrò il vassoio con movimenti indecisi, e solo allora Shino riuscì a vederla in volto.
‹‹Ehi, ma…››
‹‹…››
‹‹Tu… tu sei quella di oggi?!››
Ne era sicuro. Era difficile riconoscerla adesso, conciata con quel vestito ridicolo che il direttore costringeva a far indossare a tutte le cameriere, ma non aveva dimenticato quegli occhi teneri e quel viso. Era sicuramente lei. E anche la ragazzina l’aveva riconosciuto.
‹‹Tu sei il ragazzo maleducato del ristorante!››
‹‹Cos… bha! Lasciamo stare. Tu cosa ci fai qui, piuttosto?››
‹‹Mi hanno dato il lavoro. A differenza vostra!›› lo disse in maniere piuttosto aggressiva, del tutto incoerente col modo di fare timido che aveva adottato fino a quel momento.
‹‹Ehi! Cameriera!! Stiamo aspettando i nostri drink!›› urlarono i due uomini del tavolo cinque, interrompendo la loro conversazione. Due uomini sulla trentina, dall’aspetto tutt’altro che rassicurante. Shino lanciò loro un’occhiata piena di disgusto.
‹‹Ci credo…›› disse, rivolto di nuovo alla ragazza ‹‹Il capo vuole tenersi stretto clienti di quel genere lì. L’unica cosa che vuole dalle cameriere è che abbiano un bel viso e delle belle gambe. Hai detto di avere quindici anni? Bhe, sei anche una delle più vecchie delle tue colleghe. Tutte ragazze con problemi economici, che hanno un disperato bisogno di aiutare i genitori, dispose a mettercela veramente tutta… costrette a lavorare in un posto come questo.››
La ragazza parve turbata da quella rivelazione improvvisa. Infatti, reagì in maniera particolarmente incazzata: si girò di scatto, e disse frettolosamente : ‹‹Facciamo solo il nostro lavoro. E non è carino far aspettare i clienti. ››
Shino osservò la ragazza servire i drink a quei tipacci. Non riuscì a sentire quello che dicevano, ma poteva immaginarlo, anche solo leggendo il labiale da lontano: come ti chiami, mi dai il tuo numero, pensi che sono troppo grande per te, e apprezzamenti vari. La ragazza, però, seppe tener testa. Li ignorò completamente, mantenne un’espressione glaciale e per niente spaventata, poi si diresse nuovamente verso il bancone.
‹‹Sei stata brava.›› le disse frettolosamente ‹‹Insomma… mi raccomando, non assecondarli mai. Poi, non potranno farti granché dentro il locale..,››
‹‹Non ho bisogno di queste raccomandazioni.›› fu la secca risposta.
Shino si sentì leggermente in colpa. L’aveva sottovalutata. Era giovane e timida, ma responsabile. E solo in quel momento, guardandola meglio, si rese conto di quanto fosse bella. Prima non l’aveva osservata con così tanta attenzione.
‹‹Ehm…›› il ragazzo si schiarì la voce, e le porse, quasi senza pensarci, il volantino del concerto, in modo piuttosto impacciato ‹‹Io… io ho una band e… domani suoniamo in un locale.››
La ragazza guardò prima Shino, poi il volantino tra le sue mani tremanti, poi afferrò il pezzo di carta e lo fissò dubbiosa
‹‹Li sto distribuendo per… per far pubblicità…›› continuò Shino, cercando di sembrare sicuro di sé ‹‹Non ti sto chiedendo di venire… magari, se conosci qualcuno che può essere interessato… spargi la voce.››
La ragazza rimase in silenzio, senza staccare gli occhi da volantino.
‹‹Mi chiamo Shino›› si decise finalmente a dire il ragazzo, sperando di rompere quel silenzio imbarazzante.
La ragazza alzò lo sguardo verso di lui. Poi, finalmente, sorrise. Uno dei sorrisi più dolci e radiosi che Shino avesse mai visto
‹‹Mi chiamo Rina.›› disse, inchinandosi ‹‹Piacere.››

 
 
Luglio 2006, ore 17:13, Osaka (Giappone)
Entrò con foga dentro il locale, senza curarsi del fatto che il suo interno fosse vuoto e buio. Si guardò intorno, alla ricerca di Rina. In quel momento, l’unica cosa importante era trovarla.
- Spiacenti, siamo chiusi. Apriamo alle diciot…- Akira si bloccò improvvisamente, appena riconobbe colei che era entrata : - Haruna!-
- Akira…- Haruna aveva il fiatone a causa della corsa – Ti prego, Rina è scomparsa, e…-
- Scomparsa?- Akira sgranò gli occhi, adesso ricchi di sorpresa e preoccupazione – Cosa? Perché? Cosa è successo?-
- Io… a dire il vero, credevo fosse venuta qui…- nel vedere che Akira era sorpreso quanto lei, Haruna si abbondò di nuovo all’angoscia pi totale. Adesso sì che non aveva idea di dove cercare.
- No, oggi Rina non l’ho proprio vista. Ma perché, cosa succede?- anche l’uomo adesso era visibilmente angosciato. Haruna provò a spiegargli i fatti, anche se non era proprio sicura che il vecchio ristoratore potesse capire la situazione. Notò con stupore, invece, che, una volta finito di raccontare, Akira assunse un’espressione totalmente diversa da quella di prima. Cupa, ma improvvisamente calma, come se avesse capito tutto.
- Non sono proprio sicuro…- disse con tono grave – ma penso che, in una situazione del genere, andrebbe da Shino.-
- Shino ha le prove con la band, oggi. E io torno dalla saletta. Non credo che Rina voglia tornare indietro.-
Akira diede un’occhiata veloce all’orologio : - Se non mi sbaglio, Shino dovrebbe smettere di lavorare tra mezz’ora, probabilmente è ancora al bar.-
- Il bar…-
- Sai l’indirizzo?-
- S..sì..- c’era già stata. Haruna spremette le meningi al massimo, cercando di ricordare la strada – Proverò a cercarla là, allora. Grazie mille per l’aiuto, Akira!-
E corse via di nuovo, senza ascoltare la risposta del padre di Shino.
   
 
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