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Autore: Tigre Rossa    14/07/2015    6 recensioni
‘Tornerò da te, amore mio. Te lo prometto.’
Sfioro la sua guancia per quella che, lo so, sarà per lungo tempo l’ultima volta.
Il mio piccolo mezzuomo chiude gli occhi e, perdendosi in quella carezza fugace, mi stringe la mano tra le sue, cercando di far durare quel flebile contatto il più a lungo possibile, prima che l’oblio ci separi.
‘Sai che non puoi fare una promessa simile, Thorin.’
Sussurra, la voce spezzata di chi ha smesso di sperare.
Incapace di sentirlo parlare in questo modo, gli sollevo delicatamente il mento con due dita ed aspetto che riapra esitante quei grandi occhi blu di cui mi sono innamorato.
‘Posso, invece.’
Mormoro dolcemente, affidandogli il mio giuramento.
Non lo perderò, non più, mai più.
‘Tornerò, Bilbo. Dovessi metterci mille secoli, tornerò da te.’
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Reincarnation AU-Bagginshield
Genere: Angst, Romantico, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Altri, Bilbo, Thorin Scudodiquercia
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 3 – Calore
 
 
Anche quando non ci sei, io mi giro a cercarti.
-Grey’s Anatomy
 
 
 
“Tu. Cosa credevi di fare?”
 
“Thorin, io . . .”
 
La voce forte e roca dell’uomo che mi sta davanti mi ferisce come una lama affilata, e mi ritrovo costretto ad abbassare lo sguardo, incapace di sostenere quel vuoto che mi sembra di scorgere nei suoi occhi color del ghiaccio.
 
“Non ti avevo detto che saresti stato un peso? Che non saresti sopravvissuto alle Terre Selvagge? Che non c'è posto per te tra noi?”
 
Continua a parlare, avvicinandosi impercettibilmente a me, incurante del gelo che le sue parole mi insinuano dentro, ma quando improvvisamente il suo tono cambia mi ritrovo ad alzare stupito lo sguardo, prima di venir stretto dalle sue braccia forti e stranamente calde.
 
“ Non mi sono mai sbagliato tanto in vita mia.”
 
Sussurra, e dentro di me quel gelo svanisce, per essere sostituito dall’incredulità, dal sollievo, dalla felicità.
 
Mi ritrovo a rispondere quasi timidamente all’abbraccio, e posso sentire addosso a me il suo calore, quel calore che mi accende un fuoco dentro di cui, lo sento, non riuscirò a liberarmi nemmeno dopo la morte.
 
 
“Th-Thorin . . .”
 
 
“Dovresti dormire, mastro Baggins.”
 
Nel sentire quella voce sobbalzo appena, e quando mi volto incontro lo sguardo profondo ed insondabile di un uomo dai lunghi capelli color della notte, quello sguardo che ogni volta mi fa tremare il cuore.
 
“Si, l-lo so, ma ecco, io..”
 
Non so cosa rispondere e resto in silenzio, mentre mi strofino le mani livide l’una contro l’altra, nel vano tentativo di alleviare un po’ il freddo pungente che mi impedisce di chiudere occhio.
 
Lui mi scruta per qualche secondo, si avvicina a me e, inaspettatamente, si sfila la pesante pelliccia di cui non si priva mai e me la poggia sulle spalle, in un gesto inaspettato e dolce.
 
Sollevo lo sguardo su di lui, confuso, le guance improvvisamente rosse, e nei suoi occhi vedo chiaramente lo stesso fuoco che ormai da tempo mi brucia dentro.
 
“Non voglio che il mio scassinatore si riduca a un ghiacciolo tremante.”
 
Spiega, ma nella sua voce c’è qualcosa di trattenuto, e tremo impercettibilmente nel sentire quelle parole lasciare le sue labbra.
 
Il mio scassinatore.
 
“Vedi di riposare, domani ci attende una lunga giornata.”
 
Mi dice con un piccolo sorriso, mentre mi sfiora delicatamente una mano con le dita, e poi se ne va, silenziosamente come è arrivato, lasciandomi avvolto in quel mantello che sa di lui.
 
Mi stringo nella pelliccia, chiudendo gli occhi e perdendomi nel calore che emana, il cuore stretto teneramente in una morsa tutta sua.
 
 
 
‘Tornerò da te, amore mio. Te lo prometto.’
 
 
“No, ti prego, no . . .”
 
 
Stringo disperatamente quel corpo sempre più freddo tra le mie braccia, come se volessi donargli io stesso il calore di cui ha bisogno per continuare ad esistere, anche se dentro di me so che è tutto inutile, e continuo a chiamare, a chiamare il mio re, ad invocarlo, a pregarlo.
 
“Non lasciarmi! Ti prego, non lasciarmi!”
 
Ormai non può più sentirmi, eppure continuo a pregare, trattenendo con testarda ostinazione il dolore, che però diventa sempre più forte man mano che scende la neve sul mondo e sulla mia anima.
 
“Le aquile, vedi? Le aquile stanno arrivando. Thorin, io . . .”
 
Nascondo il volto nel petto ormai silenzioso e scoppio in lacrime silenziose, mentre il fuoco che ho dentro, divenuto ghiacciato, annulla tutto il resto.
 
“Io . .  io ti .  . . ”
 
 
Spalanco gli occhi e mi metto a sedere, la mano stretta a pungo sopra il cuore, come se mi facesse male.
Resto a fissare il vuoto per qualche istante, le immagini di quel sogno così dannatamente vivido impresse a fuoco nei miei occhi, fino a quando un lungo, prolungato suono, probabilmente la causa del mio improvviso risveglio, mi fa saltare in piedi.
 
“Driiiing!”
 
“Arrivo, arrivo!” esclamo, mentre nella foga di andare ad aprire inciampo nel tavolino ed impreco tra me e me.
Saltellando sull’unico piede sano e tenendomi quello dolorante, attraverso il soggiorno ed arrivo alla porta d’ingresso, che apro con un grugnito esasperato.
Due limpidi occhi azzurri mi scrutano divertiti.
“Brutto momento?” chiede una voce profonda e divertita, arricciando un angolo della bocca.
“Solo un tavolino dispettoso.” rispondo, passandomi una mano tra i capelli con una smorfia “Entra pure, Gandalf.”.
Il mio amico sorride ed si infila dentro fischiettando sommessamente.
Una volta arrivati in salotto, si accomoda sulla vecchia poltrona verde muschio di mio padre, mentre io mi lascio cadere nuovamente sul divano sotto il suo sguardo attento.
“Hai una brutta cera, mio caro Bilbo.” osserva, aggrottando le sopraciglia cespugliose.
Faccio un segno di diniego “E’ solo un po’ di stanchezza.” mormoro, cercando di liquidare in fretta la faccenda. Non mi va di parlare anche con lui di ciò che mi sta accadendo, non con Bofur che praticamente insiste a discuterne un giorno si e l’altro pure.
“Un po’?” ripete il vecchio “Sembra che tu stia per svenire da un momento all’altro, e quel pallore e quelle occhiaie non aiutano certamente.”.
Stringo le labbra, infastidito da quelle osservazioni, anche se vere “Sono sotto stress per il nuovo libro.” ammetto infine, sperando così di zittirlo “E ho difficoltà a dormire, ma oltre a questo non è niente, davvero.”.
“Uhm.” non sembra molto convinto, ma qualcosa nel mio sguardo lo convince a lasciare stare e così si china a prendere un foglio accartocciato per terra “Stavi lavorando?” domanda incuriosito, lisciando la carta ed osservando i segni incomprensibili scarabocchiati sopra.
“Ci stavo provando.” lancio uno sguardo scoraggiato al portatile poggiato sul pavimento e alla marea di fogli e penne che quasi lo nascondono “Ma il sonno arretrato non aiuta.”.
Un sorrisetto sbieco gli si forma sul volto rugoso “Immagino. Comunque non demoralizzarti, da una di queste pennichelle fuori programma potrebbe nascere qualcosa.”.
“Stile ‘Lo strano caso del dottor Jekyll e mister Hyde’, intendi?” scuoto appena la testa “Dubito di poter essere così fortunato. E poi, servirebbe un sogno davvero straordinario per essere trasformato in una buona storia degna di essere pubblicata da ‘la Montagna e il Drago’.”.
Lo psichiatra si allunga per prendere un altro foglio, caduto poco prima dal divano “Andiamo, sappiamo entrambi che sei la punta di diamante di quella casa editrice. Sono certo che . . .”
Improvvisamente si interrompe e spalanca gli occhi, mentre un’ombra scura scende sul suo viso gioviale.
“Cosa c’è?” chiedo, osservandolo sorpreso e sporgendomi verso di lui.
Il vecchio alza lo sguardo e nei suoi occhi, improvvisamente seri. “Cos’è questo?” domanda, porgendomi il foglio.
Lo osservo e per un attimo mi sento sprofondare.
Su quel foglio c’è scritta una sola parola, un solo nome, ripetuto all’infinito.
Thorin.
“Non . . .” mi inumidisco le labbra, improvvisamente incerto “ . . . non è niente. Devo averlo scritto prima, soprapensiero, senza rendermene conto.“.
Il suo sguardo è così serio da farmi quasi indietreggiare “E perché l’avresti scritto?”.
“Io . . . non lo so. E’ solo un nome che ricorre spesso, nei miei sogni, e mi è uscito così.”
Per un momento mi sembra quasi che sia impallidito, ma poi, quando riprende a parlare, il suo tono è fermo e deciso “E da quanto tempo continui a fare questi sogni, Bilbo?”.
Esito, il respiro bloccato in gola “Tre mesi e mezzo.” mormoro infine “Ogni volta che mi addormento.”
Le sue pupille si allargano dallo stupore “E perché non me lo hai detto prima?!” esclama, gli occhi che mandano lampi. Per un attimo, la stanza diventa un po’ più scura, come se il timido sole di aprile fosse scomparso.
“Perché non ne vedevo e non ne vedo neanche adesso l’importanza!” ribatto, stanco di quel tono e di quella specie di interrogatorio “Sono solo sogni, Gandalf, ok? Forti, e travolgenti, e a tratti così dolorosi da farmi male, ma sono solo sogni. Solo sogni. E questa non è una delle tue sedute da strizzacervelli, quindi, di grazia, smettila! Smettila!”.
Quasi senza accorgermene, mi ritrovo in piedi, a urlare contro la persona che più mi ha aiutato in questi lunghi anni di amicizia e che è sempre, sempre stata dalla mia parte.
Mi accascio sul divano, coprendomi il viso con una mano e sentendo il rimorso pungermi forte il cuore.
“Scusami, Gandalf.” sussurro, la voce spenta “Io . . . è una cosa di cui non mi va di parlare. Cioè, prima forse di più, ma adesso . . . non posso, semplicemente. E’qualcosa . . . che devo tenere per me, in qualche strano modo. Scusa.”.
Gandalf sospira, un sospiro piccolo eppure pesante, che sa di cose non dette e di passato “Non devi scusarti, ragazzo mio. Hai ragione, ho esagerato un po’.” Mi scruta, i grandi occhi limpidi che mostrano tutto il peso dei suoi anni e delle sue preoccupazioni “Voglio solo aiutarti, tutto qua. Dopotutto, ho promesso a tua madre di prendermi cura di te.”
Le mie labbra si piegano in un piccolo, impercettibile sorriso “Lo so. Ma dovresti sapere che non sono più un ragazzino, Gandalf. So badare a me stesso.”.
Lui annuisce, silenziosamente “Purtroppo, a volte ho difficoltà a ricordarmelo. Un classico e fastidioso problema dei vecchi malinconici come me, suppongo.”.
Sollevo appena un sopraciglio “Malinconico, tu?”.
“Non sai quanti ricordi si porta dietro questo vecchio cuore.” mi dice, indicandosi il petto “Molti dei quali non proprio dolcissimi. Dopo tanti anni, iniziano a pesare, sai?”.
Mi sorride con dolcezza e si alza, stringendo con forza il suo vecchio e malandato bastone da passeggio “E’ ora che io vada, ho un paziente tra mezz’ora.”.
A quelle parole, mi sbatto una mano sulla fronte “Cielo, la riunione con Balin di mezzogiorno!” esclamo, saltando in piedi e controllando l’orologio “Me n’ero completamente dimenticato.”.
Gandalf scuote lievemente la testa, divertito “Cosa mai ci metterai in quella tua testolina per dimenticarti sempre tutto, io non l’ho ancora capito.” borbotta, mentre lo accompagno alla porta “Meglio che fili a prepararti. Non credo che il tuo editore, per quanto affezionato, sia molto propenso a perdonare un tuo ennesimo ritardo.”.
Prima di uscire, il mio amico si volta verso di me un’ultima volta, lo sguardo serio come poco fa “Se mai sentissi bisogno di parlare, comunque, ricordati che puoi contare su di me.”.
Non ho nemmeno modo di rispondergli che lui si allontana, il naso per aria e il bastone stretto tra le mani come una spada.
 
 
.o0O0o.
 
 
Il sorriso di Balin è gentile come al solito quando mi fa segno di sedermi di fronte a lui, ma comunque non mi sento a mio agio e mi passo distrattamente una mano tra i capelli, come a volerlo nascondere.
Borbotto una parvenza di saluto e lui mi sorride, offrendomi una tazza di caffè –macchiato, con tre zollette, come ogni venerdì da quindici anni a questa parte-.
“Hai l’aria sciupata.” commenta, osservandomi con un sopraciglio alzato mentre rigiro con un cucchiaino la bevanda “Stai bene?”.
Annuisco, cercando di sembrare più tranquillo di quanto io sia in realtà “Solo un po’ di stanchezza.” spiego, utilizzando la stessa mezza verità rifilata poco prima a Galdalf.
Il volto del mio editori si scurisce “Dovresti riposare un po’, ragazzo.” commenta con fare paterno “Saranno settimane che quelle brutte occhiaie ti circondano gli occhi. Ormai stanno diventando così scure da farti sembrare quasi un panda.”
Fingo un sorriso divertito e sorseggio il caffé, per poi poggiare la tazzina sul tavolo “Recupererò presto, non si preoccupi.”.
I suoi occhi gentili mi scrutano seri “Lo spero davvero.” mormora, il tono cupo “L’unica persona che ho visto in uno stato simile al tuo è mio cugino, e questo non è affatto un bene, da’ retta a me.”.
Qualcosa, in quelle parole, mi fa sobbalzare, e dentro di me è come se sentissi un campanello di allarme.
Improvvisamente, un paio di occhi color del ghiaccio mi riempiono la mente.
“Suo cugino?” domando, e devo concentrami per non farmi tremare la voce.
Balin annuisce, stringendo con forza le labbra “Si, mio cugino più giovane. E’ tornato un paio di mesi fa, più o meno, da un lungo servizio in Afghanistan.”.
Abbassa lo sguardo, come se avesse detto troppo, e prima che possa aggiungere qualcosa lo risolleva ed esclama “Ma tornando a noi, come procede con il nuovo manoscritto?”.
Mi ci vuole qualche istante per ricollegarmi con il mondo reale e tornare nell’ufficio del mio editore, ma quando ci riesco mi limito a stringere con forza le mani in una morsa e a scuotere la testa “Sono ancora bloccato.” mormoro, con voce strozzata “Cioè, ho in mente un paio di idee, ma non riesco proprio a svilupparle, né a metterle su carta.”.
Lui annuisce, come se se lo aspettasse “Capisco.”.
Mi affretto a continuare a parlare, agitandomi man mano che le parole mi escono dalle labbra, quasi dotate di volontà propria “Ho provato alcuni dei classici trucchi, sa, rileggere vecchi libri, tirare fuori vecchie bozze, spunti abbandonati o racconti di infanzia, giocare con proverbi e poesie, roba così, e sono certo che presto riuscirò a portarle almeno le brutte di qualcosa, per vedere se, ecco . . .”
“Bilbo, calmati.” mi fa dolcemente, sporgendosi verso di me “Va bene così. Sta tranquillo. So che per te è difficile da accettare, ma è normale che tu abbia un periodo di blocco. Succede a tutti, sai? Dopotutto, scrivi senza mai alcuna interruzione da tanti anni. Un paio di mesi senza ispirazione cosa vuoi che siano nella lunga vita di uno scrittore abile come te?”
“Io non sono mai stato senza scrivere, Balin.” sbotto “E sono già passati quasi quattro mesi . . .”
“Quattro mesi che ti hanno ridotto a un rottame.” mi interrompe lui “Ascoltami, ragazzo: stai prendendo questa cosa troppo seriamente. Ti stai auto-distruggendo. Fermati per un po’. Metti via penna e computer e per qualche tempo pensa solo a riposarti. Lascia la città, magari, e vai in vacanza da qualche parte. Dimenticati delle parole e vedrai che saranno le parole a cercare te. Meno ci penserai, e prima l’ispirazione tornerà. Lascia stare la scrittura, e vedrai che sarà la scrittura a cercare te. D’accordo?”
“Io . . .” esito, il cuore che urla a quelle parole che, seppur gentili, mi stanno uccidendo dentro.
Balin si alza e mi si avvicina, posandomi affettuosamente una mano su una spalla “Non te lo dico solo come editore, ragazzo, ma come tuo amico. Riposati. Prenditi il tuo tempo. Sono certo che, prima di quanto immaginiamo, sarai qui con un altro splendido romanzo tra le mani. Anzi, con il tuo capolavoro.”.
Ci sono così tanta fiducia ed affetto che non posso far altro che annuire e alzarmi dalla sedia, per venir guidato con gentilezza fuori dall’ufficio, mentre dentro di me ho come la terribile paura che questo segni la fine di qualcosa.
Quando, con un ultimo sorriso, Balin mi saluta e ritorna dentro, io resto lì, in mezzo a quel corridoio che tante volte ho attraversato, pieno di sogni, di speranze e di storie, negli ultimi anni, a fissare il nulla.
 
Ed è in quel momento che mi sento trafiggere da uno sguardo affilato e freddo, eppure in qualche modo terribilmente familiare.
Mi volto improvvisamente verso le scale, con il cuore che batte forte, e per un attimo mi sembra di scorgere un viso severo e bellissimo ed un paio di occhi color del ghiaccio fissi nei miei.
Sbatto velocemente le palpebre, il respiro bloccato in gola, e quando riapro gli occhi al loro posto ritrovo solo il vuoto.
 
Mi porto una mano al cuore, mentre avverto quello stesso calore e quel fuoco che tanto mi tormentano ardermi dentro con la stessa intensità dei miei sogni.
 
La mia mente vola a una frase che, in questi lunghi mesi, ho sentito tante volte nel sonno, pronunciata da quella voce lontana a cui tanto vorrei dare un proprietario.
 
‘Tornerò da te, amore mio. Te lo prometto.’
 
Qualcosa, dentro di me, mi dice che, qualsiasi cosa stia per accadere, ho smesso di aspettare.


 
  
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