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Autore: KALINKA89    16/07/2015    0 recensioni
Il grande rapporto di amicizia-amore tra Yeul e Noel. Il loro primo incontro durante l'infanzia. Il ritrovamento dopo 6 anni... Problemi e tragedie di vita reale e quotidiana. La grande forza dell'amore eterno che può arrivare a tutto quando è sincero e vigoroso. Giacchè, come suol dire Noel: “Sono convinto che uno vero eroe debba dire e pensare: Dallo spirito riecheggia la forma delle cose, è lo spirito che da forma non la forma che contiene lo spirito. Questa è la mia via”.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti
Note: Cross-over, OOC, Otherverse | Avvertimenti: Incompiuta
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CAPITOLO 3- La telefonata improvvisa


 Le settimane successive furono come un salto nel vuoto con un paracadute perfettamente funzionante, che però mi rifiutavo di usare. La scuola, mia madre, mio fratello Artis, i miei amici: mi stavano tutti
intorno perché potessi aggrapparmi a loro, ma l’unica cosa che mi spingeva a uscire di casa ogni giorno era il proposito di poter rivedere Yeul prima o poi.
Mi trascinai, irriguardoso alla lezione di Matematica, cercando di capire perché diavolo continuassi ad andare a scuola. Era l’ultimo dannato posto in cui volevo essere. I corridoi erano sempre pieni di gente e tuttavia mi sembravano vuoti. Senza Yeul la vita non aveva più senso.
Avevo un aspetto orrendo, tra l’altro. Ia mia guancia sinistra era bluastra e livida e avevo un taglio sotto l’occhio, a causa di una parapiglia con i bulli della scuola. Un vero putiferio. Stavo difendendo Serah, la ragazza di Snow, in sua assenza. Avevo promesso a Snow che quando lui non c’era mi sarei preso cura io di lei. Come se non bastasse, quella mattina mi ero trangugiato mezzo panettone, perché non riuscivo a non pensare a Yeul.
Non avevo idea di quale terribile impulso distruttivo si fosse affacciato nella mia mente, ma in quel momento mi sembrava che avesse senso.
 
“Noel, avvicinati alla cattedra, prego”, mi ordinò il professor Raines, notando immancabilmente il mio ritardo. Erano tutti già seduti, e io deglutii rumorosamente e mi fermai a guardarlo. Raines aveva un aspetto severo e autoritario. Sapevo che non avevo scampo in nessun caso. Avrei dovuto incassare il colpo e la predica.
Raines non sembrava particolarmente scomodo, tuttavia non riuscii a nascondere l’espressione incresciosa che di sicuro mi si era imbellettata in volto.
“Mi perdoni signor Raines, non capiterà più”, mi scusai con il volto abbassato verso il pavimento, mentre lui scribacchiava e imbrattava il registro di classe.
Sbuffai agognante, ben capendo che cosa significava una nota sul registro.
Infine Raines prese una penna e me la porse. “Non essere irresponsabile. Vai dalla preside”, mi disse, battendo poi il palmo della mano sulla cattedra per destare il silenzio della classe in evidente agitazione.
Incassai il colpo, considerando che è sempre vero che al cattivo lavoratore ogni attrezzo da dolore.
“Non me lo farò ripetere due volte!”, lo istigai, fissandolo intensamente negli occhi come un assassino che ha trovato la sua vittima.
Alcuni studenti, miei colleghi di classe, si sbellicarono dalle risate bisbigliando e sghignazzando mentre Raines mi fissò con occhi ben serrati avendo accolto la sfida, si alzò e proruppe fragorosamente “Mi ha sentito? Vada dalla preside … Subito!”.
 
Come si dice? Non si può mai stare in pace, a chi vuol riposare conviene travagliare.
 
Mi persuasi a non rispondergli, spalancai la porta dell’aula, curandomi di richiuderla lentamente dopo essere uscito.
“Snow!”, sentii gridare Raines, e voltandomi vidi che anche Snow era uscito dall’aula.
“Ho le mie cose, signor Raines, c’è il mar rosso in agitazione qui sotto”, disse, con aria divertita. “Non starò via a lungo”.
A quel punto si udì nettamente una clamorosa risata provenire dall’aula.
Snow non era freddo e per i fatti suoi come me. Era un tipo estroverso, coraggioso, anche se devo convenire, un po’ ciarlatano.
“Ehi, piccolo eroe!”. Mi corse dietro e con il pollice indicò la direzione opposta. “La preside sta di là”.
Chiusi gli occhi e accennai un sorriso peno di spavalderia.
“Bene, bene”. Si batté un pugno sul petto, come a volersi convincere che non era un problema far arrabbiare il professor Raines. Ma gli era davvero passato per la testa che potessi andare dalla preside, per cosa poi? Assorbirmi un predicozzo o una strigliata lunga e insopportabile come la fame.
 
“Quindi dove siamo diretti?” disse Snow con marcato entusiasmo.
“Che importa? E se ti dicessi nel mio garage per riparare l’autovettura?”.
“Hai un’auto? Grande, ragazzaccio! E com’è?”.
“E’ una Lamborghini gialla come la senape che andremo prima a metterci in un panino al prosciutto perché sto morendo di fame!”
Mi squillò il telefono, ma abbassai la suoneria. Nessun disturbo durante il “lavoro”.
Sorrisi, immaginandomi Yeul piangere per me, semplicemente perché mi piaceva il suo dolore.
Quando Snow andò in garage, in modo che potessimo mangiare mentre lavoravamo, mi rifugiai immediatamente nel lavoro più duro e stancante: Fare il meccanico.
 
“Tieni la torcia puntata sul motore”, intimai a Snow.
Lui si infilò sotto il vano motore mentre io cercavo di svitare le candele. “Fai piano”, si lamentò lui. “Se non stai attento rischi di romperle”.
Mi bloccai e strinsi la presa sulla chiave inglese, fissandolo con uno sguardo torvo. “Credi che non lo sappia?”.
Abbassai gli occhi, scossi il capo ed esercitai ancora più forza sulla candela. Quando la sentii rompersi, rimasi di sasso.
“Porco il mondo …”, grugnii, lanciando sotto il cofano la chiave inglese, che sparì in mezzo a tutto quel casino.
Mi appoggiai alla carrozzeria della macchina. “Dammi la pinza”.
Snow si chinò sul tavolo da lavoro alle sue spalle. ”Non me lo farò ripetere due volte!”, mi fece il verso, mentre mi porgeva l’attrezzo con il quale avrei dovuto recuperare la candela.
“Stai andando a fondo, amico!”, mi gridò Snow d’improvviso. “Non vai più a lezione, mandi tutti a quel paese, fai sempre a botte con qualsiasi bullo ti capiti a tiro, e ci sono tagli e lividi a dimostrarlo”.
“E’ per proteggere la tua Serah che mi sono ridotto così. Almeno apprezza il gesto”.
“Già … se quei bastardi mi capitano sotto tiro, gli faccio fare il giro del mondo in 80 giorni a suon di calci! “  borbottò tra se Snow evidentemente adirato. “Basta non voglio più pensarci”, sbottò. Le sue parole rimbombavano nella stanza. Quella che aveva detto era la
pura e semplice verità, ma io non volevo affrontarla.
 
Mi sembrava tutto sbagliato.
 
Avevo fame, ma non di cibo. Volevo ridere, ma non c’era niente che mi divertisse. Tutto ciò che mi emozionava era Yeul, un tempo come adesso mi faceva battere il cuore come un cavallo scosso, impazzito.
Mi sentivo intrappolato in una lanterna luminosa, ma senza poterne uscire più. Soffocato da tutto ciò che desideravo ma senza più
aria.
 
“Tornerà tra otto mesi”. La voce pacata di Snow si insinuò tra i miei pensieri e mi ci volle un momento prima di rendermi conto che stava parlando di Yeul.
 
Scossi il capo.
No.
Non avevo bisogno di quella ragazza.
 
Afferrai la chiave inglese e raddrizzai la schiena, pronto a rificcargli in bocca quelle parole. Il suo sguardo si posò sulla mia mano destra, quella in cui stringevo l’arnese, poi di nuovo sul mio volto.
 
 “Quindi?”, mi sfidò. “Cosa pensi di fare Noel? Vuoi colpirmi? Ma sappi che a chi ha paura non basta l’armatura”.
La suoneria del mio telefono, che prese a vibrarmi in tasca, ci interruppe. Presi il cellulare, continuando a fissare Snow.
“Chi parla?”, sbottai.
“N-Noel…”, disse una voce debole e flebile. Sembrava quella di una donna. Non accennavo a calmarmi.
“Chi sei? Rispondimi”, dissi preoccupato per quel tono di voce sofferente che udivo al di là del ricevitore.
“N-Noel…”, biascicò lei. “Noel, s-sono io … Yeul”. Un fulmine mi colpì a ciel sereno, per sbaglio riattaccai la chiamata…
Strinsi il telefono in mano, come se volessi romperlo.
Guardai Snow scuotere la testa e sollevare le mani al cielo in un gesto di sconfortata rassegnazione e gettare sul tavolo da lavoro la pezza che aveva in mano
“Era Yeul. E lui cosa fa? Appende al tram quella povera ragazza. Mah!”.
“Oddio … Che ho fatto …”, borbottai, e ricomposi il numero di Yeul riportato tra le chiamate ricevute.
Se davvero c’era qualcuno che aveva bisogno di me, era Yeul. L’ansia si impadronì della mia testa. Sembrava essere sofferente. Il cuore mi batteva mille. La chiamata nel ricevitore bussava ma non rispondeva nessuno. Dopo pochi secondi …
“Pronto … Noel?”, la voce di Yeul era priva di vigore e il suo timbro sembrava quello di una persona morente. Cercai di mantenere la calma. Deglutii. Poi dissi : “Eccomi. Mi dispiace per prima”.
Dall’altra parte del trasmettitore ci fu una breve pausa di silenzio. Un tempo che sembrava interminabile. La mia mano, quella che tratteneva il ricevitore all’orecchio, iniziò a tremare.
“Noel. Sono scappata di casa. Ho denunciato gli abusi di mio padre Caius. Sono stata affidata a una casa famiglia”.
 
 In quel momento capii che per Yeul, io, era tutto ciò che aveva.
 
“Puoi venirmi a prendere?” singhiozzò la ragazza supplicando Noel.
 
Certo che potevo! E subito!
Ma non con la macchina in quelle condizioni. Comunque, forse potevamo prendere quella di Snow. “Dove sei?”, le chiesi impaziente e parecchio scosso.
“I-in ospedale, Noel. Sono in ospedale”.
   
 
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