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Autore: JeanGenie    21/01/2009    11 recensioni
C'è chi pensa che l'unico posto adatto al Joker sia una cella imbottita in fondo all'Arkham Asylum. La dottoressa Harleen Quinzel non è della stessa opinione.
Rigorosamente ispirata al Nolan-verse. Prima pubblicazione: 15 Agosto 2008.
(ON LINE L'ULTIMO CAPITOLO E L'EPILOGO)
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Harley Quinn aka Harleen Quinzel, Joker aka Jack Napier, Quasi tutti
Note: Movieverse | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
Capitoli:
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Intermezzo n°3


"Senso Civico"











Where do we go, nobody knows
I've gotta say I'm on my way down
God give me style and give me grace
God put a smile upon my face

Where do we go to draw the line
I've gotta say, I wasted all your time, oh honey honey
Where do I go to fall from grace
God put a smile upon your face


(Coldplay, God put a smile upon your face)

Nella vita di ciascuno esistono dei segreti, scheletri nell'armadio piccoli e grandi che, una volta saltati fuori con il loro ghigno e le orbite vuote, sporcano irrimediabilmente la facciata immacolata di chi li ha nascosti accuratamente fino a quel momento. I mesi passati con il fantoccio David Lepeskow a tacitare le autorità circa il caso Crane non li ha ancora dimenticati. C'è voluta una grande abilità per far riacquistare all'istituto la propria immagine. E ancora adesso deve leggere sul Gotham Times articoli acidi che inneggiano alla chiusura. Incompetenti e pericolosi, sono gli aggettivi che vengono usati più spesso per riferirsi ai membri dello staff.
Jeremiah Arkham, in quasi sessant'anni, ha imparato due cose sulla popolazione che infesta il manicomio intitolato alla sua trisavola. I pazzi non nascondono segreti ma semplicemente proteggono il loro mondo. I sani, invece, mentono consapevolmente. Tutti. Lui è in cima alla lista dei mendaci. È solo più abile degli altri e supportato da complici discreti.
A volte Joan gli dice che dovrebbero smettere di fingere, che dieci anni di relazione clandestina sono troppi anche per una persona paziente come lei e che sarebbe tempo di congedare sua moglie e cominciare a vivere il loro rapporto alla luce del sole.
Jeremiah Arkham, in quelle occasioni, si sente particolarmente vigliacco. Non gli piace l'idea di mescolare i suoi due spazi privati. Non dopo tutta la cura che ci ha messo per mantenere intatto il proprio piccolo regno felice.
Non gli piace dare nomi altisonanti e poetici a quello che sente per Joan. C'è un coinvolgimento affettivo. C'è una forte attrazione. C'è il piacere della sua compagnia. A volte ha il sospetto che quegli elementi siano solo la scusante per giustificare la propria storia con una donna di vent'anni più giovane, con la pelle color cioccolata, il corpo morbido e pieno e una sensualità vivace. Ma la cosa finisce per importargli molto poco. Si tratta di meccaniche che restano un'incognita anche per quelli che fanno il loro mestiere. Se lo ripete osservando i nastri che riportano le immagini della cella d'isolamento.
Finora si è semplicemente affidato al proprio intuito e ha dovuto leggere tra le righe degli asettici resoconti di Harleen Quinzel, alla ricerca di conferme ai propri sospetti. Ora, nell'ultima videocassetta, etichettata come JHQ13, Jeremiah Arkham ha visto premiata la propria pazienza. Il modo in cui i due soggetti si cercano con gli occhi, i loro gesti, quel legame palpabile e oscenamente aggraziato, come lo strisciare di un serpente velenoso, stanno lì a dimostrarlo.
Jeremiah Arkham nutre ancora dei sensi di colpa ma stanno sbiadendo con il trascorrere dei giorni, man mano che il desiderio di osservare, capire e approfondire quel caso straordinario cresce.
Tranquilla, piccola Quinzel. Non succederà nulla di male a nessuno di noi.
Non permetterà alla ragazza di spingersi troppo oltre. Capirà quando sarà venuto il momento di frenarla, di toglierle il suo mostruoso innamorato. Ma ora può lasciarla procedere a briglia sciolta. Perché sa che lei, il giorno in cui è diventata un inconsapevole soggetto di studio non meno del suo paziente, ha avuto perfettamente ragione. A lei il Joker non farebbe mai del male.
È di nuovo, come sempre, quell'eterno processo che porta due persone a volersi, che sfugge ad ogni logica che non sia quella dei feromoni e che porta il sopravvalutato nome di amore.

È pazzo.
Harleen Quinzel se lo è ripetuto, osservandolo mentre si accaniva sulla cartina topografica di Gotham.
Un segno rosso, uno ancora, l'uno sull'altro, freneticamente, lo sguardo febbrile, la bocca dischiusa in un ghigno feroce.
È un genio, pensa invece mentre lui le porge il capolavoro finito, con il respiro affannoso e la fronte bagnata di sudore.
Detonatore, bomba, detonatore, bomba, detonatore…
Dozzine di linee rette che attraversano e mutilano la città da un capo all'alto. Una gigantesca polveriera.
"Sei serio?" gli chiede tentando di controllare il tremito delle proprie mani.
"Mai" le risponde Mr. J con una gioia folle sul viso. "Divertiti, Harley. È tutta tua. Te la regalo. Un boom di qua e un boom di là. Quando vuoi tu. Un boom sotto la sedia di chi vuoi tu."
Harleen si lascia cadere sul divano. È strano vedere lui alla sua scrivania e se stessa al posto occupato solitamente dai pazienti. Ma non è quello il punto focale. Il groviglio di rette la ipnotizza. Per far saltare il municipio basta andare a prendere il detonatore nascosto tra la 13 e la Kennedy. Per dire definitivamente ciao ciao al Fashion District basta fare un giro a Nightingale Street. C'è una miccia che attende di essere accesa in ogni punto di Gotham, e nessuno se ne è reso conto. Per ogni carica di esplosivo scovata dalla polizia ce ne sono altre dieci che non verranno trovate.
È così che ci tengono al sicuro, i tutori dell'ordine?
Le sembra logico, adesso. Possibile che nessuno l'abbia capito? Lui non avrebbe avuto il tempo materiale per minare il Gotham General subito dopo aver visto la faccia da impiegatucolo di Coleman Reese apparire in tv, dichiarando al mondo di conoscere l'identità segreta di Batman. Così come le cariche dovevano essere già a portata di traghetto perché il suo simpatico giochino al porto potesse essere organizzato così in fretta.
Oh, sei davvero favoloso, Mr. J…
"Quanto… quanto ti ci è voluto per organizzare questa… cosa? E perché me lo stai dicendo?"
Quante volte gli ha già fatto quella domanda? Ad ogni segreto svelato. Solo che questo è davvero troppo grande.
"E perché no?" le risponde lui. "Puoi scegliere, adesso. Andare alla polizia e raccontare a Gordon e compagni questa storia. Io non ho nulla da perdere. Certo, ci vorranno anni per rimettere in piedi la scenografia, ma il tempo non mi manca. Oppure puoi ringraziarmi per il regalo che ti ho fatto e cominciare a divertirti sul serio. Il momento dell'esplosione è elettrizzante, te lo assicuro. Ti sembra di creare e distruggere l'universo nello stesso istante."
Che poeta… Nessun uomo ha mai fatto una cosa simile per lei. Ok, nessun uomo ha mai fatto una cosa simile, e basta.
Ha finito di ingoiare bocconi amari per colpa di Markus e di quelli della sua razza. Se sapessero… Può fare di loro ciò che vuole, adesso. E non le importa sapere che ogni sera si addormenta con dodici barili di perossido di azoto collocati a meno di duecento metri da casa sua. Sono i piccoli inconvenienti del mestiere di braccio destro di un genio del crimine.
"Non ti arrabbiare, ma io non credo di avere il coraggio di farlo… voglio dire… ci sarebbero delle vittime… e io non voglio uccidere nessuno. A parte Odin Markus. E Jason Woodrue. E Cindy Walker. Ti ho parlato di Cindy Walker? Una sgualdrina. In terza liceo ha convinto Dennis Trapton ad andare al ballo con lei dopo che lo aveva già chiesto a me e…"
"Harley."
"Scusa."
Ormai sa quando è il caso di tacere. Un attimo prima che lui perda la calma. O che finga di perdere la calma. Lei sa che Mr. J non si infuria mai davvero con lei. E la cosa è reciproca.
Perché le è tornata in mente Cindy Walker? È passata una vita. Sta pensando troppo al liceo, ultimamente. Da quando ha fatto quello stranissimo sogno sul ragazzo dai capelli lunghi e dal sorriso fulminante.
Io lo so che eri tu. Puoi negare finché vuoi, ma io lo so.
Errore. Mr. J non ha mai negato davvero. Mr. J ha solo ignorato le sue insinuazioni in proposito.
E anche se fosse lui, perché dovrebbe ricordarsene?
Quel pensiero la intristisce. Dimenticarsi di lei…
"È un regalo. Fanne ciò che vuoi. Finché resto qui dentro, di certo non posso spassarmela io. E se sei troppo delicatina per divertimenti simili è solo un tuo problema."
Sì, ha ragione.
Ora fra le sue mani ha davvero il potere di diventare come lui. L'invincibilità latente. Sta a lei decidere. È questo che significa sentirsi liberi? Si alza e lo abbraccia con forza. Lo sente irrigidirsi istintivamente, ma non allenta la presa. Su certe cose il dottore non transige. E il dottore ha deciso che il paziente ha bisogno di un'abbondante dose di calore umano.

Harleen Quinzel. È lei ciò che ci vuole. Jacob Columbine lo ripete ad Arthur Walsh annuendo con entusiasmo.
Quella chiamata ad ore antelucane gli ha fatto piacere, ma al tempo stesso gli ha messo addosso una certa agitazione. Fare l'agente letterario di certo non fa entrare nelle sue tasche fiumi di denaro. Men che meno è fonte di profitto lavorare per la Columbine Press e il suo ingordo proprietario.
È sempre un problema di tirature e vendite. Mai di puro talento. Arthur Walsh spesso rimpiange l'idealismo a cui ha dovuto rinunciare. E prevedeva già che anche la sua cliente strizzacervelli presto ci avrebbe sbattuto il delizioso faccino.
Si è messa in testa di fare sul serio, la Quinzel. Basta manuali per casalinghe frustrate. Finalmente un bel tomo su serial killer e altri soggetti per teenager dall'aria cattiva. Arthur ha atteso per mesi che arrivasse una chiamata di Columbine, seguita dall'urlo: "Non se ne fa niente! La moda degli assassini è passata!"
Invece il boss lo ha invitato a casa sua a colazione, gli ha offerto caffè e meringhe e ha cominciato a farsi aria con una copia di "Io sono ok. Tu sei ok. È lui quello strano" della sua cliente, in edizione paperback. Non che ne siano uscite edizioni di altro tipo, del resto. Ma Columbine conosce la parola magica.
"Sovraccoperta, Walsh. Edizione di lusso da libreria. Di quelle con il titolo bello grosso in copertina. Che finiscono in vetrina. Ordina alla signorina Quinzel di smetterla con qualunque cosa stia scrivendo e di portarmi un bel testo sul Joker, pieno di dettagli macabri. Voglio il primo capitolo entro una settimana. Le farà un contratto che le farà uscire le stelle dagli occhi se mi consegna la storia del Joker in esclusiva. Ti rendi conto che tutta Gotham ha il nome di questa gallinella sulle labbra e noi siamo ancora qui a perdere tempo?"
Se l'immagine di Harleen Quinzel con gli occhi luccicanti lo rallegra immediatamente, ancora di più contribuisce a renderlo felice il suono immaginario di un registratore di cassa che gli riempie le orecchie. La sua protetta non è un talento letterario; la trova superficiale e approssimativa nel mettere insieme le frasi. Ma è proprio per questo che i suoi libri vendono. I suoi lettori, soprattutto lettrici, possono tenere a riposo il cervello e al tempo stesso arrivare alla parola fine convinti di avere letto qualcosa di estremamente profondo. Quindi lei non fa parte del gruppo sparuto di scrittori che fanno sentire Arthur Walsh ancora abbastanza fiero del proprio lavoro, tanto da non farlo sprofondare nella depressione. Ma Arthur Walsh ha moglie e un infante in arrivo. E 'Joker' a Gotham ultimamente è sinonimo di soldi a palate.
"La chiamiamo subito!" risponde a Columbine con un sorriso a trentadue denti.

"L'ufficio del procuratore sta facendo indagini sul suo conto. Sembra che vogliano accusarla di negligenza e presentare un'istanza contro di lei il giorno della delibera. Ma non si preoccupi. La signorina Ducard ha già dato la propria disponibilità a fare in modo che lei venga assistita e, da parte nostra, possiamo assicurarle che non troveranno appigli. La sentenza è già scritta, mi creda. Riabilitazione tramite cure cliniche. È praticamente fatta."
Harleen si passa ancora un po' di fondotinta sullo zigomo sinistro.
Preoccuparsi? La telefonata di Wayland per informarla su come sta andando quel dannato processo le è scivolata addosso. L'idea di non avere ancora chiuso con tribunali e avvocati le provoca solo un pesantissimo senso di noia.
Io l'ufficio del procuratore posso ridurlo a una cascata di tizzoni fumanti, se voglio. Altro che queste ciance inutili.
"Ahi."
Deve ricordarsi di andarci piano con la punta delle dita. Mr. J non è stato affatto delicato nell'allontanarla. Lo odia quando la colpisce in faccia. Eppure lo sa che poi lei per coprire i segni sarà costretta a truccarsi come… un clown? Già, qualcosa di simile.
Poche storie. È solo un piccolissimo livido. Ne è valsa la pena. Mi piace da matti quando finge di non voler essere toccato…
"Ti diverti a trattarmi come il tuo punching ball?" gli ha chiesto mostrandosi arrabbiata più di quanto non fosse.
"Devo pur fare un po' di moto. A stare chiuso quei dentro a fare niente rischio l'atrofia. Puoi venire a darmi un bacio, adesso."
Gli ha detto di no e ne va molto fiera. Adora l'espressione del suo viso quando si accorge che non potrà averla vinta. Un bambino confuso. Adorabile.
Atrofia. Io un'idea o due su come tenerti in esercizio ce l'avrei.
Harleen si allontana dallo specchio. Nessuno si accorgerà di nulla.
Oso, non oso, oso…
Tentare qualcosa di più di quelle smancerie da ragazzini prepuberi. Perché non dovrebbe? Ha pur sempre a che fare con un giovane maschio adulto in perfetta forma, atrofia o meno. E quel continuo tirare il sasso e nascondere la mano la sta esasperando.
No, non posso. Se ci beccano è la fine. Questa volta sul serio. E un ufficio non è certo il posto più discreto del mondo. Fa tanto film porno. Soprattutto dal momento che tutti sembrano volersi fare i fatti nostri.
Non c'è soluzione, almeno per il momento. La loro vera luna di miele potrà cominciare solo quando lui sarà libero.
Ma non ho nemmeno iniziato a curarlo. Io non voglio curarlo. Io lo voglio così com'è. E non c'è stata ancora una sentenza. Quindi non posso farlo dimettere nemmeno volendo e anche dopo la decisione del giudice, di fronte a una commissione, la fandonia di una sua perfetta riabilitazione non reggerebbe.
La vita a volte è davvero complicata. Che cosa deve fare una ragazza innamorata per poter trascorrere una notte con l'uomo dei suoi sogni? Chissà perché le gira sempre la testa. Che ci sia qualcosa che non va a livello neurale? Non è così impreparata da non capire che il suo stato psichico attuale ha più buchi di una grattugia. Lo stress fa davvero dei brutti scherzi.
Sì, lo so. Avrei bisogno di una vacanza. Ma non posso lasciarlo solo. Non con un'intera città che ce l'ha con lui. Si sentirebbe abbandonato senza di me. Me lo ha detto. Ha bisogno che io ci sia.
Quel pensiero la commuove. Sapeva che sarebbe riuscita a lasciarsi aprire una porticina nel suo io più segreto e fragile. L'ha saputo da subito. Ma quello che sta succedendo tra loro va oltre ogni sua aspettativa. "Tra un po' mi dirà che vuole portarselo a casa…" le ha detto Arkham pensando di fare dell'ironia. Vecchio scemo. Prima o poi verrà anche quel momento.
Quando il suo telefono squilla, risponde con la voce di una ragazzina sognante, ma la nuvola rosa su cui sta galleggiando si dissolve quando riconosce la voce del suo agente. Il capitolo finale. È in ritardo di due settimane con la consegna. E da quando c'è Mr. J non ha più scritto nemmeno una riga, nonostante i suoi propositi iniziali di chiudere proprio trattando di lui. Tenta qualche debole scusa prima che Arthur inizi a parlare di penali e scemenze simili. Ma lui la spiazza, bloccandola.
"Lascia perdere, Harleen. Cestina tutto. Sono da Columbine. È qui con me. Vuole che tu gli scriva un libro sul Joker. Tutto sul Joker. Per il contratto possiamo vederci già stasera."
Un libro su Mr. J? Ci aveva pensato, certo. Poi, come tante altre cose, anche quell'idea è fuggita via. D'altra parte sarebbe un peccato non fermare su carta l'esperienza straordinaria che sta vivendo. Che stanno vivendo. Dovrà parlargliene. Ne sarà entusiasta.
O no?
Metà dei guadagni andranno a lui. Le sembra corretto.
"Che bella idea, Arthur. Comincerò a lavorarci immediatamente."
Ha ancora mezz'ora di tempo. Avrebbe voluto impiegarla per concedersi un Caffè Kaboom sulla via per i Narrows. Ma le prudono le dita per la voglia di scrivere subito. Saluta Walsh e gli dà l'appuntamento per le nove. Poi accende il pc e seleziona un nuovo file di testo. Ce l'ha. Titolo, struttura, capitoli. Tutto è chiaro nella sua mente.
Centratura, corpo 16, Gothic Bold.



Psicopatici assassini e donne che li amano troppo

di
dr. Harleen Quinzel



Perfetto. Sa da dove cominciare. Dal giorno in cui è stato portato ad Arkham e si sono incontrati. Ovvio. Verrà fuori un lavoro splendido. Sentito.
Il telefono la distrae di nuovo. Harleen salva il documento e risponde.
"Dottoressa Quinzel? Mi chiamo Cecily Wallace. Lavoro per Gotham Tonight."

Su una cosa in quella sala riunioni sono tutti d'accordo: Mike Engel era uno stronzo. Tirannico con i truccatori e i sarti, supponente con i collaboratori, ruffiano con i superiori. Ma era pure sempre "Mike Engel di Gotham Tonight".
Lydia Filangeri è stufa di sentirsi in colpa per essere 'la giornalista ancora viva'. Non è a causa sua se Mike ha deciso di andare al Gotham General il giorno dell'esplosione. E non è neanche a causa sua se Mike si è fatto ammazzare dal Joker. Ma è venuto il momento di spremere ciò che resta della sua memoria fino all'ultima goccia, come un limone in un bicchiere.
Uno special in prima serata sul processo al Joker. Con un bel primo piano di Mike sullo sfondo con qualche frase ad effetto del tipo "Il colpevole pagherà?".
Ormai è certo che, vada come vada, il giudice McLean concederà all'imputato l'infermità mentale. Per questo è il momento giusto per un dibattito che lasci dei caduti sul campo. Accusa, difesa, qualcuno della polizia, qualche parente delle vittime, un paio di esperti strizzacervelli, qualche sopravvissuto, due giornalisti della carta stampata. E la psichiatra. Il direttore di rete su quel punto non vuole sentire ragioni. Gli è piaciuta quella bambolina dal momento in cui ha risposto alla stampa fuori dal tribunale, quando sono state fatte insinuazioni circa i suoi rapporti col… paziente.
"È telegenica, è giovane, è carina" insiste Joseph Leary. "Ed è al centro di un bel po' di pettegolezzi piccanti. Gli indici d'ascolto andranno alle stelle."
Lydia dà di gomito a Shirley Williams, seduta vicino a lei. A volte è dura essere donne ed essere in minoranza. Se dipendesse da lei, la Quinzel andrebbe massacrata con domande tendenziose e cattive.
Ma è telegenica e… cos'altro?... giovane e carina, quindi va trattata con i guanti.
"Perché non le offre una rubrica settimanale per risolvere i problemi di cuore delle fanciulle di Gotham?" ironizza.
Quello sarebbe il posto adatto a quella tipetta dall'aria frivola, e non certo l'Arkham Asylum ad occuparsi del criminale dell'anno.
"Li avete letti i suoi libri?" rincara la dose Shirley. "Ma dove l'ha preso il dottorato, su internet?"
Lydia la ringrazia mentalmente per il supporto, ma gli sguardi dei loro colleghi uomini, pieni di compatimento, e i loro sorrisi di circostanza, gridano una sola cosa: "Donne invidiose, com'era prevedibile."
Sospira rassegnata. Non ha nulla da invidiare a quella tizia con una seconda scarsa, la faccia da bimbetta e la necessità di andare in giro sui trampoli per non essere calpestata.
"Allora è deciso" chiude il discorso Leary. "La lista degli ospiti in studio c'è. Li voglio tutti. E andateci giù pesante, ragazzi. Voglio che questa puntata resti negli annali."
Oh, contaci, si ripromette Lydia. La massacrerò. È una promessa.

"Sono codini, quelli?" le chiede Joan Leland affiancandola nel corridoio.
L'umore di Harleen Quinzel è talmente alto che quando le sorride è perfino sincera. "No. Le mie orecchie hanno subito una mutazione durante la notte."
Codini. Sono pratici e non la fanno sentire un fossile. Che male c'è? È sicura che a Mr. J piaceranno.
"Mi sembri allegra, stamattina. È successo qualcosa di bello?"
Harleen si chiede se quell'interessamento sia sincero. Joan si accorge immediatamente del suo sguardo sospettoso.
"È che sembravi un cane bastonato fino a qualche giorno fa. I tuoi sbalzi d'umore saltano all'occhio." Harleen allunga le braccia stiracchiandosi.
"Dipenderà dal fatto che faccio poco sesso. Il mio paziente non collabora e il mio sistema nervoso ne risente."
È vero, fino a due giorni prima era con il morale a tappeto. Ma adesso va tutto benissimo. Lui ha ragione. È inutile rimuginare e sbraitare contro il mondo. I problemi bisogna triturarli, sminuzzarli, ridurli in poltiglia e poi dimenticarsene.
"Te la sei legata al dito, vedo. Ok, forse ho esagerato. Scusa. Va bene così?"
Joan si fa dannatamente seria e ad Harleen ci vuole un attimo per capire cosa stia cianciando. Poi riesce a tirare le somme. Le sue insinuazioni su lei e Mr. J… Forse non è il caso di dirle che un attimo prima era serissima. Che il suo paziente la sta davvero facendo uscire di testa per la smania che prova di gettarglisi addosso.
"Perdonata" le risponde con un sorrisetto.
Perché davvero non spariscono tutti? Meglio andare d'accordo con la nuova responsabile del personale, no? Quella mattina sarebbe disposta ad abbracciare il suo peggior nemico.
Io a Gotham Tonight…
Deve comprare un vestito nuovo. Qualcosa di molto chic. A truccarla ci penseranno loro. Spera di non emozionarsi. In fondo non può essere peggio di una gara di quelle importanti. Non ci sono avversarie e deve solo parlare. Ha bisogno di qualche buon consiglio e solo lui può dargliene.
Aspetta nel proprio studio controllando a stento l'impazienza. Dieci minuti. Possibile che non glielo portino mai in anticipo?
Quando infine il suo tesoro arriva, deve resistere alla tentazione di saltargli al collo fino a quando non restano soli. Poi, senza neppure salutarlo, gli racconta del libro e soprattutto della sua futura presenza a Gotham Tonight. E non si sorprende affatto nel vederlo concederle non più di una smorfia.
"Speculi su di me, Harley? Ingorda, schiava e fautrice del sistema."
"Smettila" gli risponde sorridendo. "Mi sono anche fermata in pasticceria per prendere dei dolcetti. Così festeggiamo."
Le piace occuparsi del suo vitto. La robaccia che rifilano ai pazienti non è certo da ristorante francese. E le mette tristezza il pensiero che, per ragioni di sicurezza, gli sia impedito anche di usare le posate di plastica. Quindi, ogni volta che può gli prepara da mangiare e lo imbocca con le sue mani. Non è ancora così pazza da mettergli in mano una forchetta.
"E che cosa racconterai a quella gentaglia, Harley? Che cosa dirai di me?"
C'è una vena di sospetto nella sua voce. Forse è davvero preoccupato. Come se io potessi anche solo pensare lontanamente di nuocerti…
"Ovvio. Che sei fuori di testa. E che la decisione del giudice McLean di riconoscerti l'infermità mentale mi sembra sacrosanta. Mi terrò per me quanto tu sia meraviglioso, se non ti spiace."
"Me… ra… vi… glio… so…" sussurra lui come se soppesasse ogni sillaba, lasciandosi cadere sul divano e porgendo i polsi verso di lei. Harleen non ha bisogno che gli dica nulla. Lo raggiunge e gli libera le mani. Ormai è un rituale fisso. Il dubbio di stare comportandosi come la sua schiava devota ogni tanto la sfiora. E le piace. Non riesce a spiegarsene il motivo, ma le piace.
"Meraviglioso…" ripete lui, perso nei propri pensieri a lei inaccessibili.
Che cosa gli passa per la testa? Un brivido le percorre la schiena mettendola in allarme.
"Puoi venire a darmi un bacio ora, ti ho detto. Tu hai detto no. Hai detto no. Ci sto pensando da un bel po' ad Harley che dice no. E ora Harley mi definisce meraviglioso. Harley non ha capito come vanno le cose. Harley non ha capito che deve cancellare immediatamente la parola 'no' dal suo vocabolario."
Se l'è presa? Dovrebbe dirgli che stava scherzando. Che non ha mai pensato davvero di respingerlo. Dio, è in piena adorazione e lui si fa venire quel genere di dubbio?
"Mr. J, non intendevo…"
"Non interrompermi!"
Harleen arretra. La voce. Quella che le fa davvero paura. Il grido di un animale feroce. Odia sentirlo. Odia sentirsi in pericolo.
"Perché mi fissi in quel modo? Perché mi fissi?"
Domande senza senso. Le ha agguantato la faccia. Non riuscirebbe a distogliere lo sguardo nemmeno volendo. E non vuole.
"Meraviglioso, Harley…"
L'impatto con il pavimento ormai per lei sta diventando una consuetudine. È così che è cominciato tutto. Lui le pesa addosso fissandola negli occhi.
"Cosa vede di meraviglioso sul volto di un clown che non sa smettere di ridere, questo tenero e perfetto fiore sbocciato sul marciume di Gotham? Una menzogna. Dimmi quanto è vero questo amore, Harley. Convincimi e forse ti lascerò vivere abbastanza a lungo da avere i tuoi quindici minuti di gloria. Ma smetti di guardarmi."
Non sa dire cosa gli sia preso, adesso. Ma si sente triste. Non ha paura. Non teme che possa farle del male. Prova solo un'ondata di malinconia.
"Non posso. Non ci riesco."
Gli sorride debolmente. Convincerlo? E di cosa?
"Non farei altro che guardarti."
Solleva la testa quel tanto che basta per sfiorare con le labbra la cicatrice che gli deturpa la guancia sinistra, la più ampia e profonda. No, non lo vorrebbe diverso.
"Non vuoi proprio dirmi cosa ti è successo?" tenta di nuovo.
Ha il vago, vaghissimo sospetto che in proposito abbia mentito anche al suo avvocato.
Lui ignora la domanda. Come sempre. Prende fra le dita una ciocca dei suoi capelli e la guarda come si guarderebbe uno strano animale esotico. "Le tue orecchie hanno subito una mutazione durante la notte."
Una risata sorda le sale dallo stomaco. Meraviglioso, meraviglioso, meraviglioso… Dimmelo una sola volta…
"Dovresti smetterla di sbattermi per terra come una valigia. Sono tutta ammaccata."
Non aveva mai visto il soffitto del proprio ufficio da quella prospettiva. C'è una crepa dovuta all'umidità. Dovrà farlo presente agli addetti alla manutenzione.
Dimmelo…
"E tu dovresti smetterla con quell'espressione da 'Ti prego, prendi il mio utero'."
Mi…
Ancora un attimo e poi torneranno fingere di essere un medico e il suo paziente. Il momento di mettersi a nudo sta per finire. Anche quello è un rituale che conosce benissimo. E anche quel giorno sta per perdere l'occasione di chiederglielo.
... ami?
Venderebbe l'anima per sentirglielo dire una volta soltanto. Ma non succederà. E lei dovrà farne a meno. Accontentarsi di saperlo comunque. Perché lei lo sa, lo sente e non ha dubbi.
Mi ami.
"Sono stanca. Posso alzarmi, adesso?"
Quasi spera in una risposta negativa. Se chiude gli occhi può perfino dimenticarsi di dove si trova.
"Solo se mi fai avere una tv. Voglio vedere come te la caverai nel corrotto mondo dello show business."
Tutto per te. Tutto.
Desidera davvero vederla o cerca solo l'ennesima celebrazione del proprio ego? Non le importa. Perché loro sono la stessa cosa, ormai. Il fatto che lui si diverta a torturarla in quel modo, a farsi desiderare fino a farla uscire di testa, è la prova lampante che in realtà non sta giocando. Se la stesse semplicemente usando non avrebbe perso tempo. Così non è.
Hai paura di me, Mr. J. Di quello che provi. Di quello che potresti provare ancora. Hai paura di perdere un po' della tua forza attraverso di me, vero?
Ha senso. Ne ha fin troppo. Ma la logica in quel frangente è un peso inutile e fastidioso. Harleen sorride tra sé.
È questo che prova che mi ami. Il fatto che tu stia fuggendo da me. Sai che se diventassi davvero il mio uomo, poi saremmo in due.
La chiave di lettura più semplice per impedirgli di allontanarla… Quello è il suo territorio. E lui è solo un prigioniero, un internato che non conosce le regole.
Mi stai mentendo, mostrandomi una forza che non hai.
Quel viso segnato da una vita in equilibrio precario è ancora chino su di lei in attesa di una risposta affermativa. Ma lei sceglie il silenzio. Non teme la sua reazione quando fa scivolare la mano all'interno di quegli orribili pantaloni rossi che lo uniformano agli altri pazzi, maniaci e assassini che popolano l'edificio, oltre le mura protette del suo studio. Potrebbe infuriarsi, farle male sul serio, perfino ucciderla. È un rischio che vale la pena correre.
Tiene gli occhi fissi nei suoi in una muta sfida.
Niente regole, giusto? Neppure le tue…
Non sorride, il suo clown, mentre le sue carezze si trasformano in movimenti decisi e sicuri che gli impediscono di nascondersi dietro una maschera di indifferenza.
Esattamente…
L'espressione sul suo viso lo trasforma in un uomo come tanti. Lei non ha dubbi circa il fatto che dopo, in qualche modo, gliela farà pagare. Ma intanto il suo respiro che si trasforma in un rantolo, i suoi capelli più in disordine del solito, il suo viso congestionato e il modo in cui dischiude le labbra segnano la sua vittoria prima che lui si arrenda del tutto crollandole addosso.
Con un movimento secco le fa voltare la testa schiacciandole metà della faccia contro il pavimento.
"Dilettante…." le sussurra all'orecchio. "Goffa… maldestra… a tratti perfino fastidiosa…"
Sì… certo…
Fazzoletti di carta. È la cosa di cui hanno un urgente bisogno tutti e due. Fortunatamente ne ha un pacchetto in borsa.
"Riprovaci e quelle mani te le taglio…"
Sì. Certo.
Harleen sorride, nonostante le sue minacce. Quella battaglia l'ha vinta lei. Ma è disposta a concedergli la guerra.
"Per la tv… vedrò cosa si può fare. Lo vuoi ancora, quel bacio?"

Paulo Morales ha saputo fin dalla notte del suo arrivo ad Arkham che quel tizio gli avrebbe rovinato la vita. Con lui ha violato la prima regola di ogni sorvegliante. Mai avere paura dei pazienti. Il Joker gli fa venire i brividi e non riesce a nasconderlo. Non è solo un pazzo assassino. Probabilmente non è affatto pazzo. Ma è comunque qualcosa di diverso. Quando era piccolo c'era un film che sua madre amava in modo particolare. C'era Liza Minnelli che cantava in un locale a Berlino, prima della Seconda Guerra Mondiale. Non che lui capisse molto della trama, a quei tempi. Ma una cosa non l'ha mai dimenticata: il tizio con il viso truccato che faceva dei numeri musicali con la protagonista. Non che quel tale facesse qualcosa di male, a parte ammiccare in modo ambiguo alla cinepresa. Ma Paulo la notte non riusciva a dormire immaginando la sua faccia che lo scrutava nel buio. La definizione che userebbe oggi è 'luciferino'. Con il tempo ha imparato a ridere di quell'esperienza e a considerare il buon Joel Grey solo uno straordinario artista.
Solo che il Joker gli fa provare di nuovo le sensazioni di quel bambino spaventato che nel buio sentiva risuonare l'ossessiva canzone dell'uomo truccato.
… moneymoneymoneymoneymoneymoneymoney…
E finalmente ha capito che, a spasso per questa terra, ci sono veramente uomini che sanno come farti male e colpirti in modo da non permetterti di rialzarti. Lui è uno di quelli.
"Morales Paulo. Fratello maggiore di Morales Daniel… o sbaglio?"
Nel momento esatto in cui il clown ha fatto il nome di suo fratello, Paulo ha capito di essersi cacciato nei guai e di avere trascinato con sé tutta la sua famiglia. Non si è illuso nemmeno per un attimo che il fatto di essere rinchiuso ad Arkham avrebbe impedito a quel maniaco spietato di arrivare fino a Daniel. Una testa calda, Daniel. Che finisce in un brutto giro e poi tenta di tirarsene fuori facendo una soffiata alla polizia in cambio di protezione. Una storia sentita dozzine di volte a Gotham City e non solo. Di minacce ne sono arrivate di continuo. Ma il Joker non ha avuto bisogno di minacciare nessuno. Gli è bastato che facesse il nome di suo fratello perché le gambe di Paulo Morales si mettessero a tremare. Poi è arrivata la sua risata.
"Questo non interferirà nei nostri rapporti lavorativi. No, no, Paulo. L'idea di impedirti di comportarti da bravo sorvegliante, ligio al dovere, non mi sfiora neppure. Colpisci quanto vuoi, Paulo. Mi riprendo in fretta."
Lui non l'ha bevuta nemmeno per un attimo e non si è sorpreso neppure un po' quando quel tizio ha cominciato a chiedergli educatamente dei piccoli ed innocui favori. Innocui, appunto. Non ha potuto fare a meno di accontentarlo, ripetendosi che lo faceva per Daniel, che in fondo quelle piccole richieste non avrebbero nuociuto a nessuno, che questo non avrebbe influito in alcun modo sul suo lavoro e, soprattutto, che stabilire un buon rapporto con lui gli avrebbe impedito di fare la fine del dottor Connor o di quell'idiota di Ian.
Eppure gliel'avevo detto di non provocarlo inutilmente, maledizione…
Solo che adesso il suo caro amico Joker ha esagerato. E con il benestare della dottoressa Quinzel.
Paulo Morales ha rimuginato a lungo prima di decidersi ad andare a parlare con il dottor Arkham. Sa bene che se il suo tacito contratto con il paziente saltasse fuori ci rimetterebbe il posto e rischierebbe di finire sotto inchiesta, ma sarebbe peggio per lui agire di propria iniziativa. Quindi ha preferito vuotare il sacco con il suo capo circa l'ultima, geniale trovata del caso clinico del secolo e della sua psichiatra personale.
"Ok" risponde Arkham dopo avere riflettuto per non più di trenta secondi.
Paulo Morales per un attimo si illude di avere sentito male. "Prego?"
"Mi hai sentito, Paulo" ribadisce sospirando. "Esclusa l'ipotesi di concedergli una serata di relax nella sala ricreativa con gli altri ospiti, a meno che non vogliamo passare i prossimi mesi a ripulire il sangue dalle pareti, se il nostro caro paziente ci tiene a vedere il suo medico in tv, la soluzione di un quattordici pollici mi sembra la più sensata. A distanza di sicurezza dalla cella. E ovviamente lui non dovrà arrivare a metterci le mani sopra. Informa pure il signor Joker che verrò di persona a tenergli compagnia durante la serata."
Ok, adesso le ho viste tutte.
L'unica cosa che Paulo Morales riesce a pensare è che la pazzia sia sul serio contagiosa e non solo per un abusato luogo comune. Dopotutto, che gli Arkham non siano proprio una stirpe di persone equilibrate lo dice la storia. O forse il Joker ha in mano qualcosa per ricattare anche il padrone di quella casa degli orrori? Neppure questo lo stupirebbe.
Sta per chiedere se dovrà provvedere anche al popcorn e alla birra per quella seratina tra uomini ma poi cambia idea. Non è da furbi usare il sarcasmo con chi scuce lo stipendio.
"Come vuole. All'apparecchio provvede lei, vero?" conclude desiderando chiudere quella faccenda in fretta e dimenticarsi di tutte le stranezze dell'Arkham Asylum almeno fino al giorno successivo.

Il rutilante mondo delle star televisive visto da vicino non scintilla affatto. I camerini sono piccoli e vanno condivisi, per arrivare dai truccatori c'è una fila che neppure il giorno dei saldi ai grandi magazzini, il pranzo al sacco fornito dalla redazione è peggio di quello della mensa di Arkham e le quinte assomigliano a un cantiere.
L'unica cosa buona è che al bar servono un Caffè Kaboom eccezionale, perfino migliore di quello dell'Apollo's. Ne ha preso uno triplo. Con quadrupla dose di zucchero e panna, granella e caramello in dosi massicce. Una goduria infinita. Forse se ne concederà un altro prima di ritentare con la zona parrucchieri.
"Sapevo che doveva esistere da qualche parte."
Harleen si volta verso l'uomo che le è appena arrivato alle spalle. Riconoscerebbe quella voce tra mille.
"Prego?" chiede mostrando indifferenza.
Jack Ryder è molto carino di persona, anche se a vederlo da vicino si capisce che il suo look trasandato in realtà è studiatissimo. Il reporter ribelle, la spina nel fianco dei potenti, il giornalista delle inchieste scomode. E sta tentando di rimorchiare lei.
"Il Caffè Kaboom. Sapevo che doveva esistere da qualche parte una donna in grado di apprezzarlo fregandosene delle calorie." Jack Ryder ha un sorriso smagliante e l'aria di chi sa il fatto suo.
"Se è per quello, stavo pensando di fare il bis."
È il caso di chiedergli un autografo? Forse no. Non vuole essere scambiata per una groupie.
"Jack Ryder" le dice l'uomo porgendole la mano.
"Lo so" gli risponde Harleen stringendogliela. "Harleen Quinzel."
"La psichiatra del Joker" conclude lui. E capisce subito che a portarlo lì non è stato affatto quel caffè ipercalorico e questo le fa perdere immediatamente il sorriso.
"Non credevo di essere tanto famosa" gli fa notare con una punta di sarcasmo.
Lui non sembra affatto in imbarazzo. "Lo sei, credimi. La gente è sempre smaniosa di portare alla ribalta una bella donna, per qualunque motivo lo faccia. Probabilmente, se il Joker fosse stato affidato alle cure di un tranquillo signore di mezza età la cosa non avrebbe destato scalpore."
Harleen sospira seccata. L'intera città sembra avere sviluppato il vizio di guardare dal buco della serratura. Ma lei non può proprio protestare ormai. Non dopo avere accettato di scrivere di Mr. J. Com'è che l'ha definita? Ingorda, schiava e fautrice del sistema.
"Non ho intenzione di posare per il paginone centrale di Playboy" dichiara. Le è passata la voglia di un altro caffè.
Jack Ryder ridacchia. "Pudore, femminismo o un fidanzato geloso?"
"Tutti e tre. Posso fare qualcosa per te, Jack Ryder, giornalista socialmente impegnato?" gli chiede sorridendo in modo amabile. Non concederà altre interviste senza il benestare di Mr. J. Dopo tutto è lui il motivo per cui tutti vogliono parlare con lei.
Grandioso. È davvero un sole capace di far brillare anche me.
"Due cose ci sarebbero, a dirla tutta. Il tuo numero di telefono e farmi ottenere da Jeremiah Arkham il permesso di entrare con le telecamere nella vostra struttura. Dopo il disastro dei Narrows non siamo riusciti a fare luce su eventuali pecche circa l'inchiesta che ne è seguita. Ora vorrei davvero vedere con i miei occhi e far vedere anche al pubblico come vi siete rimessi in piedi. Sarebbe una buona cosa anche per voi."
Certo. Aiutarti a ficcare il naso, come se non bastassero gli editoriali al veleno che ce l'hanno con noi…
Forse può comunque trovare un accordo con quel ragazzo tanto sicuro di sé. Un accordo che regali a lui una nuova inchiesta e a lei una soddisfacente rivincita.
"Vedrò cosa posso fare. Per l'Asylum intendo. Per l'appuntamento, come hai detto anche tu, ho un fidanzato geloso. Dimmi, Ryder, se ti facessi un nome e ti dessi un luogo riusciresti a partire da lì per scoprire qualcosa di molto losco e molto segreto?"
È bello vedere il modo immediato in cui l'interesse si risveglia sul suo viso.
"Parla" le dice con un sorriso scaltro che lei ricambia subito.
"Il professor Jason Woodrue. Università di Gotham. Dipartimento di botanica."

"La ricezione."
Kurt Kaminski non è noto per la sua pazienza. Jeremiah Arkham l'ha assunto anche per questo. Quindi non si stupisce nel vederlo digrignare i denti mentre sistema l'antenna del televisore di fronte alla cella del Joker.
"La. Ricezione. Fa pena. Voglio vedere il mio medico in tv, non immaginarmela. Datti da fare, Kaminski. Sei pagato per questo."
Arkham ammira l'autocontrollo inaspettato del nuovo acquisto. Il suo compare, Roger Tills, chiude la porta dopo averlo fatto entrare. Ha inizio quell'interessante serata. L'ordine tassativo è di non aprire la cella del paziente per nessun motivo. Non deve avere la possibilità di mettere le mani sull'apparecchio televisivo. Conoscendo i precedenti, potrebbe usarlo per farli saltare tutti in aria.
"Problemi?" chiede alla guardia costretta al ruolo di tecnico.
"Sì. È lui il problema. Gli spieghi lei che non può avere uno schermo panoramico con tanto di poltrona. E che sto facendo il possibile."
Una scena grottesca. Se non avesse uno scopo ben preciso, Jeremiah Arkham farebbe immediatamente in modo di far tacere il paziente ordinando di portare via il televisore. Ma il gioco vale la candela.
Il Joker lo guarda in tralice, con il suo solito sorriso. Ormai lui sente di esserne immune. Entrambi stanno giocando una partita ignorando le motivazioni dell'avversario. Sempre che quel mostro di motivazioni ne abbia.
La fuga. E Harleen Quinzel. Queste sono al momento le sue priorità. Per la prima non ha speranze. Per l'altra se ne può parlare, sempre che mi lasci applicare il metodo scientifico alle sue pulsioni.
"Non è soddisfatto del servizio, signor Joker?" gli dice ricambiando il suo sorriso sarcastico. Poi si fa portare una sedia da Tills. Non guarderà molto lo schermo, quella sera. La faccia del paziente sarà molto più interessante.
Il Joker gli risponde con un borbottio incomprensibile. Lo sta studiando con attenzione e lui lo lascia fare, anche se percepisce un astio sfacciato. Non deve proprio piacergli. Come la maggior parte degli internati probabilmente sta identificando in lui l'artefice di quella prigionia. È un comportamento elementare e comune.
"Dovrebbe essermi grato per questo trattamento speciale, lo sa?" gli fa notare sperando di catturare un pizzico di benevolenza da parte della sua mente alienata.
Ma il Joker si limita a sollevare le spalle. "Grazie mille, dottore. Come posso ricambiare?"
Vedremo, riflette Arkham osservando la foto attaccata alla parete con un pezzo di scotch.
Gli occhi gli stanno giocando un brutto scherzo. Quella maschera rossa e nera con il volto dipinto di bianco non è Harleen Quinzel. Non può essere Harleen Quinzel.
Ecco cosa ti ha passato in quel filmato. La sua fotografia. La sua fotografia truccata da clown.
Un moto di ilarità lo scuote, ma Jeremiah Arkham si costringe a trattenerlo.
"Che c'è, dottore? Non ti piace l'arredamento del mio monolocale?" gli domanda il folle. "Lo so, ci vorrebbe una mano femminile per aiutarmi a tenerlo in ordine ed aggiungere qualche tocco gentile."
Kaminski è finalmente riuscito ad ottenere una ricezione accettabile in tempo per il collegamento in diretta. Arkham congeda lui e Tills. Fra poco avrà tutte le risposte che gli servono. Nessuno ha mai avuto la possibilità di studiare una simile situazione, prima.
Lydia Filangeri se la cava anche meglio di Mike Engel. Ha un garbo che l'arrogante defunto, celebrato con un primo piano sorridente che riempie una parete, non sapeva neppure dove stesse di casa. È con un'espressione di circostanza che fa partire un servizio sull'esplosione al Gotham General che si chiude con il quesito che nessuno ha ancora risolto: chi è il Joker?
Forse stiamo dando a questo individuo troppa importanza, riflette Arkham. Anche perché lui non sembra dolersene affatto.
L'attenzione del paziente si risveglia solo quando il servizio finisce e la Filangeri presenta i suoi ospiti. Harleen Quinzel ha un'aria seria e consapevole.
Quasi da bibliotecaria zitella, riflette Arkham osservando il tailleur avana e il filo di perle al collo. Un abbigliamento che lo riporta indietro al giorno precedente all'arrivo del Joker e che lei ha smesso di usare da un po'. È così che gli piace. È così che sente di poter contare su di lei.
Se non avessi visto quello che ho visto, sarei tentato di crederle.
"Guardala, dottore. Com'è pacata. Com'è perfetta. Così controllata. Così compresa nella parte. È così che la volete. Vi piacerebbe uccidere quel folletto diabolico che si agita dentro di lei. Ma lei non è come voi e tu lo sai bene. Non saresti qui altrimenti. Cosa pensi di poter ottenere da me?"
Quella domanda non lo coglie impreparato. Spesso se l'è sentita rivolgere.
"Risposte."
È sempre così. Harleen Quinzel forse ce le ha, ma non sembra volerle condividere con qualcuno che non sia il suo paziente.
Il suo paziente?
"Certo." Il sorriso sul volto del Joker si fa ancora più beffardo. "Perché non ammetti di essere solo un voyeur con un titolo accademico? Un curioso scienziato che vuole assicurarsi che i due animali rari si riproducano. È questo che vedi quando guardi me e la piccola dottoressa. Un bizzarro caso da infilare sotto un vetrino. Vai matto per noi due, non è vero? Siamo un colpo di fortuna insperato. Per questo me la lasci in consegna nonostante l'idea di abbandonarla da sola in mano mia ti faccia venire la pelle d'oca. Perché speri di poter documentare tutto ciò che succederà da qui in poi. Dimmi, dottore, chi è il mostro fra me e te?"
Si chiama ricerca. Ma cosa vuoi capirne? Prevede dei sacrifici. Ma almeno hanno uno scopo.
È una giustificazione oppure ne è convinto? Jeremiah Arkham non si pone il problema. Di certo sa come controllare la situazione. Non lo spaventa affatto l'idea che il Joker abbia capito che se gli permette di interagire con Harleen Quinzel è solo perché reputa il loro rapporto cerebralmente stimolante.
"Avrai ancora quell'aria di sufficienza, dottore, quando la farò in tanti, tantissimi, minuscoli pezzettini?"
È disturbante il modo in cui quel folle agita le dita e socchiude gli occhi. Si chiede come faccia la Quinzel a sopportare la sua presenza per due ore al giorno.
Domanda stupida. È infatuata di questo scherzo di natura, Dio solo sa il perché.
"Potrei farti recapitare una parte del suo corpo come souvenir. Quale preferisci, dottore? Non darle retta quando dice che non le farei mai del male. È ingenua e innamorata. E quando la ucciderò sarà la tua coscienza a rimordere."
Arkham sente la rabbia montargli dentro. "A che gioco stai giocando, clown? Sai che potrei portartela via subito? È questo che vuoi? Per quale ragione? E soprattutto perché sei così tranquillo? Troppo, per i miei gusti. Qualche sfortunato incidente ma nessuna vittima. Non è da te non avere ancora sgozzato nessuno."
"Sembra quasi che ti dispiaccia. Te l'ho detto. Comincerò con la dottoressa."
Arkham sta per rispondergli ma lui gli fa cenno di tacere.
"Non disturbarmi. Adesso lei parlerà di me. Lasciami ascoltare. Sa essere molto divertente quando la cosa non è volontaria. La cara Miss Filangeri ha appena sbagliato pronunciare il suo nome. Dieci a uno che il mio zuccherino esploderà prima della fine."

Mantenere quel sorriso condiscendente e pacato non è una cosa da poco quando la tentazione di alzarsi e rifilare due schiaffoni a Lydia Filangeri è fortissima. Ha già dovuto resistere alla voglia di andarsene quando si è trovata davanti Odin Markus, invitato in qualità di 'esperto'. Ha fatto buon viso a cattivo gioco e lo ha salutato con tutto il veleno che è stata in grado di infilare nella frase "Congratulazioni per il suo nuovo libro, professore."
È stato piacevole vederlo in imbarazzo. "Spero che questo non costituisca un problema, signorina Quinzel."
"Perché dovrebbe?" gli ha risposto caustica. "Forse perché c'è il mio lavoro, lì dentro? Stia tranquillo. La sua analisi dei concetti di base della mia teoria sulle parafilie più rare è abbastanza incomprensibile. Se avesse saccheggiato i miei appunti, quelle frasi avrebbero avuto un senso logico."
Ha sempre avuto un'aria viscida, il caro professore. Non l'ha scelto forse per quello, ai tempi dell'Università? Harleen sa riconoscere istintivamente un lumacone pronto a qualsiasi cosa pur di infilare la mano sotto la gonna di una studentessa ventenne.
Solo che ho sempre avuto più cervello di te, professore. E presto te ne accorgerai.
"È un ragionamento che non fa una piega" le ha detto lui con un risolino nervoso.
Ma sul serio?
E adesso l'assistente di studio lo ha fatto sedere proprio davanti a lei. Questo la costringerà a sopportare la vista della sua faccia per tutta la sera. E ci mancava anche la giornalista d'assalto che sparge virtualmente al vento le ceneri di Mike Engel.
"Abbiamo con noi la dottoressa Harlene Quinzelle. Buonasera. Lei ha curato la perizia psichiatrica del Joker e si sta occupando tuttora della sua terapia, giusto?"
Un frullio di pensieri maligni balla allegro nella sua testa. Si chiede con quanti pezzi grossi sia andata a letto quell'incapace per trovarsi dove si trova. Si chiede perché porti un rossetto così acceso con quella carnagione olivastra e soprattutto perché non si prenda la briga di documentarsi quel minimo che serve a non aprire bocca e a darle fiato.
"Quinzel" ribatte, e la signorina Filangeri la fissa come se avesse appena recitato una strana formula magica. "Harleen Quinzel, prego."

Quella sera il pasticcio di patate di Barbara era davvero spettacolare. James Gordon l'avrebbe gustato di più se a tavola avessero scambiato qualche parola in più. Una volta le cose andavano meglio. Anche se il suo lavoro l'ha continuamente messo in pericolo, tra lui e sua moglie c'è sempre stata comprensione. Barbara non è mai ricorsa a ricatti morali per fargli cambiare vita. Ha sempre saputo che quella di entrare in polizia per lui è stata una scelta etica. Cosa è cambiato, adesso? Ora che i tutori dell'ordine di Gotham dipendono esclusivamente da lui, Jim Gordon non riesce più a gestire i propri affetti.
"Non esiste proprio la possibilità di tornare a Chicago?" Barbara glielo chiede come se nulla fosse, seduta accanto a lui sul divano, apparentemente concentrata sulla rivista che sta sfogliando. "Gotham non è un buon posto per i ragazzi. Gotham non è un buon posto per nessuno. Mi piacerebbe che non crescessero con l'idea che anche il resto del mondo giri in questo modo pazzesco."
"Perché, non è forse vero?" le chiede pentendosene subito dopo. E di nuovo il silenzio si insinua tra loro.
Non può chiedergli di andare via. Di cedere a quella tentazione. Ci pensa fin troppo spesso e si sente un vigliacco. Ci sono troppe cose alle quali non può voltare le spalle.
"Mi dispiace, Barbara. Possiamo parlarne domani?"
Lei gli risponde con un sospiro mentre Lydia Filangeri, sul loro teleschermo, si destreggia abilmente fra i comprimari del caso Joker. Il vero protagonista è presente solo in fotografia, mentre quelle mosche impazzite ronzano noiosamente, blaterando circa la sua sorte. L'avvocato Wayland ha una sola frase sulle labbra: "non in grado di intendere e di volere." E la dottoressa Quinzel gli tiene il gioco.
"Non sembra neppure lei…" sussurra Jim Gordon di fronte a quella figura elegante e composta. L'Arlecchino pazzo era davvero una maschera? Vorrebbe poterne esserne sicuro. Ma questo non cambierebbe l'essenza delle cose. La maschera e il medico la pensano esattamente allo stesso modo.

"Non è mio compito decidere come questa persona debba essere punita per i crimini commessi. Mi è stato chiesto semplicemente di stabilire se fossimo in presenza di un disturbo psicotico comportamentale. Ho studiato il caso e la risposta è affermativa. Il soggetto soffre di squilibri mentali piuttosto evidenti, delirio di onnipotenza e incapacità di rapportarsi alla realtà. Non sto dicendo che gli atti criminosi commessi dal paziente, spero che mi perdonerà se mi rifiuto di chiamarlo 'Joker', non siano agghiaccianti, né che, nel caso in cui avessi riscontrato una perfetta sanità mentale, non sarei stata la prima ad augurarmi una condanna esemplare. Ma così non è. Qualunque decisione prenderà la corte, mi auspico che il soggetto possa scontare la propria condanna, che reputo più che legittima, lo ripeto, in una struttura adeguata. Questo non vuol dire che tornerà in libertà in tempi brevi. È probabile che non torni in libertà affatto. Ma gli sono necessarie cure adeguate. E un ambiente adatto al suo stato. Il problema, a parer mio, è che l'opinione pubblica pensa che il manicomio criminale di Arkham sia una specie di villaggio vacanze. Le assicuro che non è così."
La dottoressa Quinzel sembra perfettamente a proprio agio. Ma Lydia Filangeri non è un tipo accomodante. Le piace punzecchiare i suoi ospiti. Talia Al Ghul riconosce in lei lo spirito di una creatura disposta a lottare con le unghie e con i denti pur di non concedere un singolo punto all'avversario.
"Che ne pensi, Shiva?" domanda alla propria guardia del corpo che le massaggia i piedi mentre lei si gode lo spettacolo che sta andando in onda sulla GCN. Il televisore a parete ha una definizione eccellente; riesce a vedere i minuscoli tic di ciascuno dei partecipanti al dibattito e a darne la propria interpretazione.
"Di cosa?" le domanda Shiva, gli occhi fissi sulle sue caviglie e le mani decise.
Suo padre gliel'ha messa vicino dieci anni prima. Talia non ha mai pensato di avere bisogno di qualcuno che le guardi le spalle. Ma la sua compagnia le piace. Non parla molto e sembra indifferente allo splendore di quella suite al Gotham Grand. Ma sa ascoltare e sa essere letale quando è necessario.
Si accomoda meglio sul divano rubando una scorza di arancia candita dal vassoio sul tavolo.
"Del motivo per cui siamo qui. E della programmazione di questa sera."
Shiva le lancia un'occhiata tagliente con i suoi occhi neri ed obliqui. "A tuo padre non piacerebbe quello che stai facendo. Il Joker è la negazione di tutti i suoi insegnamenti."
Talia le sorride. "Tu credi?"
Questa volta non è d'accordo con lei.
"Sì, ne abbiamo avuta un'idea precisa quando le vostre porte si sono spalancate durante l'amministrazione Crane" insiste Lydia Filangeri. "Se non sbaglio è stata lei a farlo rilasciare, dottoressa Quinzelle."
"Quinzel. E il termine esatto è 'dimettere'."
La piccola psichiatra bionda per il momento sta vincendo i punti. Talia è soddisfatta.
"Vedi, Shiva, lo scopo di mio padre, durante un suo viaggio in questa città, era causare il crollo di Gotham. Sarebbe stupido da parte mia rinunciare all'arma più potente sul mercato, quella che ha già scatenato una follia tale da gettare questo posto nel caos."
Shiva scuote la testa. "Sei certa di riuscire a controllarlo? Non c'è moneta che possa pagarlo e lo sai."
"Sì che c'è. Io posso offrirgli il più grande divertimento della sua vita. Abbiamo la stessa visione, in fondo. Non siamo gretti come i signori della malavita. Siamo due idealisti."
Lydia Filangeri fugge da un'altra dei suoi ospiti. La madre dell'uomo torturato e ucciso dal Joker nel filmato che continua ad avere accessi record su YouTube. Un tiro mancino per riportare la situazione in parità.
"Quella donna, quella bizzarra strizzacervelli, è un colpo di fortuna insperato. Il nostro problema principale era far uscire il Joker da Arkham. Ci penserà lei. Dobbiamo solo fare in modo che non combini pasticci. È nuova all'affascinante mondo dell'illegalità."
Sì, le profezie di suo padre erano esatte. A Gotham i lupi si sbranano tra loro ad ogni angolo di strada. Ne avrà la prova definitiva quando incontrerà le belve che azzanneranno alla gola Pino Maroni. E a quel punto, mentre una nuova guerra tra clan si scatenerà, Gotham farà il suo dovere e brucerà fino alle fondamenta.
E il clown sarà il mio piccolo, funzionale fiammifero.
"Questo ti metterà contro Bruce Wayne, ci hai pensato? Che cosa farai? Lo accetterai come nemico?"
Shiva non le lascia scampo. Il quadro era troppo roseo. Doveva arrivare la pugnalata e così è stato. Talia chiude gli occhi. Bruce Wayne. L'ammirazione nelle parole di suo padre. E poi la tristezza per il suo tradimento. Frasi sussurrate nel suo orecchio.
"Tu lo riporterai a noi, un giorno, Talia. Gli mostrerai l'errore commesso."
Lei ha accettato. Dovere, si è detta. Bruce Wayne. Adesso è diverso.
"Non lo so, Shiva. Io spero ancora che le cose cambino. Che lui venga con me."
Gli parlerà nel modo giusto. Lo sedurrà di nuovo, se necessario. O lo eliminerà. Ma solo come ultima scelta.

Alfred Pennyworth ha imparato a leggere sul viso di Bruce Wayne come su un libro aperto. A volte si rende conto di conoscere sfaccettature della sua anima che lo stesso signor Bruce ignora. Che si tratti di dolore, preoccupazione o di qualche attimo di serenità, non ha bisogno di parole per coglierli. È un dono innato. Gli succedeva lo stesso con il signor Thomas.
Bruce Wayne non assomiglia a suo padre, se non nel senso profondo di onestà e rettitudine che è l'asse portante del suo essere. Thomas Wayne agiva a viso aperto, in piena luce, con garbo eppure senza vacillare mai. Suo figlio è una creatura forgiata dal buio e dalla sofferenza. Non per questo Alfred lo ama di meno. Il signor Bruce ha bisogno di lui più di quanto non ne avesse suo padre. Perché il signor Bruce necessita di una mano ferma che lo tenga ancorato alla realtà, ricordandogli che il Pipistrello è un'icona e non deve essere altro.
Difficile, quando il mondo del Pipistrello occupa ogni secondo della sua giornata. Alfred Pennyworth vorrebbe strappargli il telecomando e cambiare canale. Sul 7 stanno trasmettendo "Cantando sotto la pioggia". Invece l'ossessione per il Joker continua.
Alfred ignora le chiacchiere di avvocati e psichiatri, continuando a passare il piumino da spolvero sugli scaffali, un'operazione che non farebbe mai di sera se non avesse bisogno di una scusa per tenere d'occhio il proprio datore di lavoro.
"Non mi piace" dice il signor Bruce con il tono che usa quando è preda di una profonda preoccupazione, cosa che gli capita almeno tre volte al giorno.
"Cosa, se posso chiederlo?"
Le risposte che si aspetta sono molteplici. Può avere da ridire su quel genere di trasmissione. O sugli avvocati del clown. O sulla signorina che sta parlando adesso. La psichiatra.
"Lei. Questa specie di medico dei pazzi. Ha detto cose più che giuste. Se non per due piccoli dettagli. Io non credo che il Joker necessiti di cure più di quanto io abbia bisogno di una parrucca bionda. E poi, prima, mentre andava quel filmato sulla rapina alla National Bank, l'hanno inquadrata per un attimo ed ho colto un sorriso compiaciuto che è durato un istante."
"Può darsi che stesse pensando ad altro, signore" gli fa notare Alfred, tentando di cancellare dalla propria mente l'immagine di Bruce Wayne con una cascata di riccioli d'oro.
"Può darsi. Ma credo che la terrò d'occhio" asserisce il signor Bruce con decisione.
Come volevasi dimostrare. Anche se spiare le ragazze rappresenta una bizzarra novità.
"Ha intenzione di uscire, stasera, signore?" gli chiede ben sapendo che la risposta sarà affermativa.

Lydia Filangeri ha quasi finito le munizioni. Fra meno di cinque minuti dovrà chiudere la trasmissione.
Jeremiah Arkham può dirsi più che soddisfatto del comportamento della Quinzel. Ha difeso le proprie posizioni mantenendo una facciata super partes. Poco importa che lui sappia che quell'obiettività è fasulla. E può dirsi soddisfatto anche delle reazioni del Joker. La sua soglia dell'attenzione si è alzata notevolmente durante gli interventi della sua cara dottoressa ed ha raggiunto picchi notevoli durante i servizi che hanno raccontato con tono inorridito le sue imprese.
Senti di esistere solo se hai un riscontro, non è così? È questo che ti piace di lei? Il fatto che ti veneri? Narcisista. Ma in fondo non è così per chiunque? Esistiamo perché gli altri ci percepiscono.
Jeremiah Arkham si dice che non è il momento per ripassare le lezioni di base. Qualcosa sta succedendo al suo prezioso paziente. Il suo sorriso stavolta è di pura gioia.
"Ecco. Ci siamo" dice indicando lo schermo con sguardo euforico.
Lydia Filangeri ha sbagliato di nuovo. "Come asseriva poco fa la dottoressa Harlene Quinzelle…"
Arkham comincia a credere che lo stia facendo di proposito.
"Quinzel. Harleen Quinzel. Proprio non ce la fa, vero? Eppure non è complicato. Provi a sillabarlo!" sibila fra i denti la vittima di quello scempio verbale.
Non le ha mai visto quella scintilla omicida negli occhi. Probabilmente la Filangeri avrà gli incubi per le notti a venire.
"Lo sapevo!" L'entusiasmo del clown esplode. "Non è fantastica quando si infuria? Lo sapevo. Non poteva reggere. Non poteva. Brava, zucchina. Adesso alzati e strangolala con uno dei cavi elettrici!"
Ci mancherebbe anche questa…
Arkham sente rivoli di sudore freddo corrergli lungo la schiena. Fortunatamente i titoli di coda evitano lo scoppiare di una lite in diretta. Ma adesso il problema è un altro. Il Joker non sembra volerne sapere di smettere di ridere in modo isterico. E non è una finta. Per calmarlo ci vorranno dosi massicce di sedativi. Ma in fondo si è comportato bene. Forse ordinerà a Tills e Kaminski di risparmiargli la dose serale di pugni. Forse.

Dopo aver toccato il fondo si deve per forza risalire. Harleen Quinzel comincia ad esserne davvero convinta. A due giorni dalla sua partecipazione a Gotham Tonight, la vita le sembra più luminosa che mai. I giornali hanno scritto che Lydia Filangeri ha fatto rimpiangere il povero Mike Engel. Lei pensa di potersi prendere parte del merito. Non è stato un totale trionfo, ma ci è andata molto vicino. A fregarla sono state le madri in lacrime. C'è poco da fare quando entrano in ballo le genitrici piangenti.
Dopotutto è a quello che mirano i signori del network. Audience. Un bel massacro e qualche parente distrutto dal dolore e il risultato è assicurato.
La cosa non la tange. Ha difeso Mr. J al meglio senza cadere nella trappola della parzialità evidente. Perfino il dottor Arkham le ha fatto dei garbati complimenti. Ma è stata la reazione di Mr. J a metterla di buon umore.
"Discreta" le ha detto. E per lui significa sbilanciarsi fin troppo.
Per festeggiare ha comprato una maglietta con la sua faccia. Ok, un abbozzo della sua faccia. Due macchie nere e un arco rosso e ghignante su fondo bianco.
"Me la metterò per dormire" gli ha annunciato. E Mr. J ha fatto una smorfia di disappunto.
"Mi fai sentire un uomo oggetto. Esperienza nuova ma alquanto sgradevole."
Dio, lo adora. Lui e Arkham hanno visto Gotham Tonight insieme. Le sarebbe piaciuto assistere alla scena. Il capo le ha fatto strane raccomandazioni. Inspiegabilmente ora sembra convinto che Mr. J possa ucciderla da un momento all'altro, chissà perché.
E anche se fosse?
Sarebbe bellissimo. Il coronamento tragico di un amore straordinario. Cosa le sussurrerebbe il suo Joker negli ultimi istanti? Inutile chiederselo, tanto non succederà. Lui non ha nessuna intenzione di nuocerle. L'avrebbe già fatto se si trattasse solo di un gioco o di insofferenza. Forse si occuperà della questione quando lei lo farà fugg… quando lo presenterò davanti a una commissione, dopo averlo istruito a dovere su come apparire guarito, per farlo dimettere.
Sì, quello potrebbe essere un momento a rischio. Una volta uscito da Arkham. Ma è un azzardo che vale la pena tentare.
Potrebbe decidere di tenermi con sé per sempre. Sarebbe magnifico. Farò in modo che lo voglia anche lui.
Lei desidera altro? No. Niente.
È l'unica creatura di Gotham a cui non dispiace lavorare nel weekend, che trova piacevole fare spesa frettolosamente il sabato sera in un supermarket che sta per chiudere e poi passare la serata a guardare la tv, andare a letto presto e poi alzarsi la domenica mattina e tornare al lavoro. E, se le fosse possibile, pianterebbe le tende nel suo studio. O direttamente nella cella di Mr. J. Perché lui le manca in ogni istante in cui sono lontani. Sua madre glielo ha sempre detto.
"Quando sarà quello giusto, lo vedrai arrivare da lontano, Leeny. E ti sembrerà di averlo sempre avuto vicino."
Una volta ogni tanto ne dice una giusta. La cosa bizzarra è che non riesce a spiegarsi come le altre donne possano provare quello che prova lei per qualcuno che non sia Mr. J. Lui è unico, meraviglioso, straordinario e gli altri uomini paragonati a lui valgono meno di niente. A volte si stupisce della propria fortuna.
Fortuna?
No, si tratta di ben altro. Si sono cercati e si sono scelti. Non sarebbe potuta andare in nessun altro modo.
Quella volta… dieci anni fa… quel ragazzo mi aveva detto il suo nome. Perché non riesco a ricordarlo? Johnny? No, non era Johnny. Non era decisamente Johnny.
Il sole se n'è già andato da un pezzo quando entra nel parcheggio del suo condominio. Ma presto sarà primavera e le giornate si faranno più lunghe. Ne sente già il profumo nell'aria, tra una zaffata di smog e l'altra.
Non voglio che trascorra la bella stagione chiuso in gabbia. Lo hanno trasformato in uno squallido bruco. Vorrei tanto vederlo riprendere i suoi colori di farfalla.
Harleen parcheggia, poi scende per scaricare la spesa dal sedile posteriore. Ha scoperto che gli piacciono le uova farcite. Gliene preparerà un vassoio per fargli passare una buona domenica.
E per contorno un'insalatina con lattuga e gamberi con aceto balsamico.
Le strappa un sorriso il pensiero che Mr. J sembri più il tipo da bistecche al sangue. Molto al sangue. Ma per quelle dovranno aspettare di essere usciti da Arkham
Harleen Quinzel non è il tipo di persona che si spaventa facilmente. A lavorare ogni giorno con assassini schizofrenici ha imparato a non cedere al panico immotivato. Per questo si volta un istante troppo tardi, quando i passi alle sue spalle si fanno troppo vicini. E quando si rende conto di essere circondata da tre uomini con la faccia coperta da calze di nylon, ricorda cosa sia una paura genuina ed ancestrale, quella di una donna fisicamente debole che si ritrova ad essere una preda.
La borsa. Darà loro la sua borsa sperando che non vogliano altro. Quel pensiero fa aumentare il suo terrore. Irrazionalmente tenta di infilarsi fra due di loro. Mossa sbagliata.
Io lo conosco lo conosco lo conosco chi è?
Uno dei tre la agguanta per la gola e la fa urtare contro l'auto. "Cos'è questa storia, signorina?"
Questa voce questa voce e questo profumo così forte…
Non riesce a ragionare. Un pugno le arriva dritto sul viso.
"Come sarebbe a dire che quel mostro ha bisogno di cure?"
Urtare contro l'asfalto non è piacevole. Non c'è adrenalina. Non c'è Mr. J che le fa male e al tempo stesso la manda in orbita. Ci sono solo quei tre tizi che la sfiniscono di calci allo stomaco e sulla schiena. Deve rimettersi in piedi, provare fuggire. Non può restare lì. Ma fa troppo male.
"Lo sappiamo che tipo di cure gli presti. Fai schifo, lo sai? Che c'è, non ti accontenti degli onesti cittadini? Vediamo di rimettere le cose a posto."
No. Tutto ma quello no. Per favore, no.
Chiude gli occhi attendendo il peggio e decisa a lottare con tutte le sue forze.
Ricky… Thomas…?, pensa improvvisamente mentre un'ombra nera e imprevista cala su di loro.


Now when you work it out I'm worse than you
Yeah when you work it out, I want it too
Now when you work out where to draw the line
Your guess is as good as mine...

Where do we go, nobody knows
Don't ever say you're on your way down, when…
God gave you style and gave you grace
And put a smile upon your face


(Coldplay, God put a smile upon your face)











Note:
1) David Lepeskow. Scovato sul sito del Gotham Times. È l'ispettore che si è occupato dell'indagine sull'Arkham Asylum dopo il caso 'Spaventapasseri'. È abbastanza ovvio che al nostro Arkham costui stia sulle bolas.
2) La relazione tra Arkham e Joan Leland è una mia perfida invenzione. Il modo più ovvio per far DAVVERO interagire un personaggio del fumetto (Arkham) con uno della serie animata (Leland)
3) L'editore di Harley si chiama davvero Columbine (terribile, questa cosa, vero?) Anche i titoli dei libri sono AUTENTICI.
4)Lydia Filangeri. Se avete comprato il dvd a disco dooppio e vi siete pappati gli episodi di Gotham Tonight sapete benissimo chi è. Se non aveete comprato il dvd a disco doppio, prima vi spedisco a inginocchiarvi sui ceci e poi vi frusto.
5) Harley senza codini non è Harley. E a Kristen donano. ^_^
6) Serve precisare che il film che piace tanto alla mamma di Morales è 'Cabaret'? No, vero?
7) Harley e il Caffè Kaboom. È seguendo le tracce di una bionda svitata che pasteggia a Caffè Kaboom che Renée Montoya scova il nascondiglio suo e di Ivy nella miniserie Gotham Girls.
8) Jack Ryder, alias The Creeper. Non ho saputo resistere alla tentazione di infilarcelo, vista la cotta micidiale che ha per Harley nella serie animata
9) Nella serie televisiva 'The Batman', Harley ha EFFETTIVAMENTE preso il dottorato su internet e conduce DAVVERO un programma tv per cuori spezzati.
10) Lydia Filangeri ed Harlene Quinzelle. In tanti sbagliano in suo nome. E io mi incacchio come una biscia. Soprattuttto per quento riguarda le fanfiction. Prima di cominciare a scrivere su un personaggio bisognerebbe almeno sapere come si chiama.
11) Lady Shiva, alias Sandra Wu-San. Madre dell'ultima Batgirl, Cassandra Cain, è un personaggio che passa dai buoni ai cattivi a fasi alterne e secondo il vezzo degli sceneggiatori. È stata per un certo periodo la gaurdia del corpo di Ra's Al Ghul. Io l'ho messa al fianco di Talia anche se nella continuity regolare non è che le due si sopportino molto. Licenza poetica?



Tesorucci cari… La vostra affezionatissima ha la schiena a pezzi e non può stare tanto al pc, quindi vi chiedo di aspettare pazientemente il prossimo aggiornamento per le note e i ringraziamenti. T____T
Mi spiace avervi fatto attendere così tanto, ma vi avviso fin d'ora che per ragioni di salute, anche il prossimo capitolo si farà desiderare. Conto di rimettermi in piedi al più presto. Voi tenete le dita incrociate.
Intanto il Golden Globe è arrivato. E domani sarà un anno dalla morte di Heath…

JeanG.

P.S. Visto che l'ho già detto a Lefteye in privata sede, per chi fosse interessato, alla fine mancano cinque capitoli più l'epilogo che comunque verrà pubblicato insieme all'ultimo. ;-)


Edit di un'autrice (?) malconcia.: Ho aggiunto le note.




   
 
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