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Autore: _The story at the End_    17/07/2015    1 recensioni
Uno stupido gioco: ecco come iniziava ogni avventura.
Lo sapevo più di chiunque altro, io che passavo le serate a leggere libri.
"Vediamo se hai il coraggio di entrare". La frase con cui iniziava ogni film horror e ovviamente io, che non mi do mai ascolto, sono entrata.
Perché il mio ego non se ne sta apposto ogni tanto?
Perché, se Bertold non avesse pronunciato quella frase, la solita frase su cui perdo il controllo, mi sarei sicuramente rifiutata: "è una femmina è ovvio che non ci entra! "
E io, che sono una femmina, sono stata tanto stupida da cacciarmi in questo guaio.
Genere: Fantasy, Romantico, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: AU, Lime | Avvertimenti: Violenza
Capitoli:
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"Non credo di aver recepito". lo guardai come se gli fosse spuntato un'occhio in più.
" Noi possiamo morire solo a causa delle prove. Se ci uccidiamo a vicenda, o tentiamo di farlo noi stessi, non vale. Quindi se tu mi uccidi io... Bhè, guarirei completamente"
"Se ti ammazzassi poi guariresti completamente." Ripetei. Non era la prima cosa insensata che mi capitava in quella giornata così pensai, perché no.
"Esatto." confermò lui.
"Come fai a saperlo?". Gli chiesi. Guardò in basso come se ricordasse qualcosa."È già accaduto".
Presi il coltello e glielo puntai al cuore per vedere se faceva sul serio. Non si tirò indietro né aprì bocca.
"Mi stai chiedendo di ucciderti." dissi guardandolo negli occhi.
"Ti sto implorando di farlo. E ti giuro che non ricordo l'ultima volta che ho implorato qualcuno. È l'unico modo". All'improvviso mi accorsi di quello che mi chiedeva di fare. Qualche minuto prima ero a casa e ora mi ritrovavo a puntare un coltello contro uno sconosciuto. Non riusvivo a metabbolizare gli eventi. Tutto questo era troppo.
Il mio braccio rimase alzato. Capii che non avrebbe fatto un passo indietro se lo avessi ucciso in quel momento, su due piedi. Nei suoi occhi non c'era ombra di dubbio. Ero io quellache esitava. Stavo per uccidere una persona. Non ferire, ma toglierle la vita. All'inizio pensavo fosse facile, dopo tutto me lo aveva chiesto lui, ma poi mi sconcertò la facilità con cui avevo preso quella decisione e provai disgusto per me stessa. Insomma, stavo per uccidere una persona! All'improvviso immaginai il suo sangue che mi macchiava le mani e che non si toglieva più come se mi volesse marcare a vita come "assassina".
"Non ci riesco." Dissi abbassando il coltello e scuotendo velocemente la testa.
 "Se non lo fai moriremo entrambi". Constatò semplicemente lui.
"Non è una questione di sopravvivenza. Mi stai chiedendo di dar via la mia umanità". Era come se gli anni passati in quel posto avessero tolto a quel ragazzo la compassione; mi guardò con occhi freddi e distaccati.
"Quale umanità avrai da cadavere?" Disse calmo.
"Okay. Okay. Dammi del tempo." Dissi girandomi e camminando avanti e indietro come un animale in gabbia.
"No. Non ci devi pensare su. Devi aggire; fallo e basta." Disse afferrandomi la mano che teneva il coltello e portandosela al petto. Io tentai di strattonarlo per allentare la morsa ma la sua presa era salda.
"Non mi stai uccidendo. Ci stai salvando". Altra semplice constatazione che  era di nuovo solamente la realtà.
Con quella frase mi convinse. Non potevo pensare ai miei dilemmi morali e non potevo permettermi queste debolezze. Dovevo farlo.  Caricaii indietro il braccio e lo colpii con tanta forza che cademmo entrambi a terra. La lama entrò nel suo torace fino al manico e fu come se avessi ricevuto il colpo in prima persona. Rigirai il coltello per essere sicura che non soffrisse più.
Tirai fuori la lama e il rumore che ne scaturì fu agghiacciante. Mi girai dall'altra parte. Ancora una volta ero stizzita dalla mia insensibilità. Sarei dovuta scappare via terrorizzata da un pezzo eppure ero lì e alle mie spalle c'era un uomo morto, che io stessa avevo ucciso. E non provavo nulla. Quella calma inquietante che mi pervadeva quando si metteva in mezzo la morte era tornata. Il gelo  mi scorreva nelle vene mentre con la testa china osservavo il coltello sporco di sangue nella mia mano. Sapevo cosa avevo fatto ma non riuscivo a sentirne il peso. Rimasi con la fronte attaccata al muro della grotta a vagare nel nulla più assoluto finché una mano forte non mi strinse la spalla.
Fu la seconda volta che rischiai un infarto. Era lui.
"Grazie, di nuovo".
Mi catapultai d'istinto fra le sue braccia ma mi staccai di colpo qualche secondo dopo per potergli dare un pugno in pieno petto. Non sapevo perché o con chi ma ero arrabbiata e quando sono arrabbiata mi metto a piangere. Tutta la tensione che si era accumulata da quando ero arrivata mi scivolò via dagli occhi. Odiavo piangere. Lui fece una cosa che non mi sarei mai aspettata. Mi asciugò una lacrima. Le sue mani erano ruvide e callose ma sorprendentemente delicate. Mi girai dall'altra parte e mi pulii con rabbia il viso bagnato. Mi sedetti il più lontano possibbile da lui e rimasi in quella posizione per il resto della giornata. Lui non proferì parola per tutto il tempo e gliene fui grata.

***

Ormai il sole cominciava a tramontare. Sul tetto della grotta Hunter aveva ammassato, nel tempo, della legna che usammo per fare un fuoco. Ci avrebbe riscaldato e avrebbe tenuto lontani i dinosauri.
 Mangiammo un panino e una porzione di Saikebon; erano nel mio zaino perché sarebbero dovuti essere il mio pranzo e la cena. Mi figurai a mangiarli a casa da sola, un un libro tra le gambe e una coperta sulla schiena...
" I tuoi capelli sono rossi."
"Come?" Dissi con la bocca ancora piena.
"Questa mattina avevi i capelli castani e ora sono rossi".
"Si, cambiano colore a seconda della luce..." balbettai, ad un tratto interessata al fuoco. Cercai di immaginare i miei capelli in quel momento: sporchi, bagnati, arruffati. Insomma, il solito.
"Sorprendente"
"Come no." E aggiunsi timidamente "I tuoi occhi sono sorprendenti". Poi mi ritrovai a pensare: che cosa stupida da dire.
Dopo quale minuto di silenzio rispose "grazie".
Mentre rispondeva iniziai a tremare. L'escursione termica era letale. Di giorno c'era un caldo asfissiante e la notte si congelava.
Stavo tremando come una foglia con tutto il giubbotto. Poi notai che lui era solo in maglietta a maniche corte. "Com-come fai?"
"Sono abituato credo". Disse un po a disagio. Aprì le braccia come se volesse che io lo abbracciassi "Vuoi..."
"No!" Mi afrettai a dire distogliendo lo sguardo.
"Oh tranquilla, non ci tengo tanto neanche io...".
Una cosa era certa: non avrei dormito tra le braccia di uno sconosciuto.
Qualche secondo dopo sbuffò e mi si avvicinò, come se fosse costretto. Mi abbracciò da dietro e io cercai di di dargli una gomitata ma, quando lui fermò il colpo a mezz'aria, avevo troppo freddo per rispondere. Alla fine ci distenndemmo a terra e io dormii tra le braccia di uno sconosciuto.
Per qualche minuto riuscii a rilassarmi abbastanza da addormentarmi ma quando mi svegliai non riuscii più a prendere sonno. Mi girai verso di lui. Aveva gli occhi chiusi e sembrava stesse dormendo profondamente. Per la prima volta lo vidi con i lineamenti del viso rilassati e i muscoli riposati. Mi accorsi di quanto poco sapevo di lui. Mentre lo guardavo aprì gli occhi. Credo che quando si è abituati a vivere con la morte che ti fiata sul collo si impara a svegliarsi con il minimo rumore.
"Mi sento osservato." Non risposi. La luce del fuoco che giocava con le ombre del suo viso lo rendeva davvero bello. Non che mi piacesse, era solo una constatazione oggettiva.
"Non riesci a dormire?"
"No". Risposi consapevole di dover sembrare una bambina di 4 anni che andava a sveglieare i genitori perché aveva paura del buio.
"Neanche io ho molto sonno".
"Ma prima dormivi."
" E ora sono sveglio"
"Quanti anni hai?" Tanto valeva conoscere lo sconosciuto con cui avevo dormito, no?
Probabilmente non riuscii mai a perdonarmi quella debbolezza: avevo avuto bisogno di lui per riscaldarmi.
"16 credo, forse dovrei compiere a breve 17 anni, o forse li ho già compiuti. Che giorno era quando sei arrivata?"
"Il 25 novembre"
"Sì, ho 17 anni".
Poi mi sembrò un dovere completare la data con l'anno.
"2015."
Voi dire che vieni dal 2015?"
Annuii.
"Fammi gli auguri, sono diventato maggiorenne. Ho appena scoperto di avere 18 anni".
"Come hai fatto a perdere così il senso del tempo?"
"Perché quando attraversi gli specchi non è lo stesso orario dell'altro mondo. Ora siamo in primavera. Lo capisco dalla durata delle ore di sole. Quando entreremo nello specchio potremmo trovarci in inverno e ancora, se lo attraversiamo di pomeriggio dall'altra parte potrebbe essere mattina, oppure notte notte".
"Voi dire che sei bloccato qui da due anni?".
"Hai capito male. Sono arrivato qui nel 2011. Quindi sono passati quattro anni". Disse con leggerezza. "E in questo arco di tempo non ho mai visto una ragazza."
"Non c'erano altre persone con te? "
"Tutti uomini".
"Com'è possibbile!"
"Ho una teoria." Disse facendo dei cerchi per terra con il dito. Mi accorsi in seguito che stava disegnando una ciambella.
"Prima ti ho detto che questo è un gioco.  Ciò vuol dire che qualcuno ci sta giocando. Si diverte. Chi ha creato gli specchi ci  sta guardando".
"Mi sento molto osservata ...ma questo non spiega il perché..."
"Ci sarà una volta in cui mi farai finire di parlare?!" Sbuffò, quindi riprese.
"Probabilmente non trova divertente delle femminucce isteriche che rimarrebbero in un angolo a disperarsi senza reagire."
"Quindi... non so, ora dovrei sentirmi fiera di essere abbastanza coraggiosa per poter venire qui ed essere fatta a pezzi."
"Se vuoi, ti faccio un applauso."
"No, è già troppo deprimente così".
Ormai stavano spuntando le prime luci dell'alba ciò sigificava che tra poco saremmo usciti e avremmo tentato di arrivare allo specchio. Hunter si alzò, si pulì le mani sui jeans e disse "è ora".
Dopo trenta minuti buoni passati a guardare Hunter che creava un'arma di fortuna limando il legno non stavo più nella pelle.
 "Quando partiamo?". Dissi guardando fuori.
"Dopo il mezzogiorno".
"Perché? "
"È il momento in cui sono meno attivi".
"Quindi non dovrebbe essere troppo difficile"
Rise mentre si rigirava nelle mani una corda vecchia e sfilacciata "Già sono solo quattro anni che ci provo. Non dovrebbe essere difficile." Poi mi diede le spalle.
"Le vedi queste linee?". Non me ne ero accorta prima ma ora le vedevo chiaramente. Sulle pareti della roccia vi erano tanti piccoli graffi fatti con la lama di un coltello; piccoli, orizzontali e molto vicini che ricoprivano le pareti, era difficile trovare un punto vuoto. Potevano essere migliaia.
"Ogni volta che uno di noi ritorna in questa grotta facciamo un segno. queste sono tutte le volte che ci abbiamo provato e non ci siamo riusciti.  Queste sono tutte le volte che ci siamo ritrovati qui e abbiamo ricominciato da zero. Ancora e ancora." Disse passando il dito sulle scalfiture. Si intuiva che molte di quelle erano sue.
Di tutta risposta presi il coltello, tracciai un segno più grande e profondo degli altri, mi voltai e gli dissi: "questo è il mio primo e ultimo segno, è una promessa" non sapevo da dove venisse quella determinazione ma una cosa era certa: avrei fatto di tutto per arrivare alla fine.
"Sei una ragazza coraggiosa e determinata". Disse. Poi chinò il capo e continuò "ma non promettere cose che non puoi fare". Riuscì a spegnere quella scintilla di entusiasmo che si era accesa mentre pronunciavo quelle parole. Alcune volte era proprio un isensibile ma almeno non nascondeva quello che pensava.
"Anche io quando sono finito qui avevo la tua stessa determinazione."
"Ma noi due possiamo farcela."
"Sono felice che tu ci metta così tanto entusiasmo." Finì di infilare tutto quello che avevamo nello zaino (un po d'acqua,  due coltelli, una corda, una torcia, una barretta di cioccolata e un mp3 che dubbito ci sarebbe servito) e uscì dalla grotta.
"Cerchiamo solo di arrivare vivi alla fine di questa giornata." Uscimmo dalla grotta e subito la luce del sole mi ferì gli occhi, il vento caldo e secco mi sferzò il viso come a darmi il benvenuto.

   
 
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