Falena
Dopo
i fatti di quella sera Selene aveva capito molte cose; non era stato
difficile collegare quella figura oscura alla creatura di cui
narravano le leggende. Allo stesso modo, non fu facile spiegare
perché si trovasse dentro la sua tenda.
Spesso
Selene si ritrovava a pensare alla creatura che aveva ospitato, a
ricordarlo come l'aveva visto per la prima volta e alla sua furia,
mentre eliminava i cacciatori. Il resto del villaggio aveva parlato
animatamente degli ultimi fatti avvenuti, nonostante lui avesse
ucciso una famiglia erano tutti concordi nella convinzione che
l'avesse fatto per via di un fraintendimento, di certo aveva creduto
che fosse stato il villaggio stesso a ingaggiare i cacciatori. Il
rancore verso di lui c'era, di certo, ma era maggiore il risentimento
che tutti provavano verso i resti dei cacciatori, in fondo erano
stati loro a minare l'equilibrio del Patto.
I
loro resti erano stati danti in pasto ai lupi. La famiglia uccisa era
stata seppellita nel cimitero, con la giusta cerimonia.
Avevano
discusso a lungo, lei e Dijkstra. Non fu una discussione animata,
anche perché il padre era più triste per la sua
malattia che
preoccupato per i fatti accaduti. A Selene era bastato rassicurarlo,
dopo avergli raccontato tutto, perché lui accettasse le sue
motivazioni. In fondo non aveva alcun motivo di cui preoccuparsi; se
le storie erano vere, il vampiro non avrebbe arrecato loro alcun
danno.
La
tubercolosi -la tosse e il sangue- ogni tanto tornava a tormentarla,
era passato poco dalla visita e la gravità della malattia
sembrava
un incubo lontano, si convinceva di poter ancora vivere
tranquillamente.
L'unico
problema era che il resto della compagnia non sembrava pensarla allo
stesso modo.
Adesso
nessuno si fidava più di lei.
Villaggio di Kovir, 1411 Febbraio
Lo
svegliò uno stillicidio costante, perpetuo, snervante nel
suo
ripetersi in ogni goccia amplificata e moltiplicata dall'eco che gli
ricordava il macabro suono del sangue che gocciolava in una pozza
dello stesso.
Spostò
lo sguardo alla sua destra, ricordando in quel momento che la sagoma
sdraiata sul tavolo una volta era un persona. E che era da
lì che
proveniva quel suono snervante; la donna era riversa sul tavolo, il
il volto girato verso di lui, ma i suoi occhi erano opachi, persi
nell'oblio della morte. Il suono proveniva dalla profonda ferita sul
suo collo; aveva creato una piccola pozza di sangue sul legno scuro
della tavola e ora gocciolava pigramente sul pavimento di marmo,
dando vita a quel suono.
Gli
ricordò lo stesso suono del suo sangue che gli scivolava
addosso,
raffreddato dalla neve e dal gelo, lo stesso che lui steso aveva
versato, più e più volte. Per rabbia, per
vendetta, per dimostrare
quanto potesse essere pericoloso un vampiro arrabbiato.
Gli
tornò alla mente lo sguardo della ragazza, dell'ultima volta
in cui
ci erano visti, per la prima volta macchiato di paura, il folle
timore di cosa era realmente capace una creatura delle tenebre.
Distolse
lo sguardo dal cadavere che giaceva solitario in mezzo alla stanza,
passandosi la mano sul petto, lì dove ancora c'erano le
fasciature,
sotto di esse poteva sentire le ferite in via di guarigione, il
profilo frastagliato delle croste di sangue e il lieve dolore che si
irradiava pigramente in tutto il torace. Poi ancora sotto, oltre la
carne e le ossa, dove un battito stanco e lontano irradiava quel poco
di energia che gli serviva per vivere, o per illudersi di farlo.
Perché
cos'era l'immortalità realmente? Come può
definirsi eterno un
essere che non è più in grado di vivere?
Si
chiese se lì dentro, da qualche parte, potesse esserci
davvero
qualcosa da salvare, qualcosa che valesse la pena essere salvato da
piccole mani pallide. I ricordi ogni tanto tornavano, illudendolo nel
pensiero di poter avere una vita che valesse la pena essere vissuta.
Di un'umanità che pareva essere troppo lontana.
Forse
la risposta non era neanche troppo difficile, né lontana.
Forse
la risposta era appena ai margini del villaggio.
Lei
sarebbe potuta essere la sua unica salvezza.
Il
vampiro chiuse gli occhi, allontanando la realtà e qualsiasi
altro
pensiero dal suo isolamento.
Villaggio di Kovir, 1411 Marzo
Sentì
bussare con forza al portone principale, quasi sorprendendosi del
fatto che al di fuori il mondo sembrasse esistere ancora, e che
tutto, in qualche modo, continuasse a funzionare. In fondo nessuno
desiderava vedere di cosa era capace un vampiro infuriato, di nuovo.
Si
avviò silenziosamente verso l'ingresso, non sorprendendosi
di vedere
le porte già socchiuse; difficilmente lui le chiudeva a
chiave, in
fondo non aveva nulla da temere. Ciò che lo stupì
fu piuttosto, nel
momento in cui aprì, il fatto di vedere un volto conosciuto
sulla
soglia, più pallido e magro di quanto ricordasse.
La
osservò per qualche secondo, chiedendosi se si trattasse di
un
brutto scherzo o di una visione. Quando lei sorrise timidamente,
capì
che non si trattava di nessuna delle due ipotesi. Avevano davvero
mandato lei.
Logen si spostò appena, quasi restio a farla
entrare, un insieme di sentimenti contrastanti si stava agitando
dentro di lui, a malapena riuscì a dire il suo nome, che
scivolò
via dalle sue labbra come un flebile sussurro.
“Come
vanno le ferite?”
Come
vanno le ferite?
Era
iniziata così, semplicemente, come se non fossero passati
quasi sue
mesi dall'ultima volta che l'aveva medicato. Lei ovviamente aveva
insistito, nonostante non ce ne fosse alcun bisogno. E lui l'aveva
lasciata fare, sorpreso del rendersi conto che quelle attenzioni
-umane e leggermente maldestre- gli davano un vago senso di
nostalgia.
“Perché
non me l'hai detto?” La sua mano esile sfiorò
timorosa i segni
sulla sua pelle, quelli lasciati dalle armi dei cacciatori.
Nonostante Selene ricordasse quanto erano brutte quelle ferite quasi
non fu sorpresa di avere l'impressione di sfiorare del marmo, liscio
e gelido allo stesso modo.
“Non l'hai chiesto.” Rispose lui
laconicamente.
“Ti ho chiesto se ne sapevi qualcosa, avresti
potuto spiegarmi un minimo questa situazione.” Il vampiro
sospirò,
catturato dal movimento delle sue mani sulla sua pelle, avvertiva il
calore inebriante del suo sangue attraverso il fragile strato di
pelle.
“Quindi tu non sai perché sei qui?” La
ragazza
sollevò lo sguardo, accorgendosi che il vampiro non stava
osservando
il suo volto, ma le sue mani. Si perse quindi un attimo a studiare il
profilo affilato contornato da lunghi capelli neri come la pece e la
pelle pallida e perfetta su cui risaltavano gli occhi dai riflessi
sanguigni, rendendolo affascinante e misterioso come la notte. Fu
vagamente sorpresa del suo cambio d'argomento.
“Non esattamente,
perché?” Il vampiro distolse in quel momento lo
sguardo dalle sue
mani, puntandolo nei suoi occhi di smeraldo, scrutandoli a fondo.
“E
non cambiare discorso.” Lui ancora non rispose. Quella
conversazione si stava rivelando frustrante per la ragazza, non stava
ottenendo nessuna risposta, era quasi peggio che parlare con un muro.
Si
alzò, offesa dal suo mutismo e fece per alzare la voce, ma
quando
vide lo sguardo del vampiro -uno strano misto di rabbia e sconforto-
la sua voce si affievolì. “Cosa c'è che
non so?”
Lui
impiegò un po' a rispondere, i suoi occhi vagavano incerti
sul suo
volto.
“Ti hanno mandato qui a morire.”
Quella
fu la prima notte serena di quell'inverno mortale, finalmente Selene
riuscì a vedere di nuovo il disegno delle stelle nel manto
oscuro
della notte. Quella sera sembrava quasi calda, rispetto alle giornate
di vento gelido che aveva avvolto quel luogo. Aveva anche aperto la
finestra, non aveva resistito all'intenso desiderio di sentire sulla
pelle l'addio dell'inverno.
“Quindi
è così che funziona? Ti mandano una persona di
cui nutrirti una
volta al mese per evitare che tu stermini il villaggio?” Si
sedette
sul davanzale, e osservò il vampiro, seduto sul suo
personale
scranno al centro della stanza. Lui non aveva mai avuto intenzione di
ucciderla, e di certo non l'avrebbe fatto ora per assecondare un
Patto vecchio di secoli, ci sarebbe stato un modo per permettere a
entrambi di vivere, e l'avrebbe trovato.
Lui
stesso si era quasi sorpreso di quei pensieri, ma si era convinto del
fatto che si trattasse solo di gratitudine. Una sorta di malessere si
impossessava di lui al pensiero di uccidere colei che gli aveva
salvato la vita.
“Ci teniamo in pugno a vicenda con questo
Patto, loro non osano disturbarmi perché sanno che non avrei
rimorsi
a sterminare il villaggio, ma allo stesso modo non posso muovermi di
qui finché non sono loro a rompere il Patto. Sono come
incatenato.”
Logen guardò fuori, la tenue luce dell'alba si stava
lentamente
irradiando oltre i Monti Neri, troppo lontano perché gli
occhi umani
della ragazza potessero ancora coglierlo.“Funziona che ogni
mese
mandano una persona qui, per me, il minimo indispensabile, in cambio
della mia protezione. Credevo l'avessi capito.” Una brezza
fredda,
forse l'ultima della stagione, si intrufolò dallo spiraglio
lasciato
dalla finestra socchiusa e si diffuse in tutto il salone, facendo
rabbrividire la ragazza. Il vampiro rimase immobile come la statua di
un oscuro sovrano.
“E
se io scappassi?” Il suo sussurro ruppe il silenzio.
“Mi
obbligheresti a rompere il Patto. Desideri che io faccia del male
alla gente del villaggio?”
Selene
rimase in silenzio, capendo che la situazione non le dava alcuna via
d'uscita, il vampiro, tuttavia, sembrava tutt'altro che smanioso di
nutrirsi di lei.
“Loro mi hanno semplicemente spedito qui, senza
spiegazioni, immagino che il capo del villaggio sia stufo di mandare
parenti e amici, quindi deve aver essersi approfittato della nostra
presenza per non condannare qualche conoscente, a ripensarci la
scelta non sarebbe potuta essere diversa, in fondo sono stata io ad
averti ospitato e ad aver fatto correre rischi alla
famiglia.”
Nella sua voce fece capolino un accenno di tristezza, un vago
risentimento. Aveva lo sguardo lontano, i suoi occhi andavano oltre
la finestra, oltre la neve che si stava sciogliendo e oltre i tronchi
contorti, raggiungeva i limiti del villaggio, laddove c'era qualche
tenda montata su con rapida esperienza; altri pensieri, più
cupi e
funesti, stavano attraversando la sua mente.
Ma nel
suo sguardo, il vampiro ne fu molto sorpreso, non c'era né
rabbia né
rancore, solo una profonda tristezza.
“Ti
penti di quello che hai fatto?” Nonostante gli anni, per lui
gli
umani rimanevano un mistero, tanto fragili quanto meschini, guidati
dai sentimenti più assurdi, prepotenti e distruttivi.
In realtà
Selene era consapevole che del fatto che uno dei motivi per cui la
stavano lasciando lì era che portarsi in viaggio un malato
aggrava
solo la sua situazione, lo sapeva benissimo, era già
successo. Per
questo si era ripromessa di non badarci troppo, per quanto la sua
condizione glielo permettesse. Tuttavia rendersi conto che la sua
famiglia, la sua vita, quella che era stata la sua realtà,
si stava
allontanando per sempre, non le facilitava le cose.
“Eppure
non sembri arrabbiata.” La sua non fu neanche una domanda, lo
vedeva bene, che per quanto triste, sulle sue labbra si stava
delineando un lievissimo sorriso mesto. Questa volta fu lei a non
rispondere. Incorniciata dalla finestra e dal cielo stellato sembrava
l'incarnazione della luna, nella sua candida purezza pareva una
creatura effimera.
Il
vampiro riusciva a vederlo anche a quella distanza; i gitani che si
affaccendavano per mettere via le loro cose e ripartire per il
villaggio più lontano possibile da Kovir.
Pensò che fosse
meglio allontanarsi, lasciando Selene al suo addio personale.
L'alba
stava sorgendo, ancora poche ore e il cielo sarebbe esploso di luce,
sciogliendo i resti di neve e ricreando un mondo che sarebbe stato
del tutto estraneo al vampiro, per questo stava dirigendosi nella
zona più interna del suo castello, lasciando che Selene si
godesse
quei finalmente tiepidi raggi solari.
Venne
svegliato da un lievissimo fruscio, dal delicato rumore di piedi nudi
sul gelo del marmo, socchiuse gli occhi, sorpreso di vedere la
ragazza avvicinarsi a lui con passo abbastanza deciso.
In
quel lasso di tempo, mentre i suoi occhi si abituavano alla luce che,
ancora forte, filtrava tra un tendaggio e l'altro, riuscì a
registrare tutto della figura della ragazza. La cosa che lo colse
alla sprovvista fu il tenue ma deciso odore speziato di sangue che
sembrava avvolgerla.
Gli
rivolse un sorriso timido, i suoi occhi erano lucidi e velati di
stanchezza, il volto pareva ancora più pallido del solito.
Selene
era certa di essersi ripulita per bene dopo l'accesso di tosse che le
aveva fatto sputare altro sangue, eppure lo sguardo penetrante e
attento con cui il vampiro seguì i suoi passi le vece capire
che lui
non aveva bisogno di vedere per avvertire l'aroma di sangue che
aleggiava su di lei. Forse coglieva anche l'aura pesante della sua
malattia mortale.
Fu
forse per quello che accolse tra e braccia la sua debolezza,
posandole una mano sulla schiena e accarezzandola, nel tentativo di
alleviare il dolore che provava anche solo respirando.
Già
allora Logen doveva aver capito che qualcosa non andava, eppure non
fece domande. E Selene rimase quasi delusa, avrebbe voluto non
iniziare lei quel discorso. Ma a quanto pare il vampiro non era
intenzionato ad intromettersi.
Rimase un po' così, con la testa
appoggiata al suo ampio torace, duro e immobile come quello di una
statua, mentre tentava di raccogliere le parole.
In
quel momento di stasi anche Logen tentava di mettere ordine dentro di
sé, cercando di decifrare quelle sensazioni che lo
tormentavano.
Sapeva che legarsi agli umani era un errore, erano noti per la loro
fragilità, per la brevità della loro esistenza,
eppure, anche
ripetendosi che non avrebbe mai funzionato, non riusciva a
convincersene, c'era qualcosa, nel profondo, che sembrava in grado di
contraddire ogni suo pensiero razionale.
“Logen.”
Lo chiamò, con un flebile sussurro. Lui rimase in silenzio,
in
attesa. “Voglio diventare come te.” E al diavolo le
spiegazioni,
non intendeva rendere la cosa più dolorosa di quanto fosse
necessario. Certe cose, certe motivazioni, era meglio non conoscerle.
Il
vampiro la allontanò delicatamente da sé per
guardarla negli occhi.
In quel momento Selene si sentì nuda, come se lui potesse
cogliere
con quello sguardo indecifrabile la grandissima paura che stava
provando dentro di sé.
“Non
intendo rovinarti.” La sua mano sfiorò la spalla
della ragazza,
che rimase sorpresa più dalla sua dichiarazione che dal suo
gesto,
oltre che vagamente delusa.
“Ti
prego.” Selene sentiva le lacrime spingere per uscire, ma non
si
sarebbe messa a piangere.
La
mano del vampiro si serrò con più forza sul suo
braccio, come a
rimarcare la sua decisione “No.”
“Ma
io non sono nulla di speciale, non sono tanto diversa dalla fanciulla
che ogni mattina si rovina le mani al torrente per lavare i panni,
non sono diversa, e neanche migliore, di qualsiasi altra persona di
questo villaggio. Se tu volessi entrare in contatto con loro te ne
renderesti conto.” Sorrise appena, consapevole di aver tirato
fuori
il sorriso falso meno credibile della storia. “Noi umani
siamo
tutti uguali.”
“Non
ti priverò dell'unica cosa che ti rende unica e diversa, non
ti
priverò di ciò che ti rende così
bella.” Ignorò completamente
le sue suppliche. Rapito dal colorito roseo che si stava diffondendo
sulle sue guance.
La sua
mano, fredda e dura come marmo si posò sulla sua guancia; il
vampiro
si beò della sensazione della tenera e calda carne umana,
quasi
stupendosi delle sensazioni che quella poteva donargli, che insieme
al sangue non fossero sazietà e soddisfazione. Ma una lieve
sensazione di pace.
“Perché? Io non sarò bella per
sempre.”
Lui tentennò, bloccando l verità che premeva per
uscire. “Un
fiore lo è?” Era la sua stessa
fragilità a renderla affascinante,
la sua stessa delicatezza a renderla bella, per la prima volta, sulle
labbra del vampiro, sembrò abbozzarsi un sorriso.
“Logen.”
Fermò la sua mano con tono grave, un silenzio teso si
allargò tra
di loro, alla fine non aveva potuto fare niente per nasconderglielo.
“Io sto morendo.” Il vampiro sollevò lo
sguardo, con una sottile
malinconia negli occhi. Non c'era sorpresa, disperazione; sapeva che
gli esseri umani potevano essere meschini quanto fragili, sapeva
benissimo che lei, non essendo immortale come lui, prima o poi
sarebbe morta, anche in quel momento stava morendo, e il fatto che
anche lei se ne fosse resa conto non faceva che rendere ancora
più
dolce amaro quel sentimento che stava tentando di conoscere.
“Tutti
gli esseri umani muoiono, il tempo uccide. Lo so che stai
morendo.”
L'ultima frase la disse in un soffio, le loro mani che si stringevano
una nell'altra, mentre le pulsazioni di Selene attraversavano il
corpo del vampiro, facendogli rievocare i ricordi di una
mortalità
persa ormai da tempo.
Questo
denotava la profonda differenza che c'era tra i due; qualcuno nasce
umano, qualcun altro ci mette una vita a diventarlo.
“No.”
Logen si bloccò, vagamente sorpreso dal tono duro della
fanciulla.
“Sono malata, Logen. Per me, il prossimo mese di vita
potrebbe
essere l'ultimo. È per questo che ti chiedo di rendermi come
te.”
Il vampiro aveva distolto lo sguardo, i pensieri ora impetuosi che
vagavano lontani. “Ti prego, forse sarò io a
essere egoista, ma
ora sto chiedendo a te di esserlo.” Un moto di emozioni da
troppo
dimenticate avvolse in una stretta dolorosa il suo cuore; un misto di
rabbia e tristezza.
“Impossibile.” Sentiva la disperazione
stringergli la gola, perché sapeva di non poter far nulla, e
la
consapevolezza di stare per perdere l'unica cosa che pareva avergli
ridonato un po' di vita lo stava annientando. Come mani artigliate
che gli scavavano il volto, il collo, il petto e poi ancora
più in
profondità, stringevano il cuore e lo ferivano, strappando
lembi di
carne gelida. Lasciandosi dietro solo le i resti scomposti di
un'anima cupa e fragile.
“Cosa?”
La sua voce sembrò incrinarsi, le sue mani strinsero quelle
del
vampiro, inerti e gelide.
“Il vampirismo non è una cura; ma una
malattia, una maledizione. Non credere che la mia situazione possa
giovare in alcun modo a guarirti, o a cambiare le cose.”
Ciò che
uscì dalle sue labbra fu poco più che un
sussurro, tuttavia Selene,
nell'immobile silenzio della notte, lo percepì chiaramente,
con lo
stesso dolore che avrebbe causato una lama affilata infilzata nel
petto.
La fanciulla rimase in silenzio a lungo, ascoltando il suo
stesso respiro e il battito del suo cuore, come se in quella cupa
abitazione si trovasse solo lei stessa. Logen era silenzioso come la
notte, ma lei stessa intuiva che dentro di lui si stesse scatenando
una tempesta.
“Allora
questa è la mia ultima richiesta.” Lei stessa fu
quasi sorpresa di
sentire gocce gelide correrle lungo le goti roventi e che la sua voce
non fosse troppo incrinata da rendere incomprensibili le sue parole.
“Fa in modo che non sia la malattia ad uccidermi.”
I loro
sguardi si incontrarono, complici della stessa disperazione e dello
stesso dolore.
Le
mani di Logen si strinsero con forza sulle sue in un tacito e
doloroso consenso.
C'erano
state parole che non era stato in grado di dire, rimbombavano con
forza nella sua mente, tentavano di forzare le sbarre che aveva
imposto con la ragione e l'orgoglio. Non avrebbe mostrato debolezza,
nonostante non potesse sapere che non era di quello che si trattava,
bensì di un sentimento molto più profondo,
radicale e
incontrollabile, che da secoli si era imposto di non provare
più.
Non
ti priverò dell'unica cosa che ti rende unica e diversa, non
ti
priverò di ciò che ti rende così bella.
Perché?
Perché
sento qualcosa, in questo mio gelido cuore, qualcosa che mi ero
ripromesso di non provare più. Tante, troppe volte, le
falene si
avvicinano alle fiamme... troppo breve è la vita con il suo
inganno.
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Eccoci, ci siamo quasi. Ringrazio tutti quelli che stanno seguendo la storia, spero che continui a piacervi, visto che siamo quasi al finale.
Prometto che il prossimo capitolo arriverà presto :)