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Autore: Lady1990    19/07/2015    2 recensioni
Archibald è un ragazzino di quindici anni quando compie la scelta che gli cambierà la vita. Col passare del tempo, accanto al suo maestro, il signor Fires, scoprirà su cosa si fondano i concetti di Bene e Male, metterà in dubbio le proprie certezze, cercherà di trovare la risposta alle sue domande e indagherà a fondo sul valore dell'anima umana. Tramite il lavoro di assistente del Diavolo, riscuoterà anime e farà firmare contratti, sperimenterà sulla propria pelle il potere delle tenebre e rinnegherà tutto ciò in cui crede.
Però, forse è impossibile odiare il Bene e l'unico modo per sconfiggerlo è amarlo. Proprio quando gli sembrerà di aver toccato il fondo, la Luce farà la sua mossa per riprenderselo, ma starà ad Archibald decidere da che parte stare. Se poi si somma un profondo sentimento per il misterioso e affascinante signor Fires, le cose non si prospettano affatto semplici.
[Revisionata]
Genere: Dark, Horror, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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Mi gira la testa. La vista è sfocata e le orecchie ronzano fastidiosamente, captando suoni familiari e al contempo sbagliati, fuori posto, estranei alla situazione e privi di un contesto logico. Per esempio, odo un allegro brusio, risate grasse e acute, il tintinnio di bicchieri di cristallo, la musica di una piccola orchestra, lo scalpiccio di numerose scarpe sul pavimento e il fruscio degli abiti. Alle mie narici giunge l’effluvio di champagne e caviale, insieme ad altri odori che non riesco a distinguere. In seguito, è il turno delle sensazioni tattili: il mio collo è stretto dal bottone di una camicia che puzza di lavanda, mi sento ingessato nel gilè che mi fascia il busto come un sudario soffocante e le scarpe hanno le suole dure, mi fanno male.
Una nuvola color malva ondeggia di fronte a me, spedendomi zaffate di un profumo troppo forte.
“Ah, questo deve essere il piccolo Archibald! Che amore!”
“Archie, saluta la cugina Fiona.”
Mamma?
Finalmente riesco a mettere a fuoco l’ambiente e subito mi rendo conto di stare rivivendo un ricordo. Non è un sogno, le sensazioni sono vivide e tangibili. Alla vigilia del mio sesto compleanno c’era stato un ricevimento a villa Blackwood, a cui erano stati invitati i più illustri esponenti dell’alta società, oltre a parenti vicini e lontani. Un’occasione come un’altra per celebrare i vizi e la vita mondana.
Ad un tratto, grazie alla consapevolezza che ciò che sto ripercorrendo appartiene ormai al passato, mi separo per metà dal “me bambino” e prendo dimora nella sua ombra, osservando tutto dall’esterno. È strano guardare il piccolo Archie, come quando fissi una foto di te stesso e non ti riconosci. La prospettiva che ho assunto è doppia, perché sono il bambino e al contempo conservo la coscienza dell’Archie adulto.
“Oh, vieni qui, angioletto. Dammi un bacio!”
La cugina Fiona si piega a cingermi con le sue braccia scheletriche e per un momento smetto di respirare a causa di quel dannato profumo. Cerco di sorridere, ma mi esce una smorfia tirata e poco convinta. Intercetto lo sguardo di mia madre, che mi lancia un’occhiata ammonitrice dall’alto. Allora amplio il mio sorriso.
“Ma quanto sei tenero! Dio, Eleonora, vorrei adottarlo. Adoro queste guanciotte rosa e questi occhioni azzurri. Li ha ereditati dal bisnonno Anton, vero? Ma certo che sì! Non ci sono dubbi. Ah, che meraviglia di bambino! Vedrai quanti cuori spezzerà crescendo.” proferisce ghignando saccente, “Non posso biasimare Amos per essere così protettivo…”
Cosa c’entra mio padre?
“Ah, Fiona, ultimamente mio marito si comporta in modo… beh, strano.” mormora mia madre, incupendosi.
“Cosa intendi, cugina?”
“Tratta Archie come… una bambina.”
All’espressione scettica di Fiona sbuffa e le si accosta, attenta a portarsi il ventaglio davanti alla bocca per non farsi sentire dagli altri ospiti e non permettere a nessuno di leggerle il labiale. Ma io sono qui, appiccicato a loro - anzi, prigioniero dei tentacoli di Fiona - perciò le sue parole giungono forti e chiare.
“Insomma, non sto dicendo che gli regala bambole o vestiti da femmina, assolutamente. Piuttosto è… il suo atteggiamento. Hai presente come sono permissivi e iperprotettivi i padri verso le figlie? Soprattutto quando queste hanno un bel faccino. Amos mi preoccupa e il modo in cui osserva il piccolo Archie mi… inquieta. Secondo te sono pazza?”
Fiona la scruta con perplessità: “Mia cara, a mio avviso stai esagerando. Amos vuole bene ad Archibald, non c’è niente di strano in questo. Magari è intenerito dai lineamenti dolci del bambino, ma vedrai che, appena Archibald entrerà nell’età adulta, le cose cambieranno. È compito dei genitori viziare i propri figli, non farne un dramma. Sei sempre stata troppo apprensiva, Eleonora. Se continui così, rischi un esaurimento nervoso! Coraggio, beviamoci su.” ride, levando in aria il calice di champagne.
“Sì, forse… forse hai ragione.” risponde mia madre, sfoggiando lo stesso sorriso che ho fatto io dianzi.
Tuttavia, in un secondo vengo gentilmente strappato alle grinfie della cugina e messo al riparo tra le braccia di mia madre, che mi stampa un bacio sulla fronte e mi pettina i capelli con gesti nervosi. Nel suo sguardo leggo preoccupazione, inquietudine, anche se cerca di mascherarla con un lieve stiramento di labbra. 
Non me la ricordavo così bella e fragile. I capelli scuri sono legati in un’elaborata acconciatura, lasciando libero l’ovale del viso. La carnagione chiara fa risaltare due occhi nocciola, grandi e caldi, incorniciati da ciglia nere e lunghe, e la bocca sottile tinta di rosa pallido completa il quadro. Sembra una di quelle dame ottocentesche ritratte nei dipinti appesi in casa, salvo per il vestito lungo dal taglio moderno e i tacchi a spillo che si intravedono appena al di sotto dell’orlo. Anzi, no, sembra una dea.
“Hai fame, tesoro? Adesso chiamo tuo fratello, ti accompagnerà al buffet. Adam! Vieni qui!”
Mio fratello maggiore si avvicina a noi e si ferma di fronte a nostra madre. Se la memoria non mi inganna, dovrebbe avere nove anni qui. Accidenti, è identico a come lo ricordo. Certo, l’ultima volta che l’ho visto era già un ragazzo diciassettenne, ma i suoi occhi marroni, uguali a quelli della mamma, sono gli stessi di sempre.
Quando Adam mi guardava, mi faceva sentire protetto, quasi come se il mostro nascosto sotto al letto non fosse altro che una favola del terrore per costringere i bambini a non abbandonare il rifugio delle coperte fino all’alba, per saperli al sicuro. Se si osava poggiare un piede per terra durante la notte, gli artigli del mostro afferravano la caviglia e trascinavano l’infante all’Inferno. Così mi ha sempre detto mia madre, ma a sei anni avevo capito che era solo una storia, grazie anche a mio fratello, che veniva a dormire con me quando glielo chiedevo, e con la sua sola presenza scacciava via le ombre che si annidavano nell’oscurità. 
“Porta Archie a mangiare qualcosa.”
“Sì, madre.” risponde obbediente.
Adam mi porge la mano e io la prendo senza esitazione.
Ad un tratto, il tempo pare scorrere in avanti velocissimo e arrestarsi poche ore dopo. Il ricevimento è ancora in corso, gli invitati sono alticci per via del vino e le danze continuano. Mia madre scherza con degli amici di famiglia, alcuni uomini parlano di affari fumando sigari puzzolenti e delle coppie ballano al ritmo di un walzer. Mio fratello non è più accanto a me e all’improvviso vengo colto dall’ansia. Non rammento perché Adam si sia allontanato lasciandomi solo, ma la voglia di andare in bagno mi distoglie dagli altri pensieri. E ho anche sonno.
In un secondo, senza sapere come, sto attraversando il corridoio che mi avrebbe condotto ai bagni della servitù, i più vicini alla sala da ballo. Non dovrei usare quelli, mia madre è convinta che sia disdicevole, ma non è la prima volta. Arrivo negli alloggi dei domestici, quando dei bisbigli richiamano la mia attenzione. Vorrei davvero andare in bagno, ma la curiosità sopprime i miei bisogni, spingendomi a spiare cosa sta succedendo. Mi apposto dietro una porta spalancata e mi affaccio appena, sporgendo solo la fronte e gli occhi. Vedo Gwen, una cameriera che mi ha spesso passato di nascosto i biscotti, seduta su una sedia, in lacrime, circondata da altre donne della servitù che cercano di consolarla. Perché piange? Mi mordo un labbro e vado via, poiché se mi scoprissero adesso lo andrebbero a riferire ai miei genitori e non voglio ricevere una punizione.
Torno indietro ripercorrendo i miei passi, finché, svoltato un angolo, mi ritrovo nei sotterranei di villa Blackwood. Non ricordo come ci sono finito, ma sento che non ha importanza. Mi trovo all’interno di un frammento di memoria, il tempo scorre in maniera diversa e non c’è necessariamente un nesso logico tra una scena e l’altra. 
Adam mi ha raccontato che questo seminterrato, tanti anni fa, veniva usato dai nostri antenati come punto di raccolta segreto per discutere di politica e scienza. Era l’epoca della rivoluzione e la casa ospitava spesso i raduni dei massoni. Poi, con l’avvicendarsi dei vari discendenti di sangue Blackwood, i sotterranei erano stati trasformati in un’enorme cantina, piena di vini pregiati e altri oggetti d’antiquariato che, in caso di bisogno, sarebbero stati venduti all’asta per ricavarci del denaro. Erano cimeli di famiglia, ma per me, un bambino di sei anni, non erano che mobili polverosi e quadri anonimi.
Con la coda dell’occhio colgo un movimento alle mie spalle. Mi giro di scatto col cuore in gola e faccio in tempo a vedere qualcosa di nero svolazzare rasente al pavimento. Il mio corpo si mette in moto da solo e seguo un uomo incappucciato attraverso un lungo corridoio mal illuminato, fino a scorgerlo sparire dietro una pesante porta di legno. Mi appiattisco sul muro, ma appena sento il tonfo del legno esco fuori dal mio nascondiglio e saltello silenzioso fino alla soglia, appoggiando l’orecchio sulla porta. Odo solo dei sussurri e una specie di canto basso, ma non ne comprendo le parole, sembra pronunciato in una lingua che non conosco. Allora mi piego in ginocchio e avvicino il viso al buco della serratura, dalla quale filtra la debole luce giallognola di una o più candele. Sbircio all’interno, il fiato bloccato in gola. Appena metto a fuoco le immagini, sgrano gli occhi e mi pietrifico, incapace di emettere un grido.
Dalla piccola fessura riesco a intravedere un tavolo di legno, sul quale è sdraiato Cody, il figlio di Gwen. Abbiamo giocato insieme qualche volta, anche se è più grande di me di due anni. È nudo e legato per i polsi e per le caviglie con delle cinghie. Pare dormire, perché ha gli occhi chiusi ed è immobile. Degli uomini incappucciati come quello che ho seguito gli stanno intorno, ma mi è impossibile stabilire il loro numero. Sono loro a cantare la strana litania e, non so bene il perché, percepisco una cascata di brividi freddi risalirmi la spina dorsale fino a drizzarmi i capelli sulla nuca per la paura. Sul tavolo viene posto un teschio col cranio spaccato e altri oggetti, fra cui un pugnale.
Non dovrei essere qui. Sta per accadere qualcosa di terribile, me lo sento.
Un uomo articola delle parole incomprensibili, solleva il teschio, posa le labbra sul cranio bianco e beve. Non idea di che genere di intruglio contenga. Poi lo passa all’uomo accanto a sé, che lo passa a un altro e così via, finché non si conclude il giro. Le fiammelle delle candele tremolano e gettano bagliori inquietanti sui muri di pietra e l’odore di fumo alimenta l’atmosfera claustrofobica e opprimente. 
Dopodiché, l’uomo che per primo ha bevuto dal teschio si china e torna in posizione eretta con un agnellino stretto tra le braccia, che emette teneri belati. Il pugnale sguainato viene posato sul suo palmo destro e in un battito di ciglia l’uomo apre uno squarcio profondo nella gola dell’animale, versando il suo sangue denso e caldo sul corpo di Cody. Altri due lo spalmano con cura sulla sua epidermide come se fosse una crema, poi gliene fanno colare un po’ in bocca. Allora l’uomo adagia accanto a Cody la carcassa dell’agnello, si spoglia e rimane nudo, mentre i suoi compari lo imitano. Solo un cappuccio nero resta a celare i loro volti. Si accostano tutti al tavolo, levano le mani al cielo e aumentano il canto di intensità e ritmo, che si fa più veloce, incalzante, primitivo. Cody è immobile, sembra non respirare nemmeno.
Non capisco cosa stanno facendo, per questo non reagisco come dovrei, cioè urlando e correndo di sopra per andare ad avvisare mia madre. Sono triste per l'agnello, mi sono sempre piaciuti gli animali, ma non riesco ad avere paura per Cody. La scena è molto strana, ma magari si tratta di un gioco.
All’improvviso il canto cessa, un uomo agguanta il pugnale, dice qualcosa e in un attimo lo affonda nel cuore del bambino. Il liquido rosso sgorga lento dalla ferita e a quel punto realizzo che ciò a cui sto assistendo è sbagliato. Tutto quello è male. Hanno fatto del male a Cody. Lo hanno ucciso. Avverto il sangue defluirmi dal volto e la sudorazione aumentare, insieme al battito cardiaco. Sto per gridare, quando dal nulla un ciuffo di capelli rossi e ricci entra nel mio campo visivo dall’alto. Piego la testa all’indietro, terrorizzato come non mai, ma due mani gentili, fresche e delicate calano sulle mie palpebre, costringendomi a chiudere gli occhi. Sento un sussurro nella mia testa e mi paralizzo, ma dura poco.
“Non guardare, Archie. Non guardare. È solo un brutto sogno.”

Mi sveglio di soprassalto, scontrandomi con un soffitto basso, pieno di crepe e macchie marroncine. L’aria è stantia e satura di umidità. Strizzo gli occhi e scuoto il capo con veemenza, troppo sconvolto per l’incubo che ho fatto. Anzi, non era un incubo, ma un ricordo. Un ricordo soppresso per anni. Che cosa l’ha sbloccato? 
Cazzo. In casa mia avevano luogo riti satanici, come ho fatto a dimenticarlo? E scommetto che mio padre c’entrava qualcosa, forse era pure il leader della setta. Quegli uomini indossavano i cappucci, quindi non ne sono sicuro, ma ho il vago sentore che Amos fosse lì. E mia madre ne era al corrente? Chi lo sa. Tuttavia, la domanda che mi preme di più in questo momento è: che ci faceva Laeriel laggiù? Perché l’ho riconosciuto, è stato lui ad impedirmi di guardare. Quando lo rivedrò non lo lascerò scappare, lo obbligherò a rispondermi. Deve spiegarmi molte cose e mi sono stancato dei suoi giochetti.
Mi giro su un fianco e mi accorgo di essere sdraiato sul pavimento di uno scantinato, ma l’ambiente non è familiare. Osservo le pareti spoglie e sprovviste di finestre, finché non individuo una porta. Mi metto seduto, tentando di alzarmi in piedi, ma chissà perché faccio fatica a mantenere l’equilibrio. Mi sento debole, privo di energie.
Dove sono? Come ci sono arrivato qui? L’ultima cosa che ricordo è il combattimento con gli Exurge Domine. Titus, quel maledetto bastardo, mi ha torturato e quasi ucciso. E Laeriel ha lottato per difendermi, pur comparendo in ritardo. Dove diavolo era mentre stavo per tirare le cuoia? E Samael? Dov’è Samael? Dio, non dirmi che, nonostante io abbia polverizzato i nemici con i miei poteri, sono stato catturato!
Mi appoggio al muro di mattoni, la testa che gira come una giostra e le gambe molli, per poi procedere a tentoni verso la porta. Afferro la maniglia e spingo. Un’altra stanza, identica a quella in cui mi sono svegliato, mi accoglie al suo interno e di fronte a me noto una porta uguale a quella che ho appena aperto. Barcollo verso di essa, ruoto la maniglia e spingo, solo per vedere lo stesso panorama una terza volta. D’accordo, c’è qualcosa che non va. 
Serro le palpebre e mi concentro, acuendo tutti i sensi. Non è reale, credo sia una dimensione diversa, come quella in cui vengono catapultate le anime dei peccatori prima di venire scagliate oltre il portale dell’Inferno, il banco di prova per decidere se vivranno altri tredici anni o se è giunto il loro momento. 
All’improvviso la stanza comincia a vorticare e io finisco col posteriore a terra in meno di un secondo. Il movimento si ferma una manciata di attimi più tardi e la porta innanzi a me si accosta silenziosamente, offrendo un sottile spiraglio da cui filtra la luce tremolante del fuoco. Ma non è lo stimolo visivo a colpirmi, quanto piuttosto quello acustico. Qualcuno sta gridando. Le sue urla disumane mi trafiggono le orecchie, penetrandomi nel cervello con la gentilezza di un trapano. Di riflesso mi copro con le mani, ma continuo a sentirle nella mia testa. Striscio verso la fessura, deciso a porre fine a questo strazio allucinante, ma, come nel sogno, quando sbircio oltre la porta inorridisco e contemplo atterrito lo spettacolo.
Laeriel è rannicchiato per terra completamente nudo, con braccia e ginocchia strette al petto. I capelli gli nascondono il viso, ma è chiaro che è lui ad emettere questi versi sofferenti, misti a singhiozzi e lamenti disperati. Samael torreggia su di lui, gli occhi che brillano come tizzoni ardenti e l’espressione deformata in una maschera di mostruosa collera. Non l’ho mai visto così furioso. I suoi occhi guizzano e l’istante successivo Laeriel viene avvolto e divorato dalle fiamme, che bruciano le sue carni sfrigolando ed emanando un fumo tossico. Le sue grida riecheggiano di nuovo per la stanza e, senza rendermene conto, permetto alle lacrime di rigarmi le guance. La mia voce è bloccata in gola e i muscoli sono intorpiditi e pesanti, ma se potessi farei irruzione e fermerei Samael. Il fuoco si esaurisce da sé e in pochi secondi, riempiti da urla e singhiozzi, la pelle carbonizzata di Laeriel si ricompone guarendo dalle ustioni, tornando intatta, liscia e pallida. Non faccio in tempo ad esalare un sospiro di sollievo che Samael rinnova la tortura e Laeriel prende fuoco un’altra volta. Da quanto va avanti? Perché il maestro sta facendo del male a Laeriel?
“Non guardare, Archie. È solo un brutto sogno.”
Il terribile spettacolo si ripete ancora e ancora, in un loop infinito da cui sembra non esserci uscita. Alla fine, stanco di vedere Laeriel ardere tra le fiamme infernali, trovo la forza di alzarmi e lanciarmi verso di lui, facendogli da scudo col mio corpo.
“Samael, basta!” esclamo con tutto il fiato che mi è rimasto.
Avverto uno spostamento d’aria, seppur lieve, e quando riapro gli occhi sono di nuovo fuori dalla porta socchiusa a guardare Samael punire Laeriel.
Non è reale, dannazione! Ringhio frustrato, strizzo le palpebre, digrigno i denti e comincio a tirarmi i capelli e a darmi delle botte in testa.
“Svegliati! Svegliati!”
“Non guardare, Archie. È solo un brutto sogno.”
Le mie grida si fondono con quelle di Laeriel, le nostre voci rimbalzano sulle pareti in un’eco senza fine, andando e venendo come un pendolo. 
A un certo punto, mi scopro disteso supino accanto a Laeriel, che mi fissa con aria disperata. Prende fuoco a pochi centimetri da me. Il mio corpo è diventato di piombo e non riesco a scansarmi. Però le fiamme non mi toccano, limitandosi ad avvolgere solo lui. Quando i suoi resti carbonizzati giacciono sul nudo pavimento, sia Laeriel che Samael svaniscono in volute di fumo, come se non fossero mai stati qui.
“Non guardare, Archie. Non guardare.”
“Guardami, Archie.”
Mi volto di scatto e punto gli occhi alla mia sinistra. Ci sono io lì, ma non sono io. È il mio doppio, quell’essere terrificante che… oh… se non sbaglio, mi ha aiutato durante il combattimento con gli Exurge Domine, mostrandomi come usare il mio potere. Forse non è un nemico. Però ciò non toglie che sia qualcosa di profondamente malvagio. Lo sento. Non posso fidarmi.
“Chi sei?” soffio spaventato.
“Lo sai.” ghigna divertito.
“No, non lo so.”
“Sì, invece, ma la tua mente rifiuta la risposta.”
“Che cosa vuoi?”
“Voglio te.”
“Perché?”
“Sei speciale. Sei unico e voglio che resti con me per l’eternità.” espone in tono ovvio.
“Io non ti conosco.”
“Oh, sì che mi conosci. Ci siamo già incontrati molti anni fa.” si china su di me, mi sorride e assottiglia gli occhi, “Avevi sei anni.”
Mi irrigidisco e il fiato mi si mozza in gola: “Cosa?”
“Ti ho visto sbirciare dal buco della serratura. E tu hai visto me.” rivela con voce melliflua, “Hai guardato, Archie.” sibila, alitando sul mio viso.

Tra le fessure lasciate in mezzo alle dita che mi coprono la visuale, scorgo Cody che si mette seduto sul tavolo, la testa ciondoloni sul petto. Poi raddrizza le spalle, scrocchia il collo e solleva il volto, un volto che non riesco ad associare a quello del figlio di Gwen. Quello non è Cody. I suoi occhi, due orbite vuote incastonate su una faccia scheletrica, incrociano i miei e immediatamente un incendio divampa nella mia anima, provocandomi un dolore indescrivibile.

“No… no! No!”
Indietreggio agitato, una patina di sudore freddo mi imperla la fronte, e striscio finché non mi trovo con le spalle al muro.
“Sai, avresti dovuto diventare mio, un giorno. Volevo te, non Cody, ed ero stato chiaro con quei pervertiti imbecilli, soprattutto con tuo padre: se desideravano la mia benevolenza, dovevano pagare un prezzo e darmi quello che volevo. Ma Amos…” scuote la testa e fa un gesto vago con la mano, “Tentò di ingannarmi attraverso vari espedienti, con l’aiuto dei suoi amichetti. Volevano fregarmi, riesci a crederci? Loro volevano fregare me! Sembra una barzelletta.” ridacchia e accorcia ancora le distanze, “Ti ha tenuto lontano da me per molto tempo e alla fine, proprio quando stavo per catturarti - ero così vicino! -, ti ha rubato la verginità. Ti ha macchiato per salvarti, in modo che nel tuo cuore e nella tua anima germogliasse l’odio e questo inghiottisse la purezza, affogandoti nell’oscurità. E così è stato. Certo, Amos era un pervertito pedofilo, non c’è dubbio, ma non posso negare che ti amasse davvero tanto. Vedi, io non posso toccare le anime immonde.” confessa osservandosi le mani, “Strano, vero? Per questo ho bisogno di innocenti. Cody era innocente, ma la sua anima era insipida. La tua, invece, emanava un profumo delizioso.”
Cammina verso di me, si inginocchia e accosta le labbra al mio orecchio, leccando il lobo con la punta della lingua. Rabbrividisco in preda al disgusto e alla paura, ma non posso ritrarmi. È strano parlare così con qualcosa che ha assunto il mio aspetto, mi mette a disagio.
“Mio padre voleva… salvarmi?” gracchio incredulo.
No, questo è assurdo! Era un mostro! Non è possibile che… no, mi rifiuto di pensarlo.
“Sì. Diciamo che ha optato per il male minore. Cos’è peggio: consegnare il proprio adorato figlio nelle grinfie del Male o lordare la sua anima affinché sopravviva?” abbozza una risatina, come se trovasse la cosa divertente, “Mi ha tenuto a bada con le anime di altri bambini innocenti, orfani raccattati per le strade o i figli piccoli dei domestici, ma non ho mai rinunciato a te. Poi ho realizzato che potevo sfruttare le circostanze avverse a mio vantaggio e invitarti dalla mia parte senza dover muovere un dito.” sussurra lascivo, spostandosi appena, “Hai iniziato a scrivere un diario e il ‘fato’ ha voluto che tuo padre entrasse in camera tua proprio mentre vergavi quella preghiera, la leggesse e gettasse il quaderno tra le fiamme. Pessima idea, visto che a quel punto il rito di invocazione è stato completato. Ho mandato Samael a prenderti e gli ho ordinato di metterti alla prova. Hai superato tutti i test con successo, anche quando in realtà credevi di aver fallito. Sei un fenomeno, Archie, ti faccio i miei complimenti!”
“No…”
L’essere solleva una mano e mi accarezza dolcemente una guancia: “In te coesistono Bene e Male, in un equilibrio che ha dello straordinario, in costante mutamento. Talvolta il Bene viene divorato dal Male e talvolta accade il contrario, come lo Yin e lo Yang, dove alla fine nessuno prevale sull’altro. In sostanza, Archie, sei un demone con un’anima e la natura demoniaca e quella divina, benché in lotta perenne, hanno trovato il giusto incastro, un’armonia inspiegabile.”
Mi stampa un bacio sulla bocca cogliendomi di sorpresa, ma lo interrompe subito. È un po’ come baciare il proprio riflesso allo specchio. Ma cosa vuole da me? Io vorrei solo che la smettesse di tormentarmi.
“Sei prezioso, infinitamente prezioso, e neanche te ne rendi conto. Però sei pure molto fragile e Samael nell’ultimo periodo non ti ha protetto come si deve. Ti ha donato l’indipendenza, e questo va bene, ma ti ha dato anche un margine di libertà che potrebbe costarti la vita.” appoggia la fronte sulla mia e la sua espressione si fa seria, “Sta’ attento. Quel Titus ha capito cosa sei e cercherà di tirarti dalla sua parte. Non abbassare mai la guardia.”
“Io non…” biascico smarrito.
“Mh?”
“Non voglio diventare tuo. Amo Samael e resterò con lui, non con te.”
Scoppia a ridere di gusto e la sua risata rimbomba nella stanza con un fragore assordante.
“Archie, sei davvero perfetto.” dice accarezzandomi le labbra, ma si arresta di botto, “Ah, quasi dimenticavo. Sta’ attento anche a Laeriel, sta tramando qualcosa. Purtroppo non riesco a vederlo, c’è una barriera divina intorno a lui che non sono in grado di penetrare, ma proprio per questo motivo penso che sia pericoloso. Tieni gli occhi aperti.” mi bacia i capelli, “Non temere: se sarai in difficoltà verrò a salvarti, come ho sempre fatto.”
“C-che… che intendi…?”
“Chi credi che abbia sventato i tuoi tentativi di suicidio? Dio?” chiede retorico, senza curarsi di mascherare l’ironia, “Se non ci fossi stato io, saresti già a bruciare all’Inferno, fidati.”
“Sei… sei stato tu?” balbetto sbigottito.
“Sì.” annuisce e sorride spavaldo, “Ho dovuto. Non avrei mai permesso alla tua anima di precipitare all’Inferno, perché in quel caso non avrei più potuto averti.”
“Chi sei?” domando di nuovo, un filino arrabbiato.
“Sono colui che porta la Luce. Io illumino il cammino, mostro la via e metto uno specchio davanti ai mortali, in maniera tale che affrontino la sporcizia che infanga la loro anima e capiscano quanto la loro esistenza sia un insulto a questo universo. Sono l’astro della conoscenza, che accende la ragione e spalanca gli occhi sulla realtà. Sono colui che porterà a galla le brutture del mondo e mostrerà all’Onnipotente il Suo fallimento con la luce della Verità.” afferma teatrale.
Impallidisco e boccheggio: “Lucifero.”
“Non guardare, Archie.”
La sua bocca si stira in un sorriso sinistro e il fuoco nei suoi occhi mi ingoia in un sol boccone, trascinandomi nell’abisso di tenebra da cui sono sempre fuggito. 
Il mostro è uscito da sotto il letto.

Non guardare!










 

  
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