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Autore: Margo_Holden    20/07/2015    2 recensioni
Sheena è una pacifista, che nel giorno della scelta, deciderà di stare con gli intrepidi.
Quello che non sa, è che non ci sarà solo la lotta per rimanere nel suo nuovo mondo, ma la lotta più grande dovrà vincerla contro se stessa e i suoi sentimenti.
Dal Capitolo 17.
"Quando giunsi lì, mi sedetti sul muretto con i piedi a penzoloni. Chiusi gli occhi e allargai le braccia. E sognai di essere una bellissima aquila, che volava e spiegava le sue ali senza paura o timore, che padroneggiava alta su nel cielo, limpido e senza nubi. Andava dritta per la propria strada e non si guardava mai indietro, sapeva cacciare e badare a se stessa, mentre muoveva le ali su e giù senza badare agli altri uccelli che la guardavano intimoriti. Aprii gli occhi di scatto quando capii che avevo disegnato il profilo di Eric."
Genere: Drammatico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Eric, Four/Quattro (Tobias), Nuovo personaggio, Tris
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 15.





Mio padre superò la notte ma non l’alba.
Il suo funerale fu come tutti i funerali a cui avevo partecipato, ma con qualcosa che lo diversificava.
Il vuoto dentro di me.
Non provavo nemmeno dolore, era come se il mio corpo si fosse svuotato di tutte quelle sensazioni che fanno parte della natura umana.
In me erano uscite e silenziosamente si erano andate a calcificare intorno al legno lucido della bara di mio padre, che mentre veniva coperta di terra fino a scomparire dalla visuale umana, anche le mie emozione, le mie sensazioni erano state sotterrate con essa.
Non riuscivo nemmeno a piangere.
Non vedevo più nemmeno gli sguardi degli altri.
Proprio non mi importava più di niente.
Quando tornai alla residenza degli intrepidi rimasi tutto il giorno a letto senza voler parlare con qualcuno.
E così quel giorno era passato e con due ore di sonno alla spalle ero arrivata al giorno dopo.
Feci tutte le cose che facevo normalmente ogni mattina.
Mi alzai, presi alcuni vestiti puliti e mi diressi in bagno perché il mio corpo aveva un disperato bisogno di lavarsi.
Aprii la porta e la richiusi facendo movimenti lenti quasi avessi paura che qualcuno mi sentissi.
Ma la verità era che per poter entrare nella doccia dovevo passare davanti allo specchio e questo mi faceva paura.
Però lo feci.
Così cominciai a camminare lentamente arrivando poi davanti l’oggetto del diavolo.
Chi sa come ero ridotta.
Ero irriconoscibile. Il mio viso era irriconoscibile. Gli occhi erano spenti, non brillavano più come prima, come se mio padre si fosse portato via anche la speranza. Ed erano gonfi e rossi, per le troppe lacrime versate e come se tutto quello non bastava erano contornati da due occhiaie profonde.
La cosa che più mi spaventava del mio mutismo, erano le azioni che compivo solo per abitudine.
Ormai facevo le cose e nemmeno me ne accorgevo. Come adesso, mi stavo spogliando ma non ci facevo neppure caso. Ero diventata apatica.
Quando finii di fare la doccia e mi vestii, uscii dal bagno e mi diressi nella sala delle simulazioni.
Quando entrai nella sala mi sentii addosso gli occhi di tutti i presenti.
Perfetto stavano aspettando tutti mea quanto pare.
-Okay adesso che la signorina qui presente ci ha fatto l’onore di presentarsi, possiamo cominciare.-
Sempre il solito tono derisorio di Eric, e le sue frecciatine contornate dalle risatine dei presenti.
Non ci feci caso ed andai a sedermi vicino James che mi abbraccio a se.
-Allora in preparazione del test di domani, oggi la simulazione sarà un po’ differente. Quattro vi spiegherà cosa dovrete fare.-


Quando ci aveva detto che le cose sarebbero state diverse, non credevo che intendesse farci affrontare le paure dei nostri allenatori. Infatti le persone che si prestarono per questo esperimento furono Quattro e Tris, per gli iniziati trasfazione e Cristina e Will per quelli interni. A supervisionare il tutto c’erano Caroline ed Eric.
Quattro passò tra di noi con un capello da baseball contenente dei fogliettini, fogliettini che ognuno di noi doveva pescare e che gli comunicava se la paura fosse di Quattro o di Tris.
Io pescai il nome di Quattro.
Poi ci fecero entrare a turno nella sala delle simulazioni.
Quando fu il mio turno, Quattro mi comunicò che avrei affrontato l’altezza.
Io non avevo paura dell’altezza e quindi tirai un sonoro sospiro di sollievo
-Che c’è, non mi dirai che la sorte è a tuo favore?- mi chiese Quattro sorridendo, forse anche lui aveva sentito il mio sospiro.
-Mai.- risposi sarcastica sedendomi sulla poltrona reclinata.
Quando premette  lo stantuffo della siringa nella gola quello che mi ritrovai davanti fu un bellissimo spettacolo di una Chicago più ventosa che mai.
Un sole splendete la faceva da padrone su quel cielo azzurro senza uno spruzzo di bianco che ne occupava la visuale. Con i suoi raggi caldi che si andavano ad abbattere sui tetti delle case di Chicago. Potevo vedere in lontananza anche il lago. Era una tipica giornata estiva. Ma tutto sembrò mutare perché quando mi alzai in piedi un vento forte rispetto a quello iniziale della simulazione piacevole,  si alzò con me facendomi perdere l’equilibrio. E se in lontananza lo spettacolo delle case e dei palazzi era rassicurante, dall’altra lo spazio che divideva i miei piedi dal suolo era tutta un’altra maglia di roba. Ero davvero in alto, nemmeno quando mi arrampicavo da bambina riuscivo a raggiungere quel livello. Spostai poi lo sguardo sul piccolo ponte che mi divideva dal raggiungimento della meta e per un attimo mi sembrò così lungo e non molto stabile.
Ma comunque tronai in me (per quanto potessi), presi un bel respiro e cercai di muovere qualche passo anche se il vento era davvero forte.
Uno
Due
Tre
Quattro 
Cinque
Sei (persi l’equilibrio anche se riuscii a raddrizzarmi)
Sette
Otto
Nove
(Finalmente potevo vedere la fine del ponte mancavano pochi passi e c’ero quasi.)
Dieci
Undici
Dodici
Tirai un sospiro di sollievo quando toccai il pavimento cimentato sotto di me e non sentivo più nemmeno il vento sulla faccia, vento che mi stava facendo lacrimare. Almeno avevo la consapevolezza che sapevo ancora piangere.
Poi il vento cessò definitivamente, il cielo si fece bianco e il pavimento sotto i mei piedi scomparve. Ero tornata nella sala della simulazione ed ad attendermi c’era Quattro che con un sorriso tutto denti bianchi mi tendeva la mano.
Strabuzzai un po’ li occhi per la luce accecante, ma poi afferrai la sua mano e mi misi in piedi.
-Fantastico hai battuto ogni record possibile Sheena, un minuto e cinque secondi. Magari un giorno mi spiegherai come hai fatto.- mi sorrise ed io feci lo stesso, ma poi tornai alla mia espressione buia. Non ce l’ha facevo proprio. Non mi riusciva nemmeno di essere felice. Volevo solo piangere ma nemmeno quello più mi riusciva. Non una goccia. Nemmeno a causartela con la forza, nemmeno a pregarla o a rubarla.
Stavo impazzendo e non sapevo nemmeno cosa fare.
Il vuoto che mio padre aveva lasciato dentro di me era peggio di un buco nero senza fine.
-Un giorno te lo dirò.- risposi e uscii dalla stanza.
***
Era ora di pranzo così anche se il mio stomaco non sentiva la necessità di mangiare andai lo stesso in mensa per provare a farmela venire, magari anche guardando il cibo.
Quando entrai mi diressi diretta al buffet e presi un hamburger con una fetta di torta al cioccolato.
Poi raggiunsi il tavolo di James e come sempre mi sedetti vicino a lui.
-Ehy come ti è andato il test?- mi disse sempre sorridente mentre io cercavo invano di mettere in bocca un boccone di cibo. Niente. guardavo quel pezzettino tagliato di hamburger e mi saliva su una bile assurda. Così per cercare di non vomitare davanti a tutti, posai la forchetta ed aspettai qualche minuto prima di riprovarci.
James mi guardò ma non disse niente così risposi alla sua domanda.
-Bene, ho dovuto affrontare la paura dell’altezza a te invece?-
-Bene.- ma il suo sguardo si indurì. Quasi mi stesse studiando. Ma non aggiunse altro. lo ringrazia mentalmente per questo.
E rimanemmo in silenzio per un po’ mentre io mi guardavo intorno cercando di farmi nascere la voglia di mangiare. Cosa inutile, così ripresi in mano la forchetta come se fosse stata la sciabola da usare contro il nemico e me la portai in bocca. Repressi la voglia di vomitare e chiusi gli occhi mentre comincia a masticare il piccolo pezzo di hamburger che avevo tagliato. Masticai, masticai e masticai fino a quando il pezzo non scivolo giù insieme alla saliva. Almeno avevo messo qualcosa nello stomaco. E così continuai per altri tre quattro pezzo, poi però basta. La bile stava salendo di nuovo e non volevo vomitare  l’unica cosa che avevo messo nello stomaco dopo due giorni di interminabile astinenza dal cibo.
Passai così al dolce, ma dopo soltanto tre bocconi decisi di regalarla a James.
-Io vado.- dissi interrompendolo mentre parlava con un suo compagno e mi alzai.
-Dove ti posso trovare?- mi chiese bloccandomi il polso
-Al pozzo vado a chiedere in giro se qualcuno ha bisogno di un aiutante, sai com’è non tutti sono portati a fare il capofazione.- risposi un po’ troppo acida e usando un tono duro.
James annui solamente e mi lasciò andare ricominciando a parlare con il suo amico. Speravoche non ci fosse rimasto male. Non tanto per quello che avevo detto ma per il tono che avevo usato.
Mi chiusi la giacca e mi fiondai al ponzo speranzosa di trovare qualcuno che mi accettasse  a lavorare dopo che l’iniziazione si fosse conclusa.
Pensai che il posto ideale era il negozio di tatuaggi, quello di Tori. In fondo sapevo disegnare anche molto bene grazie a dei corsi che feci a scuola e ai pomeriggi passati in cameretta. Mi sembrò un idea carina.
Mentre scendevo le scale per andare da Tori la tatuatrice, mi accorsi in anticipo che vicino il bar del pozzo erano seduti Helena e Ian che chiacchieravano allegramente. Non volevo disturbarli, non volevo che la loro ironia finisse nel momento in cui Helena mi avesse visto. Perché lei ce l’aveva con me e io non ne avevo mai capito il perché. Ma la verità è che io non avevo fatto niente nemmeno per cercare di ricucire o quanto meno aggiustare il rapporto che si era venuto a creare nei primi giorni.
Dovevo per forza di cosa passare davanti al loro tavolo ed in effetti quando finii di scendere le scale e mi avviai da Tori fu proprio Ian a chiamarmi e così, fui costretta ad andare vicino lui.
-Ciao Ian, come sati?- e ci salutammo con un bacio sulla guancia.
-Ciao Sheena, volevamo farti le condoglianze. Insomma anche se hai scelto di essere qui con noi tra gli intrepidi questo non vuol dire ripudiare per sempre o non poter piangere per la morte della persona che più ti vuole bene.- disse tutte quelle parole con una tale leggerezza, non quella delle persone stupide ma quella delle persone che sono nate per stare li vicino a te ad asciugare le lacrime e a porgerti la spalla.
-Grazie- e con un sorriso sincero mi allontanai. Lui non cercò di fermarmi e nemmeno Helena.
Meglio così.
Entrai nel negozio di Tori e come sempre nell’aria alleggiava quell’odore di disinfettante ed inchiostro che mi piaceva già un sacco. Mi avvicinai al bancone dove ad attendermi c’era una ragazza bionda e riccia che era intenta a leggere un foglio.
-Ciao, sai dirmi dove posso trovare Tori?- chiesi gentilmente alla ragazza che alzò lo sguardo su di me mentre mangiucchiava la gommina della matita.
-Ciao anche a te, mi dispiace ma Tori non c’è. Oggi ha il giorno libero.- mi disse tornando ai fogli.
-Okay…- e dato il modo di fare della ragazza che in qualche modo mi stava chiedendo di andarmene se non serviva altro, mi allontanai e uscii fuori.
Perfetto sarei ritornata domani, finita la prova. Volevo e dovevo lavorare lì, questo era sicura.
Intanto la temperatura si stava facendo sempre più bassa e così mi strinsi ancora di più nella mia felpa.
Nel momento in cui richiusi la porta, ad attendermi sul portico c’era proprio l’ultima persona che mai mi sarei aspettata di trovare: Helena. La guardai davvero come se fosse un regalo inaspettato e così mi avvicinai a lei, con una certa allegria addosso.
-Ciao.- disse per rompere quel silenzio fatto di sguardi.
-Ciao. Come mai sei qui?- chiesi con un espressione sconvolta sulla faccia.
Mi aveva anche parlato per prima.
-Volevo farti le condoglianze… Quindi condoglianze.- e tentò di farmi un sorriso sincero.
-Okay, non sei qui solo per questo vero? Perché è così, è il momento perfetto per chiarire questo casino che si è creato tra di noi.- dissi tutto d’un fiato cominciando poi a chiarire e a recuperare quello che avevamo perso.
In effetto Helena aveva le sue buone ragioni per avercela con me.
In poche parole io non l’avevo considerata molto.
Aveva capito che avevo un debole per Eric e aspettava con ansia il momento in cui io glielo avessi detto, ma io ho preferito dirlo a Brian.
Non gli avevo neppure mai detto che con Brian era tutto finto.
Ma io d’altronde avevo le mie buone ragioni: non mi fidavo molto della migliori amiche a causa di quella stronza pacifica che per anni ho chiamato migliore amica ma che in effetti non era niente.
-Senti …che ne dici se per sugellare questa nostra rimpatriata andassimo a fare shopping? Ho saputo che domani ci sarà la festa per tutti i nuovi intrepidi e io, non so te, non ho niente da mettere, se non tute, tute e ancora tute.- mi disse ed io accettai con voglia.
Andammo a prendere i gettoni che ci avevano dato durante l’addestramento, e che io non avevo mai speso e andammo a comprare vestiti, trucchi e cose varie.
Al pozzo c’erano due negozi per vestiti da uomo e donna tra cui uno solo per l’attività fisica.
E vicino c’era anche quello per il make-up.
Il primo negozio in cui ci imbattemmo fu quello per trovare il vestito per la festa.
Nel negozio c’erano anche altre persone tutte  a parlottare tra di loro dell’imminente festa di domani e tutte li per trovare il vestito perfetto. Alcune lo sceglievano molto corto per trovare il ragazzo perfetto per la serata, solo per la serata. Ad altre per far venire un infarto al proprio ragazzo.
Noi avevamo intenzione di trovare qualcosa di adeguato alla nostra età e soprattutto che tenesse lontano gli indesiderati.
Mentre cercavo qualche vestito, sentii la voce di Taylor che sparlava allegramente con una sua amica di Eric. E così, come un cane fiuta l’odore del tartufo, io mi misi ad origliare con adeguatezza le sue parole.
-Beh ho notato che da qualche tempo è molto lontano da me.-
-Forse sarà il lavoro di allenatore, sai quanto odia fare il babysitter a quei coglioni di bambini.- e rise.
-No non è quello, perché comunque l’anno scorso lo facevamo sempre, ad ogni ora pure. No questa volta c’entra un'altra. E io so pure chi è.-
“perché comunque l’anno scorso lo facevamo sempre”
Una smorfia di disgusto  mi si dipinse sul volto e sperai che non mi avesse vista, ma era troppo impegnata a comprare il vestito perfetto quindi continuai ad origliare.
-Chi?- chiese l’amica con una voce da oca giuliva.
-L’iniziata pacifica. Non so cosa ci trovi in lei, è pure brutta.-
Come se lei fosse miss mondo. Ma per favore.
Intanto io continuavo la mia ricerca, ma la rabbia cominciò a montare e venire su.  Quindi anche se l’ascolto mi interessasse molto, dovevo allontanarmi, e pure al più presto, così andai da Helena che intanto aveva già trovato qualche vestito, al contrario di me.
-Hey che hai scelto?- mi chiese. Ma io non ci feci neppure caso, nella mia mente rimbombavano le sue parole, le parole di Taylor e non riuscivo a farle andare via.
-Sono così brutta?- gli chiesi e lei sembrò sorpresa di questa domanda tant’è che mi sorrise e scoppiò a ridere.
-No che non lo sei e lo sa pure Eric.- aveva capito benissimo e le sue parole riuscirono a caricarmi. Non che mi credessi bella. A pensarci bene Taylor aveva tutto quello che un uomo desiderasse dal corpo di una donna. Tutto. Cercai di farmela passare per non rovinare quella giornata con la mia amica.
Così ci mettemmo a provare una montagna di vestiti fino a quando gli occhi non mi caddero su un top davvero bello. Aveva uno scollo a v molto profondo ma era davvero perfetto, perché non era ne troppo casto ma nemmeno troppo da poco di buono, era sensuale. Ma non sapevo con cosa abbinarla, così mi feci aiutare dalla commessa che da esperta quale era, mi diedi una gonna a vita alta stretta nera tutta in finta pelle da abbinare ad un bellissimo chiodo da indossare sulle spalle e non dalle maniche. Mi convinsi che mi stava bene e così comprai il tutto con dei  stivaletti bassi in pelle lucida, i quali sulla destra avevano tra fibbie in argento e delle calze a reti, che non avrei messo.
Helena aveva optato per un vestito nero con maniche trasparenti e uno scollo sulla schiena, con dei decolté lucidi neri. Uscimmo da li e ci recammo nel negozio di make-up. Entrammo nel negozio e la puzza di cosmetici ci investì letteralmente per non parlare della voce squillante delle commesse che ci chiedevano, appena entrate se volessimo una mano, ma noi rispondemmo che non ci serviva.
Girovagammo un po’ per il negozio fermandoci davanti lo scaffale dei smalti.
-Guarda la scelta è ardua nero o bordeaux.- e scoppiammo a ridere alla mia battuta.
I colori erano quello che erano ma la fazione pure. I vestiti che avevamo scelto erano neri e quindi per smorzare il tutto cercammo di comprare uno smalto bordeaux. Per quanto riguardava gli occhi e la bocca fummo costretta a chiedere aiuto. La commessa ci consiglio di calcare la matita nera sotto gli occhi o di tracciare una linea ben definita con l’eyeliner.
Quando finalmente uscimmo da quel posto chiassoso e rumoroso, ci accorgemmo che era ora di andare a cena e soprattutto che avevamo passato tutto il pomeriggio a fare shopping.
Cosa che io non avevo mai fatto prima d’ora, ed era anche normale come cosa, dato che i vestiti tra i pacifici me li cucivo io e lo facevo anche per mio fratello e mio padre.
Tornammo nella camerata e posammo tutti i nostri acquisti del pomeriggio e poi ce ne andammo alla mensa.
Quando entrammo però dissi a Helena che sarei andata da James perché dovevo parlargli e così mi recai al tavolo dei capifazione.
Notai che Eric non era presente e non lo vedevo da questa mattina. Questa cosa mi preoccupava parecchio, soprattutto il non sapere dove fosse e con chi fosse.
Mi sedetti come sempre di fronte a James che stava mangiando un panino ripieno di tre hamburger e salse varie.
-Non ti sembra che hai messo poche salse, forse se aggiungessi anche questa…- e con un sorriso maligno gli spruzzai sulla faccia il ketchup  rimasto nel tubetto. Lui proprio non se l’aspettava e così gli andò tutto dentro a quell’enorme bocca batterica che si ritrovava. I scoppiai a ridere e lui rimase per un po’ sbigottito ma poi, assunse a sua volta un sorriso da sadico e con il ketchp che si era andato a impiastricciare sul vassoio, mi lavò la faccia con esso. Adesso puzzavo anche di Fast-food. Fantastico. Ero stata vittima del mio stesso gioco.
-Va beh, dopo che hai finito di mangiare quest’enormità di panino che ti sei fatto, devo parlarti- gli dissi pulendomi la faccia con un fazzoletto e tronando di colpo seria.
-Puoi farlo anche mentre mangiamo…ah già, tu non riesci nemmeno più ad ingoiare una briciola di pane. Avanti Sheena parla o te le caccio io le parole.-
Il tono che aveva usato non era dei più cordiali o amichevoli, anzi era stato davvero cattivo ma come biasimarlo, anche io se fossi stata al suo posto avrei fatto lo stesso. Anzi gli avrei urlato di mangiare tutto perfino le briciole nel piatto perché in quel modo non si poteva andare avanti.
Così, mi presi qualche minuto per cercare le parole adatte.
-Sono come un guscio di tartaruga, duro e forte, che cerca di proteggersi ad ogni tipo di attacco. Il problema è che la tartaruga ha già lasciato il guscio perché è come dire…morta.-
-Ti senti una morta che cammina?-
-In un certo senso si, ma la verità è che non riesco più a provare un’emozione, non uno di numero, solo la rabbia, ecco quella la sento e pure tanto. Quella stronza mi è rimasta attaccata e l’ho capito oggi, sai?-
-Qual è il nocciolo della questione Sheena? Che la morta di tuo padre ti abbia segnato profondamente  l’avevamo capito, almeno io, perché gli altri fanno finta di non vederlo. Ma che addirittura fossi arrivata a spegnere i tuoi sentimenti, questo non lo avrei mai creduto possibile.- e mi guardò dritto negli occhi. Ci potevi navigare dentro in essi e nemmeno te ne accorgevi.
-Tu non puoi capire, tu…- provai ma lui non mi fece finire.
-Mia madre è morta tempo fa questo ti basta? Ma al contrario di te, io mi sono lasciato andare, ho imparato a convivere con il dolore, non a fingere con me stesso che non esisteva o peggio, a sotterralo sotto una valanga di ricordi che poi si sono trasformati in rabbia crescente. Lo sai cosa penso?-
-Cosa?- chiesi retorica senza però riuscire a guardarlo.
-Che debba lasciarti andare, che debba provare qualcosa che ti faccia riaccendere quelle emozioni che tieni sotterrate, per non soffrire, ma che soprattutto, tu devi ritrovare uno stimolo, un emozione, chiamalo come cazzo ti pare, ma che ti faccia tornare a vivere. Ecco cosa penso. E se piangessi non farebbe male.-
Quello che aveva detto fino a quel momento erano tutte cose vero, cose che non avrei mai ammesso a me stessa ma che sapevo perfettamente, ed era anche per quello che avevo deciso di parlare con James, lui era la voce della mia coscienza, l’unico a capirmi.
-Ci ho provato, e riprovato ma niente.  È come se mi fossi dimenticata come si fa a piangere.-
James non rispose più, e intanto si era finito il panino e si puliva le mani. Poi improvvisamente si alzò ma prima di andarsene aggiunse –Sai benissimo come si fa, e sai benissimo a quale emozione mi riferisco.-
Io rimasi lì ancora un po’ interdetta mentre mi mettevo le mani nei capelli, poi sentii una voce alle mie spalle e qualcuno che poco garbatamente si sedette sulla panca, vicino a me. Alzai gli occhi, quel poco che basta per vedere chi fosse e mi ritrovai vicino Eric, che non mi degnava nemmeno di uno sguardo. C’eravamo solo io e lui. Nessun’altro era in quel tavolo.
- Sai Sheena, pensavo a quanto tempo risale il tuo ultimo pasto, non che me ne importi qualcosa, ma qui alleniamo soldati. I soldati devono essere forti e ben nutriti, ma soprattutto debbono lasciare fuori i loro affari privati ma concentrarsi solo sul loro maledetto operato. Come pensi di fare se non mangi?-
Non risposi ma sbuffai sonoramente. Decisi di alzarmi ma lui prontamente, senza smettere di guardare davanti a se, mi fermo con il braccio e stritolando il mio mi impose di risedermi. Poi si mise a cavalcione sulla panca e cominciò a spezzettare il cibo non piatto. Ma da parte mia, più vedevo quel cibo, e più il senso di nausea cresceva. Così respirai a fondo e cercai con tutta me stessa di non farmi vedere in quello stato.
-Apri quella cazzo di bocca o giuro che te la faccio aprire io a forza di schiaffi.- e così feci.
Aprii la bocca e cominciai a masticare il pezzettino di hamburger. Quando mandai giù lui prontamente mi ficcò con poca delicatezze il cibo in bocca. Al terzo fermai la mano.
-Faccio da sola.- e cercai di prendere la forchetta dalla mano di Eric. Ma lui niente.
-Porca troiai Eric! Mi stavo per strozzare e poi non ho bisogno di un babysitter!- dissi con il fuoco negli occhi.
Lui ridusse gli occhi a fessura e mi diede piatto e forchetta in mano.
-Ti conviene mangiare tutto, o domani ti tolgo dieci punti.-
E così cominciai, pezzetto dopo pezzetto avevo mangiato la metà delle cose presenti nel piatto, ma al settimo boccone dovetti mandar giù la bile che stava lentamente salendo dallo stomaco alla bocca e posai il piatto con la forchetta sul tavolo. Ma Eric la riprese e mi ficco in bocca quel ottavo boccone che io non riuscivo a mandare giù.
-Manda giù Sheena! Manda giù quel fottutissimo pezzetto di cibo. Oggi sono già incazzato di mio, non voglio arrovellarmi anche con te! Hai capito ragazzina! Devi finire tutto il cibo nel piatto, senza storie.-
-Ma vaffanculo mica sei mio padre, cazzo!- risposi in preda alla rabbia.
Allora lui mi mise una mano sulla bocca e un’altra dietro la schiena.
Il senso di impotenza mi invase. Il fatto che non potessi decidere per me, cosa mangiare o quando mangiare, mi faceva andare in bestia. E adesso anche se lui voleva aiutarmi, io il suo di aiuto non lo volevo. Volevo risolvere le cose da sola, per una volta.
Quasi senza accorgermene cominciai però a piangere.
Quelle lacrime che scendevano calde dal mio viso riuscirono a farmi ingoiare il boccone.
Fu però quando sentii l’assenza della mano di Eric sulla mia bocca che cominciai a singhiozzare.
Qualcosa dentro di me cominciò a sciogliersi, come se quel groviglio di ansie che si era venuto a creare in quei pochi giorni, si fosse definitivamente sciolto e avesse lasciato il posto a un po’ di serenità.
Eric mi guardò e non disse niente. Smise anche di farmi mangiare. Poi alzò una mano e con il pollice mi asciugò una lacrima che stava cadendo.  Disegnando dei contorni invisibili intorno alle mie occhiaie.
-Da quanto non dormi?-
-Ieri notte ho dormito solo due ore.-
-Ieri…l’altro ieri?-
-Niente…-
-Va a dormire. Domani è un giorno importante per te.- poi si alzò e se ne andò, lasciandomi lì, con il piatto ancora pieno e con una montagna di domande che avrei voluto rivolgergli.
Stanca di tutto decisi di andare a dormire.
E finalmente quella notte riuscii anche a dormire sette ore e a non avere incubi.





lo so, sono da lapidare ma se in inverno i miei impegni sono la scuola, in estate sono gli amici. 
Se può consolarvi ho già pronto il prossimo capitolo che posterò settimana prossima, sempre se trovo un misero spazio di tempo.
Grazie come sempre a tutte quelle persone che seguono la storia (dico solo 20 preferiti, ed io che credevo che nessuno avrebbe letto sto schifo di storia.) a cui voglio un mondo di bene e a chi recensisce(?).
Alla prossimaaaaaaaaaaa xoxo <3 
   
 
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