Ciao a
tutti! Questa storia mi è passata di mente un giorno, e l’ho scritta tutta d’un fiato.
Spero che
vi piaccia, buona lettura a tutti!!!
ROMOLO CHE NON FONDO’ ROMA
Il più grande equivoco
della storia
Erano
passati secoli e secoli dalla fondazione della città
di Roma e ormai l’impero romano
appariva
come il più grande e magnifico impero del mondo allora conosciuto.
Un bel
giorno il sole splendeva alto nel cielo limpido e illuminava la città, in una
calda
giornata
estiva: tutto sembrava apparentemente normale agli occhi dei mortali. Ma in
realtà
quello era un giorno particolare: infatti, dopo anni, decenni, secoli di
attesa,
finalmente gli dei avevano accordato il permesso di visitare Roma allo spirito
del suo
eccelso
fondatore, Romolo.
Questi,
d’altro canto, non desiderava altro: era rimasto anni
e anni a domandarsi se la città
che
aveva fondato si fosse veramente meritata la fatica che gli era costata; e così,
erano
trascorsi
secoli, senza che la sua anima si reincarnasse in alcun corpo.
Felice e
compiaciuto per l’ obiettivo raggiunto, lo spirito,
invisibile agli occhi degli uomini,
si
avvicinò, fluttuando nel cielo, alla città.
Arrivato,
rimase stupito da ciò
che gli si prospettò davanti: si ritrovò fra le vie di una
città
viva e splendente, fra piazze, anfiteatri, teatri, circhi.
Muovendosi
estasiato intorno agli edifici adibiti a funzione di terme e vedendo l’ alta
tecnologia degli acquedotti sorrise tra
sé e sé: era lui il fondatore di tutto quello splendore,
il
capostipite dei Romani. Molto probabilmente sarebbe tornato ai Campi Elisi
felice e
contento,
se la sua visita si fosse limitata solo a quel breve giro turistico. Invece volle
spingersi
oltre.
Verso la
fine della giornata che gli dei gli avevano concesso nel mondo dei vivi, Romolo
decise
di addentrarsi dentro una casa, ma non una povera insula, bensì una domus.
Anche
qui rimase stupito e affascinato: era una dimora lussuosa e confortevole. In
inverno,
per
esempio, le pareti e i pavimenti cavi permettevano di far circolare aria calda aspirata
da
un
forno acceso e di riscaldare l’acqua per il bagno. Una vasca permetteva di
raccogliere l’
acqua
piovana e i giardini interni erano popolati da varie specie di piante.
Anche
davanti a tutto ciò lo spirito non poté non sentirsi pieno d’orgoglio. Ma ecco che
sentì
alcune voci provenire dal fondo del corridoio, anzi no, la voce era una sola,
una voce
maschile
e proveniva da una delle stanze che si affacciano sul giardino.
Incuriosito,
Romolo si addentrò fluttuando nella stanza. Un uomo era seduto al centro
della
sala, attorniato da una piccola folla: stava leggendo qualcosa ad alta voce.
Dal suono
melodioso
che le parole avevano all’ interno di quei versi, Romolo intuì che doveva
trattarsi
di un
poema. Infatti, quel qualcosa, non era altro che l’ Eneide.
Decise quindi di ascoltare
anche
lui e scoprire ciò che la mente dei suoi geniali discendenti poeti era riuscita
a creare.
Sicuramente
apprese che la mente dei poeti era proprio geniale, ma scoprì anche che quei
poeti
non erano solo suoi discendenti. Seguiva interessato la narrazione e,
inizialmente,
credette
che il poeta stesse parlando di lui, quando alludeva alla fondazione di Roma da
parte
di un uomo pio e valoroso. L’orgoglio crebbe nel suo animo finché non si rese
conto
che
l’ opera non cantava le sue imprese, bensì quelle di un certo Enea.
In un
primo momento pensò di aver capito male, ma poi l’ evidenza
dei fatti divenne
innegabile: la narrazione parlava proprio di Enea, un eroe troiano scampato all’
incendio di
Ilio, che
vaga per mare con alcuni suoi compagni esuli dalla guerra e cerca il luogo
prescritto dal Fato per fondare una nuova Troia, cioè Roma stessa, dove
risiederanno gli
dei
Penati, che egli aveva portato via dalla città in fiamme.
A sentir
narrare le vicissitudini di quel personaggio si sentì improvvisamente sminuito:
chi
era
lui a confronto? Cosa aveva fatto di più importante rispetto a
questo Enea?
No, la
verità era una sola: quell’uomo era solo un’invenzione
di un poeta, non era mai
esistito.
Eppure
sentiva il dubbio rodergli la mente: e se in realtà la città da lui fondata non
fosse
stata
Roma, ma solo una cittadina minore, poi conquistata e inglobata da Roma stessa?
Non
restava che tornare ai Campi Elisi: se veramente Enea era esistito,
se era stato un
uomo
pio e giusto, l’avrebbe trovato lì.
La sua
giornata di libertà non si era ancora conclusa, ma la
curiosità era troppo grande e
non
avrebbe potuto resistervi oltre.
Tornato nell’Ade
e arrivato ai Campi Elisi incominciò a chiedere ad ogni anima che gli
capitava
vicino se avesse mai sentito parlare di un certo Enea: alcuni rispondevano in
modo
evasivo, altri erano invece stupiti del fatto che Romolo non avesse mai sentito
il suo
nome.
Finalmente,
incontrò lo spirito di un guerriero ( forse anch’ egli troiano) che si offrì di
condurlo
da Enea. Romolo accettò, ma quando arrivò nei pressi di un grande albero dove,
sotto
la chioma, all’ ombra, Enea e Anchise discorrevano, si arrestò.
L’ eroe
emanava un’aura luminosa e il solo vederlo trasmetteva un senso di
tranquillità.
Circondato
da quella luce splendente, Enea sembrava altissimo, intoccabile da comuni
mortali,
un qualcosa, insomma, che parola umana non può spiegare.
Romolo si riconobbe
improvvisamente piccolo e incapace
davanti ad un essere simile
e,
quasi spaventato, si allontanò, ringraziando comunque il guerriero che l’aveva
accompagnato.
Non molto
lontano, si sedette, sospirando: le illusioni di secoli e secoli
si erano ora rivelate
come
fasulle: non era lui il vero fondatore di Roma.
Romolo
non venne mai a conoscenza della verità: era stato lui a fondare Roma, in
qualità
di
discendente di Enea.
Lo
spirito passa tuttora l’eternità che gli si prospetta davanti sconsolato e
triste per ciò che
crede
solo un’ illusione: tendi l’orecchio e forse riuscirai a sentire il suo
sospiro.