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Autore: CassandraBlackZone    22/07/2015    3 recensioni
Tutto accade il 29 giugno del 2016, data in cui viene ritrovato il cadavere di Slenderman, leggenda metropolitana reputata da sempre una mera invenzione di Internet. Questa scoperta non può far altro che suscitare una curiosità tale da spingere un gruppo di scienziati a studiare il corpo della Creepypasta; curiosità che portò alla rovina la razza umana. Bastò una sola incisione e un potente virus si diffuse indisturbato in tutto il mondo confondendosi con l'ossigeno. Esso venne denominato CRP. Le conseguenze? Quando una Creepypasta muore, essa rinasce successivamente in un qualsiasi individuo in cui il virus si è ben sviluppato. Pur sapendo la sorte che l'attende, l'umanità è tenuta a proteggersi dai soggetti infetti, i quali sono destinati a seguire il loro istinto di uccidere.
Genere: Azione, Fluff, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing | Personaggi: Jeff the Killer, Nuovo personaggio, Slenderman
Note: What if? | Avvertimenti: Violenza
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Implorata dal padre adottivo, Annabelle si diede una lavata dal precedente combattimento e indossò, controvoglia, un vestito azzurro, semplice ed estivo,sbracciato con le spalline in pizzo e con un’apertura a rombo sulla schiena. Lo odiava, non le era mai piaciuto quel tipo di abbigliamento sin da piccola, lo trovava scomodo e inappropriato, ma decise di metterlo solo perché apparteneva alla moglie di Cherubi, Stephanie, quando aveva all’incirca la sua età. Quando glielo porse sembrava così contento, orgoglioso di regalare qualcosa di così prezioso alla sua adorata bambina, e perciò Annabelle non poté far altro se non accettarlo, in modo tale da renderlo felice almeno in quell’occasione.
«Sei così strana, vestita così» commentò Marcus, incapace di capire il senso del vestiario tanto quanto la stessa Annabelle.«Insomma, ok. È tuo padre biologico, ma ciò non vuol dire che tu debba andare con lui, no? Dopotutto ti ha abbando-…»
«Quando vuoi sai essere davvero indelicato, Marcus Wright» lo rimproverò Itaca, capitano della compagnia a cui appartenevano i due ragazzi. Donna rispettata da tutti, persino dai suoi superiori per le sue straordinarie capacità combattive; chiunque osasse mancarle di rispetto doveva avere a che fare con lei in prima persona. Purtroppo, durante la sua prima missione notturna da soldato semplice, le venne portato via l’occhio destro, ma ciò non le impedì di continuare la sua strada da cacciatore di CRP.«Io dico che ti dona molto.»
«G-Grazie» rispose Annabelle imbarazzata.
«Fatemi capire. Il tizio che ci finanzia il campo è suo padre e ora che sono passati quindici anni ha intenzione di portarla via con sé?»
«Esatto» rispose Itaca semplicemente.
«Ma perché? Non ha senso» chiese Marcus adirato.
« È molto probabile che inizialmente non poteva prendersi cura di lei, ma ora sì. Non ci vedo nulla di strano.»
«Oh, capitano Martinez. Questa volta quella indelicata è lei. Insomma, dopo aver passato la sua intera vita qui come può pretendere che Annabelle decida di punto in bianco di andarsene?»
«Infatti questo lo deciderò oggi» disse Annabelle sistemandosi i sandali di pelle nera, un regalo da parte di Itaca.«Valuterò la situazione. Pap-… il generale Cherubi mi ha assicurato che è una persona… di cui posso fidarmi. Pur essendo eccentrica.»
«Io davvero non ti capisco…» mormorò Marcus aggrottando la fronte.
«Oh, io invece sì. Caro Marcus, cosa ti costa dire ad Annabelle che non vuoi che se ne vada?» disse scherzosamente Itaca. «Andiamo. Ora puoi farlo.»
Annabelle ignorò i due fingendo di sistemarsi i fermacapelli . Itaca non era di certo l’unica ad affermare quel tipo di allusioni. Solo perché lei e Marcus erano sempre stati amici fin dall’arrivo di quest’ultimo, chiunque li vedesse insieme era pronto a fare pessime battute giusto per irritarli. O meglio, per irritare Marcus, poiché rispetto ad Annabelle, che era solita non darci molto peso, lui reagiva talvolta con scenate alquanto imbarazzanti e infantili, finendo col stare al loro gioco.
«Cos-… la smetta di scherzare, capitano! Che rabbia! Vado a prendere una boccata d’aria! C’è… troppo profumo per i miei gusti!» disse Marcus uscendo dalla stanza di Annabelle.
Itaca ridacchiò sadica.«Oh, ma è così carino. Seriamente Annabelle, perché non gli dai una possibilità?»
«Sa, capitano Martinez, non mi sembra proprio il caso. Inoltre non mi sembra giusto nei suoi confronti.»
«Ti prego. Non puoi dirmi che non l’hai mai notato. È palese che ha una cotta per te.»
«Proprio perché lo so, sarebbe meglio di no» ribadì Annabelle, ormai pronta ad andare.
«Vuoi che ti accompagno?» chiese dolcemente la donna, abbracciando la sua prediletta da dietro. «So che sarà una decisione difficile, ma devi fare ciò che ti sembra giusto. Pensa alla tua felicità.»
Annabelle si aggrappò all’avambraccio del capitano e si morse il labbro inferiore, intenta a non scoppiare in lacrime. «Io voglio restare, ma… a conti fatti vorrei anche conoscerlo» sussurrò. Durante tutta la sua preparazione ci aveva pensato attentamente o forse lo faceva da sempre. Per quanto avesse passato degli anni indimenticabili al campo, la voglia di sapere di più dei suoi genitori la sfiorò più volte e non solo: Annabelle voleva anche sapere più su se stessa. «È sbagliato, secondo te?»
Itaca scosse la testa.« Assolutamente no. È un tuo diritto conoscerlo.» diede un ultima occhiata alla ragazza per poi sorridere. « Forza, è ora di andare. Ci stanno aspettando.»
 
Inutile dire che ogni tentativo era stato vano. Chiunque provasse ad avvicinarsi a Jeff veniva  scaraventato fuori dalla stanza o a calci o con delle accoltellate: l’ultima vittima fu il povero Eyeless Jack.«Ma che… fanculo, Jeff! Dannazione, ventidue colpi alla schiena. Ventidue fottuti colpi!»
«Be’, è un nuovo record» ridacchiò Toby sgranocchiando delle patatine.
«Taci, Toby! Provaci tu, allora!» gli ringhiò il mangiatore di reni.
«Oh, non se ne parla! Ci tengo alla mia pelle.»
«Codardo.»
«Sarà il caso di aspettare che si calmi» disse Jane, con in mano la cassetta del pronto soccorso,«è parecchio irrequieto di mattina.»
«Lui lo è sempre. Ahia!»
«Scusa. Comunque , è meglio lasciarlo stare. Non è solo la Dose il problema.»
«Sì, lo so già. Ma non dovrebbe preoccuparsi così tanto! Insomma, tanto rinascerà un’altra Kate the Chaser!»
«Ne era affezionato. Erano diventati dei buoni amici» puntualizzò Jane irritata, ricordando la ragazzina timida, ma da una gentilezza invidiabile. «E forse qualche cosa di più.»
Durante il silenzio che seguì, Jack sospirò, imprecando a bassa voce per la sua indelicatezza.
«E poi, sono già passati due anni. Perché non si è fatta ancora viva?»
«Jane, come ben sai nel mondo ci sono più di sei miliardi di persone. Potrebbe essere ovunque. Probabilmente sarà dall’altra parte del mondo. Tanto sai che nei peggiori dei casi Slenderman l’andrà a prendere.»
«Sì, lo so, ma…»
«Ad ogni modo, non può comportarsi così. A differenza di tutti noi, lui è ancora l’unico a cui bisogna somministrare la Dose, ma se non la prende con regolarità, il CRP rischia di non essere accettato del tutto dal suo corpo e lui morirà.»
Il rumore pungente dei vetri rotti attirò l’attenzione delle tre Creepypasta, che si voltarono verso la stanza di Jeff e Liu.
«Oh, cribbio. Le cose si stanno facendo interessanti. Oh yeah!» esultò Toby.
«Cazzo, non di nuovo!» Jack e Jane fecero subito irruzione, ma fu troppo tardi: Jeff era già scappato attraverso la finestra.
«Santo cielo, che nervi! É davvero un pezzo di idiota, per non dire di peggio! Quante dannate finestre vuole rompere ancora?! Costano!»
«Non andrà lontano» cercò di tranquillizzarlo Jane, «lui sa che se supererà la brughiera perderà il controllo.»
«Oh, certo. Perché tu pensi che lui nello stato in cui si trova sappia cosa fare, vero?!» disse ironico lui.
«Sì» rispose semplicemente la mora. «Non è così irresponsabile.»
Eyeless Jack schioccò la lingua irritato.«Fra te e Liu non so chi sia più folle. Mi vado a cambiare i vestiti e poi penserò al vetro. Di nuovo
Non appena il ragazzo uscì dalla stanza borbottando, Jane rimase ad osservare la finestra rotta intrisa del sangue nero di Jeff. Inavvertitamente, prese un pezzo di vetro da terra e si ferì il palmo della mano destra. Dal profondo taglio uscì una generosa quantità di liquido infetto, ma prima che potesse colare sul braccio, esso si lasciò riassorbire dalla pelle e la ferita si richiuse in un battito di ciglia.
«Oh, Jeff» mormorò lei, fissando la Black Forest e stringendo a pugno la mano guarita.
 
Raggiunta l’aula magna del campo, Itaca abbracciò Annabelle per infonderle coraggio prima che varcasse la soglia. «Sii forte, Annabelle. Fai la decisione che ritieni più giusta.»
«Se ne sarò in grado.»
«Oh, sarà sicuramente così» staccatasi dall’abbraccio, il capitano stampò un bacio sulla fronte della ragazza, che la fissò con gli occhi gonfi di lacrime.
«Io… non voglio andare.»
 «Avanti, Annabelle. Niente ripensamenti o le tue ametiste perderanno preziosità» le disse Itaca pizzicandole leggermente le guance. «Va’, e fatti coraggio.»
Un sorriso e via. Annabelle si avvicinò alla porta in acciaio. Preso un bel respiro profondo, abbassò la maniglia ed entrò: prima che si chiudesse, la giovane soldatessa poté sentire per l’ultima volta la voce del suo capitano augurarle in bocca al lupo.
«Crepi… capitano.»
«L’attendevamo con impazienza» Annabelle trasalì all’apparizione improvvisa dei due misteriosi accompagnatori in completo bianco. Le due maschere nere viste così da vicino inquietavano non poco la ragazza, poiché a differenza delle maschere bianche tradizionali, esse non sorridevano. «Il nostro padrone la sta aspettando. É sul palco» dissero all’unisono i due, che si spostarono uno da un lato e il secondo dall’altro, facendo un leggero inchino e lasciando che Annabelle salisse le scale per raggiungere il palco a mezzaluna.
L’aula magna era una sorta di enorme anfiteatro, rimasto incontaminato dall’alta tecnologia di quel periodo. Difatti,vennero lasciate le classiche poltrone a ribalta in velluto rosso con cucitura a vista, così anche il parquet del pavimento e l’insonorizzazione. Essa era inoltre sormontata da enormi lampadari circolari.
Raggiunta la metà della scala, Annabelle sforzò più che poteva la vista per poter riconoscere la mostruosa testa demoniaca della maschera, che ricopriva interamente il volto di colui che doveva essere il suo padre biologico: il signor Kuro. Egli era seduto davanti ad un tavolo rotondo.
Ad ogni suo passo, la ragazza pensò alle domande che gli avrebbe posto dopo averlo raggiunto. Cosa ti ha spinto ad abbandonarmi, perché aspettare quindici anni, chi è mia madre. Arrivata all’ultimo gradino, formulò anche la sua ultima domanda. Chi sono io.
Annabelle cercò non di farsi intimidire dagli occhi dorati e minacciosi e dalla bocca deformata della maschera.
«La terra, quella è una nave troppo grande per me. È un viaggio troppo lungo. Una donna troppo bella. È un profumo troppo forte. È una musica che non so suonare» iniziò a parlare l’uomo.
Annabelle rimase alquanto confusa davanti a quelle parole, ma la sua voce era così profonda e rassicurante che quasi la tranquillizzò. Arrivata sul palco, la ragazza si sedette sulla sedia posta davanti al signor Kuro.
«Sai da dove viene questo passaggio?» chiese subito lui.
Annabelle abbassò un attimo lo sguardo.«Io… non lo so.»
Con una mano guantata di nero, l’uomo tirò fuori dalla tasca della sua giaccia un libricino alto meno di un dito, su cui era raffigurata una nave. Annabelle poté leggere il titolo: Novecento.
«Alessandro Baricco. Un grande scrittore del XXI secolo. Questo è il mio preferito. Di certo non perché è piccolo, ma perché aiuta a riflettere. Lo porto sempre con me» disse l’uomo sogghignando. «Davvero un gran bel libro. Dovresti leggerlo. Ti ricorda qualcuno?»
«Come… scusi?»
«La citazione. Ti ricorda qualcuno?»
«Io… No, non credo.»
«Sai. Prima di arrivare qui, mi sono messo a rileggerlo e quando arrivai a questa parte mi sei venuta in mente.»
«I-io?» si indicò Annabelle sorpresa.
«Se non erro, tu non sei mai uscita dal campo, giusto? Nemmeno nei giorni di vacanza concessi a voi soldati.»
Annabelle gonfiò il petto d’aria per apparire più risoluta. «Mio pad-… il… generale Cherubi non mi ha mai dato il permesso di lasciare il campo. Signore.»
«Sì, questo lo so.»
Intimidita davanti alla tranquillità dell’uomo, la ragazza si ingobbì e disse ad un fiato:«Lo ha fatto per proteggermi.»
«Da chi?»
«Da tutti.»
Il signor Kuro appoggiò entrambi i gomiti sul tavolo. « E per quale motivo.»
Annabelle deglutì per guadagnare tempo.«Fin da quando ero piccola la motivazione era stata… il colore dei miei occhi. S-signore.»
Annuì. «Esattamente. Tuo padre aveva timore che i tuoi occhi potessero essere oggetto di interesse per qualcuno al di fuori di qui. Un viola delicato, puro. Proprio come il minerale ametista. Pur essendo all’apparenza innocui, avevano comunque un colore fuori dal comune. Fortunatamente, nessuno fino ad ora ha mai parlato di essi al di fuori del campo.»
Come il generale Cherubi le aveva detto nel suo ufficio, effettivamente il signor Kuro sapeva del suo piccolo segreto, ma ciò non bastava ad Annabelle per dargli la sua completa fiducia.
«Lui… lui non è mio padre» disse Annabelle con la voce strozzata.
«Questo lo so bene, ragazza mia, ma in questi quindici anni direi che si è aggiudicato il titolo di padre, essendosi preso cura di te con amore.»
«Questo… significa che non devo considerarla mio padre, ma un estraneo, poiché lei mi ha abbandonato?» inconsciamente, Annabelle si alzò dalla sedia e urlò. Era furiosa, ma intenta a trattenersi, onde evitare che potesse peggiorare la situazione. Tutto ciò che voleva era dirgli che sarebbe rimasto per sempre al fianco del suo unico vero padre e uscire per andarlo ad abbracciare. Aveva finalmente capito.
«Io non ti ho abbandonata, Annabelle» rispose lui con estrema calma. «Infatti, ti ho lasciata in buone mani. Proprio come volevano i tuoi genitori.»
La confusione si fece strada nella mente di Annabelle, che a stento riusciva a dire una parola.
 Mi state prendendo in giro? A chi devo credere? Cosa devo fare per avere delle risposte?
«Mia cara. Fai troppe domande. Così è facile che tu ti confonda.»
Annabelle si coprì alla svelta prima la bocca e poi le orecchie, non sapendo dove mettere le mani. «Tu… Lei… ha appena… letto i miei pensieri?»
Annuì lui.
«Io… non capisco. Il generale… mi aveva detto che…»
«So cosa ti ha detto, ma mi dispiace. Io non sono tuo padre, esattamente come lui. Ho dovuto mentire per potermi avvicinare a te» affermò l’uomo alzandosi dalla sedia.
Annabelle indietreggiò tirando su la guardia. «E allora… chi sei?»
Come erano apparsi davanti a lei, i due ragazzi si materializzarono davanti alla porta, allarmando ancora di più la ragazza.
«Non sono tuo padre, questo l’hai già capito, ma non sono nemmeno una minaccia. O almeno, non per te. Puoi fidarti.»
«Dimostramelo» gli urlò Annabelle il più convincente possibile.
«Come tu desideri.»
L’uomo, in confronto ai centosessantacinque centimetri di Annabelle, era circa alto un metro e ottanta centimetri ad occhio, ma nel giro di due minuti quegli ottanta divennero novanta, quel metro in due e quando venne superato anche quello, Annabelle smise di contare.
Non solo le gambe di lui si erano allungate, con esse anche braccia e mani, raggiungendo l’altezza delle ginocchia. I guanti neri caddero e le lunghe dita pallide si avvicinarono alla maschera giapponese e la sfilarono.
La paura assalì Annabelle a tal punto da farla cadere a terra dopo ciò che vide, o meglio, ciò che non vide. Il signor Kuro, l’uomo che da tempo finanziava il campo d’addestramento più importante del mondo, che si era presentato come il vero padre di Annabelle, era in realtà la più temibile Creepypasta fra tutte: Slenderman, l’uomo senza volto.
«Non... può essere. Tu… sei…»
«Esattamente.»
Annabelle si voltò di scatto a sinistra, avendo sentito la voce al suo fianco: erano i due assistenti.
«Ma… cosa?»
«Senza questa particolare maschera Oni, non mi è possibile comunicare liberamente» uno dei ragazzi si sfilò la maschera, sfoggiandone un’altra dal volto umano con le labbra e gli occhi dipinti di nero.«Perciò sono costretto ad usare uno dei miei proxy.»
«I… proxy» ripeté tremante Annabelle.
«Sai cosa sono, vero?»
«Io… sì, lo so.» rispose Annabelle, rivolgendo la sua attenzione sulla leggenda urbana.
«Non ne dubitavo. Dopotutto il campo fornisce una conoscenza completa per quanto riguarda noi.»
Non appena Slenderman avanzò, Annabelle cercò di rialzarsi velocemente, pur avendo… paura?
«Ma… ma cosa?» disse Annabelle abbassando la guardia, sempre più allibita.
«Bene. Noto con piacere che il tuo cuore ha ripreso a battere normalmente. Non tremi più e sei decisamente più rilassata» disse l’uomo annuendo soddisfatto.
«Tu… mi hai fatto qualcosa?»
«Niente affatto, Annabelle. Non sentendoti minacciata il tuo istinto non ti ordina di attaccare. Tutto qui. Tant’è vero che io non ho alcuna intenzione di farti del male, non me lo sognerei neanche. Promisi ai tuoi genitori, ma specialmente a tua madre, che ti avrei protetta. Ad ogni costo.»
«Che… che cosa intendi dire? Cosa c’entra mia… madre?» chiese la ragazza in procinto di piangere.«Che cosa vuoi da me?»
Slenderman si inginocchiò all’altezza di Annabelle e le tese la mano deforme col palmo rivolto verso l’alto. «Mia cara Annabelle, so bene che ora come ora ti risulterà una richiesta affrettata, ma… non abbiamo molto tempo.»
Annabelle scosse la testa, lasciando che le lacrime le rigassero le guance.
«Verresti a vivere nella Black Forest con me
 
ANGOLO DELL’AUTRICE:
Chiedo umilmente scusa per il ritardo… ma giuro che non è stata colpa mia, ma della rete Wifi. Proprio questo weekend aveva deciso di togliere la connessione per dei lavori e invece di durare solo due giorni, è durato fino ad oggi! Maledetti… Comunque, eccovi il terzo capitolo. Le cose si stanno facendo più complicate e, oserei aggiungere, più interessanti. Riguardo a Kate the Chaser, so che non è esattamente una Creepypasta, ma una  proxy di Slenderman, però… va bene lo stesso, no? Perciò l’ho inserita.
Spero vi sia piaciuto.
A presto!
 
Cassandra

   
 
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