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Autore: Ornyl    22/07/2015    1 recensioni
Anno 2040: le poche risorse energetiche rimaste sono in mano ai potenti delle varie Regioni, i cosiddetti Migliori. Nella Regione Thebe il regime pare vacillare alla morte improvvisa dei governanti Oedipus e Giocasta, che hanno lasciato orfani i quattro Principi Ereditari: due maschi, Eteocle e Polinice, e due femmine, Antigone e Ismene. La loro morte pare l'occasione giusta per i ribelli per instaurare la Prima Repubblica, ma si insedia al trono Kreon, fratello della defunta regina, e per i sovversivi parono complicarsi le cose. In loro soccorso però giunge, inaspettatamente, il principe Polinice, animato da ideali di libertà e giustizia per la popolazione, ma si contrappone a lui il fratello reazionario. I due muoiono durante uno scontro e Kreon concede onori funebri solo al nipote Eteocle e ordina di abbandonare all'oblio il cadavere del traditore, pena la morte. Ma una delle due Principesse, Antigone, dopo aver letto di nascosto le riflessioni del fratello e animata dall'intenzione di garantirgli giusta sepoltura, si allea ai ribelli del gruppo di lotta clandestino "Sfinge Rossa" e decide di combattere un regime che anche lei considera opprimente. Anche il suo animo però è in lotta, diviso tra famiglia e nuovi ideali di libertà.
Genere: Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Se la Piazzuola d'atterraggio al confine tra Acropoli e Periferie era già un piccolo letamaio, il capolinea di Thebe Bassa era una pista di asfalto talmente annerita dal fumo e dalla sporcizia che persino l'H di vernice bianca sembrava sparita dalla vista, con le due panchine che fungevano da giaciglio per due barboni e il cestino della spazzatura che andava a fuoco lanciando mille bagliori rossastri.
-Capolinea!- urlò il conducente. L'aerobus si fermò placidamente al centro della piazzuola, le porte scorrevoli si aprirono con un sibilo e i passeggeri scesero a terra con un piccolo balzo. Antigone afferrò il borsone, lo gettò a terra e saltò giù, atterrando sulle suole e poi rimettendosi in piedi per bene.
Sentì i motori dell'aerobus smettere di ronzare e le sue luci al neon spegnersi di colpo. La giornata, anche nelle Periferie, poteva considerarsi finita o quasi. Imbracciò il borsone, si guardò intorno e cercò di fare un profondo respiro prima di mettersi in marcia, finendo per tossire a causa del forte tanfo di fogna e sporcizia che aleggiava nell'aria. Un orologio dal quadrante spezzato segnava le due e dieci della notte, una notte senza stelle nè luna nè cielo, con l'aria densa e maleodorante. Camminava lentamente, girandosi a guardare in tutte le direzioni. Era sola, sola e senza una meta: non poteva chiedere dove si trovasse la base di Polinice, nè chi fossero gli amici di Polinice, nè chi dovesse evitare per incappare in brutti guai. Polinice non aveva dato un nome al suo gruppo di amici segreti, parlandone tuttavia in maniera fitta e accurata come se l'intero diario fosse dedicato ad uno di loro, destinatario speciale a cui affidare le proprie memorie. Era sola, ma non aveva paura: si sentiva sicura grazie alle memorie del fratello, oggetti necessari e indispensabili per accertare chi fosse, da dove venisse e se fosse una spia o no. Nessuno a palazzo sapeva del diario e lei l'aveva scoperto solo pochi giorni prima. Almeno questo sentimento non poteva esser definito paura, paura vera e propria, come la paura del buio o di essere aggredita: aveva con sè un coltellino svizzero ed era capace di difendersi e di correre a chiamare aiuto, aveva con sè gli oggetti di Polinice e avrebbe giurato sulla propria testa se fosse stato necessario; piuttosto provava preoccupazione, preoccupazione per ciò che sarebbe seguito alla sua fuga, per ciò che avrebbe comportato conoscere chi aveva visto Polinice gli ultimi giorni della sua vita, per ciò che avrebbero pensato di lei.
Procedeva lentamente, senza una meta, talvolta voltandosi dietro. Le Periferie erano uno spettacolo triste e degradante, di larghi e tozzi edifici squadrati con piccole finestre rettangolari illuminate da deboli luci, balconi stretti come gabbie da cui pendevano tovaglie e vestiti malmessi stesi ad asciugare, vecchie macchine arrugginite che facevano da banconi per ragazzini venditori di fiammiferi e acciarini, insegne al neon che segnavano l'entrata di cinema squallidi, di bar e di piccoli bordelli. E se era degradante lo spettacolo, lo erano anche i suoi attori: bambini sporchi che correvano per strada con delle lanterne in mano, donne che spazzavano a notte fonda l'uscio delle proprie case, canticchiando strane canzoni in uno strambo dialetto, uomini ubriachi che si accasciavano a terra a vomitare, ragazze apparentemente sue coetanee truccate pesantemente e in abiti succinti, ferme ad attendere i clienti davanti a piccoli locali adibiti a bordelli, tutti illuminati da insegne al neon blu e fucsia. Non c'erano pattuglie nè qualcuno che controllasse o aiutasse quei disgraziati; eppure, camminando, le parve di vedere all'entrata di un bordello una sagoma che ben conosceva, una testa ad uomo ritta di capelli nerastri, un costoso completo nero e una grossa faccia grottescamente bonaria, rasata per l'occasione come quella di un ragazzino: il carceriere Snakes teneva per il polso una ragazzina appoggiata all'entrata di un locale, conciata come una prostituta di basso rango, cercando di fare il romantico e finendo per ruttarle addosso. Si accostò ad un muro, lontana dalla forte luce dell'insegna e studiò bene la scena, cercando di trattenersi dal saltargli addosso e spaccargli la faccia con un calcio: la ragazzina, magra come non mai, tremava alla vista di quell'omone gigantesco che la forzava a baciarlo, poi Snakes sbottò qualcos'altro con la sua parlantina serpentina e la trascinò dentro per un braccio, quasi volesse spezzarglielo. Snakes non le aveva mai fatto chissà che simpatia, eppure zio Kreon lo adorava per la sua affidabilità e per la sua capacità di rendersi affabile e amabile come non mai. Non le erano mai piaciute le persone con il sorriso fisso sulla faccia e le guance ferme in quella smorfia grottesca, e Snakes era il primo individuo con queste caratteristiche che ella conosceva. Snakes e la ragazzina erano spariti da circa qualche minuto quando, dal piano di sopra del bordello, aveva iniziato a suonare una canzoncina vecchia di almeno novant'anni, cantata da una voce maschile nè grave nè stridula che invitava il mittente ad appoggiare la testa sulla spalla. Put your head on my shoulder ripeteva la canzone, mentre Snakes imprecava le peggiori bestemmie e ordinava alla ragazza di abbassarsi.
Riprese a camminare pur tenendo gli occhi fissi su quell'edificio. Sentì le lacrime scenderle copiose sulle guance, ma le scacciò passandosi la mano sul volto e si voltò davanti a sè, mentre la musichetta si faceva sempre più lontana. I lampioni proiettavano sui marciapiedi lunghi fasci di luce polverosa attorno a cui si radunavano le falene, che ben presto andarono a sostituire i bambini schiamazzanti per strada, le donne che battevano i tappeti sui loro balconi-gabbie e gli ubriachi che si addormentavano russando ai piedi degli edifici; le luci delle finestre si spensero lentamente, le serrande si abbassarono e piombò il silenzio. Uno strano soffiare però la richiamò da lontano e la spinse ad avvicinarsi verso la fine della strada per vedere meglio: le alte ciminiere delle vecchie centrali, grigiastre a quella luce irreale densa di inquinamento, sbuffavano ancora come se queste funzionassero. Aveva spesso sentito Hans Achilleus parlare delle vecchie centrali, indicandole come il parassita sovversivo che tenta di avvelenare il cuore dell'Acropoli, eppure zio Kreon quella volta non l'aveva appoggiato: sosteneva che le vecchie centrali fossero solo un luogo di rifugio per quei pulciosi incompetenti troppo deboli e affamati persino per aprire una scatoletta di tonno. Non c'era nemmeno bisogno di bombardarle, diceva: con la merda che respirano quei rottami crolleranno da un momento all'altro. Eppure, almeno da lontano, le pareva che quelle ciminiere si ergessero più fiere che mai, sbuffanti come vecchi orgogliosi e pieni di vita. La riempì una strana curiosità: Polinice non aveva mai parlato direttamente delle vecchie centrali, eppure sul diario era tracciato un piccolo schizzo delle ciminiere, con tanto di firma dell'autore. Doveva farci un salto, almeno per proteggersi quella notte e poi indagare meglio di giorno. Confessò di avere sonno e nemmeno una borraccia addosso. Non ci teneva a soffrir la sete e iniziò a guardarsi intorno: tutti i bar le sembravano poco raccomandabili e temeva che, se avesse chiesto dell'acqua, le avrebbero sicuramente sputato e riso in faccia perchè non bastava nemmeno per i residenti. Si aggiunsero pure i brontolii della fame e fu in quell'attimo che provò un accenno di terrore: era in quartiere infido e problematico, lontana da casa e con pochi spiccioli addosso.
Pensava di aver abbastanza problemi quando un'improvvisa e violenta folata di vento animò la strada in cui si trovava, mettendosi a sollevare qualsiasi cosa trovasse a passaggio. Antigone si strinse nella felpa, raggiunse a fatica una parete e cercò di ripararsi, ma l'unico risultato fu quello di ritrovarsi la faccia stretta in una superficie cartacea umidiccia, forse un volantino alzatosi da terra nel mezzo del polverone. Lo staccò lentamente dalla faccia, si posizionò sotto un lampione e mise a fuoco cosa c'era scritto

GRUPPO DI LOTTA PROLETARIO RUBRA SPHINX
UNISCITI A NOI E LOTTA PER IL TUO FUTURO!
Il Governo Centrale pare aver ucciso la democrazia e il benessere di chi è meno fortunato e adesso tenta di minacciare anche il tuo, garantendo privilegio e appoggio solo a chi ha avuto la fortuna di nascere all'Acropoli e finanziando quelle classi inattive e pigre che campano alle spalle di operai e sguatteri. Non si può più restare a guardare ed è arrivato il momento di agire per cambiare. Il tuo aiuto è prezioso, amico/a lavoratore/trice! Unisciti al Gruppo di Lotta Proletario "Rubra Sphinx" e intervieni attivamente nelle nostre attività e discussioni: ogni singola idea, ogni singola proposta, OGNI SINGOLA INTELLIGENZA è un mattone indispensabile per porre le basi della futura democrazia, della gloriosa Prima Repubblica dopo i tempi della Catastrofe.
PER INFORMAZIONI: UFFICIO 3, FABBRICHE SOCIALI
Eterna gloria ai suntrophoi!

Bingo.  Quella folata era stata un miracolo. Adesso bisognava camminare, camminare dritta davanti a sè, senza fermarsi un secondo, fino alle vecchie centrali.
 

Un cancello metallico, coronato da filo spinato, circondava due massicci di cemento armato, annerito dal fumo e imbruttito dai graffiti, con le due enormi ciminiere che sbuffavano fiere. Il primo edificio, davanti al quale si trovava, era poco più basso del secondo, con alte e spesse pareti e vetrate debolmente illuminate da strane luci giallastre e rosse; un prato d'erba bassa e sottile come spilli, ingiallita dalla calura e dallo smog, circondava quella prima porzione dell'agglomerato, mentre due enormi pick-up, uno nero e un altro color sabbia, erano fermi davanti alla sua presunta entrata. Per raggiungere la propria meta aveva dovuto camminare fino ad un incrocio, poi era stata costretta a salire su un tram e fermarsi cinquecento metri prima della fabbrica. Per fortuna non aveva trovato nessuno sul tram e il suo viaggio era stato abbastanza tranquillo, sola com'era col pilota automatico che gestiva il mezzo.
In mano teneva ancora stretto il volantino, bagnato e sporco ma con la sua scritta e la figura disegnata ancora ben distinguibili, un disegno minimale di una sfinge rossa con sfondo nero che si abbatteva su una cittadella squadrata, bianco e senape: l'Acropoli. Si mise a camminare avanti e indietro lungo la cancellata, alzando talvolta gli occhi per vedere se qualcuno la notasse, e non aveva il coraggio di toccarla. Le sembrò di sentire un rumore di passi sull'erba secca e una figura davanti ad uno dei pick-up. Non avrebbe voluto farlo, ma pensò che urlare sarebbe stato l'unico modo per attirare l'attenzione.
-Ho letto il volantino! Laggiù, ho letto il volantino!-
La luce di una delle finestre del primo piano acquistò intensità e le sembrò che la figura vista sul prato si fosse fermata e stesse venendo verso la cancellata brandendo una torcia. Sentì i suoi passi avanzare sull'erba alta, passi pesanti in scarpe altrettanto pesanti su un terreno fragile e poco stabile. Si ritrovò il fascio di luce puntato in faccia mentre una voce maschile le rivolgeva la parola.
-Non ti ho mai vista, cosina in nero. Strano che qualcuno si presenti a quest'ora-
La voce, fortemente intrisa della cadenza dialettale delle Periferie, proveniva da un uomo sulla quarantina, dalla pelle color cenere e i capelli neri striati di bianco. Indossava una camicia e un paio di pantaloni verde scuro, e ai piedi degli anfibi molto sporchi di pelle nera. La guardava con aria indispettita e assonnata dall'alto del suo, ad occhio e croce, metro e novanta di statura, tenendo ben fissa la torcia su di lei come se fosse una pistola.
-Camminavo per strada e .. ho beccato il volantino. Sono passata qui per curiosità, ho letto .. ho letto la scritta, ecco-
L'uomo rimase fermo a guardarla da dietro la cancellata.
-E' pericoloso per una nanetta del genere girare per la Periferia, soprattutto se straniera, da come mi sembra di sentire dalla tua vocetta da topo- tacque per un secondo che le parse un'eternità. Antigone deglutì. - Allarme! Un'acropolina tenta di accedere!-
L'uomo aveva urlato con una tale forza da spingerla quasi a terra. Tutte le luci dell'edificio si accesero di colpo, seguite poi dal rumore assordante degli allarmi e dal latrare dei cani. Il cancello si aprì di scatto, l'uomo l'afferrò per un braccio e, dopo aver messo in tasca la torcia, tirò fuori una piccola pistola e gliela pose alla tempia.
-Cammina. Cammina fino all'interno-
Il cuore le batteva nel petto all'impazzata. Il freddo del metallo quasi la bruciò a contatto con le sue tempie calde e pulsanti. La stretta al braccio era forte e vigorosa, quasi ad impedire ogni tentativo di fuga.
-La prego, signore! Mi lasci, devo parlarle!-
-Ti comporterai da bravo uccellino quando sarai dentro e canterai, da brava, con il tuo stupido accento da acropolina-
Attraversarono a passo veloce il campo, poi varcarono l'entrata e capitarono in una larga e alta sala dalle pareti di mattoni rossastri e alte impalcature di ferro. La sala era illuminata da plafoniere attaccate alle pareti, che rischiaravano quell'ambiente freddo con una luce abbastanza calda. Dal soffitto pendevano delle corde robuste e grigiastre, unico collegamento ad un secondo piano fatto di piccole stanzette adibite a vari scopi, da cui si calavano gli abitanti dell'edificio, uomini e donne assonnati con vestiti sgualciti ma apparentemente puliti.
-Che abbiamo qui, Amphiaraus?- disse dall'alto una matura voce femminile accompagnata dal sibilo delle corde.
-L'Acropoli ci ha portato un regalino- Amphiaraus continuava a spingere il ferro della pistola sulla sua tempia - Te l'ho portata viva, la ragazzina ha voglia di cantare-
 
-Mi creda, davvero! Ho delle prove da mostrarvi, non sono una spia!-
Si dibatteva come una bambina in preda ad un incubo e per la prima volta fu presa dalla paura. Forse le avrebbero fatto il terzo grado, forse l'avrebbero tenuta in ostaggio, forse l'avrebbero fraintesa. Solo dubbi, pensò, ma niente paura. Tremava e basta perchè era davanti a sconosciuti e senza identità, tremava solo per una timidezza repressa che l'Antigone Principessa Ereditaria aveva dovuto occultare, se non cancellare. Non poteva aver paura con gli oggetti di Polinice a portata di mano.
-Lo vedremo presto, cosetta in nero- riprese la voce -Un passo dopo l'altro-
La voce femminile ebbe presto un volto. Era una donna sulla trentina d'anni, con una lucida pelle color ebano e riccissimi capelli corvini corti fino alle spalle, striati di piccole sfumature oro. Se il suo busto era ben vigoroso e femminile allo stesso tempo, come allo stesso modo le lunghe braccia piene di ferite e la gamba destra, snella e flessuosa ma forte come quella di un corridore, della gamba sinistra rimaneva soltanto la coscia, mentre la parte che andava dal ginocchio fino al piede era stata sostituita da una protesi nerastra, un po' arrugginita ma complessivamente funzionante. La donna scendeva accompagnata da due uomini in anfibi, pantaloni verde scuro, e camicia color vinaccia, dall'aria minacciosa e indagatrice.
-Fred, Hank, non accompagnatemi- disse la donna ai due tizi alle sue spalle-Dite a tutti di ritornare alle proprie brande, è un ordine di Iphigenia-
-Ricevuto- dissero in coro i due uomini e, senza muovere un dito nè opporsi, ritornarono alle corde e ripresero a salire.
-La ragazzina si è comportata bene?-
Riuscì ad inquadrare il volto della donna: era giovane e intelligente, con le labbra piene e rossastre, un nasino schiacciato e grandi occhi verdi incorniciati da piccole ciglia e due sopracciglia arcuate, solcate da piccole cicatrici.
-Devo dire di sì. Quando l'ho presa ha lasciato fuori il suo bagaglio, una grande borsa da viaggio abbastanza vecchiotta-
-Valla a recuperare, a lei ci penso io. Raggiungimi poi all'ufficio 3-
Amphiaraus si allontanò ed uscì dalla sala. La donna rimase a guardarla, l'afferrò per un braccio e le puntò la pistola alla testa.
-Cammina. Seguimi e fa' la brava anche con me-
Attraversarono in silenzio metà della sala, poi svoltarono a destra su un lungo corridoio spettrale, con le piastrelle grigie annerite dalla sporcizia e le pareti macchiate da graffiti e scritte in dialetto, illuminato dai neon sul soffitto. Dopo circa cinque metri svoltarono a destra, attraversarono l'uscio di una porta malmessa ed entrarono in una stanzetta in piena oscurità. La donna premette un interruttore e la lampada al neon mostrò il colore azzurrino delle pareti, un tavolo di metallo e plastica verdina e tre sedie di plastica arancione. La donna chiuse la porta, la bloccò con una sedia e le ordinò di sedersi. Poi allontanò la pistola, si sedette al tavolo e la guardò fissa. Poi le scostò con forza il cappuccio, le tolse il foulard e lo gettò a terra.
Antigone incontrò i grandi occhi della donna. Vide il suo grande, intelligente volto color ebano impallidire e i suoi occhi arrossarsi di lacrime.
-Cosina in nero .. Tu sei .. -
-Antigone Spartes Labdakou. Sorella di Polinice Spartes Labdakou-
E questa volta furono i propri occhi a riempirsi di lacrime.
   
 
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