5.
“Grazie,
è stato molto gentile a dedicarmi un po’ del suo tempo,” Lisa sorrise gentile
all’anziano uomo dietro il bancone. “Ha il mio numero, se dovesse cambiare
qualcosa mi chiami.”
Uscì
dal negozio lasciando l’uomo sorridente e sospirò mentre si ritrovava di nuovo
nel gelo di New York. Aveva perso il conto di quanti negozi aveva visitato quel
giorno, alla disperata ricerca di un lavoro che le permettesse di pagare un
avvocato per suo zio Bruno. Un avvocato che mettesse in ordine i documenti
dell’uomo in modo da permettergli di rimanere a New York.
Riprese
il collare di Rufus, che se ne stava seduto tranquillo sulla soglia della porta,
e si piegò sulle ginocchia per dargli una carezza.
“Andiamo
a casa adesso,” gli disse. “Sono stanca e probabilmente anche tu.”
Il
cane guaì senza staccare gli occhi da lei e di nuovo Lisa ebbe la sensazione
che stesse cercando di dirle qualcosa.
Corrugò
la fronte perplessa quando il suo cellulare squillò e lo prese dalla tasca del
giubbotto.
“Pronto,”
rispose ricominciando a camminare.
“Salve, sono Donna Paulsen, la segretaria di Harvey Specter.”
“Ehm…
salve Donna. Cosa posso fare per lei?”
“Per me assolutamente
nulla tesoro,” rispose l’altra. “Ma Harvey vorrebbe vederti nel suo ufficio.”
“Adesso?”
“Adesso. Se mi dici
dove sei manderò un’auto a prenderti.”
“Non
è necessario,” Lisa si guardò intorno. “Stavo sbrigando delle commissioni
vicino allo studio, quindi posso venire a piedi.”
“Bene, a tra poco
allora.”
La
donna riattaccò e Lisa non potè fare a meno di
sorridere; per il caratterino di Donna e anche perché non le era mai capitato,
dopo un appuntamento, di essere contattata dalla segretaria del suo
accompagnatore.
Ripensò
alla cena con l’avvocato e fece un grosso respiro cercando di mettere in ordine
i pensieri. Non era il caso di affezionarsi troppo, ne era certa nonostante
quell’uscita fosse andata magnificamente. Non aveva idea del perché volesse
vederla ma il fatto che non fosse stato lui stesso a chiamarla le faceva
presupporre che questa volta non si trattava di un appuntamento di piacere.
Senza rendersene conto, quindici minuti dopo, si ritrovò di fronte al grande
palazzo che ospitava lo studio legale di Harvey.
Solo
mentre varcava la soglia accolta da un vociare e da una marea di gente realizzò
che probabilmente Rufus non sarebbe esattamente stato il benvenuto.
“Signora,
mi dispiace,” le disse infatti una guardia raggiungendola. “Ma gli animali non
sono ammessi.”
Lisa
annuì facendo cenno a Rufus che si mise a sedere immediatamente.
“Mi
dispiace molto,” rispose. “Eravamo in centro e sono stata chiamata qui per un
appuntamento con Harvey Specter. Non potevo andare
fino a casa e tornare qui, non avrei mai fatto in tempo.”
La
guardia le sorrise cordiale, poi si avvicinò ad un bancone e compose due
numeri. Parlò per alcuni secondi e poi si voltò a guardarla.
“Mi
assicura che il cane non farà alcun danno?”
“È
buonissimo ed è troppo pigro per creare problemi,” Lisa rise accarezzando la
testa di Rufus. “Mi creda, si sdraierà sul pavimento e rimarrà immobile per
tutto il tempo.”
“In
questo caso,” l’uomo le fece cenno di seguirlo fino agli ascensori e una volta
che lei vi entrò premette il tasto del piano giusto prima di salutala con un
sorriso. “Buona giornata.”
Lisa
lo salutò con un gesto della mano mentre la pigrizia di Rufus iniziava a farsi
vedere e il cane si sdraiava poggiando il muso sulla sua scarpa.
****
Harvey
la aspettava seduta sul divano del suo ufficio, piegato in avanti per guardare
alcuni documenti poggiati sul bel tavolino. Un bicchiere di whisky stretto
nella mano. Dietro di lui un’immensa libreria piena zeppa di dischi in vinile e
tutto intorno palline da baseball tenute come trofei.
Lisa
si prese un attimo per perdersi nella grandezza di quell’ufficio, nella mobilia
bella e moderna, nell’odore virile che regnava nella stanza. Gli si addiceva,
pensò guardando l’uomo seduto, concentrato come non lo aveva ancora visto. Le
vetrate offrivano una vista mozzafiato della città e lei fissò lo sguardo fuori
per un lungo minuto.
Quando
lo distolse, per poggiarlo su Harvey, lui la stava guardando con un sorriso
stampato sul viso.
“La
tua segretaria mi ha detto che potevo entrare,” gli disse sorridendo. “E mi
sono persa nella vista della città.”
“Succede
spesso anche a me.”
“Questo
ufficio è bellissimo, molto… molto da te.”
Lui
la raggiunse e diede una lunga carezza a Rufus prima di parlare di nuovo. “È il
posto dove passo la maggior parte del tempo. Volevo che fosse accogliente
quando ho deciso come arredarlo.”
“L’hai
deciso tu? Non sono tutti uguali?”
“Assolutamente
no!” replicò lui guardandola. “Ma non ne troverai uno migliore del mio”
scherzò.
Lisa
rise, con quella risata bella e contagiosa addolcita da quelle fossette sulle
guance. “Ne sono certa” disse. “Ma sono sicura che non mi hai chiamata per
parlare del tuo ufficio.”
Harvey
scosse il capo invitandola a sedersi e le si sedette accanto. “Ti ho convocata
per delle questioni che riguardano tuo zio Bruno. Ho fatto qualche telefonata,
in quanto suo avvocato e…”
“Aspetta,
aspetta” lo interruppe Lisa. “Tu non sei il suo avvocato.”
“Sì
lo sono.”
“Da
quando?”
“Da
quando mi hai conferito l’incarico a cena l’altra sera.”
Lisa
scosse il capo abbozzando un sorriso. “Ricordo tutto di quella sera, ma non
questo.”
“Ricordo
tutto anche io,” le disse lui malizioso.
“Harvey,”
sussurrò lei. “Non voglio che tu ti occupi del caso di Bruno.”
“Perché
no?” chiese lui. “Lisa, andiamo… sono un ottimo avvocato te lo assicuro.”
“Ne
sono certa. Ma non posso permettermi un avvocato del tuo livello, e non voglio
che tu lo faccia pro bono.”
“Perché
no?”
“Perché
hai già fatto molto per noi e non voglio chiederti altro.”
“In
realtà, se ci pensi bene, non ho fatto assolutamente nulla” disse lui. “E
comunque non me lo stai chiedendo. Sono io che mi sto offrendo.”
Lei
scosse il capo. “Non fa alcuna differenza.”
“Fa
una differenza enorme,” le disse lui. “ma riparliamone dopo, ora voglio
parlarti delle novità che ho.”
“Va
bene,” accettò lei. “Dimmi tutto.”
Harvey
diventò di colpo serio e Lisa capì che nonostante l’atmosfera scherzosa non si
trattava di buone notizie. “Ho fatto alcune telefonate all’ufficio
immigrazione.”
“Il
tono della tua voce non promette nulla di buono…” sussurrò Lisa.
“Non
sono buone notizie,” Harvey le prese delicatamente la mano. “Bruno dovrà
tornare in Italia, almeno fin quando non metteremo in ordine i suoi documenti
per permettergli di ritornare, seguendo la legge stavolta.”
“Cavolo”
mormorò Lisa. “Questa è… non me la aspettavo.”
Si
accorse che le lacrime le pizzicavano gli occhi e liberò la mano dalla presa di
Harvey per coprirsi il viso. L’uomo le diede un attimo per sfogarsi, poi le
accarezzò piano i capelli chiusi in una disordinata coda di cavallo.
“Metteremo
le cose a posto, te lo prometto” le disse.
Lei
si asciugò gli occhi e si prese un secondo, accarezzando Rufus che le si era
avvicinato. “Come?”
“Lo
rimandiamo in Italia con un comodissimo biglietto in prima classe. Lui rivede
la sua famiglia, si rilassa… come un viaggio. Nel frattempo io sistemo tutti i
documenti e poi lo riportiamo qui.”
“Sono
io la sua famiglia.” Lisa scoppiò a piangere. Una situazione davanti alla quale
Harvey, solitamente, non avrebbe saputo cosa fare.
Con
lei però, mentre la stringeva tra le braccia, sembrò quasi naturale.