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Autore: Manto    31/07/2015    3 recensioni
"Lui si chinò verso di me, e io indietreggiai.
Le sue mani erano ancora sporche del sangue di mio padre.
Con quelle mani, mi prese il volto, me lo alzò.
Lo fissai, il gigante che chiamavano Aiace, cercando di apparire coraggiosa.
Vidi i suoi occhi cangianti, ne rimasi rapita.
La mia sete di vendetta, i miei impulsi suicidi si sfaldarono, sotto la forza di qualcosa che ancora non potevo capire."
Frigia, al tempo della grande Guerra di Troia.
Da una parte la giovane Tecmessa, principessa di un regno ridotto in cenere, prigioniera di un terribile nemico venuto dal Grande Mare; dall'altra, Aiace Telamonio, campione dell'esercito greco con la sofferenza nel nome, dall'aspetto di un gigante e dal coraggio di un leone.
Un solo sguardo, e una forza più grande della guerra stessa giocherà con i loro destini, portandoli all'immortalità.
Ispirato alla bellissima tragedia "Aiace" di Sofocle, il personale omaggio a una delle coppie più belle, e purtroppo poco conosciute, della mitologia greca.
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lime, Missing Moments | Avvertimenti: Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Immortali'
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XIII – Solo Un Fiore




Ti vedo accanto a me, mia Dea. Allora non sono solo, i Numi mi sostengono ancora?
Io sarò sempre con te, guerriero.
E voglio che tu porti a termine il tuo proposito. Sosterrò il tuo impeto.

La mia mano trema.
Hai paura? Il tuo onore reclama questa strage!
Vuoi essere considerato un vile, come Odisseo?

No, non quel nome.
Lo pronuncerò continuamente, invece, per farti ricordare chi sei.
Impugna la tua spada, principe di Salamina, e prendi da te quella giustizia che ti hanno negato.
Non temere: gli Dei vegliano su di te.
Ora vai, non indugiare oltre.



************



Wanaxa”, sentii sussurrare al mio orecchio, e immediatamente mi risvegliai dal torpore in cui ero caduta. L'atroce dolore ai polsi mi strappò un pietoso gemito, quando le corde caddero a terra e due Salaminii mi presero tra le braccia, mi portarono fuori dalla tenda.
“Aiace... cercatelo”, riuscii solo a sussurrare, mentre un dolore ben più profondo mi premeva il cuore.
I guerrieri esitarono. “Corre per il lido da questa notte, torturando e massacrando gli armenti, e gioisce sulle loro carni martoriate, credendo che si trattino dei suoi fratelli d'armi.
Ha rivolto la spada contro di noi, quando abbiamo tentato di avvicinarci; i suoi occhi non ci hanno riconosciuto, erano neri, e crudeli.”
“Lo voglio vedere”, supplicai, e mi alzai in piedi con il loro aiuto.
Wanaxa... non è sicuro.”
“Io devo vederlo, devo farlo. Ha bisogno di me.”
I Salaminii si guardarono, chinarono il capo davanti al mio sguardo risoluto.
Mi accompagnarono alla spiaggia, e qui dovetti appoggiarmi a loro per non cadere dall'orrore: la sabbia era insozzata da sangue e visceri, e i cadaveri di animali erano sparsi ovunque. L'odore di morte era insopportabile, e le grida di agonia, così simili a quelle umane, avrebbero spaventato chiunque.
Il mio uomo non smetteva di mulinare la spada intorno e spiccare le teste di quelle povere bestie, e gli schizzi di sangue raggiungevano perfino le navi. L'alba, dietro di esse, tingeva di rosso l'acqua del mare, così che anch'esso sembrava ribollire sangue, sempre più sangue, sangue senza fine.
I guerrieri fecero per portarmi via da lì, ma io non volli. Con timore scesi sul lido, scivolando sulle interiora e sulle membra dilaniate, sporcandomi i piedi e la veste.
Il disgusto mi rivoltava lo stomaco, mi spingeva ad andarmene; ma il dolore, nel vedere cosa stava soffrendo il mio sposo, era più forte di esso, e io non me ne sarei andata da lì, senza il mio Aiace.


*********



Non sono io a guidare questa mano, a calare questa lama. Un altro si è impossessato del mio corpo e mi spinge a violare ogni legge.
Sbagli, Aiace. Sei tu, sei proprio tu, questo l'ha voluto il tuo cuore.
Ma ora che abbondante sangue è stato versato, lascia cadere la spada, smetti il massacro; e dimmi... hai avuto la tua vendetta?

Ora vedo. Dèi, Numi che non conoscete pena, perché mi avete fatto questo?
Perché mi avete gettato tra le braccia di una vergogna ancora più nera?
Questo è il frutto delle tue azioni, Aiace.
Non ricordi quel lontano giorno in cui ti offrii il mio aiuto, e tu sdegnato lo rifiutasti?
Questo è ciò che hai ottenuto sfidandomi e adirandomi. Avevi il mio appoggio e lo hai perso per sempre, con le tue parole piene di superbia.
Ho ingannato la tua mente, l'ho ricoperta di nebbia e ti ho spinto a commettere follia per punirti, per dirti che sei solo un mortale, figlio di Telamone. Sei solo un uomo.

Per punirmi mi hai fatto questo, mia signora Atena; ora chiedi la mia morte.
Mi basta averti umiliato.
Non voglio vederti morto, l'esercito ha bisogno di te.

Come farò a guardare negli occhi i miei compagni, ora? Come farò a chiamarli “fratelli”?
Io sono diventato un reietto, non vi è alcuna redenzione per me.
Thanatos, implacabile Morte, almeno tu ascolta le mie preghiere: prendimi, prendimi ora.
“Aiace.” Un sussurro, la sua voce che mi chiama. Ma io non mi giro, non ho la forza di incontrare lo sguardo della mia amata.
“Aiace.”
“Vattene!”, grido orribilmente, grido con sempre più forza. La sua mano mi sfiora il braccio.
Mi volto, infine, e la guardo; nei suoi occhi non vedo biasimo, ma lacerante tristezza.
“Torna da me”, sussurra. Io le accarezzò il viso, affondo il volto nel suo petto e piango. Tecmessa, mia bellissima regina... perdonami.


************



Mentre ti portavo alla tenda e i tuoi occhi riprendevano la consueta luce, interrogai a lungo gli Dèi.
Che cosa avevi fatto per meritare questo? Quali azioni così gravi e crudeli poteva avere commesso il tuo grande cuore, da spingerli a gettarti in un tale abisso di ignominia?
Animi ben più neri popolavano l'esercito; eppure, avevano deciso di colpire il tuo.
Ricordo che al riparo della nostra tenda cadesti in ginocchio, e io ti presi le tue mani tra le mie perché non ti cavassi gli occhi. E ti dissi: “È tutto finito”.
Quale amara verità, in queste parole.


************



Stringo tra le braccia il mio bambino, e temo la luce dei suoi occhi. Eurisace mi fissa a lungo, poi alza una mano verso il mio viso, lentamente. “Prometti che non mi farai più paura e che non farai ancora piangere mama.”
Io sorrido, annuisco; il suo volto si distende, e lui si adagia sul mio petto. Alzo lo sguardo e incontro quello di Tecmessa, che mi guarda con un sorriso triste.
Il cuore inizia a sanguinare, mentre in silenzio vi saluto per l'ultima volta.


************



“Per quello che ho fatto gli Dèi esigono un sacrificio; non ci vorrà molto.
Mi aspetterai, Tecmessa?”
Io sorrisi. “Lo farò, proprio qui. Vai, non tardare.”
Mi sorridesti, mi sfiorasti il viso con una carezza e ti allontanasti da me. E io non vidi, nascosta sotto il mantello, la spada; non riconobbi che quelle lacrime lucenti erano per me.


************



La spada è pesante tra le mie mani; ma io non la lascerò cadere.
Se questa è la fine, io la accetterò. Se questo è ciò che volete, io non mi opporrò.
Ma ora so, so che il mio nome risuonerà ancora e sarà accompagnato da lacrime e gemiti.
Non mi avete battuto: l'onore continua a vivere in me.
Ora so che il vincitore sono io, sono sempre stato io: perché io sono solo un uomo, ma voi siete uguali a me; la vostra invidia, la vostra malvagità vi rende così mortali...
Non piangerò la mia sorte nella casa di Ade; non piangerò, perché un giorno io ritornerò, e voi sarete i primi a vedermi rinascere.


************



Fosti tu la prima a trovare il suo corpo.
Cosa pensasti, Tecmessa, quando ti fu chiaro l'inganno che i Numi ti avevano teso?
Piangesti, quanto piangesti; le tue grida ammutolirono l'esercito, che si arrese al dolore con te.
Su quel cadavere sanguinante ti gettasti, tu che lo avevi tanto amato, tu che avevi sempre cercato di proteggerlo; ma, bambina mia, dal riso degli Dèi come avresti potuto salvarlo?
Fu da quel momento che smettesti di avere paura e diventasti forte come mai lo eri stata.
Desti l'ultimo bacio al tuo sposo in solitudine; in lontananza l'esercito gemeva, rivolgeva pensieri di odio ai due figli di Atreo che fino all'ultimo ti ostacolarono, impedendo che il corpo del tuo amato venisse arso sull'onorevole pira.
In disparte stava il figlio di Laerte, che teneva lo sguardo al suolo e cercava il perdono che mai, tuttavia, otterrà.

Lo seppellisti all'ombra delle sue navi, il tuo Aiace, e i suoi guerrieri cantarono per lui.
Io, Kubile la Dolce Madre, piansi con te mentre i fuochi si spegnevano e il tuo bambino, spossato dalle lacrime, si addormentava nello scudo di suo padre; rimasi con te mentre afferravi il pugnale del tuo sposo e fendevi con esso il viso deturpandolo orrendamente, perché nessuno ti guardasse più con diletto, perché tu saresti appartenuta per sempre, e solo, al valoroso figlio di Telamone.
Ma non mi limitai a guardare: asciugai il sangue dalle ferite e ti feci addormentare, quindi ti portai via con me, verso la pace che tanto meritavi, Tecmessa... regina di Salamina.

   
 
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