Il dondolio della mia stanza
è come una dolce ninna nanna
che culla i miei sensi, non posso credere di essere qui, con le mie
bellissime
gambe accavallate, sulla mia poltrona in velluto blu scuro e fregi in
oro, ad
ammirare i dintorni, la base del capitano, non
troppo grande come di solito la gente se
la immagina.
Dopotutto la nave è di piccole dimensioni… ma
veloce, come le mie pistole.
Sopra la mia testa dei tumulti, suoni ovattati, piedi che corrono
avanti e
indietro freneticamente mentre si cerca in qualche modo di tenere a
bada la mia
fregata, che immobile
continua a
prendere gli impatti delle onde che arrivano ordinate ma forti e
scrosciano
contro il legno scuro.
Dalle labbra carnose mi esce un flebile sospiro, gli occhi chiusi e la
testa
poggiata al morbido velluto, tutti questi suoni sono per me soavi,
magici,
finalmente la pace ritorna ad impossessarsi del mio cuore ricolmo di
odio e
follia.
Mi scappa una risata, bassa e lugubre, mi fa tremare la gola e mi rendo
conto
di quanto questa sensazione possa farmi piacere.
Un piacere vuoto.
Alcune urla si mischiano alle grida e alle comande dei miei
sottoposti
sopra di me, il mio ordine procede con calma, e io voglio assaporare
tutto il
dolore, saggiare tutto il sangue, leccare ogni lacrima di terrore
sgorgare da
quegli occhi vuoti e spaventati.
Occhi di persone indegne. Occhi come erano i suoi, quando era bambina,
davanti
a quell’uomo che le ha portato via tutto, e le ha lasciato
bramosia di
vendetta.
Alcuni passi si fanno più insistenti alle sue orecchie, li
sente, si
avvicinano, si fermano dietro la sua porta e il tonfo della mano che
batte
contro l’ebano della porta
mi ridesta
dai pensieri felici.
“Avanti.” La mia voce è quasi annoiata,
oltre che stanca. Se vengono a bussare
sarà successo sicuramente qualcosa che non voglio sapere.
“Capitano, la
nave di Gangplank è quasi
affondata del tutto…pensavo volesse assistere allo
spettacolo.”
I miei occhi girano per incontrare quelli del mozzo, dubbioso delle sue
stesse
parole e teso come non mai.
Sarah Fortune non è stata un capitano lodevole, negli ultimi
giorni. E’ stata
crudele, testarda, doppiogiochista.
Ha sopra le spalle migliaia di morti innocenti, il suo corpo
è ricoperto di
sangue e sensi di colpa, ma niente era stato più forte della
sua sete di morte
contro quell’uomo.
Quell’uomo che adesso, finalmente, era morto per mano sua.
Gli sorrido mentre le mie gambe tornano al loro posto, e si bilanciano
prima
che mi alzi.
“Ricordati bene di non nominare più quel nome, in
mia presenza. Quella feccia
ormai è passato. E nessuno…nessuno
dovrà ricordare il suo nome.” Dico stringendo
in mano i miei guanti in pelle con rabbia e camminando lentamente verso
di lui,
la sua figura tremante non accenna al minimo movimento. Pietrificato e
silente
mi osserva, ha
paura anche ad abbassare
lo sguardo.
“Dimmi un po’ tesoro, come procedono i miei
ordini?” lo sorpasso regalandogli
un sorriso beffardo e sprezzante.
“…tutto…tutto procede, signora. Gli
edifici e le case con il suo stemma s-stanno
lentamente cadendo…le persone…”
“Le voglio tutte morte.” Dico senza farlo finire,
dalla mia piccola finestra
osservo con disattenzione l’ultimo pezzo di
quell’orrenda nave cadere negli
abissi.
“Ma…capitano…”
“Niente "ma", lurido pezzente. Ho già detto che
NESSUNO dovrà avere in bocca quel
nome…mai più.” Dico a denti stretti. Il
sangue comincia a pulsare nelle vene e
io riesco a sentirlo, a sentirne il calore.
“Sì, Miss Fortune.” Dice rassegnato a
quelle mie dure parole, sospira e scuote
la testa, non proferendo altro e sistemandosi la sciabola al fianco.
Sembra
essersi ripreso dalla sua posa pietrificata.
“Procedo a dare le vostre ultime comande.”
“Molto bene, fa il tuo dovere, e manda qualcuno quando tutto
sarà finito.” Mi dirigo
nuovamente verso la mia poltrona e poggio i guanti sulla scrivania il
legno,
piena di fogli e inchiostro strabordato dalle boccette.
Il mozzo si gira, apre nuovamente la porta ma si ferma la mano stringe
il legno
di quest’ultima, sembra esitare un attimo.
“Con tutto il rispetto, mio Capitano…credo che le
sue scelte siano avventate.
Non riuscirà facilmente a togliere il ricordo di un uomo
senza pietà come
Gangplank, quell’uomo è stato il
terrore.”
Le sue parole mi martellano nuovamente in testa, ma io sono calma, lo
osservo
dal mio angolo, poggiata alla poltrona, pensierosa.
“Sì, è un compito
difficile…” dico quasi in un sussurro.
“Come puoi dimenticarti di un tale personaggio, giusto?
Dopotutto io non l’ho
fatto per tutto il resto della mia vita.
Ma…tentar non nuoce sai?” dico, riprendo il
cappello e lo rimetto sopra la
testa ricolma di capelli rosso fuoco.
“Sai cosa ti dico?” Il mozzo si gira, forse
captando l’alone di odio
che ancora avvolge la mia aura, forse
per guardarmi negli occhi mentre pronuncio quelle ultime, dannate
parole.
Le ultime che le sue orecchie potranno mai udire. Le ultime che gli
risuoneranno così bene da ricordarle per
l’eternità.
“Che hai ridetto quel nome…mozzo.” La
mia pano con in pugno una delle mie
pistole si alza alta puntando la sua testa. Dalla mia gola nasce una
risata isterica
e i suoi occhi si accendono.
Che bel riflesso rosso che posso guardare da questi ultimi. Sembrano
gridare di
dolore.
Bang.