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Autore: Kirame amvs    02/08/2015    3 recensioni
[Partecipante al contest “Per il potere conferitomi vi dichiaro marito e... indetto da AnnabethJackson]
Storia ambientata in un futuro ipotetico dopo Sangue dell'Olimpo.
Tratto dal primo capitolo:
C'erano dei biscotti ha forma di lettera, erano messi in ordine e formavano una parola:
Will.
Una strana idea si fece strada nella mia mente, ma Percy non era quel tipo di persona. Lui non era capace neanche di fare due passi, in cucina come minimo sarebbe saltato in aria, e poi... Insomma. Percy? Ma non scherziamo.
Forse.
Girò la seconda scatola: you.
Con una lentezza esasperante iniziò a ruotare verso di me gli ultimi due contenitori.
Chase, calma.
Non ti sta mica chiedendo di spos-
Marry me?
Will you marry me?

Tratto dal secondo capitolo:
La stanza si rivelò essere un enorme cucina, di color rosso lucido, provvista di tutto quello che serviva: frigo, forno, credenza, mensole, lavastoviglie e lavandino, fornelli, freezer, cassetti, un ripiano lungo di marmo, e vari robot da cucina. Controllai la credenza e il frigo: erano vuoti.
«Beh, abbiamo a che fare con un mostro con l’hobby della cucina, ma che deve fare un salto al mercato» ipotizzò Percy.
Genere: Angst, Comico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Annabeth Chase, Atena, Percy Jackson, Percy/Annabeth, Piper McLean
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Autore: Kirame amvs

Titolo: I’m a queen. Of stupid people

Coppia utilizzata: Percabeth (Percy/Annabeth)

Rating: verde

Genere: romantico, introspettivo, angst, comico

Avvertimenti: //

Citazione: “Sbatto la testa contro il muro. Se esistesse una nazione di persone stupide, sarei la loro regina” (Cancella il giorno che mi hai incontrato)

Prompt: Alba

Situazione: Proposta di matrimonio

Conteggio parole: 1° capitolo senza titolo: 2.688, 2° capitolo senza titolo: 3.189

NdA:

Ho molte cose da riferire xD

Intanto grazie che hai aspettato sino all’ultimo per me, te ne sono infinitamente grata, ci tenevo così tanto a partecipare a questo contest!

Parlerò principalmente del secondo capitolo. Immagino Annabeth come una persona attenta all’arredamento, per cui, nella casa che visitano, ho descritto tutto, con minuziosità. Spero di non averti annoiato, ma lo trovavo “da Annabeth”, e poi, stiamo o non stiamo parlando della sua casa?

Seconda cosa: nell’ultima parte del capitolo ci sono varie ripetizioni, che ho inteso più come un rimarcare dei pensieri di Annie. Spero non lo considererai un errore. Primo capitolo: nella citazione ho tolto “sbatto la testa al muro”, perché non sapevo dove metterlo ^^’’ Ho recuperato nel secondo scrivendolo non nella frase ma in quella successiva. Spero vada bene lo stesso.

Ho usato anche una citazione da “Orgoglio e Pregiudizio”.

Detto questo, grazie ancora, e che vinca il migliore :)

Kirame

 [Partecipante al contest “Per il potere conferitomi vi dichiaro marito e... indetto da AnnabethJackson]. 

 

 

Capitolo II – Mr. and Mrs. Stupid 

 

Il vestito aveva uno scollo con una sola spallina, non troppo vistoso, aderiva accentuando le mie curve dolcemente e non era troppo eccessivo, perché dalla vita in giù si allargava, sino ai piedi, da cui partiva uno strascico di mezzo metro, adornato di rose minuscole color avorio.

Piper, sebbene non fosse una make-up artist, si era data molto da fare, acconciando con altre piccole rose color avorio i miei morbidi ricci biondi, solitamente non pettinati né tantomeno curati. Mi aveva anche truccato, ignorando le mie proteste, anche se si era trattenuta: una sottile striscia di eye-liner, un po' di mascara, dell'ombretto tonalità corallo e aveva anche passato il lucidalabbra dello stesso colore.

Dovevo dire che, sebbene non mi fossi mai truccata né acconciata i capelli, davanti al grande specchio su cui potevo ammirarmi, mi sentivo salire le lacrime agli occhi. Finalmente era arrivato anche per me. Finalmente sarei diventata Annabeth Jackson.

Piper mi guardò, orgogliosa e bellissima fasciata nel suo abito stile greco sempre color corallo, i capelli scuri e mossi adornati da piccole magnolie chiare.

Anche Rachel, Reyna, Hazel e Talia erano bellissime. Talia si era lamentata per tutto il tempo di come volesse la sua tenuta da cacciatrice, poi si era convinta, sbuffando sonoramente. Le abbracciai tutte.

 

Mi diressi verso l'altare con mio padre, che mi guardava leggermente melanconico, così gli diedi un bacio sulla guancia per rassicurarlo. Mi sorrise e mi fece cenno di girarmi verso Percy. Voltai il capo, sicura di incrociare i due occhi verdi che tanto amavo specchiarsi nei miei. Quello che vidi, invece, mi bloccò il respiro. Boccheggiai, scrutando sbigottita gli occhi azzurri del mio quasi sposo. 

Salii sul gradino sotto l'arco di fiori candidi, e, senza parole, lo osservai.

Stetti così, senza sentire veramente ciò che veniva detto da Chirone, sino a quando il centauro non disse una frase che confermò le mie paure, i miei sensi di colpa, e diede loro un nome.

«Vuoi tu, Luke Castellan, sposare la qui presente Annabeth Chase?»

No. 

Non era così che doveva andare.

Davanti a me, in quel momento, non poteva esserci nessun altro, se non Percy Jackson.

Era lui che amavo.

Era lui che avrei sposato.

Nessun altro.

Era lui che avrei amato.

Per tutta la vita.

«Sì, lo voglio» Percy mi fece un gran sorriso, mostrando i denti bianchissimi e le fossette sulle guance, che trovavo adorabili.

Ricambiai, dimenticandomi di Luke.

Ora era giusto. Ora potevo dire di sì.

«Vuoi tu, Annabeth Chase, sposare il qui presente Luke Castellan?»

Cosa?

Percy scomparve, e per la seconda volta mi mancò l'aria.

Tornò Luke, sicuro e sorridente.

No! No!

Pregai, sperando che Percy tornasse.

Ma il figlio di Ermes era fermo, in smoking, davanti a me, era bello, ma sbagliato.

Stavo tradendo Percy.

«No.»

 

 

 

New York City, appartamento di Annabeth, 23 aprile 2015, ore 4:52

 

Mi svegliai di soprassalto, stringendo nei pugni le lenzuola con violenza.

Avevo ancora la vista annebbiata e faticavo a respirare. Mi lasciai ricadere senza forze sul materasso, osservando l'orologio sulla parete.

Le quattro e cinquantadue.

Sapevo che non sarei più riuscita a riaddormentarmi, così mi alzai e mi misi un paio di jeans e una t-shirt color lime. Presi una felpa, le chiavi e una mela, poi uscii, non sapendo con precisione dove andare.

Guidai senza una meta precisa, e con mio sgomento mi ritrovai ad osservare le prime luci diurne con i piedi che affondavano nella spiaggia umida.

Amavo l'alba. Mi sarebbe piaciuto rinascere, come il sole al mattino, colorare il cielo di giallo, arancio, rosa e rosso, alzarmi in una routine rassicurante di milioni di anni su per nelle nuvole come il bolide di Elio trasportato da Apollo.

Amavo guardare il gioco di luci che si formava sulla superficie placida dell'oceano, mi infondeva tranquillità, e mi ricordava Percy. Tutto mi ricordava lui.

Le onde infrante sulla battigia, l'alba che tanto mi piaceva, il sole, il blu, anche quella donna maestosa che si avvicinava a me sembrava in qualche maniera collegata al figlio di Poseidone.

Un momento.

Quella donna era... Mia madre. Atena. Pericolosamente vicina al mare.

«Madre» dissi soltanto quando fu più vicina.

«Annabeth»

Guardò la mela che avevo in mano, e, con un cipiglio incolore negli occhi, la prese e la lanciò in mare.

Potevo solo immaginarne il perché. E avevo un'idea.

Fece una lieve smorfia.

«Non amo particolarmente le mele» si giustificò, sebbene non le avessi chiesto nulla.

Era molto permalosa.

«Di cosa mi voleva parlare, madre? È stata lei a farmi fare quel sogno? A rovinare il mio matrimonio?» dissi, più che rabbiosa, esausta.

Ero stanca che mia madre mi dicesse come un figlio di Poseidone non fosse giusto per me. Ero stanca, stanca di avere una madre mai presente. Era come non averla.

«Sì»

Sì cosa? Il sogno? O l'intenzione di rovinare il mio matrimonio?

«Annabeth, sarò testarda, ma non sono sicuramente priva di intelligenza. Ti ho fatto vedere quel sogno per farti capire quanto tu ami Percy Jackson. Ti do la mia approvazione. Sei stata brava. E, parlando del tuo amato, ha compiuto un atto di coraggio e amore, seguendoti nel Tartaro. Per quanto mi costi affermarlo, non ti saresti salvata, senza di lui. Solo, che stia attento a non farti soffrire. O avrai il mio pieno consenso per eliminarlo. Possibilmente con un’ampia varietà di armi. Scommetto che Poseidone starà sghignazzando orgoglioso e arrogante proprio qui, ridendo della mia debolezza» disse, spostando lo sguardo sulle acque dell'oceano. Per tutta risposta arrivò un'onda più grossa delle altre.

Ero incredula. Avevo il suo permesso? Si era complimentata con me? Non mi sarei salvata innumerevoli volte, senza Percy al mio fianco.

Mi alzai, ancora scossa. Nella sua forma mortale, mia madre era alta quanto me, ma pareva fissarmi ugualmente dall’alto in basso, irraggiungibile.

La guardai negli occhi grigi come una tempesta, cercando un inganno. Non trovai nulla.

«Quindi... posso finalmente sposarlo? Posso avere la mia ricompensa per tutte le fatiche e le imprese?»

«Figlia mia, non domandare l’ovvio»

Presa da un impulso primordiale, naturale, le buttai le braccia al collo, piangendo di gioia. Mi ero finalmente riconciliata completamente con mia madre.

«Grazie» singhiozzai.

Sulle prime, Atena restò immobile, con le braccia abbandonate sui fianchi. Poi, con un sospiro, ricambiò la stretta.

«Annabeth, chiudi gli occhi» ubbidii, vedendo comunque un bagliore accecante dietro le palpebre chiuse, ritrovandomi poi ad abbracciare l’aria.

L’alba era simbolo di rinascita. Una rinascita avvenuta in me, e con mia madre. Un inizio.

 

 

Long Island, 23 aprile 2015, ore 9:37

 

Battevo impaziente un piede sulle mattonelle del vialetto davanti alla villetta. Percy era in ritardo. Come sempre.

Mi concentrai sull’edificio che avevo davanti. Sospettosamente, ricordava una villa greca. Era collocata ad una cinquantina di metri dalla spiaggia, circondata da un giardino piuttosto ampio, con alberi di diverso tipo, ma quasi tutti da frutto: c’era un ciliegio, un mandorlo, un castagno e tanti altri, poi due aceri. Era una villa imponente, bellissima. Era costruita su due piani, ed in contrasto con le colonne all’ingresso, sulla parte frontale aveva diverse finestre coperte da tende rosso fragola.

Era maestosa, ma accogliente, anche da fuori. Iniziavo a pentirmi: quella villa era enorme e me ne ero innamorata, ma sarebbe costata fin troppo. Non c’era traccia neanche del venditore.

Sotto al portico, notai un’amaca, due poltrone e un tavolino di vetro circolare. Mi avvicinai ulteriormente, e sbigottita, sulla targhetta del numero civico “17” vidi due minuscoli simboli che “facevano a pugni fra di loro”: una civetta e un tridente. Per poco non mi venne un colpo. Atena e Poseidone? Insieme?

La macchina di Percy, rigorosamente blu, si parcheggiò accanto alla mia nella stradina di fronte alla casa.

Gli corsi incontro, sebbene già da là fosse palpabile la tensione fra noi due.

«Ciao» disse chiudendo la portiera. Era un po’ rigido, ma mi sorrise.

«Ciao»

Il semidio si guardò attorno.

«È meravigliosa, ma... non ho i soldi per pagarla»  mi guardò un po’ imbarazzato.

«Neanche io, ma guardare non costa nulla, no? Il venditore sarà dentro. Però c’è una cosa, non crederai ai tuoi occhi: vieni» risposi. Mi seguì sino al portico e sgranò gli occhi.

«Com’è possibile? I nostri genitori si odiano! Che sia una trappola?» tolse Vortice dalla tasca.

«Non lo so, ma andiamo a controllare dentro» abbassai con cautela la maniglia e spinsi la porta, lasciandola comunque aperta.

Dentro, il salotto era ordinatissimo, arredato con mobili moderni e ampio. Non c’era nessuno.

«Però, che casa…» mormorò Percy. Non potei che concordare. Era la casa dei miei sogni.

I toni erano tutti sul rosso, sul nero e sul bianco. Erano presenti un divano, tre poltrone e una libreria con dei libri di cucina, che occupavano due dei quattro scaffali, neri, il pavimento in parquet, la parete bianca, senza quadri o poster, un tavolo di vetro quadrato e un tappeto piuttosto grande, rosso.

All’estrema destra del salone c’era un arco aperto che separava il soggiorno da un’altra stanza; all’estrema sinistra, invece, c’erano delle scale in legno a chiocciola.

«Destra» dissi io.

«Sinistra» disse lui nello stesso momento.

«Va beh, decidi tu» esclamammo insieme. Ridemmo nervosamente.

Mi incamminai a destra, lui alzò le mani in segno di resa e mormorò un “Sissignora” che non passò inosservato.

La stanza si rivelò essere un enorme cucina, di color rosso lucido, provvista di tutto quello che serviva: frigo, forno, credenza, mensole, lavastoviglie e lavandino, fornelli, freezer, cassetti, un ripiano lungo di marmo, e vari robot da cucina. Controllai la credenza, il frigo e il freezer: erano vuoti.

«Beh, abbiamo a che fare con un mostro con l’hobby della cucina, ma che deve fare un salto al mercato» ipotizzò Percy. Era un’altra cosa che adoravo di lui: riusciva a fare dell’umorismo anche nelle situazioni che sicuramente non lo richiedevano.

«Se non ci vivesse nessuno, non dovrebbe essere così pulito» sentenziai, non avevo infatti visto neanche un filo di polvere, una ragnatela (anche perché sarei scappata a gambe levate, dopo la brutta esperienza avuta con Aracne) o la porta chiusa.

«Magari è un mostro del pulito che si ciba di aria» provò di nuovo lui.

«Sì, e poi la frigge in padella» replicai.

Dalla cucina, tramite una porta scorrevole, accedemmo alla sala da pranzo. Era circa metà del salotto, con un tavolo circolare nero lucido, circondato da quattordici sedie con il rivestimento in pelle bianca. C’era poi un divano a L bianco con dei cuscini rettangolari neri, una libreria, vuota.

Attraverso un’ennesima porta scorrevole ci ritrovammo in un bagno.

Lo etichettai come bagno di servizio. Di quelli che usi quando arrivi a casa e non riesci a salire le scale.

Non aveva né doccia né vasca. Niente asciugamani. Solo una finestra chiusa, i servizi igienici, delle mensole e due armadietti.

«Ricapitolando, abbiamo a che fare con un mostro che ci tiene alla pulizia, che si ciba di aria fritta, è probabilmente un designer di interni, e invita la sua famiglia a cena, non gli piace leggere che manuali di cucina ma ha addirittura due libreria, sino ad ora, inoltre non fa uso di asciugamani né di prodotti per la pelle/squame/pelliccia e qualsiasi cosa abbia. È sicuramente il mostro più originale del mondo» dissi, scettica.

 

«Già. Proviamo a salire le scale»

Attraversammo il salotto, e ci incamminammo su per le scale. Come immaginavo ci ritrovammo in un corridoio, con 8 porte scorrevoli.

La prima era una camera degli ospiti, composta da un armadio bianco a muro, delle mensole, una scrivania di vetro e due letti a una piazza e mezzo con un copriletto con i pegasi e uno con le civette.

Io e Percy ci guardammo arrossendo.

«Che cosa sta succedendo?» chiesi io a nessuno in particolare.

La seconda stanza era uno studio. C’era un computer su una scrivania di vetro (il mostro aveva anche la mania del vetro?), una libreria rigorosamente nera e rigorosamente vuota, Una poltrona nera con le ruote e un paio di piante e fiori in vaso. C’erano poi due mensole e cinque cassetti.

La terza, invece, era un bagno, questa volta provvisto di doccia, oltretutto molto spaziosa.

Il parquet era di legno scuro e impermeabile, a prima vista. Per il resto, quella stanza era identica al bagno del piano terra.

La quarta porta conduceva ad una camera da letto più… infantile.

Il muro assumeva una tonalità verde chiaro, simile alla mia maglietta, che risaltava con le tipiche tende rosso fragole di tutta la casa. L’armadio a muro, invece, richiamava il colore delle tende, mentre il letto aveva un copriletto coi gatti; c’erano poi un tappeto color lime e una tipica scrivania di vetro con una poltrona provvista di ruote.

Stavo ormai abbandonando del tutto l’idea del mostro particolare, facendo posto a un altro pensiero, forse più assurdo: Poseidone e Atena che collaboravano e avevano una casa insieme.

Impossibile!

La quinta era una cameretta esattamente identica all’altra.

La sesta stanza del primo piano si rivelò essere uno stanzino.

Era vuoto, fatta eccezione per la lavatrice, una cassettiera e la finestra che conduceva ad un balcone (ogni stanza ne possedeva uno, a parte i bagni) con due stendini.

La settima porta rivelò una camera meravigliosa. Se fosse stata casa mia, sarebbe stata camera nostra.

Il letto matrimoniale era basso e con moltissimi cuscini, circondato da una zanzariera. Ai lati c’erano due comodini neri lucidi, di fronte un armadio a muro rosso come il tappeto sul parquet scuro, poi un’ennesima libreria vuota e “la scrivania”, una cassettiera e una grossa vetrata con fuori un davanzale uguale agli altri, con due poltrone nere e un tavolino circolare.

«Sarebbe bellissimo vivere in questa casa» mormorò Percy sorridendomi. Gli sorrisi a mia volta.

L’ultima stanza era un bagno, differente dall’altro solo per la vasca da bagno al posto della doccia.

«Qui non c’è nessun mostro, ma che cosa ci fanno tutti questi simboli di Atena e Poseidone assieme? Loro si detestano!» esclamai.

«Non so, comunque non possiamo stare qua. Torniamo alla macchina e vediamo un altro appartamento»

Scendemmo le scale e vedemmo una porta in fondo al salotto.

«Sbaglio o prima non c’era?» scosse la testa, e io la aprii.

Dava sul retro della casa.

Davanti a noi c’era una piscina con qualche sdraio e degli ombrelloni. E, seduti sotto due di quelle, stavano mia madre… e suo padre. E litigavano.

«Ti sto dicendo che gli ateniesi, se tu non li avessi abbindolati con delle olive, avrebbero scelto me!»

«E io ti dico che le tue offerte erano poco utili e ingegnose. E comunque, sei stato scorretto con il mio prediletto di Itaca!»

«Vuoi litigare di nuovo per quell’Odisseo?! Ha accecato mio figlio!»

«Con buone motivazioni»

Percy tossicchiò, e i nostri genitori lo fulminarono con lo sguardo.

«Ah, sei tu, figlio mio» si addolcì il dio del mare dopo un attimo.

«Non ti avevo notato, figlia mia» fece invece mia madre.

«Che cosa significa questa casa, divina Atena, divino Poseidone?» chiesi.

Loro si guardarono in cagnesco, poi dissero “È stata una mia idea” in contemporanea.

«Abbiamo deciso, di raro comune accordo, che meritavate un regalo di nozze. E così, vi abbiamo costruito una casa, anche per premiarvi dato che siete i più grandi eroi di questo secolo. Non dovete preoccuparvi della questione mostri, c’è una barriera che protegge questo luogo e Jackson potrà attingere al mare  per aumentare il suo potere, se mai dovesse capitare» spiegò Atena, guardando prima me e poi Percy.

Se la dea della sapienza e il dio del mare avevano collaborato c’era proprio da ringraziarli per ore.

«Noi… non possiamo accettare… insomma, è troppo grande e lussuosa!» esclamai guardando Percy, che faceva strani gesti.

Carpii qualcosa come “dacci un taglio” “va benissimo” “accetta” “non fare la scema” e altre cose.

Quel ragazzo doveva essere un pochino più educato.

Lo guardai male.

«Non dite sciocchezze. Come sta cercando di farti capire –a modo suo- mio figlio, un nostro regalo non arriva tutti i giorni. Apprezzalo e saremo compiaciuti» Mi disse Poseidone, e io sospirai.

Ringraziammo e loro, per tutta risposta, svanirono.

 

 

 

Appartamento di Annabeth  e Percy, 8 maggio 2015, ore 20:09

 

Erano passate più di due settimane da quando mia madre e il padre di Percy ci avevano regalato la casa. “Regalo di nozze”, lo avevano definito. Tuttavia, in casa io e Percy eravamo distanti, facilmente irritabili. Io mi arrabbiavo perché lui era sempre assorto in chissà quali pensieri, a volte dormiva nella camera degli ospiti dicendo “Non ce la faccio a dormire con te”. Queste parole mi ferivano, credevo non mi amasse più. Avevamo appurato di amarci, eravamo così sicuri. E allora, che cosa gli era preso? Avrei voluto dirgli che sì, volevo sposarlo, ma non mi sembrava proprio il momento giusto. Lui sembrava così triste, arrabbiato, non solo con me, ma con chiunque e qualunque cosa.

 

Era ormai l’ennesima cena passata in silenzio. Io e Percy guardavamo la nostra bistecca, piluccando annoiati il cibo. Mi feci coraggio e cercai di attaccare discorso.

«Oggi dove dormi?» Chiesi, poi mi accorsi che forse non era la domanda giusta.

Alzò lo sguardo e inchiodò i miei occhi con i suoi verde mare.

«Non lo so. Non ce la faccio a dormire con te, te l’ho già detto.» quella frase era rabbiosa, ma detta da lui pareva solo triste.
Decisi di indagare.
«Perché?» mi stavo arrabbiando parecchio, non lo negavo. Neanche il tono della mia voce era calmo.
Batté la mano sul tavolo e si alzò con uno scatto, rovesciando la sedia. Non avevo paura di lui, questo mai.
«Sai perché?! Lo vuoi sapere? Perché ogni santa volta, ogni volta che ti guardo qui, in questa casa, dormire, cucinare, fare qualunque cosa, mi ricorda che no, non siamo sposati! Capisci? Come vuoi che possa riuscire a vivere così? Come, Annabeth? Pensavo di potercela fare, ma no. Io proprio non lo so» scosse la testa, abbassando  il tono di voce gradatamente.
Non riuscivo a proferire parola.
Era per quello?
Mi guardò con gli occhi  lucidi, deluso, tradito.
Pensai di aver visto una lacrima, mentre si voltava.
Avrei voluto fermarlo, prendergli il polso e baciarlo, dirgli che sì, volevo sposarlo, ma avevo il corpo paralizzato, la voce spenta.
Avrei voluto gridare, urlare fino a perdere del tutto la voce, avrei voluto abbracciarlo, stringerlo a me e non lasciarlo mai più.
Ma il momento era passato.
La porta si chiuse con un tonfo.
Mi sgretolai come una statua colpita da una meteora.
Caddi in ginocchio e iniziai a piangere, ad urlare, buttare via tutti i cocci della mia anima, come quando si fa pulizia.
Finita.
Era finita. Per sempre.
E quando finii la voce, e non potei più gridare, e non potei più versare lacrime e morire ogni volta che una di queste toccava il parquet, parlai.
«Sei una stupida, Annabeth. Eravate fatti l'uno per l'altra. Non so di cosa fossero fatte le vostre anime, ma la sua e la tua erano uguali. Sei un idiota, Chase. Dovevi dirgli sì. Sì, sempre sì. Se esistesse una Nazione di persone stupide, saresti la loro Regina.» Mi dissi sbattendo la testa contro il muro.
«Posso essere io il Re?»

Sussultai quando lo vidi dietro di me, con gli occhi lucidi che mal si trovavano con il sorriso che campeggiava sul suo volto.
Lo baciai, e tutte le lacrime, tutti i dolori, tutte le incomprensioni sparirono, e mi sentii felice, perché ero con lui. Perché sarei stata con lui.
«Sì. Sempre sì»

 

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Konnichiwa, ragazzi :D

E così, quasta mini-mini-long è finalmente completa ^^

Partecipa al contest di AnnabethJackson sul forum di EFP. Spero vi sia piaciuta, e, se potete, lasciate un piccolo commentino per farmi sapere se vi è piaciuta :)

Alla prossima storia,

Kirame ♥

   
 
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