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Autore: Atra    04/08/2015    3 recensioni
Un viaggio a piccole tappe nell'infanzia e nell'adolescenza di Seifer
Almasy e di sua sorella, Atra Almasy.
Sarà una lettura alla scoperta di un rapporto del tutto
particolare, che potrebbe addirittura stupirvi.
Ogni ricordo è scolpito integralmente nella mente di Atra,
che racconta disegnando i contorni di un Seifer totalmente diverso da
quello che siamo abituati a conoscere.
Buona lettura!
N.B. Il "What if?" della presenza di Atra è riferito alla
mia fanfiction a capitoli, "Il legame del sangue". 
Genere: Comico, Introspettivo, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Fujin, Nuovo Personaggio, Raijin, Seifer Almasy
Note: Raccolta, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Legami'
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#2. Purgatorio

Riassuntino: Seifer ha appena sostenuto il suo primo esame pratico SeeD e quando torna non è dell’umore adatto per incontrare Atra, dato che la prova non sembra essere andata come sarebbe dovuta andare.

I due hanno un violento litigio nato da alcune parole taglienti pronunciate da Seifer per respingere la sorella, che gli risponde per le rime senza riuscire a contenersi.
Alla fine Seifer se ne va, precludendo qualsiasi possibilità di chiarimento.

Mi ero ritrovata dapprincipio al porto, come era successo qualche mese prima quando avevo battuto Leviathan. In quel momento il G.F. aveva restituito un impulso saldo al nostro collegamento, come per avvisarmi che era ancora lì.
Grazie tante, Leviathan, ma non è te che vorrei fosse qui con me.
Avevo esagerato, maledizione. Il che non era nel mio DNA, solitamente era Seifer quello che parlava tanto e diceva cattiverie.
"...tu e gli altri due adesso vi togliete dai piedi e la piantate di seguirmi ovunque come al solito almeno fino a domani mattina".
E quella non era stata una cattiveria, allora?
Avevo cercato un po' di solitudine sedendomi sulla banchina del porto, mentre per l'ennesima volta mi chiedevo quanto fossi di peso a mio fratello.
Tutti coloro che ci conoscevano almeno un po’ si dicevano sempre stupiti dall’ atteggiamento di Seifer nei miei confronti: protettivo e con la costante preoccupazione di sapermi al sicuro.
Al Garden erano in tanti a detestare il caratteraccio di mio fratello, che spesso mi confidava, non senza una certa trepidazione, di aspettarsi la vendetta dell’ennesimo alunno più grande a cui aveva rubato la ragazza o del solito tipo a cui aveva affibbiato una punizione ridicola in quanto leader del Comitato Disciplinare.
Ma tutti coloro che cercassero una vendetta contro Seifer sapevano che non avrebbero mai vinto a un corpo a corpo con lui. Per esperienza, sapevano che dovevano sfruttare il punto debole del nemico.
Avevo passato tutta la mia vita a cancellare dalla mia fronte quell’umiliante etichetta, sforzandomi di dimostrare a me stessa e al mondo che non ero affatto il punto debole di mio fratello, un peso che richiedeva protezione perché inerme e indifeso.
Seifer non aveva mai chiarito la sua posizione al riguardo, credo fosse perché la riteneva abbastanza scontata. Ero sua sorella e non avrebbe permesso a nessuno di ferirmi.
Ma io non volevo dipendere completamente da Seifer. Quell’anno avevo domato un G.F. andando oltre le previsioni della direzione scolastica e avevo dimostrato di cosa ero capace anche da sola.
C’era stato un periodo in cui ero piccola e...beh, non che Seifer fosse molto più grande di me, maledizione, però era sempre stato lui il mio punto di riferimento.
Appoggiando il mento sulle ginocchia, mi ero domandata come sarebbe stato Seifer se io non fossi esistita. Avrebbe avuto ancora freni? Qualche scrupolo? Un pensiero in più prima di andare a dormire e prima di alzarsi dal letto?
Forse sarebbe stato più libero.
Ecco ciò che gli avevo tolto io: la libertà di essere solo se stesso. Al Garden ormai eravamo “i fratelli Almasy” e fra i due ero io quella che lo teneva al suo posto.
Agli occhi degli altri ero l’unica ragione che gli permetteva di essere ritenuto ancora un essere umano. Per colpa mia Seifer era un soggetto più debole. La sua immagine non era quella nitida e imponente dell’eroe solitario e glorioso.
Agli occhi degli altri ero l’unica che sapesse leggerlo alla perfezione. Di conseguenza, solo io potevo parlargli e solo io sapevo come trattarlo.
Tranne quel giorno.
Pensare a mente fredda e distaccata, appena distratta dalla brezza fresca sul viso, mi aveva aiutato a individuare gli errori stratosferici che avevo compiuto e che non avrei mai dovuto permettermi nemmeno di considerare dentro di me.
Perché diavolo non avevo capito che Seifer stava dando aria alla bocca, come al solito? Lo sapevo che quando si arrabbiava non connetteva più cervello e lingua...ma in quello scontro ero stata io quella che non era riuscita a fermarsi. In tutti i sensi.
Non era mai successo che mio fratello mi rinfacciasse apertamente il fatto di essere un peso...soprattutto dopo tutto quello che avevo fatto per lui. E soprattutto perché sapeva che quella cosa mi faceva stare male.
E forse era stato proprio per quei motivi che avevo reagito così violentemente...gli stessi motivi per cui ora non avevo il coraggio di alzarmi in piedi e affrontare la realtà con la consapevolezza che le gambe mi potessero cedere. Non sapevo come sarei riuscita a tornare al Garden in quello stato. Non sapevo come mi sarei trascinata dietro il mio senso di colpa e dei rimorsi tanto assurdi quanto nascosti in quell’Atra seduta a terra con le gambe penzoloni a un soffio dalle onde e il volto fra le mani, le dita infilate fra i capelli.
Ma dopo pochi minuti mi ero ritrovata costretta a rialzarmi, perché il porto aveva iniziato a riempirsi e gli sguardi delle persone si erano fatti sempre più invadenti.
Non avevo alternative: dovevo tornare al Garden e...cosa avrei fatto una volta lì?
Avrei dovuto aspettare che Seifer uscisse dal colloquio con Cid? E dopo? Avremmo concluso la discussione? E in quale modo? E le cattiverie dette dall’una e dall’altra parte avrebbero trovato una spiegazione?
Oppure era meglio aspettare che fosse lui a cercarmi? Ma di solito non è chi ha torto a dover chiedere scusa? E chi dei due aveva più torto in quel gran casino?
Mi ero rialzata con queste domande a bersagliarmi la mente come le mie fide frecce.
Avevo strofinato la gonna fino a quando non si era ripulita e poi avevo gettato uno sguardo malinconico alla distesa di mare davanti a me, che stava iniziando a riflettere l’ombra del cielo, fattosi più scuro. In quel momento si erano accese le prime luci del porto, costringendomi a voltarmi per non essere accecata.
Di fronte a me c’era una sola strada e non solo perché Balamb era una città non troppo intricata.
La mia destinazione non poteva essere altro che una. E forse il viaggio mi avrebbe suggerito il da farsi.

***

Il tragitto che ricopriva la distanza tra la città di Balamb e il Garden non mi era mai sembrato così noioso.
Avevo messo i piedi l’uno davanti all’altro con lentezza esasperante, mentre la mia mente era solo capace di ritornare al litigio fra me e Seifer, come una molla tesa per troppo tempo che premeva solo di tornare al punto di partenza.
Fortunatamente lungo la mia strada avevo incontrato solo un miserabile Geezard, dato che ero così concentrata sul peso che sentivo sul petto da non rendermi assolutamente conto della realtà che mi circondava.
Avevo abbattuto il mostro con una freccia, scavalcandone il corpo senza curarmi della punta del mio stivale che sfiorava uno dei suoi arti appuntiti e artigliati.
Avevo fatto passare l’arco nell’altra mano per rimettermelo in spalla, quando la corda era scivolata dalla mia presa e aveva inciso un solco deciso e netto sul palmo della mano sinistra. La stessa che aveva lasciato un’impronta rossa sul viso di mio fratello.
Quello era stato il gesto più sbagliato ma al tempo stesso più giusto che avessi compiuto, perché era proprio ciò che mi sarei aspettata di fare, purtroppo. Quando mi scaldavo, anche se era difficile, potevo diventare abbastanza violenta e quella era stata la prova.
Ma come avevo potuto alzare le mani contro mio fratello, quando mai, nemmeno quando ero piccola, lui si era azzardato a tirarmi anche un solo capello o darmi un ridicolo pizzicotto?
Mi ero accorta delle lacrime che mi solcavano il viso solo quando ero arrivata all'ingresso del Garden e mi ero chinata per riallacciarmi uno stivale. Una goccia salata si era infranta sulla punta lucida della scarpa e io l'avevo fissata con stupore, mentre mi passavo le dita sulle guance e trovavo altre tracce della mia debolezza.
-Maledizione- avevo borbottato, fregandomi il viso e sperando di non avere gli occhi rossi.
Nel momento stesso l’immagine della sorpresa e del risentimento sul volto di Seifer appena dopo il mio schiaffo mi era apparsa in mente come un flash. Avevo stretto forte il pugno, mordendomi le labbra per non sentire il dolore delle mie unghie che incontravano quell’incisione scura e profonda e mi ero sforzata di vedere solo ciò che la mia lucidità mi avrebbe fatto vedere...se l’avessi ritrovata, beninteso.
Non mi era nemmeno passato per l’anticamera del cervello il dubbio che spesso assale due persone che hanno litigato con forza e che si sono ritrovate pentite di aver usato le parole come frecce sadiche e penetranti.
Seifer sarebbe stato disponibile per un chiarimento. O no? Non potevo saperlo, perché non avevamo mai litigato. Così come non potevo giurare il contrario.
Il contrario.
Quando avevo intercettato Raijin che mi cercava in giardino, avevo battuto forte le palpebre e l’avevo osservato farmi un cenno con un grido sollevato. Al Garden era ora di cena ed ero sicura che per aspettarmi stesse correndo il rischio di dover mangiare solo insalata. Che razza di scimmione ingordo. Perché mi aveva aspettato, poi?
-Ah, Atra!- aveva esclamato quando l’avevo raggiunto, l’arco ancora in pugno che dondolava contro la mia gamba sinistra. Avevo sollevato le sopracciglia:
-Beh? Cosa ci fai qui? - gli avevo chiesto con noncuranza - Vattene a mangiare, io stasera non ceno-.
Come potevo aver fame? Per la prima volta non sapevo come comportarmi con mio fratello e la consapevolezza di averlo lasciato solo a sentirsi un fallito perché non aveva passato l’esame mi stava facendo impazzire.
Così avevo fatto un cenno con il mento per salutare Raijin, dopo essermi messa in spalla l'arco, e l’avevo superato. Le sue dita si erano chiuse attorno al mio polso per fermarmi e costringermi a voltarmi:
-Dove diavolo vuoi andare, allora?-.
Avevo fissato la sua mano enorme stritolare il mio polso gracile e avevo incontrato i suoi occhi neri, lanciandogli uno sguardo assassino per intimargli di lasciarmi. Lui aveva obbedito, ritraendosi con uno scatto, come se si fosse scottato. Solo dopo che lui aveva messo il solito metro di distanza fra noi due gli avevo risposto:
-Non ne ho idea, ma non credo di doverti fare un rapporto su quello che faccio- avevo sospirato irritata. Raijin aveva sbuffato, prima di sbottare con forza:
-Non me ne frega niente di dove te ne vai tu - a queste parole avevo spalancato gli occhi: era la prima volta che Raijin mi rispondeva a tono - Ma sta’ alla larga da Seifer-.
Un passo e mi ero ritrovata proprio sotto il suo mento: Raijin era molto più alto di me, ma non che per questo mi incutesse timore. Stava toccando un tasto molto sbagliato e gli conveniva darci subito un taglio:
-Non prendo ordini da te, cagnolino- avevo sibilato, mentre sentivo la mano destra pizzicarmi per la voglia di levare quell’espressione aggressiva dalla faccia di quel demente.
Raijin aveva piegato verso il basso gli angoli della bocca, mentre i suoi pugni si erano stretti come se si preparasse a colpire. E io avevo sperato che alzasse le mani su di me, giusto per poter vedere la faccia di Seifer.
Se Seifer avesse voluto vedermi, beninteso.
-E se fosse un ordine del leader per la sua sorellina?- mi aveva canzonato con un sorriso beffardo.
Mi ero afferrata entrambe le mani e le avevo allacciate dietro la schiena da tanto bruciavo dalla voglia di graffiarlo a morte. Mi ero fermata solo per non peggiorare la situazione, seppur con grandissima forza di volontà.
-Raijin, dacci un taglio- avevo ringhiato, perdendo tutta la voglia di parlare con quel pezzo d’idiota. Il suo sorriso era scomparso e sul suo volto si era dipinta una smorfia grave:
-E’ la verità, maledizione. Seifer non vuole vederti, hai capito?- aveva detto, scrutando ogni reazione sul mio viso. Avevo scosso la testa con violenza:
-Non è da Seifer, trovati una scusa migliore- avevo detto con noncuranza, prima di piantarlo in asso e iniziare a salire le scale.
-Atra fermati, porca miseria!- aveva gridato lui, tentando di afferrarmi ancora per il braccio. Il mio spintone era arrivato prima di lui e per poco Raijin non era inciampato, cadendo dal primo gradino.
-BASTA!- aveva esclamato Fujin, giungendo da sopra le scale e fulminandomi con lo sguardo.
-Maledizione, ce ne hai messo di tempo!- si era lamentato Raijin.
Io contro gli scagnozzi di Seifer? Non sarebbero durati un minuto.
Rettifico: io incazzata nera contro gli scagnozzi di Seifer? Li avrei disintegrati.
-Piantatela di farmi perdere tempo e non costringetemi a riempirvi di botte- li avevo minacciati, tenendo d’occhio entrambi.
-Fu’, questa qua è più testona di suo fratello e non mi crede!- aveva continuato a lagnarsi Raijin, cominciando a salire le scale.
-Perché diavolo non volete farmi vedere Seifer, idioti? - ero scoppiata, scostandomi con rabbia i capelli dal volto - Quello che ci diciamo non sono affari vostri!-.
Fujin aveva battuto un piede a terra, impaziente:
-NEGATIVO!-.
-Non quando Seifer ci chiede di non farvi incontrare- era intervenuto a rincarare la dose Raijin.
-E perché mai non dovrebbe voler chiarire, eh?- avevo ringhiato, mentre il dubbio estraneo che mi aveva sfiorato prima all’entrata del Garden tornava a farmi visita, diventando l’unico tarlo della mia mente.
-ODIO!- aveva detto noncurante Fujin...manco fosse la cosa più ovvia del mondo!
-CHE COSA HAI DETTO?- ero esplosa, cominciando a salire le scale con la chiara intenzione di far rimangiare quella parola indecente a una Fujin ora terrorizzata.
Le braccia di Raijin mi avevano cinto la vita, con mia grande sorpresa. Maledizione, era troppo forte per me.
-No! - aveva urlato molto vicino al mio orecchio - Fu’ si è sbagliata, Atra-.
Avevo continuato a divincolarmi dalla sua presa, prima di arrendermi e fermarmi, puntando i piedi a terra. Avevo sentito due lacrime di rabbia scivolare dagli angoli dei miei occhi alle guance, ma non avevo la possibilità di asciugarle e quella cosa mi faceva imbestialire ancora di più.
-Seifer non ti odia, Atra - aveva continuato con più calma Raijin, mentre mi lasciava andare - Ma credimi, è ancora molto arrabbiato. Potrebbe volerci del tempo prima che gli passi-.
Il mio respiro si era spezzato mentre cercavo di trarlo e sia Fujin sia Raijin erano rimasti a guardarmi mentre mi concentravo per ricordarmi come si incamerava ossigeno.
Alla fine mi ero passata una mano sul viso e li avevo guardati, sentendomi sempre più vuota e rassegnata:
-Va bene, adesso toglietevi dai piedi-.
Avevo osservato i due andarsene imbronciati, lasciandomi da sola, in piedi sugli scalini del Garden.
In fondo, me lo meritavo. Questa volta avevo esagerato e sicuramente Seifer aveva voluto farmela pagare.
Un singhiozzo mi aveva bloccato la gola, ma non mi ero permessa di piangere.
Perlomeno, non davanti a tutti.


Ho chiamato questa parte "Purgatorio" perché Atra sembra proprio farsi un esame di coscienza, chiedendosi dove ha sbagliato e come poter rimediare.
Ma a volte la realtà non è sempre come vorremmo fosse...perciò Atra deve rassegnarsi a tormentarsi ancora fino al giorno dopo.
A proposito: cosa dite della decisione di Seifer di non voler vedere la sorella? Sarà un semplice gesto ai limiti dell'infantilità o ci sarà sotto qualcos'altro?
Tutte le risposte sono, ovviamente, nella terza (e ultima) parte di questo lunghissimo ricordo, che spero vi stia piacendo!
Ah, vi sfido a indovinare il titolo della terza parte! Modalità: difficile (hehehe)!
   
 
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