Fanfic su artisti musicali > Michael Jackson
Segui la storia  |       
Autore: FairLady    08/08/2015    2 recensioni
Due occhi scuri, lo specchio di un'anima profondamente ferita.
Un nome sussurrato dal vento che arrivi a lenire un dolore ormai senza tempo.
Due cuori affini che si fondono in un unico corpo immortale, quello dell'amore.
Prima storia in questo fandom. Please, be kind.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Michael Jackson
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A


 
Le gambe ancora le tremavano, ed erano già passati due giorni dalla meravigliosa, brevissima telefonata di Michael. Quelle quarantotto ore le aveva trascorse in febbricitante attesa, tra crisi di panico per la preparazione della valigia e ansiose raccomandazioni da parte di sua madre, che al telefono non smetteva di impartire veloci lezioni sullo stare al mondo e sugli estranei per strada. Aura, invece, non riusciva a pensare che a una cosa sola: Michael. Lo avrebbe rivisto dopo parecchio tempo, lo avrebbe riabbracciato. Avrebbe ancora avuto per sé quel suo profumo di buono e di innocenza e, cosa più importante, avrebbe finalmente potuto dirgli quel ti amo, che nel cuore pesava ormai come un macigno, guardando dritto nei suoi occhi scuri.
«Quindi mi abbandoni per una settimana?», Tanisha aveva fatto un salto a casa di Aura per salutare l’amica prima della partenza. Ormai sapeva tutto su come aveva conosciuto Michael e sui sentimenti che la legavano a lui – certo, non conosceva la sua vera identità, ma quello era un piccolissimo dettaglio.
Molto PICCOLO.
La bionda, però, continuava imperterrita a snocciolare domandine infime qua e la, perché la curiosità di conoscerlo per lei andava oltre ogni ragione umana.
«Beh, amica mia, quando l’amore chiama tocca rispondere!», l’imbeccò Aura, sorridendole sorniona.
«Sì, ma conviene che mi lasci un recapito o il nome dell’albergo dove alloggerai, caso mai dovesse succedere qualcosa.»
«Tany, starò via solo qualche giorno, e comunque sarò al sicuro, te lo prometto!», la redarguì dolcemente, convinta che la sua amica stesse semplicemente cercando un qualsiasi pretesto per arraffare quante più informazioni possibili su Mister Sorriso. «Ti chiamo appena arrivo, stai tranquilla.»
Un’ora più tardi le due ragazze si stavano salutando all’ingresso dell’aeroporto e, poco dopo, Aura scomparve al di là delle porte scorrevoli.
Più tardi, sull’aereo, avrebbe voluto dormire un po’, ma era così elettrizzata all’idea di ciò che sarebbe successo – all’idea di stare per raggiungere Michael – che gli occhi non volevano saperne di chiudersi, o quando lo facevano era solo per sognare.
«Come si chiama il suo ragazzo?», Aura si volse in direzione della voce. Era la sua vicina di posto, un’anziana signora dal visetto vispo e gli occhi di un incantevole verde brillante, con qualche pagliuzza dorata. La guardava e sorrideva. «Si capisce dal tuo sguardo, stai raggiungendo il tuo amore, vero?»
Il viso di Aura si illuminò all’istante, ebbra di gioia, felice che alla signora fosse bastata un’occhiata per indovinare quello che aveva nel cuore. Era felice di sapere che l’amore che provava ce l’avesse scritto addosso.
«Sì, signora, è esatto. Sto raggiungendo il mio ragazzo che sta lavorando a Londra», le rispose ricambiando il sorriso e accarezzandole delicatamente la mano, leggermente consumata dal tempo, che la donna le aveva posato sul braccio. «Si chiama Michael…», dopotutto, pensò, era un’estranea a cui non avrebbe dovuto svelare troppi dettagli e di “Michael” era pieno il mondo.
«Che bel nome! E tu, come ti chiami?»
«Auralee, signora, piacere di conoscerla.»
«Il piacere è mio piccola, chiamami pure Maggie.»
Le due donne parlarono praticamente per tutto il viaggio, e si scambiarono confidenze che probabilmente nessun altro avrebbe mai saputo. Margaret raccontò ad Aura del suo grande amore, mancato qualche anno prima, e di come distanze e differenze spesso uniscano piuttosto che dividere. Dal canto suo, la ragazza si aprì con la signora riguardo le sue ansie e le sue paure; le parlò delle sue insicurezze e di quanto temeva di essere inadeguata per l’uomo che amava.
Arrivarono a Londra senza nemmeno accorgersi di essere partite – e dire che erano pure in ritardo; entrambe avevano guadagnato un’amica, Aura molto di più: la consapevolezza che forse non sarebbe dovuto andare sempre tutto storto. La speranza concreta che anche per lei avrebbe potuto esserci il tanto agognato happy ending.
 
***
 
Guardare la folla e non riuscire a distinguere il volto delle persone, vederne sempre e solo uno, è un chiaro sintomo di essere vicini alla pazzia. Così si sentiva Michael. Aveva un bisogno incontrollato di vederla.
Quella sera, Aura sarebbe arrivata dagli Stati Uniti, probabilmente era appena atterrata anche se lui non sapeva perfettamente che ore fossero – dall’inizio dello spettacolo, aveva perso il senso del tempo, come accadeva sempre. Miko era partito già da un po’, diretto all’aeroporto, e con tutta probabilità sarebbero arrivati a concerto già finito.
Non appena gli ultimi riflettori si spensero la prima cosa che fece fu correre oltre il backstage fino ai camerini, nella speranza di vederla sostare lì, di fronte alla sua porta e poterla stringere: non c’era nessuno. Solo addetti ai lavori, staff e altra gente che in quel momento avrebbe voluto vedere sparire.
Forse hanno avuto un imprevisto, sicuramente il volo avrà tardato.
Cercò di calmare la smania che sentiva, di darsi una controllata. Sembrava un pazzo.
In quel momento John lo avvicinò e gli sorrise.
«Anche stasera sei stato grandioso! Non ho altre parole per descrivere cosa sei riuscito a fare Michael! Forza, sarai stanco… andiamo in albergo.»
«Sì, andiamo John – perché non gli stava dicendo di Aura e del fatto che sarebbe arrivata da un momento all’altro? – Per caso Miko ti ha telefonato?» gli chiese, già sicuro della risposta. La sua guardia del corpo non avrebbe mai telefonato a John, lui lo mal sopportava.
«No, a proposito, ma dov’è?»
Michael non seppe cosa rispondere, non era affatto abituato a mentire, ma sapeva quanto il suo manager fosse contrario alla presenza di Aura in tour e, soprattutto, John odiava che si agisse alle sue spalle – com’era normale che fosse. Ma cosa poteva farci lui se davvero sentiva dentro di non essere in grado di farcela senza di lei?
«Non so onestamente, per questo ti ho chiesto se sapessi qualcosa», gli rispose poi, con tono ovvio, più prontamente di quanto si aspettasse. «Va beh, andiamo… si sta facendo tardi», aggiunse poi, impossibilitato ad aspettare oltre. Stava impazzendo!
 
Fece le scale due a due, perché l’ascensore era troppo lento e il suo desiderio non aveva tempo da perdere, aveva bisogno di essere realizzato. Sentiva i battiti accelerare, ed era un crescendo, fino a sentire i muscoli intorpiditi, ma non era certo stanchezza, era voglia di ricominciare a vivere – di smettere di sopravvivere. Non era nemmeno sicuro che lei fosse lì, ma ormai era l’unico luogo che gli fosse rimasto, l’unica speranza. John per fortuna si era fermato al bar dell’albergo e lui, insieme a Susie e a un altro paio di persone si era incamminato verso la stanza. Gli altri si erano persi lungo le rampe di scale. Lui era già su.
Percorse l’ultimo tratto di corridoio con il cuore in gola, il passo felpato dalla pregiata moquette. Inserì la chiave nella toppa e fece scattare la serratura. Mosse un passo all’interno, con la paura di scoprire che non era lì, che non era ancora arrivata. Non ce la faceva più, non si sentiva più padrone del suo corpo e delle sue emozioni. Non si riconosceva, eppure si sentiva perfettamente se stesso.
Quando ormai fu nella stanza si volse verso la finestra e lì, in piedi davanti al vetro sul quale la sua figura si rifletteva, c’era lei. Attraverso quel riflesso poteva già morire in quel suo sguardo verde come il mare… Dio, era sempre stata così bella?
«Aura!», non ebbe forza di dire altro, l’ultimo briciolo di se stesso si era fiondato verso di lei e la stava stringendo come se da ciò ne dipendesse la sua salvezza, la sua intera vita.
«Michael...»
Ma forse non c’era nemmeno bisogno di parlare, avrebbero avuto tempo più tardi. In quel momento, l’importante era esserci, stretti nell’abbraccio dell’altro.
Si erano mancati troppo per sporcare quel momento con parole senza senso, quando i loro respiri erano già così chiari e inequivocabili.
 

 
It’s you that makes me happy
Whatever happens don’t you let go of my hand
 
 
   
 
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su artisti musicali > Michael Jackson / Vai alla pagina dell'autore: FairLady