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Autore: Touch the sound    08/08/2015    1 recensioni
Dei lunghi capelli neri su quella pelle così pallida, i suoi occhi erano chiari e belli. Gli occhi azzurri gli erano sempre piaciuti.
[Chris-Ricky]
Genere: Angst, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 13- Love will kill us all
Quella stessa sera Chris rientrò in casa e si diresse verso il bagno dove però trovò Jane con addosso solo della biancheria intima molto sexy. Stava fumando seduta sul bordo della vasca. Aveva una gamba accavallata sull'altra, i capelli le scendevano sulle spalle e sulla schiena in grandi onde, indossava delle scarpe nere con un tacco vertiginoso ma non al punto di diventare volgare, una sottile collana di perle le ciondolava dal collo e i suoi occhi risplendevano grazie al trucco.
«Adrian ha bisogno di qualche minuto» disse passandogli la sigaretta che lui prese senza farselo ripetere. Tenendola stretta fra le labbra si tolse i pantaloni rimanendo solo in boxer.
«In che senso?» le chiese infastidito. Quell'Adrian era un uomo di quasi sessant'anni che ormai aveva una relazione con la ragazza. Lo mandava fuori di testa, non riusciva a capire perchè mai una splendida ragazza come Jane dovesse buttare gli anni più belli della sua vita per un vecchio a cui piaceva solo portarsela a letto e alle feste di prestigio.   
«Non lo so, mi fa aspettare sempre fuori e quando mi chiama lo trovo già completamente nudo e... pronto» disse riprendendosi la sigaretta.
«Pillola blu?» ipotizzò Chris togliendosi anche quell'ultimo indumento che lo copriva. Le pupille di Jane si dilatarono a quella visione. 
«Credo di sì» disse distrattamente. Era concentrata a guardarlo mentre metteva in ordine i vestiti sporchi. Tutto nudo.
«Ma non c'è proprio speranza che l'animale rientri in gabbia?» gli chiese poi alludendo ovviamente all'unione dei loro genitali. Chris scosse la tesa.
«Christopher, che ti prende?» gli domandò ancora accorgendosi del suo silenzio. Aveva il viso triste, serio, non aveva sorriso nemmeno mezza volta. Chris si bloccò di fronte a lei, immobile. La fissò con gli occhi più spenti che avesse mai avuto.
«Mi prende che stasera mi sono venute due erezioni una peggio dell'altra, e fidati l'animale vorrebbe tornare in gabbia, ma non lo farà e sai perchè? Perchè la vocina cogliona che c'è nella mia testa mi dice che non posso farlo entrare in nessuna gabbia se non in quella...»
Se avesse potuto si sarebbe strappato la lingua per ciò che stava per dire.
«Può entrare solo nella gabbia di Ricky?»
Chris sospirò arrabbiato. Respingeva il motivo di quella rabbia, ma era consapevole di quello che gli stava succedendo.
«Christopher, ti sei innamorato?» gli chiese Jane gettando la sigaretta nel water. Quell'argomento le interessava più di una sigaretta a cui restava mezzo centimetro di tabacco. 
Chris si sentì nudo nell'animo e non riuscì a risponderle nonostante avesse bene in mente quale fosse la risposta. Guardò Jane per un lunghissimo minuto. Lei fece lo stesso cercando di scavare dentro di lui il più possibile. Sembrava angosciato per qualcosa, turbato. I suoi occhi e il suo viso erano una miscela di emozioni troppo forti per essere ignorate.
«Chris, parlami, che cosa è successo?»
Il ragazzo spostò lo sguardo, giusto il tempo di decidere cosa fare, poi andò a sedersi accanto a lei. 
«Sua madre sa tutto, di noi due, di me, sa tutto... tutto»
«Di te?»
Chris annuì e le raccontò in breve cosa era successo poco prima a casa di Ricky. Lei lo ascoltò con attenzione, ma nonostante ciò non seppe cosa dirgli. Restarono in un silenzio tombale per qualche secondo, poi Chris prese un grande respiro.
«Non posso permettermelo» disse poi liberandosi i polmoni rumorosamente. Jane lo guardò interrogativa.
«Ricky... non posso permettermelo» sospirò ancora. Si stava facendo del male dicendo quelle parole, ma era quella la pura verità.
«Christopher, parli sul serio? Vuoi lasciar perdere tutto?»
Il ragazzo annuì senza guardarla. Provava un certo senso di vergogna che prima d'ora non aveva mai sentito. Forse perchè era la prima volta che si paragonava a qualcuno seriamente migliore di lui. La sua mente tornò a quando frequentava ancora la scuola. Parecchie volte si era trovato in situazioni scomode, ma col passare del tempo si era reso conto che quelle persone che lo insultavano non erano certo migliori di lui. Ma Ricky era migliore in tutto e sua madre aveva ragione: Richard Olson meritava molto più di un poveraccio di nome Christopher Cerulli.
«Wow... te lo lasci scappare così e la dai vinta a sua madre?»
Chris deglutì pesantemente, gli occhi gli si inumidirono e il respiro decise di non seguire più un ritmo costante. Non voleva piangere, non davanti a Jane.
«Chris, non farlo» lo pregò la ragazza.
«E che dovrei fare? Io non posso offrirgli niente, in una vita intera non riuscirei a dargli nemmeno la metà di quello che ha avuto lui negli ultimi sedici anni, quindi è meglio fermarsi ora»
Jane lo guardò con uno sguardo desolato, triste.
«E come avresti intenzione di dirglielo?»
Il ragazzo sospirò riflettendo a lungo.
«Non lo so, probabilmente gli dirò che l'ho preso in giro o che in realtà a me piace qualcun altro, mi dirà che sono uno stronzo, piangerà, mi darà un paio di schiaffi, mi odierà, ci starà male, ma fra qualche mese mi avrà dimenticato e si sarà messo col suo amico... come diavolo si chiamava? Angelo?»
«Ti ha fatto conoscere i suoi amici? E comunque non puoi fargli questo, ci starete troppo male entrambi»
Chris si alzò incapace di restarsene seduto un altro secondo. Aveva i nervi testi e al solo pensiero di lasciare Ricky gli venivano delle fitte dolorose allo stomaco.
«Ne ho conosciuti due, Ryan era simpatico, ma l'altro... bho, mi stava già sul cazzo, mi guardava troppo e credo che abbia detto qualcosa a Ricky che l'ha fatto arrabbiare» 
Jane sorrise dolcemente mordendosi il labbro inferiore.
«Ma lo vedi che lo ami? Ti fa incazzare che qualcuno l'abbia fatto arrabbiare... come puoi pensare di lasciarlo?»
«Io non lo amo... io... » sussurrò Chris senza sapere come uscirsene da quel groviglio di pensieri.
«Sai anche tu che è così» disse Jane puntandogli il dito contro. Un istante dopo, la voce rauca di Adrian chiamò il suo nome e lei scattò in piedi.
«Ora devo andare, ma sappi che non finisce qui»
Chris annuì distrattamente e la lasciò andare. Rimase fermo per qualche secondo a riflettere su cosa fare, ma poi decise di liberarsi di quei pensieri per un pò e si mise finalmente sotto il getto d'acqua calda che gli lavò via ogni tensione. Si trattenne a lungo, ma dopo mezz'ora ne ebbe abbastanza anche di quello, allora si decise ad uscire dalla doccia. Si infilò un paio di boxer puliti, ormai un lato del mobiletto in bagno era suo, anche se a lui non serviva poi così tanto spazio. C'erano i suoi boxer, della schiuma da barba, il suo gel per capelli e i suoi trucchi. 
Si struccò velocemente e subito dopo si accorse di non essersi procurato dei vestiti prima di lavarsi. Sbuffò pesantemente e decise che avrebbe dato un'occhiata nell'asciugatrice. Ci trovò solo una felpa completamente nera con cappuccio. La strinse fre le mani e l'annusò. Profumava di fresco e pulito, non come prima che era impregnata dell'odore di casa sua. Provava dei sentimenti contrastanti, delle emozioni forti ogni volta che prendeva in mano quella felpa che era appartenuta a suo fratello per mesi prima che morisse. I ricordi erano nitidi, gli si palesavano davanti agli occhi come se fosse ritornato al passato. Non aveva idea di quante volte gli aveva fatto indossare quella felpa, ma ricordava quando lo faceva e ricordava la felicità sul viso di Jonathan ogni singola volta. Quella felpa gli piaceva tanto e proprio per questo motivo Chris aveva deciso, prima di lasciare casa sua definitivamente, di portarsela via, come ricordo permanente della sua famiglia, della persona che l'aveva indossata per tanto tempo. 
La indossò e si sentì di nuovo a casa. I rimorsi e il dolore lo divoravano. 
Strinse gli occhi così forte da farsi male, non voleva piangere, sarebbe stato inutile. Sospirò e si tirò su il cappuccio andando silenziosamente in cucina. Sentiva Jane e Adrian spassarsela e gli venne da ridere. La ragazza gli aveva raccontato delle sue esperienze sessuali con Adrian e, stando ai suoi racconti, ogni orgasmo era puramente e perfettamente recitato. Lei diceva che non era poi così male, ma non riusciva proprio a farla venire. Aveva anche ipotizzato che probabilmente Adrian era leggermente egoista a letto.
Aprì il frigorifero e, felice di averlo trovato, afferrò il suo succo di frutta preferito portandoselo nel piccolo salone. Si sdraiò sul divano e accese la tv, ma tenne il volume basso e non prestò molta attenzione al programma che mandavano in onda. Bevve un pò di succo, poi cercò di addormentarsi, ma dopo vari tentativi falliti decise di alzarsi e prendere una boccata d'aria. Visto che indossava solo un paio di boxer e quella felpa, aprì solo la finestra. Respirò piano l'aria fresca e poi si guardò intorno. Quando riuscì a trovare una sigaretta, se l'accese e la fumò nel silenzio totale, seduto sul davanzale. Durante quei pochi minuti cercò di rimettere in ordine i suoi pensieri, ma si procurò solo un forte mal di testa e un senso di stanchezza. Era da parecchio tempo che si sentiva come strappato dal suo mondo, da quel mondo che in realtà odiava ma che era comunque il posto in cui era cresciuto. E in quel momento gli ritornarono in mente i suoi vecchi amici, quelli che non vedeva più da mesi, forse un anno. Un pò gli mancava quella vita che, grazie alla loro presenza, diventava leggera e spensierata. Gli era venuta una voglia matta di rivederli, di sentire di nuovo quella leggerezza che sentiva prima, prima di subire quella metamorfosi. Odiava dover fare l'uomo a diciannove anni. Voleva essere ancora un ragazzino stupido, con le tette come unica passione e come problema i troppi brufoli. Invece no, ancora prima di compiere quei maledettissimi diciannove anni si era messo in cerca di un lavoro, e non perchè volesse avere una sua indipendeza, ma perchè altrimenti la sua famiglia sarebbe finita sotto un ponte e sarebbero tutti morti di fame. E aveva sacrificato i migliori anni della sua vita per cosa? Per finire senza i suoi fratelli, senza i suoi amici, e probabilmente senza la persona che amava.
Sbuffò pesantemete, indignato da tutto. E cominciò ad innervosirsi e arrabbiarsi. Che diavolo doveva fare con la sua famiglia? E con Ricky? 
Si allontanò dalla finestra e girovagò per il salone a lungo. Non riusciva a togliersi dalla testa la conversazione avuta con la madre di Ricky. Quella donna, con quelle poche parole, gli aveva aperto un mondo. In quel momento si era dimostrato forte, non poteva abbassare la guardia, ma probabilmente non era davvero alla loro altezza. Forse avrebbe dovuto dimenticarsi di lui per il bene di tutti. Eppure non voleva, non aveva voglia di smettere di vederlo. Perchè avrebbe dovuto? Stavano così bene insieme.
Si passò una mano fra i capelli, poi andò nel corridoio, si avvicinò alla piccola libreria in legno dove c'erano diversi DVD. Cercò qualche film da vedere per ammazzare il tempo, ma ad un certo punto i suoi occhi caddero sul suo raccoglitore, quello che conteneva tutti i suoi disegni. Così, lasciò perdere l'idea di vedere un film e ritornò in cucina col racoglietore. Lo aprì e guardò tutti i suoi disegni, uno dopo l'altro assorbendo tutte le diverse emozioni che quei tratti a matita gli trasmettevano. Si ritrovò a sorridere. Immergersi di nuovo nella sua prima e vera passione gli fece battere forte il cuore, e la voglia di ritornare alla "vecchia vita" gli si palesò con prepotenza. Ma ormai aveva smesso di sognare, non ce l'avrebbe mai fatta ad essere quello che voleva. Si maledì per non essere un approfittatore. Ricky, dopo la morte di Jonathan, gli aveva proposto di parlare con Mike per fargli riavere il lavoro dopo quelle lunghe settimane di completa assenza, ma Chris aveva rifiutato categoricamente. Era abituato a cavarsela da solo e così aveva fatto, nonostate quella decisione gli avesse mandato in frantumi il suo più grande sogno.
Lasciò cadere un foglio sul tavolo e si guardò le mani. Lavorare per Michael gliele aveva rese uno schifo totale. In così poco tempo le unghie gli si erano irrimediabilmente sporcate e non mancavano diversi tagli o anche lividi su dita e sui palmi. Se non fosse stato per la paga alquanto decorosa, non avrebbe mai più messo piede in un'officina. Stava ancora imparando ma, viste le sue necessità, si era dato una mossa e aveva appreso quanto più possibile in un tempo limitato.
Ritornò ai suoi disegni e sfogliando, pagina dopo pagina, si ritrovò davanti al disegno di Ricky incompleto. Ebbe un forte flashback: il volto di Ricky gli riapparve come se lo stesse guardando in quell'istante, come se ce l'avesse davanti agli occhi e fosse ritornato in quel preciso momento al parco; la luce dei lampioni, il vento fra i capelli e i rumori della città in sottofondo.
Sentì il bisogno impellente di portare a termine quel lavoro cominciato già troppo tempo fa. 
Si munì velocemente di tutto il materiale necessario e riprese a disegnare. Solo così riuscì a mettere a tacere tutti i pensieri e le mille preoccupazioni. Quando iniziò a disegnare si sentì un pò impacciato, come se fosse ancora alle prime armi, ma non ci volle molto per riprendere l'andatura e l'abilità di una volta.
Un'ora volò via veloce e, alla fine, gli sembrò impossibile che quel ritratto fosse finalmente finito. L'osservò con attenzione, ogni minimo dettaglio di quel viso angelico gli dava i brividi. 
Si ritrovò a sospirare socchiudendo gli occhi. Non poteva lasciarlo, non ce l'avrebbe mai fatta se solo un suo semplice disegno gli faceva quell'effetto.
Delle voci alle sue spalle lo distrassero, ma non si voltò minimamente. Non ci teneva a guardare Adrian che lasciava Jane con un bacio appena accennato dopo essersela scopata per un paio d'ore. Quando sentì la porta chiudersi, si voltò verso la ragazza che stava andando verso di lui. Era esattamente come prima, ma con i capelli più in disordine e il trucco leggermente sbavato.
«Pensavo ti fossi addormentato» disse lei aprendosi una lattina di birra presa dal frigorifero.
«Ho avuto da fare» disse lui mostrandole il ritratto con un sorriso fiero. La ragazza lo prese e rimase a bocca aperta. 
«È bellissimo, Chris» disse ritornando con lo sguardo su di lui. 
«Sul serio? Devo darlo a Ricky quindi deve essere perfetto»
La ragazza guardò ancora il foglio per un bel pò, poi lo ripose sul tavolo.
«Christopher, daglielo»
A Chris venne da ridere e Jane lo seguì subito dopo.
«Il disegno, coglione» esclamò dopo dandogli un buffetto sul braccio. Poi si fece seria.
«Ma anche qualcos'altro, così magari ti ralissi un pò» 
Chris fece finta di non aver sentito, anche se la ragazza tanto torto non aveva.
«Puoi cambiare le lenzuola? Voglio dormire» la pregò. Jane annuì e tornò nella camera da letto. Chris ne approfittò per mettere tutto in ordine, poi andò da Jane che aveva quasi finito. Si fermò sulla porta e si appoggiò allo stipite incrociando le braccia. La osservò bene con un sorriso poco innocente. La ragazza se ne accorse quasi subito.
«Che c'è?» gli chiese spostandosi i capelli in modo che cadessero tutti su un'unica spalla.
«Niente, pensavo che sei sexy»
Jane nascose il leggero imbarazzo dietro una risata. Le piaceva quando Chris, dal nulla, le faceva dei complimenti. Forse perchè lui era stato il primo ed unico ragazzo con cui si era aperta. Non era mai stata abituata a parlare della sua vita con nessuno, ma con Chris era diverso. Certo, ci aveva fatto sesso, ma questo non aveva mai impedito al loro rapporto di crescere e trasformarsi in amicizia. Da quando vivevano insieme, soprattutto, fra di loro si era instaurato un rapporto di complicità inaspettato. Entrambi si erano ricreduti su vari lati dei loro caratteri e la convivenza proseguiva nel migliore dei modi.
«Allora guardami bene perchè, quando lascerai questa casa, non ti capiterà più di vedere una donna che ti prepara il letto in reggiseno, mutandine e tacchi» 
Risero e poi Chris si mise a letto.
«Vado a fare una doccia e vengo anche io» disse la ragazza togliendosi le scarpe e lasciandole accanto all'armadio. Chris annuì e la guardò mentre lasciava la stanza. Si tolse la felpa e la piegò per bene, la poggiò sul comodino e si mise sotto le coperte. Sentiva il rumore dell'acqua provenire dal bagno e questo lo rilassò molto, tanto da farlo scivolare in un sonno profondo in pochi minuti.

Il mattino seguente si svegliò col suono della sveglia. La staccò subito per non svegiare Jane che dormiva beatamente accanto a lui, sdraiata su un lato. Quando si alzò la coprì bene e poi, come ogni mattina, andò in bagno, si lavò i denti e si sciacquò il viso, si diede una sistemata ai capelli, ritornò nella camera da letto, si vestì e poi fece colazione. Prima di uscire di casa per andare a lavoro, svegliò Jane che fece un pò di capricci, ma alla fine si alzò. Chris non andava mai via senza prenderla prima un pò in giro sui suoi capelli. Si svegliava sempre con dei capelli fin troppo gonfi e in disordine, ma le bastavano dieci minuti in bagno per riportarli al loro stato naturale.
Uscì di casa e si mise in cammino verso la fermata dell'autobus che, fortunatamente, lo portava dritto a destinazione. L'unica cosa brutta era dover passare fuori casa sua tutti i gironi e non poter entrare. Aveva sentito spesso le voci che provenivano dell'interno -soprattutto di sera- e sembravano felici anche senza di lui. Purtroppo doveva per forza passare di lì tutti i gironi, non c'era un'altra strada per arrivare a quella dannata fermata.
Arrivato all'officina Michael era già lì. Si salutarono e, come sempre, l'uomo gli diede la sua buona dose di compiti da svolgere. Ma era mercoledì, e di solito il mercoledì e il giovedì erano giorni più tranquilli. Passarono delle ore e quando arrivò l'ora di pranzo, Chris riuscì a fermarsi un attimo. Di solito mangiava insieme a Michael, ma quel giorno qualcosa andò storto. Mentre stavano per uscire, davanti agli occhi di Chris, in lontananza, comparve una figura fin troppo familiare.
«Cazzo» mormorò a denti stretti. 
«Che c'è?» gli chiese Michael accortosi di quella sua agitazione. Aveva imparato a conoscerlo. Era un ragazzo che si dedicava completamente a tutto quello che faceva, che non parlava molto ma sapeva essere parecchio espressivo.
«Niente» 
Quando si avvicinarono di più a quella figura, Chris non riuscì a fare finta di nulla.
«Che ci fai qui, Trevor?» gli chiese senza nemmeno fermarsi. Il ragazzo li seguì stando accanto a Chris.
«Visto che a casa non ci sei mai, sono venuto a cercarti»
«Non dovevi, i patti erano chiari, io ero stato chiaro»
Trevor sbuffò e Michael si sentì di troppo.
«Chris, oggi stai con lui, ci vediamo fra un'ora»
Chris avrebbe tanto voluto fermarlo, ma era il suo capo, ancora non si poteva permettere di parlargli in un certo modo nonostante il loro fosse un rapporto di quasi amicizia.
«Trevor, che diavolo vuoi?» gli chiese con un tono per niente gentile, quando Michael era ormai lontano da loro.
«Niente, cazzo, volevo solo vederti» 
Chris si sedette appena ne ebbe la possibilità. Gli era passata pure la fame.
«Allora? Come ti vanno le cose?» chiese Trevor dopo qualche istante di silenzio.
«Bene, ma vai al dunque, chiedimi quello che vuoi sapere davvero»
Trevor prese un grande respiro recuperando tutte le sue forze. Avva un groppo alla gola e lo stomaco in subuglio. Non capiva da cosa dipendesse davvero: dal nervosismo o dalla presenza di Chris?
«Te lo sei fatto?» gli chiese sgarbatamente, vomitando il disgusto e la gelosia senza vergognarsene minimamente.
«Non sono affari tuoi» 
Si guardarono negli occhi con aria di sfida, ma il primo a mollare fu proprio Trevor che si sentì ferito.
«Che cazzo, io e te eravamo migliori amici, perchè ti comporti così?» gli chiese arrabbiato. A Chris sfuggì un sorriso mentre i suoi occhi vagavano in giro. 
«Forse perchè tu sai solo parlare, dici una cosa che poi non hai il coraggio di dimostrare» disse con un tono inorridito, rabbioso, incredulo. Trevor, innervosito, si accese una sigaretta...


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Due mesi prima.
Il silenzio nella stanza era tombale, i loro respiri erano appena percettibili, i loro corpi erano fermi in quell'ultima posizione. Le mani di Trevor erano pesantemente appoggiate sul petto di Chris che aveva lo sguardo perso e un braccio che ciondolava dal letto suo cui era sdraiato . Non sentiva minimamente il peso di Trevor su di lui, era fin troppo assorto nei suoi pensieri. Avevano appena fatto sesso e l'unica cosa a cui riusciva a pensare era sua sorella chiusa in casa con sua madre e quello sconosciuto. Non poteva credere che Betsy l'avesse scelto a lui, che avesse deciso di stare in casa con una persona che non conosceva invece che restare al sicuro con suo fratello. Si era preso cura di lei da quando era nata, aveva provato in tutti i modi di non farle mai mancare nulla, le aveva voluto bene. Si era comportato come un padre e, perchè no, anche come una madre, ma lei aveva deciso di condannarlo per uno stupido errore. Non gli restava che sperare. Sapeva che sua sorella era una ragazzina intelligente e che magari, col tempo, avrebbe capito e sarebbe tornata da lui.
Trevor provò a chiamarlo più volte, ma solo alzando un pò la voce riuscì a richiamare la sua attenzione.
«Che c'è?» gli chiese Chris rivolgendogli uno sguardo distratto e stanco.
«Vuoi che ti accompagni?»
Chris ci mise un pò, ma poi capì. Si stava riferendo al fatto che presto sarebbe dovuto andare a casa sua a prendere le sue cose.
«Sì, forse è meglio»
Trevor annuì lentamente e si sdraiò accanto a lui. Cadde di nuovo il silenzio. I loro corpi nudi erano immobili, sembravano quasi non volersi muovere nemmeno per assecondare il normale movimento della respirazione.
«Ti amo» mormorò Trevor con un filo di voce. Aveva paura della reazione di Chris, ma sentiva di doverglielo dire, non poteva più portarselo dentro.
«Lo so» rispose l'altro alzandosi subito dopo. Si vestì prestando molta più attenzione ai suoi movimenti che alla rivelazione di Trevor. Infatti non era per niente sconvolto o stupito. Si era accorto già da parecchio di quella cosa.
«No-non dici niente?»
«Sì, che è meglio se andiamo ora a prendere le mie cose, Betsy a quest'ora non è mai a casa»
Trevor rimase immobile per un bel pò prima di sospirare pesantemente e rivestirsi. 

Ci avevano messo davvero poco a recuperare le cose di Chris, anche perchè lui stesso aveva deciso di non spendere nemmeno un minuto in più in quella casa. Era cambiata troppo in troppo poco tempo. Era passata solo una notte eppure si respirava già un'aria diversa e la tensione fra lui e sua madre si tagliava col coltello. Una volta fuori da quella casa che Chris non sentiva più essere la sua, si diressero di nuovo a casa di Trevor. Lasciarono tutto nel salone non preoccupandosi di posare i vestiti nell'armadio o i suoi trucchi in bagno.
Chris si sedette sul divano e prese il cellulare.
«Chi chiami?» gli chiese Trevor.
«Mike» rispose serio. Aveva il cuore che gli batteva fortissimo e un brutto peso sullo stomaco. Sapeva che probabilmente quella chiamata sarebbe finita male, ma doveva affrontare anche quella situazione.
Mike rispose dopo pochi squilli e Chris capì dal suo tono di voce che, ormai, per lui non c'era più posto. Era mancato per troppo tempo e, giustamente, Mike non se n'era stato ad aspettare lui. Chris lo ringraziò e lo salutò con gentilezza, ma riagganciò senza aspettare che l'altro rispondesse al saluto. A Trevor bastò solo guardare la sua espressione per capire che ormai il sogno di Chris era andato a puttane. Tentò di dirgli qualcosa, ma Chris lo zittì subito. Non aveva voglia di sentirsi dire nulla di rincuorante, sapeva che non avrebbe funzionato. 
Prese un grande respiro e lasciò cadere il cellulare sul divano. Si alzò prendendo l'altro per mano e si apprestò ad uscire di casa, ma Trevor lo fermò. Non potevano davvero camminare per strada mano nella mano. Certo, lo desiderava, ma non potevano.
«Chris, che vuoi fare?» gli chiese. L'altro lo guardò con uno sguardo assente, ma Trevor intravedeva un misto di emozioni spaventose. La tristezza, la malinconia, l'angoscia e lo sconforto incastrati in quegli occhi lasciarono Trevor senza parole.
«Mi hai detto che mi ami, no? Allora dimostramelo» rispose Chris.
«Ma... Chris, ti prego, non posso, non farmelo fare»
Chris sospirò. Aveva un'espressione sofferente.
«Voglio solo andare lì fuori con te» disse pacatamente.
«Perchè?» gli chiese Trevor sconcertato. Era davvero strano che volesse farlo.
«Non chiedermi perchè, se mi ami lo farai»
«È un ricatto, Chris?»
Il ragazzo fece spallucce con aria strafottente.
«Può essere, e sai cos'altro può essere? Può essere che se non esci in quella cazzo di strada, mantenendo la mia cazzo di mano, io e te abbiamo chiuso»
Trevor perse un battito. Perchè gli stava facendo tutto quello? Voleva vederlo soffrire?
«Se esco lì fuori, Chris, sarò un uomo morto, chiaro?» disse Trevor.
«Se non esci lì fuori, Trevor, sarai un vigliacco, chiaro?» rispose Chris a sua volta, scimmiottando la voce dell'altro. Trevor lo guardò intensamente e il suo cuore si spezzo, si ridusse in mille piccolissimi pezzi. 
Gli prese una mano e la strinse. In quel semplice tocco riuscì a sentire tutte le belle sensazioni che, inconsapevolmente, Chris gli aveva offerto. Era profondamente innamorato di lui, col tempo era diventato il centro di tutto e non avrebbe mai potuto immaginare una vita senza Chris al suo fianco. Ma non si sentiva pronto, aveva trobbi dubbi, troppa paura.
«Mi dispiace, Chris» disse Trevor lasciando a malincuore la sua mano. Chris sembrò davvero dispiaciuto e triste per quella decisione. In effetti lo era. Ricevere quella risposta, vedersi chiudere un'altra porta in faccia, sentirsi rifiutato da una persona tanto importante per lui, lo fece stare tanto male da non riuscire a trovare nemmeno una parola per poter descrivere il dolore e la frustrazione che provava in quel momento. Niente, non gli rimaneva più niente a cui aggrapparsi.
«Dispiace anche a me» disse a voce bassa, calma, quasi come se non volesse pronunciare quelle parole. E così andò via, lasciando Trevor solo sull'uscio della porta. Cosa gli sarebbe rimasto di lui? La sua voce spezzata, o i suoi sguardi sospesi, o le sue parole soffiate fuori dalla bocca e lasciate lì, in aria, fra i loro corpi freddi. Gli sarebbe piaciuto fare un'altra pazzia, scappare di nuovo, dimenticare il suo passato, ma non poteva. Aveva cominciato a pensare che non ne sarebbe mai stato capace, non era nella sua indole abbandonare tutto, strapparsi bruscamente dalle sue radici. 
Sapeva bene che si sarebbe dato solo qualche ora per assimilare il dolore, poi avrebbe ripreso le sue solite attività: svegliarsi presto al mattino e rendere la propria vita un agglomerato di impegni e caos.
Quella notte non dormì, girovagò per la città come un'anima in pena. Si fermò a chiacchierare distrattamente con dei ragazzi che, qualche anno prima, avrebbe definito amici. Si guardò intorno e pensò a tutte le cose che, con gli anni erano camiate: la pizzeria dove sua madre lo portava a pranzo e a cena quando suo padre decideva di svignarsela per un pò, era stata ristrutturata e adibita a ristorante, il negozio di dolciumi chiuso da anni che lasciava intendere quanto anche i bambini fossero ormai adulti già da piccoli, il vecchio calzolaio che gli aveva incollato mille volte la stessa suola della stessa scarpa per anni, la piccolissima libreria poco frequentata con l'insegna arruginita sul cancelletto color asfalto, polvere, gli alberi lungo i marciapiedi ridotti ad un appoggio per persone piegate in due dal dolore, gli occhi tristi dei più grandi e quelli ignari dei più piccoli; quella notte non sfuggì nulla al suo sguardo attento.
Seduto su un marciapiede scalfito dal tempo e dalla furia degli abitanti di quella brutta periferia, aspettò l'alba che si fece attendere più di quanto Chris si aspettasse. Non appena vide il sole comparire, però, pensò che infondo ne era valsa la pena. Il cielo era nuvoloso e grigio, ma il sole migliorò notevolmente la temperatura e anche il morale di Chris. 
Quando si alzò da quel marciapiede aveva gli arti inferiori doloranti e la schena gli scricchiolava come una vecchia porta dai cardini arruginiti. Non ci fece molto caso, la sua mente era altrove. Aveva provato in ogni modo a distrarsi e per ore ce l'aveva fatta, ma le palpebre pesanti e il sonno dietro l'angolo gli facevano tornare in mente solo un letto caldo e comodo dove sdraiarsi. Automaticamente pensava a casa sua e alla sua, ormai, vecchia famiglia, ripensava al letto di Trevor e a lui con malinconia, gli venne in mente Ricky e i suoi abbracci. Pochi ma buoni, pensava continuamente. 
Si rese conto che solo mentre pensava a lui riusciva a sentire il corpo più leggero e la mente più libera. Sorrise. Felice, ecco come si sentiva quando il pensiero di Ricky gli balzava nel cervello. Il cuore gli batteva, nè velocemente nè lentamente, gli batteva e riusciva a percepirlo. Sensazione più bella, forse, non l'aveva mai provata.
Iniziò a correre, più forte che poteva, mentre il sole batteva sul suo viso pallido, suoi vestiti neri e sulla strada impolverata davanti a lui. Gli brillarono gli occhi quando arrivò fuori l'enorme villa della famiglia Olson. Non sapeva bene perchè aveva corso tanto per arrivare lì e starsene fermo davanti al cancello senza fare nulla. 
Riprese fiato per qualche minuto, fermo ad un paio di metri dal citofono. Avrebbe tanto voluto suonare, ma non lo fece, rimase solo lì a guardare fra gli spessi ferri del cancello. Attendeva che il destino gli venisse in contro, sperando di non essere troppo in ritardo. Si sentì fortunato ed ebbe un'esplosione nel petto quando vide quel corpicino delicato che usciva dalla grande casa. 
Rimase immobile finchè non lo vide a meno di un metro da lui, fuori da quelle sbarre che sembravano racchiudere e risucchiare qualsiasi cosa ci fosse al loro interno.
«Chris» pronunciò il ragazzo con una voce sorpresa e stranita allo stesso tempo. Non capiva perchè mai fosse lì a quell'ora. Gli servirono pochi secondi per notare la stanchezza celata nei suoi occhi.
«Buongiorno, Ricky» rispose Chris con dolcezza. Quella volta, però, c'erano tracce di malinconia in quel tono tanto gentile. A Ricky sembrò ovvio che se si era presentato lì a quell'ora, allora voleva dirgli qualcosa di importante, o aveva bisogno di aiuto.
«Come stai?» gli chiese con premura.
«Non lo so» convenne Chris fissando gli occhi chiari e appena assonnati dell'altro ragazzo. Non ebbe subito una risposta, ma capì che era meglio così. Riprese a parlare.
«È stata una notte lunghissima, ho pensato tanto e allo stesso tempo ho cercato di fermare del tutto i miei pensieri, in ogni caso sono arrivato ad una soluzione, una sola cosa che può risolvere tutto»
Ricky lo guardò accigliato, ma incuriosito. Sperava solo che non avesse bevuto ancora.
«Quale sarebbe la soluzione?» gli chiese calmo.
«Non so se dirtelo, ti metterai a ridere» la voce di Chris rispecchiò appieno i suoi sentimenti: rabbia, paura, tristezza.
«No, Chris, non lo farò... ormai sei qui, dimmi, qual è la soluzione a tutto?»
Chris sospirò, arrancò un attimo in cerca di aria pulita e fresca, poi lo guardò ancora negli occhi avvicinandosi di un passo.
«Tu» rispose. Ricky assunse un'espressione incerta, insicura. Non capiva come potesse lui risolvere i suoi problemi.
«Ho solo bisogno di te, Ricky, io voglio starti accanto, sempre» continuò Chris avvicinandosi pericolosamente all'altro. Gli afferrò delicatamente il viso fra le mani. La voglia di baciarlo era tanta, ma si diede un freno e si limitò a bearsi nel profumo che il corpo di Ricky emanava.
«Non perderò tempo a fare un discorso lunghissimo, voglio solo dirti che stare con te mi rende felice, spensierato e sereno e... ti prego Ricky, dammi una possibilità»
Gli occhi di Ricky si riempirono di lacrime. Che Chris gli avesse detto quelle parole in quel momento così particolare e delicato della sua vita, l'aveva inevitabilmente emozionato.
«Davvero, Chris? S-sei sicuro? Non ci conosciamo nemmeno» gli chiese spostandogli le mani dal suo viso. Non si sentiva al sicuro lì, chiunque avrebbe potuto vederli: i suoi genitori, il giardinire che avrebbe cominciato la manutenzione del giardino di lì a poco, amici, vicini di casa curiosi.
Chris ebbe un attimo di esitazione quando Ricky fece quel gesto, ma lasciò perdere. Si era accorto di aver esagerato un pò. In realtà gli sarebbe piaciuto stare con lui anche in strada, nei negozi, in casa sua. Odiava i segreti, li aveva sempre odiati, e da qualche tempo aveva capito che odiava anche doversi nascondere. Perchè mai avrebbe dovuto eclissarsi dal mondo intero? Eppure per lui, per un sedicenne imbranato, per un ragazzo dagli occhi del colore del cielo, per una persona dolce, gentile e aggraziata, l'avrebbe fatto senza esitazione.
«Sì, lo so, ma possiamo conoscerci... se vuoi»
Quelle ultime parole, pronunciate con dolcezza, riuscirono a nascondere una supplica. Ricky non stette molto a pensarci, decise di seguire l'istinto. Annuì solamente e sul viso di Chris comparve un sorriso allegro che contagiò l'altro ragazzo. Entrambi pensarono che in quel momento, un bacio, avrebbe reso quell'atmosfera ancora più magica, ma Ricky indietreggiò un pò e cercò di rendere quel disocorso meno intimo.
«Sarebbe fantastico se tu ora andassi a dormire, Chris»
«Perchè? Si nota tanto che ho passato una notte insonne?»
Ricky sorrise per il tono stanco -anche un pò buffo- usato da Chris.
«Un pò» rispose.
«E io comunque devo andare a scuola» disse poi cominiando a camminare. Chris lo seguì.
« Ci vediamo stasera?» chiese d'un tratto.
«Certo» sussurrò Ricky. Chris allora lo salutò e andò via. Lungo la strada pensò a dove sarebbe potuto andare per riposare un pò. Gli venne in mente solo di correre nel letto di Jane.
Arrivato a qualche metro da casa sua, la vide uscire di casa di fretta e quando si ritrovarono faccia a faccia la ragazza rimase sorpresa.
«Che diavolo ci fai qui a quest'ora? Hai dormito, Christopher?» gli chiese velocemente. Lui, in tutta risposta, scosse la testa.
«Dammi le chiavi, ti spiego dopo» disse solamente e la ragazza non fece una piega. Jane salì in macchina e corse a scuola e lui entrò in casa richiudendo la porta. Si tolse i vestiti nel corridoio e li lasciò per terra. Alla camera da letto ci arrivò con addosso solo un paio di boxer spiegazzati . Si mise sotto le coperte e in un attimo i suoi occhi si chiusero, i muscoli si rilassarono e i suoi pensieri si placarono.

Al suo risveglio Jane era già in casa, poteva sentirla canticchiare in lontananza, probabilmente in cucina visto che c'era anche un buon profumo di cibo. Si alzò barcollando e arrivò in cucina. 
«Ma buonasera» esclamò Jane appena lo vide varcare la soglia. Lui alzò la mano in un buffo cenno di saluto.
«Trevor ha portato qui uno scatolo e un borsone, ha detto che sono tuoi... puoi spiegarmi?»
Chris si sedette al tavolo sospirando. 
«Niente, solo... Jonathan è morto, io mi sono ubriacato, mia mamma si è messa con uno di nome Hector che non so dove l'abbia conosciuto e mia sorella mi ha cacciato di casa»
La ragazza lo guardò con gli occhi spalancati.
«T-tuo fratello è... quando è successo, Chris? Non lo sapevo»
«Due giorni fa»
Jane si portò una mano sul petto e i suoi occhi si inumidirono. Non conosceva Jonathan, ma Chris le aveva sempre parlato di lui. Il ragazzo, notando quanto fosse turbata, preferì cambiare argomento. Le chiese se poteva restare lì almeno per un pò e la ragazza accettò subito. 

Quella stessa sera, appena dopo aver cenato, Chris sistemò le sue cose nell'armadio di Jane. Per Chris quello poteva assomigliare anche al paradiso, si sarebbe accontentato di lasciare quelle cose nei borsoni e di dormire nel salone. Jane però era stata chiara: non voleva troppo disordine e non avrebbe mai lasciato che, per quel tempo indefinito, lui si spezzasse la schiena su un divano. 
Quando tutte le sue cose erano al loro posto, chiamò Ricky per dirgli che stava andando da lui. Prima di uscire però, sul pavimento, proprio accanto alla porta, vide un biglietto da visita di un'officina. Lo raccolse ed ebbe un flash, si ricordò bene di Michael che gliel'aveva dato e gli aveva detto di chiamarlo per qualsiasi emergenza. Gli parve ancora strano che pur non conoscendolo era stato tanto gentile con lui.
In un primo momento pensò di gettarlo via, ma un'istante dopo ebbe un'idea. Forse Michael avrebbe potuto aiutarlo.


                                             --------------------------------------------------------



...  Chris rientrò in casa distrutto, ma felice. Si era già dimenticato della chiacchierata con Trevor. Avrebbe dovuto solo lavarsi e correre da Ricky per lasciarsi tutto alle spalle definitivamente. Gli mancava il suo sorriso, il suo profumo; aveva tanta voglia di abbracciarlo forte e baciarlo. Si mise sotto la doccia e in circa quindici minuti era già pronto.
«Vai da Ricky?» gli chiese Jane entrano nella camera da letto dove Chris si stava disegnando le sopracciglia.
«Sì» rispose sorridente.
«Quindi ti è passato il complesso d'inferiorità?» 
Chris ci pensò un pò prima di rispondere.
«Non darò importanza alle parole dei suoi genitori, ma spero che Ricky abbia capito cosa può aspettarsi da me»
«Ricky non è stupido, Christopher... forse un pò ingenuo, ma stupido no» riflettè la ragazza.
Poco dopo Chris era pronto.
«Jane, posso prendere la tua macchina?» gli chiese afferrando già le chiavi, sicuro che lei avrebbe detto sì.
«Certo, ma usa il preservativo e torna qui con tutti i finestrini aperti» scherzò lei. 
Cinque minuti dopo era quasi arrivato a casa di Ricky. In lontananza si poteva già vedere quella grossa villa dai toni chiari, il giardino era ben illuminato e curato nei minimi dettagli; si percepiva che la famiglia Olson ci teneva a fare bella figura ogni giorno della loro vita.
Arrivato fuori casa Ricky era già lì, davanti al cancello. A Chris parve davvero troppo strano, ma decise di non allarmarsi. 
Ricky non gli diede nemmeno il tempo di fermarsi che era già seduto accanto a lui. Chris osservò il suo viso: serio, freddo, forse un pò triste, malinconico.
«Buonasera» disse Ricky sottovoce.
«Buonasera? Davvero? Così?» gli chiese Chris incredulo. Di solito non gli parlava mai con una tale serietà da fargli raggelare il sangue, ma l'aveva fatto quella volta.
«Chris, dobbiamo parlare» disse Ricky. Gli riuscì molto difficile guardarlo negli occhi, infatti i loro sguardi riuscirono ad incrociarsi solo per qualche istante.
Chris sospirò sentendo già la paura crescere in lui. Sapeva già come sarebbe finita quella serata.
«Vuoi restare qui o possiamo andare a fare un giro?»
«Come vuoi» mormorò Ricky. Chris non ci pensò due volte prima di allontanarsi da quella casa. Nessuno avrebbe dovuto vedere o -in qualche modo- sentire quello che si sarebbero detti. Non avrebbe dato quella soddisfazione a chiunque fosse interessato a vederli separati.
Portò Ricky lontano da casa sua, lontano da tutto e tutti. Non voleva vedere nemmeno una faccia conosciuta mentre parlava con lui, voleva che fossero davvero soli cosicchè nulla potesse influenzare le parole di Ricky, modificare l'atmosfera che si sarebbe creata.
Restarono in macchina per mezz'ora senza guardarsi, senza dirsi nulla. In sottofondo si sentiva solamente il rumore delle altre macchine, delle ruote sull'asfalto, dei frequenti sospiri ansiosi di entrambi. Quando arrivarono, Ricky si concentrò sul luogo in cui si trovava: la macchina era ferma in un vialetto sterrato che conduceva ad una casa modesta, sembrava però vecchia e abbandonata; li avvolgeva un buio cupo e tenebroso e l'unico spiraglio di luce proveniva dalla luna che quella sera era piena. 
«D-dove siamo?» gli chiese Ricky.
«Quella era la casa dei miei nonni» sussurrò Chris.
«Perchè... perchè siamo venuti qui?» gli chiese Ricky imbarazzato. Nella sua voce si percepiva anche un senso di paura, come se stare solo con lui, in quella macchina e in un luogo buio e desolato l'avesse intimorito. Chris la trovò una cosa molto dolce, si sentì in dovere di rassicurarlo. Non voleva fargli del male, non ne avrebbe avuto il coraggio.
«Tranquillo, volevo restare solo con te, hai detto di dovermi parlare, no?»
Ricky annuì tentando di allontanare la paura. Osservò con attenzione il viso sereno ma attento dell'altro e si diede dello stupido. Chris non era una persona cattiva, non c'era ragione di allarmarsi.
«Allora?» chiese Chris inducendolo a parlare.
«I-io... Chris, io credo che...»
Chris l'osservò bene: i suoi occhi che brillavano alla luce della luna, la sua pelle bianca e l'ombra scura del suo corpo; non sapeva come avrebbe fatto a stare senza di lui. Perchè sì, immaginava già cosa sarebbe successo di lì a poco. 
Allungò una mano su quella di Ricky. Era fredda.
«Ricky...» 
«Okay... ehm... oh, smettila, non ci riesco se fai così» esclamò improvvisamente Ricky.
«Così, come?» chiese Chris e Ricky sospirò scuotendo la testa.
«Perchè sei sempre così apprensivo e dolce con me?»
«Di solito ti piace» commentò Chris. Lo stava quasi rimproverando. Ricky prese un grande respiro. Sentiva il cuore uscirgli dal petto e aveva i brividi tanto era testo.
«Lo so, ma adesso ho bisogno che tu... che tu stia fermo ad ascoltarmi»
Chris annuì, ma non avrebbe mai voluto lasciargli la mano, non avrebbe mai voluto che Ricky portasse a termine quel discorso.
«Non so come dirtelo... ehm, p-penso che sarebbe meglio se io e te... insomma, se... smettessimo di vederci» sussurrò appena le ultime parole. Non ebbe il coraggio di guardare Chris negli occhi. Ferirlo era la sua paura più grande in quel momento, ma sapeva che l'avrebbe fatto irrimediabilmente. Chris però rimase lì, immobile. Lo fissò per un tempo lunghissimo e gli sembrò di non provare nulla, nessuna emozione. Forse c'era già troppo vuoto dentro di lui per sentire anche quello che avrebbe lasciato Ricky andandosene.
«Mi dispiace» disse Ricky con le lacrime agli occhi e la voce spezzata. Si stava odiando. Chris non meritava di star male, soprattutto per una decisione presa da lui.
«Perchè, Ricky, perchè?» chiese Chris rompendo quel silenzio tagliente e doloroso che si era creato.
«Penso di essermi sbagliato...io ho... ho conosciuto una ragazza... scusami»
Per Chris quella notizia fu come un fulmine a ciel sereno. Ma qualche secondo dopo gli sembrò impossibile che fosse vero. Ricky non sapeva mentire.
«Sbagliato? Cioè tu vuoi farmi credere che non ti piacciono i maschi? Che improvvisamente hai incontrato questa ragazza che ti ha fatto capire che la nostra è stata solo una sbandata?» 
Ricky annuì a testa bassa. 
«Sai io cosa credo? Credo che tu abbia già capito cosa ti piace, ma sai bene che c'è qualcuno a cui non va giù quello che sei»
Ricky riuscì appena a guardarlo, ma non poteva reggere lo sguardo dell'altro troppo a lungo. Dentro di sè sapeva che Chris aveva detto la verità e che lui gli stava mentendo, ma non voleva che sapesse cosa stava succedendo davvero. Pensava che Chris ci sarebbe stato troppo male.
«Ricky, ieri sera, a quest'ora, io e te eravamo sul tuo letto a fare Dio solo sa che cosa e non provare a negare quando ti dico che ti piaceva... dimmi la verità, Ricky, perchè hai preso questa decisione?» gli chiese con tanta gentilezza, una gentilezza che forse Ricky non meritava.
«M-mi dispiace, Chris, non voglio che tu soffra... è per questo che è meglio se ci lasciamo ora, n-non voglio prenderti in giro»
Chris non lo mandò giù quel pessimo tentativo di mentire. Ciò che confermava i suoi sospetti erano le lacrime di Ricky che scendevano lente e silenziose e che gli rendevano il respiro irregolare.
Ricky aspettò solo qualche secondo prima di parlare ancora. Non riusciva più a stare lì, quella tensione lo stava lacerando nel profondo. Sentire la bellissima voce di Chris sbattergli in faccia tutte quelle verità era doloroso, e dovergli mentire era ancora peggio.
«Ti prego, portami a casa»
Chris non avrebbe mai voluto assecondare quella richiesta, ma lo fece. Per tutto il tragitto restarono in silenzio: Ricky piangeva contenendo i singhiozzi e Chris fissava la strada con occhi vuoti, spenti.
Arrivati fuori casa di Ricky, il ragazzo si asciugò le lacrime pronto a scendere dall'auto. Chris però lo fermò prima che potesse aprire la portiera.
«Devo darti una cosa» disse prendendo una cartellina di un colore scuro dai sedili posteriori. All'interno c'era il suo ritratto, quello che dopo mesi lui aveva portato a termine alla perfezione. All'improvviso quel disegno acquistò un valore inestimabile.
Gliela diede e si accorse della curiosità sul volto di Ricky.
«Non aprirla ora, aprila più tardi»
Ricky annuì piano. E fu in quel momento che calò un silenzio imbarazzante fra di loro. Nessuno dei due sapeva cosa dire, ma sicuramente entrambi non desideravano fervidamente separarsi.
Si guardarono negli occhi un'ultima volta. Fu come ritornare al loro primo incrocio di sguardi. In quel preciso istante, come la prima volta, si innamorarono dei loro occhi e non esisteva nient'altro.
Passò un tempo indefinito prima che Chris prendesse la decisione di avvicinarsi a lui. Gli accarezzò il viso infilando lentamente le dita fra i suoi capelli. Sarebbe stata sicuramente la sensazione che gli sarebbe mancata di più. Era un atti così semplice ma che in un modo o nell'altro finiva sempre per compiere.
Ricky lo lasciò fare. Si fece asciugare le lacrime dalle sue grandi mani in cui si sentiva al sicuro, poi le strinse fra le sue e le baciò con cura.
«Ciao, Chris» disse in un sussurro guardandolo negli occhi. Chris stentò a credere che stesse succedendo davvero, ma si trovò costretto ad assecondare il volere dell'altro.
«Ciao, Ricky» 
Il ragazzo gli lasciò le mani e scese dall'auto con la cartellina stretta fra le braccia.




Rieccomi! Mi dispiace se sono stata assente per tanto tempo, ma ecco un capitolo. Sono sicura che ci siano mille errori, ma vado davvero di fretta. Non ci sarò per due settimane e non volevo andare via senza postare. Spero che comunque vi sia piaciuto. 
Alla prossima :3

 
  
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