Anime & Manga > Inazuma Eleven
Segui la storia  |       
Autore: _ A r i a    09/08/2015    3 recensioni
{Storia ad OC | Iscrizioni chiuse} {Percy Jackson!AU}
La vista dall'alto era a dir poco sorprendente:da quella quota qualsiasi palazzo, perfino quelli più alti, che da terra sembravano a dir poco immensi, ora non erano ridotti a nient'altro che piccoli punti indistinti.
A Kidou piaceva quella prospettiva, lo faceva sentire così insignificante, proprio come si sentiva sempre, certo, solo che non del tutto:da lì ci si rendeva veramente conto delle dimensioni ed era lì che si comprendeva che non c'era poi molta differenza tra un ragazzo ed un grattacielo.
Entrambi sono soggetti allo scorrere del tempo, entrambi, prima o poi, crolleranno.
Genere: Avventura, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A


Si ringrazia rie (endorphin) per il banner~


Lo Scettro della Notte


“Nei miei incubi di solito ho paura di perdere te.
E sto bene quando mi accorgo che ci sei”
[Hunger Games:La ragazza di Fuoco]


Mi svegliai di soprassalto, tanto che per poco temetti di essere così vicino al letto sopra il mio che ormai battervi la testa sarebbe stato inevitabile.

Il respiro era affannoso, la fronte imperlata di sudore.

Vi passai una mano quasi in automatico, cercando di cancellare perlomeno le tracce evidenti che l’ennesimo incubo aveva lasciato su di me, nonostante fossi pienamente cosciente che le ferite, quelle dentro di me, non se ne sarebbero andate mai del tutto.

Ogni cosa era buia intorno a me e per quello che ne riuscivo ad intuire nella penombra della cuccetta del treno, tutti e tre i ragazzi che dormivano con me, si trovavano ancora beatamente tra le braccia di Morfeo.

Poi però mi ricordai quello che avevamo scoperto negli ultimi quattro giorni –le divinità dell’antica Grecia esistevano davvero ed un potentissimo scettro stava per distruggere il nostro mondo– perciò decisi di sorvolare su quell’ultimo paragone.

Nel letto sopra il mio c’era Endou e non avevo bisogno di vederlo per avere ulteriori conferme:il suo ronfare pacato mi bastò per capire di non averlo affatto svegliato.

Nonostante avessi appena rischiato di dare una forte zuccata contro il suo letto. Come poteva essere così tranquillo?

Dalla parte opposta intravedevo appena Gouenji e Fubuki, rispettivamente il primo sopra e l’altro sotto in quella stramba accozzaglia di tubi che formavano i nostri letti a castello, entrambi apparentemente mi sembravano essere scivolati in un sonno profondo.

Gouenji era voltato verso la parete, così che non ne potessi vedere il volto ma a giudicare dal regolare sollevarsi ed abbassarsi delle sue spalle stava trascorrendo sogni tranquilli.

Fubuki aveva un’espressione beata in volto, le mani raccolte sotto il cuscino ed il respiro leggero, così intuii che pure lui non era tormentato dagli incubi.

Insomma, come al solito toccavano tutte a me.

Mi misi silenziosamente in piedi per non svegliarli e barcollai a causa del sonno fino alla mia valigia, rintanata in un angolino in fondo alla cabina, prendendovi i primi vestiti che trovai ed infilandomeli completamente alla cieca, visto che mi riusciva perfino difficile tenere gli occhi aperti nonostante avessi avuto quell’incubo ed ora fossi decisamente più sveglio che addormentato.

Da una parte quasi lo capivo:quegli ultimi quattro giorni erano stati un susseguirsi continuo ed instabile di eventi, che avevano confuso perfino me.

Dopo il ritorno di Kageyama e la scoperta della nostra parte semidivina il mondo sembrava aver preso a ruotare più velocemente.

Artemide ci aveva dato una missione, per la quale nessuno sapeva cosa fare.

Dopotutto, meridione poteva dire qualsiasi cosa.

In realtà la soluzione ci era quasi stata generosamente offerta quando, il pomeriggio seguente, avevamo ricevuto una telefonata da Okinawa.

Tsunami, ovviamente.

Anche lui, a quanto pareva, era un semidio, per la precisione figlio di Poseidone.

Avrei dovuto pensarci, a dir la verità.

Ad ogni modo, era stato contattato da altre nostre vecchie conoscenze in giro per il mondo, che avevano a loro volta scoperto di essere figli o figlie di qualche divinità greca tramite quei simpaticissimi segnali luminosi sopra le loro teste.

Così avevano tutti deciso di raggiungere Tsunami ad Okinawa ed a noi non era toccato far altro che adattarci e partire a nostra volta in direzione dell’isola, nel bel mezzo del Pacifico.

Peccato che fossimo semidei e ciò comportasse che, per noi, nulla fosse mai semplice.

Un viaggio in aereo sarebbe stato impraticabile, soprattutto considerando che contro avevamo nemici tanto potenti da sottrarre lo scettro di una delle più potenti e primordiali divinità mai esistite sulla faccia della Terra.

Come se tutto ciò non bastasse già di per sé –e bastava, eccome– la rotta aerea Tokyo – Okinawa era decisamente troppo lunga, il che avrebbe incrementato  non poco il rischio di essere attaccati da mostri o chissà cos’altro.

Così avevamo deciso di raggiungere per via ferroviaria Osaka e poi, una volta lì, decidere di conseguenza come proseguire.

Anche perché, se avessimo preso l’aero, come avremmo potuto sperare di superare i controlli ed i metal detector con tutte quelle armi che ci portavamo dietro?

Il treno era stata, pertanto, la scelta più giusta.

Inutile dire quindi che tale decisione non si fosse raggiunta per mio merito.

Mi risultava paradossale infatti pensare che, ancora una volta, la mia vita fosse nelle mani di Kageyama e la cosa ancor più assurda era che, per quanto potessi continuare a ripetere a me stesso di odiarlo e che non avrebbe fatto altro che condannarci tutti alla rovina, fino a quel momento mi era sembrato l’unico in grado di prendere lucidamente una decisione che non ci vedesse tutti morti su un fondale marino.

Ovviamente avevo cercato di trovare una risposta alla domanda che continuavo a ripetermi, vale a dire che ci guadagnava lui ad aiutare un gruppo di ragazzini incapaci a non rimetterci la pelle a causa di un branco di mostri, eppure per quanto ci pensassi – all’incirca ogni momento della mia giornata da quattro giorni a quella parte – non ero ancora riuscito a darmi una risposta.

Dopo che Artemide, sotto le sembianze di una cerva dorata, si era dissolta scomparendo nella boscaglia, era stata indetta una riunione d’urgenza a casa mia.

Lì per lì mi ero pure chiesto perché proprio casa mia ma ero giunto alla conclusione che il mio salone fosse l’unico posto in grado di contenere così tante persone senza troppe ristrettezze.

Non avevo comunque esternato le mie perplessità con nessuno, giungendo da solo alla soluzione:non volevo apparire tanto superfluo in un momento del genere.

Una volta lì era stato pressoché impossibile gestire su per giù venticinque persone in preda al panico od allo stupore.

Erano tutti presi ad osservare le loro nuove armi, io stesso ammetto di essermi perso buona parte della discussione poiché ero ipnotizzato, totalmente perso nel fissare con espressione impassibile l’elsa argentata che avevo ricevuto in dono nemmeno mezz’ora prima.

Per quanto mi desse fastidio, dovevo perlomeno riconoscere a Kageyama il merito di essere riuscito a tirare le fila di quei discorsi senza capo né coda.

Erano tuttavia ancora tante le cose che continuavano a non tornarmi e temevo che non mi sarei dato pace finché non vi avessi trovato delle risposte.

M’infilai una felpa nera, un paio di jeans e delle sneakers nere, quindi mi legai in vita la fascia con la spada, dalla quale ormai non mi separavo praticamente mai –giacché oramai vivevo nel costante terrore di un improvviso attacco da parte dei mostri– quindi mi avvicinai quanto più silenziosamente possibile all’uscita della cuccetta, scivolandovi fuori con un rapido scatto.


Nei giorni precedenti alla partenza, alcuni di noi avevano subito degli attacchi da parte di mostri, il che ci aveva portati a convincerci che partire quanto prima sarebbe stata la soluzione migliore.

Io stesso un pomeriggio, mentre tornavo a casa dagli allenamenti insieme a Sakuma, ero finito vittima della battuta di caccia di un’arpia.

Ci eravamo salvati praticamente per un colpo di fortuna, giacché avevo agitato la spada con la prima mossa che mi era venuta in mente, infilzando così l’arpia con un solo movimento.

Quella era praticamente esplosa, ricoprendoci di una strana polverina giallastra.

Quando lo aveva saputo, Kageyama era andato su tutte le furie, esprimendo apertamente il suo disappunto in merito a due ragazzi soli ed inesperti costretti a difendersi dall’attacco di un’arpia … con cosa? Praticamente niente.

Era strano vederlo preoccupato per me, tanto che per un momento avevo avvertito qualcosa di caldo diffondersi nel mio petto.

Per un momento, eh.

In seguito agli attacchi che, quello stesso giorno, altri di noi avevano subito, avevamo preso la repentina decisione di metterci in viaggio verso Osaka quanto prima.

Era pur sempre una specie di meridione, perlomeno rispetto a Tokyo.

Stando a quanto aveva detto Artemide, una volta giunti presso la nostra meta avremmo trovato ad attenderci un compito da svolgere e qualora fossimo riusciti ad adempiervi avremmo guadagnato un passaggio assicurato per proseguire in quella sorta di missione suicida.

Avevamo avuto poco tempo per preparare i bagagli e trovare una scusa abbastanza plausibile per giustificare alle nostre famiglie quella nostra partenza improvvisa.

Non che non fossero abituati a vederci salvare il mondo, solo che stavolta saremmo stati ben più del solito, oltre al fatto che il pericolo con il quale dovevamo confrontarci non era minimamente paragonabile a nulla di quanto avessimo affrontato finora.

Stavamo parlando di dei e magia, dopotutto.

L’unico grande punto interrogativo che avevo per quel viaggio –oltre al sottogruppo di tanti dubbi minori, s’intende– era, come al solito, Kageyama.

Potevamo fidarci di lui?

Purtroppo le circostanze quasi me lo imponevano, eppure avevo perfino proposto ai miei compagni di organizzare dei turni di veglia per tenerlo sott’occhio.

Paradossalmente, nessuno di loro aveva trovato di alcuna utilità controllarlo.

D’accordo, forse avevano ragione loro e non riuscivo a fidarmi di lui solo a causa dei nostri trascorsi, senza contare che, in fin dei conti, era stato l’unico fino a quel momento a darci una mano, nonché con ogni probabilità –per quanto detestabile potesse sembrarmi l’idea- l’unico altro semidio in circolazione che avesse un briciolo di esperienza disposto –o forse sarebbe più corretto dire costretto– ad aiutarci.

Eppure nulla avrebbe potuto impedirgli di ingannarci tutti e trarci d’improvviso in inganno, gettandoci metaforicamente parlando nella fossa dei leoni.

Alla fine però, da bravo idiota quale non ero altro, mi ero lasciato come al solito trascinare dal tono convincente di Endou, che mi aveva ricordato che, d’altronde, ero stato io stesso ad infondere nella mia squadra fiducia in quell’uomo quando gli avevo gettato le braccia al collo, su quel campetto da calcio.

Me l’ero chiesto, perché lo avessi fatto e neppure in quel caso ero riuscito a trovare una spiegazione per quel mio gesto.

Detestavo non avere delle risposte e tanto per cambiare, in presenza di Kageyama non c’era una volta che ne avessi una.

Scrollai con decisione la testa, cercando di levarmelo –inutilmente– dai miei pensieri.

Tentai piuttosto, nonostante già sapessi che fosse del tutto inutile, di concentrarmi sul monotono quanto rassicurante dondolio del vagone del treno che avevamo occupato interamente, talmente tanti eravamo.

Per quanto potessi negarlo era stato a dir poco terrorizzante dovermi scontrare con quell’arpia, per non parlare di quanto, negli ultimi tempi, la mia vita avesse cominciato a cambiare troppo in fretta per i miei gusti.

Ero in effetti alquanto recidivo ai cambiamenti repentini.

Tipo la morte di Kageyama … possibile che dovessi essere sempre così ripetitivo?

Guardai fuori dal finestrino, meravigliandomi con quanta facilità cambiasse il paesaggio oltre di esso.

Di colpo fui spaventato da un rumore improvviso e mi accorsi che la porta in fondo al vagone, che dava su un piccolo terrazzino –possibile che dovessimo viaggiare su un treno tanto vecchio e lento? Di sicuro quella locomotiva apparteneva ai primi anni del secolo precedente– era socchiusa.

Con ogni probabilità il rumore proveniva da lì.

Avvolsi la mano attorno all’elsa della mia spada:meglio essere sicuri, non si sa mai, in caso di un altro attacco da parte dei mostri … certo, il treno era rassicurante proprio perché, da quando avevamo cominciato a viaggiarvi, non avevamo più ricevuto attacchi, tuttavia decisi che fosse decisamente più saggio essere pronti a qualsiasi evenienza e mai dire mai.

Mi avvicinai guardingo alla porticina, cercando di fare quanto meno rumore possibile.


Per poco non passai a fil di spada Kageyama. Già.

Quando fui ormai con la mano sul pomo della porta la spinsi avanti con un rapido gesto ed estrassi la spada, puntandola alla mia sinistra, dove avevo intravisto una sagoma scura.

Peccato che a causa della mia eccessiva prevenzione –o forse sarebbe più corretto dire della mia smisurata fifa– di lì ad un paio di secondi mi ritrovai con la punta della spada appena premuta alla gola di Kageyama.

Sobbalzai, indietreggiando di un paio di passi per la sorpresa.

Idiota, mi rimproverai subito dopo.

Lui in un primo momento mi aveva osservato con un’espressione sorpresa, dopodiché aveva cercato di tornare impassibile come al solito quanto prima, così che non mi accorgessi di quel, seppur minimo, mutamento.

Però io l’avevo notato.

«Hai intenzione di uccidermi?»mi domandò subito, cogliendomi impreparato, una lieve nota di cinismo nella voce.

Per un istante, forse fin troppo lungo, indugiai, talmente spiazzato e preso in contropiede da quella domanda, dopodiché mi affrettai a replicare:«N – no … certo che no».

Mi rivolse un sorriso, che tuttavia sembrava così crudele, mentre mi faceva notare con aria sagace:«Allora per quale razza di motivo mi staresti tenendo sotto tiro?».

Non so perché ma mi resi pienamente conto solo in quel momento che gli stavo puntando ancora la spada contro.

Arrossii –perché stavo arrossendo?– mentre mi affrettavo  rinfoderare la mia arma.

Non capivo perché, eppure in un certo senso avvertivo di dover giustificare quel mio gesto, così ammisi: «Credevo ci fosse un mostro».

Lui mi squadrò e mi ammonì:«Oh, così hai ben pensato di sfoderare un’arma semidivina in direzione del primo venuto senza prima accertarti che si trattasse realmente di un mostro o di uno dei tuoi compagni, oppure che so, di un altro qualsiasi dei passeggeri di questo treno. Davvero una mossa intelligentissima, i miei complimenti».

Le mie mani si strinsero in pugni per la rabbia che d’improvvisò avvertii invadere il mio corpo, le braccia rigidamente distese verso il basso a causa della tensione che percepivo scorrere tra noi due.

Ero così infuriato che sbottai:«Ho avuto paura, dannazione!».

La sua espressione tornò sorpresa e quando mi resi conto di aver realmente detto quella frase spostai immediatamente lo sguardo, puntandolo a terra per l’imbarazzo.

Perché avevo detto una cosa del genere!?

Per qualche secondo calò il silenzio, un silenzio decisamente opprimente, colmo di così tante parole che non uscirono dalle labbra di nessuno dei due.

Lo sentii avvicinarsi a me ed istintivamente mi scostai.

Compresi che le nostre menti, come al solito, avevano percorso lo stesso sentiero e che dunque avesse intuito che quel mio improvviso accesso di preoccupazione era stato causato dall’attacco che avevo ricevuto giorni prima, da parte di quell’arpia.

Sapevo che aveva intuito che, nonostante la mia prontezza di riflessi e per quanto gli altri potessero lodarmi per aver disintegrato un mostro con una singola mossa, ero rimasto profondamente traumatizzato da quanto era avvenuto.

D’altronde, come l’aveva chiamato Artemide?

Istinto di sopravvivenza.

Ecco, se ero ancora vivo era solo grazie al mio istinto di sopravvivenza, non ad una mia particolare abilità nel maneggiare la spada o cos’altro.

Per questo avevo paura.

Non ero riuscito a non chiedermi cosa sarebbe successo se, un giorno, quell’istinto di sopravvivenza fosse venuto meno:avrei decretato la mia morte e quella dei miei amici?

Lanciai un rapido sguardo a Kageyama e mi meravigliai non poco di notare, dipinta sul suo volto, una disperata espressione di dolore e rimorso.

«Cielo, Kidou, perdonami. Non era mia intenzione turbarti»sussurrò.

Per un istante non riuscii più a respirare. Cosa stava succedendo? Perché ora mi diceva quelle cose?

Credeva davvero di poter tornare all’improvviso, dopo due anni durante i quali non avevo fatto altro che crederlo morto e di colpo rigirare tutta la frittata e diventare il buono di turno?

Si avvicinò di nuovo e stavolta gli permisi di raggiungere il mio corpo.

Lo avvertii circondarmi la vita con un braccio, mentre una mano si poggiava delicatamente sulla mia guancia, perdendosi in una svogliata carezza.

Stupido cuore che decide di accelerare quando gli pare.

«Vuoi parlarne?»lo sentii bisbigliare.

Non mi chiese nemmeno se ci fosse qualcosa che non andava, tanto ormai era ovvio che fosse così.

Cercai di spostare il mio sguardo su qualsiasi cosa, purché fosse lontana da noi, così mi misi ad osservare con estremo interesse i binari che scorrevano silenziosi sotto di noi.

«H – ho fatto un incubo»confessai, seppur non di buon grado. Perché la mia voce tremava così pericolosamente, come se fosse sul punto di spezzarsi?

Lui sospirò appena mentre affermava:«Ne avevamo parlato già prima della partenza, ricordi? È normale per i semidei essere perseguitati dagli incubi».

In quel momento avrei voluto che Ade, il dio dell’oltretomba, avesse aperto una voragine sotto i miei piedi e mi avesse risucchiato nel suo regno d’oscurità.

Invece non successe niente, così mi trovai costretto a dover ammettere:«La verità è che ho sognato di perderti … di nuovo».

Sentii il suo respiro bloccarsi in gola, il ritmico alzarsi ed abbassarsi del diaframma d’improvviso interrotto e capii di averlo stupito di nuovo.

Era diventato decisamente più semplice sorprendere Kageyama, dopo il suo ritorno.

Deve essere una cosa dovuta all’essere tornato indietro dagli Inferi, anche perché mi risultava che mai nessuno prima di lui ci fosse riuscito.

All’improvviso, non sapevo bene come, mi ricordai di quella riunione a casa mia e di come, mi ero accorto, Kageyama non mi avesse mai tolto lo sguardo di dosso neppure per un momento, fissandomi perfino mentre parlava.

Come se fosse, in qualche modo a me sconosciuto, felice di rivedermi dopo tutto quel tempo.

Temevo che, per qualche istante, avesse ritenuto possibile che fossi un miraggio, che non fossi realmente lì, che non l’avessi abbracciato davvero e che magari fosse tutto frutto della sua immaginazione oppure una qualche specie di tortura che gli era stata inferta negli Inferi prima di essere salvato dagli dei, tipo mostrargli cose che non avrebbe più potuto avere.

Come me, in fin dei conti.

Mi sentii un essere orribile, specie se pensavo a quello che aveva dovuto soffrire lui.

Tuttavia sentii la sua mano scivolare delicatamente ancora una volta lungo la mia guancia mentre mi tranquillizzava:«Kidou … non me ne vado più».

Non so perché, eppure quell’affermazione mi rassicurò in modo preoccupante, così mi sistemai meglio con la schiena contro il suo petto, fissando di nuovo il paesaggio che sfrecciava intorno a noi.

Per un attimo mi concessi addirittura di sentirmi sollevato, stretto tra le sue braccia, eppure le immagini dell’incubo di poco prima, che fino a quel momento avevo cercato di escludere dalla mia mente, tornarono ad invaderla prepotentemente.

Così eccoci di nuovo lì, sull’orlo di quel buio burrone, il mio corpo a penzoloni su quello strapiombo e la mia mano stretta nella sua, ultima ancora alla vita che mi fosse rimasta.

Eppure le forze abbandonavano di colpo il mio corpo, nonostante le sue esortazioni a resistere, a credere che sarebbe andato tutto bene ed all’improvviso mi sentivo precipitare verso l’abisso eterno, senza più via di scampo.

Era solo un incubo, certo, eppure era così terribilmente reale e terrorizzante.

Ridicolo, eppure una volta ero così razionale … probabile che la razionalità smetta di esistere al cospetto delle divinità, no?

Cercai di cancellare nuovamente quelle immagini dalla mia testa e fallii ancora, tuttavia finsi che non fosse così e gli domandai invece:«Tu, piuttosto … perché sei qui?».

Mi decisi a lasciar tornare il mio sguardo su di lui, così mi confessò:«Avevo bisogno di prendere una boccata d’aria fresca. Comunque, giusto perché si sappia, non ti avrei minimamente biasimato se, prima, il tuo desiderio fosse stato veramente quello di uccidermi. In fondo l’avrei capito:dopo tutto il male che ti ho fatto, sarebbe il minimo».

Trasalii al solo pensiero.

Come poteva anche lontanamente credere che, nonostante tutto, avrei potuto desiderare ucciderlo?

Doveva aver avvertito il brivido che di colpo mi aveva scosso, visto che aveva sciolto la presa attorno al mio corpo.

Per un attimo desiderai che mi abbracciasse ancora.

Poi, per l’ennesima volta, mi diedi dello stupido.

«Ad ogni modo, non lo farei mai»mi costrinsi ad ammettere«potresti tornarci utile. Inoltre, che motivo avrei avuto per farlo?».

Mi resi conto solo in quel momento di quanto mi sentissi stanco, così scrollai rapidamente le spalle e mi voltai in direzione della porticina, spiegando:«Credo che sia arrivato il momento che me ne torni nella mia cuccetta».

Lui, alle mie spalle, convenne:«Sono d’accordo. Cerca di riposarti, ci aspettano giorni intensi».

Come se non me ne fossi già reso conto, valutai.

Raggiunsi la porta, ormai convinto che nessuno dei due avrebbe aggiunto altro.

Tuttavia, quando ormai la mia mano si era già poggiata sulla maniglia, sentii le dita di Kageyama stringersi attorno al mio polso mentre sussurrava:«Kidou, aspetta!».

Mi voltai subito, colpito dal suo tono d’urgenza e rimasi a dir poco sorpreso quando avvertii le sue labbra poggiarsi sulla mia fronte.

Arrossii di colpo mentre lo sentivo allontanarsi dal mio corpo e concludere:«Buonanotte».

Nonostante il mio cuore avesse momentaneamente deciso di farsi un giro sulle montagne russe, mi obbligai a ripetere:«Buonanotte».

Mi voltai, tornando nel vagone e chiudendo quella porta alle mie spalle, nonostante sapessi di aver appena lasciato un pezzo di me su quel terrazzino.


* Angolo autrice *

{ma che carino questo capitolo. Sìsì}

Salve, gente! Come va?

Come avevo predetto in questo capitolo niente OC perché … beh, volevo spiegare un attimo che sta succedendo e francamente non so quanto io ci sia riuscita visto che per tre quarti di capitolo mi sono persa a parlare dei miei personaggi preferiti …

Non diversamente dal solito, certo.

Comunque, bando alle ciance! I nostri ragazzi sono in viaggio, accettando così la missione affidata loro da Artemide e dirigendosi verso sud. A proposito, vi faccio i miei complimenti perché avete indovinato quasi tutti la risposta alla domanda che vi avevo lasciato alla fine dello scorso capitolo, perciò … bravi, chapeau!

Tornando a noi, ho deciso di utilizzare questo capitolo un po’ come un ponte di transito tra la prima parte della storia, ossia quella che è servita un po’ da presentazione e quella che comincerà a partire dal prossimo aggiornamento, vale a dire la missione vera e propria.

Detto questo, stavolta non ho un vero e proprio interrogativo da porvi perché … beh, come dicevo in questo capitolo non ci sono stati sostanziali sviluppi della storia, quanto piuttosto qualche spiegazione generale.

Potrei anche chiuderla qui, prima però ho una comunicazione importante per voi:non so se la prossima settimana riuscirò ad aggiornare regolarmente la storia perché sarebbe pure ora che mi mettessi a studiare, i compiti delle vacanze non si fanno mica da soli!

{maledetto greco!!!}

Niente, mi farebbe piacere ricevere le vostre opinioni in merito alla storia, così, giusto per sapere come sto andando – non fate i timidi, alias recensite!

A presto (spero)

Aria_black
   
 
Leggi le 3 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Inazuma Eleven / Vai alla pagina dell'autore: _ A r i a