Storie originali > Romantico
Segui la storia  |       
Autore: rossella0806    10/08/2015    3 recensioni
Philippe Soave è uno psicologo infantile che lavora presso il "Centre Arcenciel" di Versailles, una sorta di scuola che ospita bambini e ragazzi disagiati, a causa di dinamiche famigliari non proprio semplici.
Attraverso il suo sguardo appassionato, scopriremo la realtà personale dei piccoli e grandi ospiti, ognuno dei quali troverà un modo per riscattarsi dalle ingiustizie della vita.
Ci sarà anche spazio per sorridere, pensare e amare!
Genere: Drammatico, Generale, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna, Het
Note: Raccolta | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

FUOCO & MANETTE


Sabato mattina, mi svegliai molto prima del trillo della sveglia delle otto e trenta: avevo passato metà della notte insonne, sia per il disguido incomprensibile accaduto con Liliane e con Madame Betancourt sia, cosa di gran lunga più importante, per il problema – ancora irrisolto- del tetto.
Per prima cosa, contattai il dottor Brice per metterlo al corrente della rovinosa caduta di Nicholas, avvenuta il pomeriggio precedente.
E’ un bravo medico, che offre gratuitamente le sue prestazioni di pediatra in cambio di qualche cioccolatino e di qualche disegno fatto dai bambini del Centre: tre anni fa, qualche mese prima che io arrivassi, ha adottato una bambina, una piccola turca di sei anni ospite della struttura, Alma, che però io non ho mai conosciuto.
Mi promise che sarebbe passato per le dieci a valutare le condizioni fisiche di Nicholas: così, dopo aver fatto una frugale colazione con la torta di Vivianne avanzata la sera prima e un bicchiere di ACE, la mia bevanda preferita, mi diressi con la mia fiammante Peugeot verso Versailles.
Essendo in pieno week end e data la bella stagione primaverile, trovai un po’ di traffico sulla tangenziale: mancava ancora un’ora all’appuntamento con il dottor Brice, eppure, tra una coda qui e un’altra più avanti, arrivai giusto in tempo.
Parcheggiai in una maniera che è meglio tralasciare di spiegare e mi avviai lungo il viale d’ingresso del Centre.
Il piano rialzato era completamente deserto: dopotutto era sabato, le lezioni sarebbero riprese solo a inizio settimana e, gli ospiti che non avevano famiglia e che quindi alloggiavano notte e giorno presso la nostra struttura, erano impegnati o in biblioteca o in sala giochi, i luoghi ideali per svagarsi e divertirsi un po’.
Non ebbi neppure il coraggio di guardare verso la fine del corridoio, dove avrei trovato l’anonimo nastro apposto dai Vigili del fuoco per delimitare la zona in cui era precipitato quell'ammasso informe di tegole e, al posto dei rettangoli di mattone caduti, un anonimo telo di plastica trasparente.
Una rabbia crescente, mista a delusione, s’ impadronì di me: la proposta innocente e appassionata che avevo fatto a Liliane e a Madame Betancourt, appena il giorno prima, era stata bocciata senza alcuna ombra di replica, con una tale arroganza velata che non potevo non esserne rattristato.
“Signor Soave!”
Alzai lo sguardo dove finiva la prima rampa di scale: il dottor Brice, un quarantenne alto e ben proporzionato, la carnagione ambrata ed i capelli ricci, mi salutò con un cenno della mano.
Gli andai incontro, salendo a due a due i gradini, così da avere una scusa per smettere, almeno per qualche minuto, di pensare al problema pressante del tetto.
“Perdoni il ritardo …” esordii, stringendogli una mano.
“Non si preoccupi, sono io che ero in anticipo! Allora, come sta? Ero andato a fare un saluto a Madame Betancourt, ma nel suo ufficio non c’è”
“Può darsi che il sabato non venga. Le confesso che, anche a me, capita raramente di venire qui, durante il finesettimana” gli spiegai, sorridendo forzatamente per non dover parlare della direttrice.
L’uomo ricambiò il mio sorriso: indossava una maglietta verde con l'immagine di una barca vela stampata sopra, lo stesso colore dei suoi occhi, e dei pantaloni beige larghi ai polpacci, in contrasto con le scarpe da ginnastica blu.
“Andiamo dal nostro avventuriero?” mi domandò, indicando la tromba delle scale più in alto.
Annuii sospirando e feci strada, avanzando fino al secondo piano, dove si trovavano le camere dei maschi.


Per fortuna, Nicholas non aveva nulla di rotto, solo qualche ecchimosi ed escoriazione alle ginocchia, ai gomiti e al viso: accompagnai all’uscita il dottor Brice, ringraziandolo ancora una volta per la sua pronta disponibilità.
“Che cosa è successo lì?!” mi domandò sbalordito, quando, ormai sulla soglia, si accorse del luogo del misfatto.
“Oh quello … durante il temporale di martedì sera è caduto un pezzo di tetto, niente di che”
Cercai di non dare troppo peso alle mie parole, perché non avevo nessuna voglia di affrontare per l’ennesima volta il discorso ma, invano, dal momento che l’uomo insisteva, volendo saperne di più:
“E’ terribile! Avete già chiamato qualcuno perché ve lo aggiusti? Non potete rimanere senza tetto: se dovesse piovere, se dovesse capitare di nuovo, rischiate che vi si allaghi l'intero piano e …”
“Lo so, lo so!” lo interruppi bruscamente: sapevo perfettamente la gravità della situazione e, soprattutto, che cosa avremmo dovuto fare, se solo avessimo avuto del denaro.
“Signor Soave, c’è qualcosa che non va? Voglio dire, a parte quello che è successo, c’è qualche altra cosa di cui avete bisogno? Se posso fare qualcosa, sa che sono disposto ad aiutarvi, basta chiedere!”
Il dottor Brice mi fece sentire la sua vicinanza appoggiandomi con delicatezza una mano sul braccio.
“Mi scusi, non volevo essere scortese. E’ che ci sono state delle incomprensioni, negli ultimi giorni, con la direttrice e una collega, proprio a proposito della gestione del problema. Diciamo che non navighiamo in buone acque, quindi, a malincuore, quel telo di plastica trasparente tappezzerà il soffitto ancora per un bel po’ …”
L’espressione mortificata e impotente che apparve sul volto dell’uomo era esattamente ciò di cui non avevo bisogno per tirarmi su di morale.
“Mi dispiace molto, signor Soave. Sono sicuro che presto troverete una soluzione. Se vuole, posso prestarvi il denaro che vi serve …”
“No, certo che no!” mi affrettai subito a precisare, quasi offeso da quel disinteressato gesto di solidarietà, eppure non potevo e non volevo accettare; ce l'avremmo fatta solo con le nostre forze ...
“La capisco, sa: anch’io sono molto orgoglioso ma, a volte, questo nobile sentimento va messo da parte in favore del bene comune. Si fidi di ciò che le sto dicendo …”
“Ha ragione, però il fatto non è questo, non solo almeno. E’ che stiamo vivendo una situazione complicata, sotto tutti i punti di vista, e non sappiamo come uscirne…” conclusi mortificato, distogliendo per un attimo lo sguardo dal mio interlocutore, così accorato per le nostre disgrazie.  
“Aspetti! Non avete pensato di allestire una vendita di beneficienza?! Sono sicuro che la maggior parte dei bambini abbia una qualità che potrebbe mettere al servizio del Centre! Potreste creare dei piccoli quadri con la pittura ad olio, oppure vendere qualche vecchio oggetto o vestito che non usate più! Preparando dei banchetti, proprio qui, nel giardino della struttura, sono sicuro che riuscirete a guadagnare il denaro necessario per rifare il tetto! Contate pure sulla mia pubblicità! Tappezzerò l’ambulatorio e la città con dei volantini: mia moglie, lo sa, è grafico, non le costerà nulla farlo! Allora, cosa ne pensa?!”


Quando congedai il dottor Brice erano quasi le undici.
Liquidai lui e la sua idea promettendogli che ne avrei parlato con gli altri insegnanti e la direttrice, sebbene fosse l’ultima cosa che avrei voluto fare.
Avevo bisogno di pensare, di riflettere sulle parole che mi erano state dette.
Il suggerimento che l’uomo mi aveva proposto non era affatto male, eppure lui sopravvalutava le doti dei ragazzi: è vero, alcuni di essi, come Adriene, sono davvero dotati della capacità di disegnare; altri, grazie ai laboratori musicali e di pasticceria che si organizzano una volta a settimana, suonano con grazia e solennità il pianoforte o il flauto e sanno preparare delle crostate e delle madleins molto buone ma, nessuno di loro, è così bravo da poterlo fare da solo e per un pubblico di … quante persone? Due, dieci, cinquanta? Forse la proposta non avrebbe trovato accoglienza, forse solamente la famiglia del dottor Brice sarebbe venuta a farci un saluto e a curiosare tra la mercanzia: la nostra situazione finanziaria era troppo grave per poter essere risolta con la vendita di qualche disegno, qualche torta o qualche vecchio abito ( quest’ultima ipotesi da scartare, dal momento che gli ospiti del Centre avevano a malapena il ricambio estivo e invernale).
Il tetto sarebbe costato almeno mille euro e, tenendo conto che la nostra cassa era già sotto di duecento, le cose non si sarebbero messe a posto con tanta facilità.
Chissà, magari avremmo potuto usare parte dei nostri stipendi per risolvere il problema…
Mentre pensavo a tutto questo, sentii in lontananza lo scoccare di un orologio: avevo camminato abbastanza, mezz’ora perso tra i vari arrondissements del centro.
A un certo punto, senza accorgermene, mi ritrovai in mezzo ad una guerriglia  -non saprei in che altro modo definirla-  a poche centinaia di metri da me: dovevo essere arrivato in una banlieu, nella periferia più degradata e abbandonata della città.
Erano anni che, per fortuna, a Versailles e a Parigi non si sentiva di scontri tra gli abitanti della zona e le forze dell’ordine.
Eppure, lo spettacolo che si stava presentando alla mia vista, era tutt’altro che testimonianza di tranquillità e pacifica convivenza tra le varie etnie.
Con incredulità, riuscivo a scorgere almeno una cinquantina di manifestanti, perlopiù giovani di colore e bianchi, vestiti di nero e a volto scoperto che, armati di bastoni e spranghe, minacciavano un altro gruppo di ragazzi, questi ultimi asiatici.
Che strano, pensai, una volta erano i bianchi e i neri a fronteggiarsi, non ad allearsi ...
In mezzo, cercando di contrastare entrambe le divisioni, uno sparuto numero di poliziotti della Gendarmerie, la metà rispetto a tutta quella gente: gli agenti, con le maschere antigas, i giubbotti antiproiettile, i manganelli e gli scudi di plastica – come li avrebbe definiti qualche bambino del Centre- si stavano proteggendo con l’apposito armamentario, parando colpi e rimandandone indietro altri, come dei veri guerrieri romani.
Provai una grande tristezza e spaesamento nell’assistere a quello spettacolo indegno, violento e privo di qualsiasi senso umano.
I palazzi, alti fino a tredici piani, erano lambiti dalle fiamme delle bombe incendiarie, mentre altre bombe carta venivano lanciate oltre i due schieramenti, in una folle rincorsa a chi le gettava più lontano, colpendo il maggior numero di bersagli possibile.
Le vittime di questo pazzo gioco cadevano come barattoli di latta sotto i colpi dei proiettili, completamente inermi, senza alcuna possibilità di replica, rimanendo distesi a terra, mentre tutto intorno nessuno si curava di loro.
Sembrava di essere in una zona di guerra: mi chiesi come avessi fatto ad arrivare fino a lì, senza accorgermi di quello a cui stavo andando incontro.
Cercai di tornare indietro, ma venni fermato da un uomo in borghese, con la casacca recante la scritta Gendarmerie: mi bloccò con forza le braccia e, prendendomi per i polsi, mi fece inginocchiare.
Avvertii un tremendo bruciore alla schiena e ai palmi, come se fossi stato sferzato da dei colpi improvvisi di cinghia.
Le urla dei manifestanti erano assordanti e demoniache: l’intero spettacolo era dantesco, dal colori delle fiamme ai visi grotteschi degli assalitori, trasformati in ferali maschere di carne.
Cercai più di una volta di divincolarmi dalla stretta del poliziotto, tentando di spiegargli che non c’entravo nulla, che ero capitato lì per caso, che volevo solo tornare indietro e, per questo, mi stavo allontanando così in fretta …
In tutta risposta, l’uomo mi ammanettò e, senza troppi complimenti, strattonandomi, mi condusse verso un blindato: stava già - con modi assai poco cortesi - invitandomi a salirvi, quando, un fragore più forte degli altri, fece tremare la terra sotto i nostri piedi.
Sentii di nuovo un violento bruciore, questa volta più forte rispetto a quello che avevo avvertito pochi attimi prima alla schiena e ai palmi: era come se la pelle del braccio e della gamba destra fosse stata aperta con una lama incandescente.
I rumori, le urla, il fuoco e tutte quelle persone in divisa e non, si confusero nella mia mente, giusto l’attimo prima di cadere a terra e perdere i sensi, le manette ancora strette ai polsi.

   
 
Leggi le 3 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Romantico / Vai alla pagina dell'autore: rossella0806